PALMA il Vecchio

Enciclopedia Italiana (1935)

PALMA il Vecchio

György Gombosi

Pittore, nato a Serina verso il 1480, morto a Venezia il 30 luglio 1528. Si chiamava veramente Iacopo d'Antonio Negreti o Nigreti (Nigretti), ma è conosciuto con lo pseudonimo che ebbero anche il nipote Antonio e il pronipote Iacopo (il Giovane).

Il suo nome si riscontra sin dal 1510 in documenti veneziani, che gettano un po' di luce sulla sua vita privata. Fu membro della scuola di San Marco. Fu benestante e la sua casa era governata dalla nipote Margherita; il nome di una sua figlia Violante, presunta modella di molti ritratti suoi e di Tiziano, è invece leggendario. Al suo testamento del 1528 è unito l'inventario delle sue cose con l'elenco delle 62 opere in gran parte incompiute. Ma gli altri documenti relativi alle sue opere pittoriche sono scarsissimi; firmata non è che una sola delle sue opere, la giovanile Madonna di Berlino.

È probabile che il P. sia venuto giovanissimo a Venezia, ma non pare che sia stato proprio allievo di Giovanni Bellini, la cui arte egli piuttosto poté conoscere fra quegli artisti bergamaschi imitatori provinciali del Bellini, che si erano aggruppati intorno a Francesco di Simone da Santacroce. A questo gruppo appartennero, stilisticamente, col Rizzo e altri umili maestri di Santacroce, anche il Previtali, il Marconi (artisti che si vantano d'essere stati allievi diretti del maestro) e persino il Cariani e il Licinio. Il contatto col gruppo bergamasco distingue il giovane P. nell'ambiente belliniano: egli non cessò neanche più tardi di colorire a smalti chiari e trasparenti a modo dei Santacroce e del Previtali, di evitare le complicazioni e di essere fedele alla tradizionale forma del trittico a figure isolate, tanto cara ai Bergamaschi e venuta in disuso a Venezia.

Ma, mentre i minori maestri bergamaschi rappresentano il provincialismo ritardatario, il P. seguì liberamente lo sviluppo dell'arte veneziana. Fu uno dei primi a seguire Giorgione, la cui influenza si fa notare già in alcune delle sue giovanili Madonne, come quella della galleria Colonna. Verso il 1505-08 è da datarsi un gruppo di quadretti mitologici assai fini per colorito ed esecuzione, con molti elementi di paesaggio e figure piuttosto piccole. Uno di questi quadretti, a Filadelfia, è una specie di variante della Tempesta di Giorgione. Più tardi il P. diede un formato piuttosto grande alle sue composizioni mitologiche e vi fa prevalere il nudo umano: così nell'Adamo ed Eva di Brunswick, nelle Due ninfe di Francoforte, nella Venere di Dresda. Tipica per le opere del 1512-1515 è una certa tonalità bionda, quasi correggesca, la quale nel corso del secondo decennio si cambia in un profondo chiaroscuro. Nello stesso tempo il P. s'avvolge sempre più nel mondo di sentimenti arcadico-pastorali del "giorgionismo", diventa sognatore e languidamente sentimentale (Tre sorelle di Dresda); le sue forme diventano sciolte e molli nelle Sacre Conversazioni più mature (come quelle del Louvre e di Monaco), poi le composizioni cambiano in aggruppamenti liberamente ritmati (Vienna, Galleria Liechtenstein, e Dresda).

Per parecchi anni dopo la morte di Giorgione il P. conserva e approfondisce quest'arte, finché, verso il 1520, un nuovo movimento artistico sorto a Venezia lo spinge in altra direzione. Era il tempo in cui sorgeva l'arte grandiosa e patetica rivelata la prima volta da Tiziano nell'Assunta (1516-18) e continuata con tanta grandezza drammatica dal Pordenone. Il lirismo giorgionesco cedeva a un'arte che spesso pare anticipare il barocco. Allora, non prima del 1518, comincia quella serie di ritratti di donne in cui il Palma esaltò una bellezza grave, bionda, sensuale, in atteggiamenti patetici, come la Giuditta degli Uffizî, come i ritratti di Berlino e del museo Poldi-Pezzoli a Milano. La S. Barbara (nel trittico di Santa Maria Formosa a Venezia), incarnazione sublime del nuovo ideale veneziano, fu certamente eseguita intorno agli anni 1522-23, e non, come si è voluto su base di male intesi documenti, nell'epoca giovanile. Altra bellissima opera dello stesso periodo è la Sacra Conversazione di Venezia. Ma il P. non si lasciò mai trascinare fino alle sfere del drammaticismo, in cui si eleva Tiziano e in cui solo può vivere il Pordenone. Persino in questo tardo capolavoro egli rimane placido e armonioso, e sembra più affine ai Bresciani, e anzitutto al Moretto, che non ai Veneziani propriamente detti.

Originato dalla scuola bergamasca, il P. presto ne divenne corifeo. Ma più importante seguace dei Bergamaschi fu Bonifazio de' Pitati, erede del Palma anche come capo della scuola bergamasca, su cui egli pare avere avuto influenza attraverso il suo genero Antonio P., nipote di Iacopo. (V. tavv. XLIV-XLVI).

Bibl.: P. Locatelli, Notizie int. a G. P., Bergamo 1890; M. v. Böhn, Giorgione und P. Vecchio, Bielefeld e Lipsia 1908; A. Foratti, Note su J. P. il V., Padova 1912; A. Spahn, P. V., Berlino 1932; A. Venturi, Storia dell'arte ital., IX, iii, Milano 1928; Gy. Gombosi, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, XXVI lipsia 1932.