PALMIRA

Enciclopedia dell' Arte Antica (1963)

Vedi PALMIRA dell'anno: 1963 - 1973 - 1996

PALMIRA (Παλμύρα, Palmyra)

K. Michalowski

Oasi con città nel deserto siro-arabico, circa a metà strada fra il mare e l'Eufrate. P. è il nome della città e dell'oasi del periodo greco-romano; in ebraico e arabo Tadmōr. Quest'ultimo nome è probabilmente di origine presemitica. La prima notizia su Tadmor data dagli inizî del II millennio ed è presente su una tavoletta assira cuneiforme, trovata a Kültepe in Cappadocia.

1. Notizie storiche. Scavi. - Nel XVIII sec. a. C. la stessa località viene nominata su due tavolette trovate a Mari, sulla riva destra dell'Eufrate, a N di Abu Kemal. Negli annali di Tiglatpileser I, dell'inizio del sec. XI, si parla anche di Tadmōr. Nel libro dei Re si parla di costruzioni condotte da Salomone, tra l'altro nella località Tamar, nel deserto (I Re, ix, 15-19). Un passo analogo del secondo libro delle Cronache (8, 1-6) invece di Tamar, nomina Tadmōr, nel deserto. Il fatto che Tadmōr fosse stata menzionata nella Bibbia, diede origine, nel periodo greco-romano, mentre a P. risiedeva una forte colonia ebraica, ad una leggenda particolarmente importante (cfr. I. Starcky, op. cit. in bibl., p. 29, 7). Il nome di P. del periodo greco-romano, s'incontra già nel I sec. d. C.; esso proviene da un'etimologia erronea, in base alla quale si confronta il nome presemitico di Tadmōr col nome semitico Tamar - termine corrispondente alla palma dei datteri. Non ci sono dubbî che le origini della città-colonia nell'oasi desertica si riferiscono al II millennio a. C. Mancano le testimonianze di scavo di questo periodo. Sappiamo come la città si sviluppò a partire dal I sec. d. C., quando P. fu già un importante centro commerciale; i sondaggi effettuati sotto il tempio di Bel e una delle iscrizioni del 44 a. C. (I. Starcky e S. Munajjed, op. cit. in bibl., p. 26) in cui si parla dei sacerdoti di Bēl, dimostrano l'esistenza dell'edilizia monumentale a P., nel periodo ellenistico.

P. conservò a lungo l'indipendenza, finché, nei primi anni dell'Impero, divenne vassalla di Roma. Ai tempi di Adriano e di Settimio Severo, P. fu una città libera nell'ambito dell'Impero, e soltanto nel 183 ricevette lo stato formale di una colonia romana; Odenato, re di P., e vincitore di Sapore, monarca persiano, riuscì a conquistare l'indipendenza, terminata con il regno di Zenobia, sconfitta da Aureliano, le cui truppe conquistarono P. nel 272 e distrussero gran parte della città.

All'epoca di Diocleziano la città fu parzialmente ricostruita, e sotto il dominio degli imperatori bizantini, specie sotto Arcadio (400 d.C. circa), riconquistò una certa importanza. Giustiniano (527-565) ordinò una parziale ricostruzione delle mura cittadine, erette durante il regno di Zenobia. Dello stesso periodo è una delle basiliche cristiane. Nel 634 P. s'arrese alle truppe di Khaled ibn al-Walid, uno dei condottieri del primo califfo, Abu Bakhr. Il tempio di Bēl venne trasformato in cittadella nell'epoca dei Selgiuchidi (1132-33). La cella (?) del tempio, che nel periodo bizantino ospitò una chiesa, fu trasformata in moschea. Anche il castello Qalat Ibn Maan eretto sulla collina sovrastante P. data probabilmente dagli inizî del periodo ottomano. Nel 1172 il rabbino spagnolo Beniamino di Tudela contò 2.000 correligionari nell'oasi di Palmira. Agli inizî del sec. XVII l'italiano P. Della Valle (1616-1625) e il francese G. B. Tavernier (1630) visitarono la città. Nel 1678 i beduini imprigionarono nel territorio di P. un gruppo di mercanti inglesi da Aleppo. Quattro anni più tardi, il pastore anglicano Halifax giunse a P. in compagnia degli stessi mercanti, riscattati dalla prigionia, e ricopiò le tre prime iscrizioni (cfr. Philosophical Transactions Royal Society, t. xix).

Il merito di aver decifrato la scrittura di P. in base alle trascrizioni di testi palmireni, pubblicati nel 1753 da H. Dawkins e R. Wood in Les ruines de Palmyre, va a J. J. Barthélemy e all'inglese J. Swinton. Nel 1787 Volney e nel 1853 M. de Vogüé visitano P.; nel 1861 H. Waddington ricopia oltre cento testi palmireni, di cui M. de Vogüé cura succesivamente l'edizione.

Particolarmente importante tra i viaggiatori e gli studiosi del XIX sec. (A. D. Mortmann, Ch. Huber e J. Euting, M. Sobernheim, E. Littmann, O. Puchstein) è Lazarev, il quale nel 1881 scoprì la famosa tariffa palmirena, incisa su una stele lunga oltre cinque metri; la stele fu trasportata nel 1901 al Museo dell'Ermitage di Pietroburgo. Ricerche in superficie e scavi vengono condotti sin dagli inizî del XX sec. nella città e nella necropoli di Palmira. Particolarmente importanti quelli della missione tedesca (Puchstein, Krenker, Wiegand) nel 1902 e nel 1917; negli anni 1920 e 1930 di H. Ingholt, degli archeologi francesi (H. Seyrig, R. Ainy, J. Cantineau, J. Starcky e M. Schlumberger); dopo la seconda guerra mondiale, gli scavi siriani (S. Abdul Hak, A. Bounni, Nasib Salibi), negli anni 1954-56, svizzeri (P. Collart) e dal 1959, gli scavi polacchi (K. Michalowski).

2. Topografia. - P. dista 230 km da Damasco, ed è situata a metà strada tra Homs e Abu Kemal sull'Eufrate. È circondata da N-O dai colli del Gebel Hagian, Gebel et-Tar e Gebel Mohamed ibn Ali. Dall'E v'è la depressione Wadi Miyah, dal S il deserto siriano. Una sorgente di acqua sulfurea chiamata Efea, alimenta l'oasi, ed è situata ai piedi delle colline. La città è circondata da cimiteri, nei quali si possono distinguere tre tipi di sepolcri: a forma di torre, in cui i loculi sono disposti su varî piani e possono contenere 400 salme; sepolcri sopraelevati, in forma di case; ed infine gli ipogei, scavati in roccia poco stabile, solitamente su una pianta a forma di croce, o a T, con loculi scavati nelle pareti, uno sopra l'altro, il più sovente sopra lastre di terracotta.

La più nota è la necropoli occidentale, la Valle delle Tombe. Qui sono visibili le torri tombali, tra le quali particolarmente importante il sepolcro di Giamblico dell'anno 83 d. C., a cinque piani, e l'altro, situato più ad O, di Elahbēl dell'anno 103. Nello stesso posto furono scoperte numerose tombe sotterranee, come quella di Bolbarakh del 139, di Nurbel del 134-135, di Salamallat del 147, Yarḥai del 108 e l'ultimo sepolcro di Zabdy della metà del sec. II, scoperto nel 1959. Lungo la Valle delle Tombe, dal lato N, sono visibili le rovine dell'acquedotto romano, il quale raggiungeva la città dall'O. Quest'acquedotto ha inizio presso la sorgente, oggi chiamata Abu Fawares, nella parte occidentale delle colline che circondano Palmira. Nella necropoli O, particolarmente interessanti sono l'ipogeo di Atenatan, fondato nel 98 e allargato nel 229, e soprattutto la Tomba dei Tre Fratelli dell'anno 140, parzialmente restaurata e ricca di splendide pitture murali. La tomba di Maron del 236, nella necropoli settentrionale, a forma di casa, è stata pure restaurata. Gli scavi condotti nella necropoli S-E nel 1958 hanno portato alla luce alcune tombe sotterranee, con molte sculture sepolcrali.

Nel periodo romano, II e III secolo, la città occupava uno spazio molto più vasto di quello della metà del sec. III, il che è dimostrato dalle rovine delle mura di circonvallazione, visibili nella necropoli sud-occidentale. La città era più circoscritta durante il regno di Zenobia e fu cinta da mura erette con l'impiego di blocchi di pietra, provenienti dagli edifici circostanti. A S queste mura separavano dal torrente Wadi el-Kaubur. Ad O, alcune torri tombali furono incorporate nello spazio chiuso dalle mura, rinforzate ogni 37 m da bastioni in forma di torri quadrangolari, di varie proporzioni.

Nella topografia di P. colpisce anzitutto l'asse spezzato della principale arteria cittadina, il cosiddetto Grande Colonnato. Da esso, perpendicolari, si dipartono le strade laterali. Il caratteristico tracciato del Grande Colonnato, che comprende la strada centrale, aperta, larga 11 m, e due corsie laterali, coperte, larghe 6 m, tenderebbe a dimostrare che la città nacque nei due centri più antichi: il tempio di Bēl a S-E, e il cosiddetto Campo di Diocleziano, a N-O. Con lo svilupparsi della città, i due centri furono congiunti dall'arteria centrale. Il tracciato di quest'arteria dovette prendere in considerazione la graduale dislocazione spaziale dell'abitato urbano e gli edifici già esistenti.

Il Grande Colonnato, lungo 1100 m, tagliava la città da N-O a S-E e fu eretto in massima parte nel II secolo. Le colonne corinzie di cui molte sono rimaste in situ, sono in maggioranza alte 9,5 m ed hanno 95 cm di diametro. A metà altezza circa esse sono ornate da mensole, sulle quali poggiavano le statue dei dignitarî cittadini; ne testimoniano le iscrizioni tuttora conservate. La flessione dell'asse del Grande Colonnato è visibile per la prima volta nel centro stesso della città, adornato in questo punto da un tetràpylon monumentale, le cui rovine sono state scoperte recentemente (un secondo tetràpylon è stato portato alla luce nel 1960 nel cosiddetto Campo di Diocleziano, nella parte occidentale della città). L'altra flessione del Colonnato si cela nel doppio arco monumentale, eretto sopra una pianta triangolare; vi sono due passaggi laterali ed uno principale, ornati da nicchie nelle parti superiori. Sopra agli ingressi vi erano doppie mensole. La prima a destra sorreggeva la statua di Erodiano, figlio di Odenato, come si deduce dall'esistente frammento di un'iscrizione. L'arco, eretto nel 220, e riccamente decorato, è stato egregiamente restaurato negli anni '30 da M. Amy.

Il monumento più importante di P. è costituito dal santuario di Bēl, composto di due parti: un vasto cortile quadrato, dal lato lungo m 205-210, e nel mezzo il vero e proprio tempio. Il cortile fu costruito, in conformità con le antiche tradizioni semitiche, sopra un'altura, pavimentato con grandi lastre, circondato da un alto muro; il muro stesso fu decorato sul lato interno da pilastri corinzî; dai lati meridionale, settentrionale e orientale, v'erano finestre quadrangolari, munite di frontoni. Dal lato interno, annessi al muro, vi erano dei porticati coperti da un tetto piatto e sostenuti da due file di colonne corinzie. Dal lato occidentale, quello d'entrata, il porticato interno, più alto degli altri, aveva una sola fila di colonne, erette nella metà del sec. II. La costruzione dei rimanenti portici avvenne tra l'80 e il 120. Ne testimoniano i dettagli decorativi. Una scalinata monumentale conduceva al propileo, largo 35 m. Questa parte del monumento fu totalmente modificata nel sec. XII da una fortezza araba, costruita con l'impiego di materiali edili provenienti da edifici antichi. Nell'angolo N-E del cortile esistono tuttora 7 colonne del portico occidentale, sotto al quale si scorge una rampa obliqua, lungo la quale gli animali da sacrificio venivano introdotti nell'interno del santuario. Dietro la rampa nel punto d'incontro dei portici occidentale e settentrionale, sono ancora visibili le rovine di una scala a chiocciola, che portava sul tetto dei portici. L'intero cortile e lo stesso tempio erano occupati fin verso il 1930 da case del villaggio arabo. Il santuario è stato completamente liberato da edifici di questo genere. Soltanto una casetta nell'angolo nord-orientale è stata trasformata in ostello del Service des Antiquités. Davanti al tempio vi sono i basamenti della grande ara e, alla sua destra, la vasca per le abluzioni sacrali.

Il tempio propriamente detto, nell'interno del quale fino al 1929 si trovava una piccola moschea, fu costruito sopra un alto podio, e possedeva un solo vano, al quale si accedeva dal lato più largo. Un'iscrizione conservata nel museo locale indica che il tempio fu fondato il 6 aprile 32, quindi durante il regno di Tiberio (Inv. Inscr., ix, 1). L'entrata non si trova nell'esatto centro dell'edificio. Il tempio possiede un peristilio di alte colonne. La decorazione dei capitelli corinzî fu fatta inizialmente in bronzo. Il colonnato del peristilio è interrotto all'entrata, da un portale, riccamente decorato da motivi vegetali, in forma di viticci stilizzati. All'interno del tempio vi sono due nicchie rialzate, sulla parete S e su quella N. Quella S conteneva probabilmente la statua trasportabile del dio Bēl, adoperata nelle processioni; in quella N c'erano le statue della triade: Bēl, Yarhibōl, Aglibōl, oggetti del culto vero e proprio. Da qui la spiegazione dell'entrata asimmetrica nel tempio: si voleva lasciare uno spazio più vasto per le cerimonie religiose davanti alla nicchia settentrionale. L'architettura di entrambe le nicchie non è legata in modo organico al tempio; la decorazione delle loro facciate sottolinea la voluta diversità di stile, costituendo forse la reminiscenza del primitivo tabernacolo siriano, dove venivano conservati gli idoli. La facciata della nicchia meridionale è decorata da mezze colonne, collegate da una trabeazione; il soffitto possiede un ricercatissimo ornamento di campi geometrici. Nelle facciate della nicchia settentrionale, ai due lati dell'entrata, si trovano i tabernacoli lavorati nelle pareti, nei quali, probabilmente, si trovavano le statue degli dèi. Il soffitto della nicchia, una lastra monolitica calcarea, è adornato dalla raffigurazione dei sette pianeti, circondati dai dodici segni dello zodiaco. Nei quattro angoli del tempio, accanto alle nicchie, c'erano scale a chiocciola, che conducevano ai locali situati al di sopra delle nicchie. Può darsi che conducessero ad una terrazza piatta, che ricopriva il tempio ed era situata al di sopra dei cornicioni del periptero. Allo sbocco delle scale, sul tetto, potevano trovarsi quattro torrette, tre delle quali costituivano la copertura delle scale, mentre la quarta vi fu messa meramente per simmetria. Il cornicione del periptero era circondato da un attico composto di merli triangolari, di cui alcuni esistono ancora in situ. Un'altra fila di merlature circondava la terrazza stessa, alquanto più in alto.

Alcuni blocchi decorati appartenenti al tempio, e giacenti oggi all'entrata, meritano particolare attenzione. C'è tra di loro un bassorilievo che raffigura una processione; v'è il dromedario che porta un tabernacolo e figure femminili che procedono velate. In un altro bassorilievo sono visibili due oranti in vesti parthiche e il dio Malakbēl, in veste romana. Un altro blocco nel cortile contiene una raffigurazione interessante in bassorilievo della triade divina.

Ad E, ai piedi del cortile del tempio, gli scavi condotti dai Francesi (Seyrig e Dunand) hanno portato alla luce due grandi case del III sec., con splendidi mosaici. Uno dei mosaici, con la raffigurazione di Cassiopea, si trova nel museo di Damasco. All'entrata del santuario di Bēl sono ancora visibili le rovine dell'abbandonato villaggio arabo, trasferito negli anni '30 a N della città, dove, approssimativamente si trovava il campo romano nel II secolo.

Delle costruzioni antiche soltanto una grande esedra s'è potuta conservare; essa è situata tra il tempio di Bēl e l'arco trionfale. Su quattro giganteschi piedistalli v'erano le colonne, alte 12,70 m e di 1,30 m di diametro; i loro tamburi e i capitelli giacciono per terra, assieme ad alcuni blocchi della travatura e del fregio con ornamenti a foglie di quercia. Si tratta indubbiamente di una costruzione in cui si fece uso di blocchi già appartenenti ad altri edifici, forse al ninfeo.

Accanto all'arco trionfale, a S, vi sono le rovine di una costruzione sacra, circondata da muro. In mezzo al cortile, circondato da un peristilio corinzio, sul podio c'era il tempio con un periptero di sei per dodici colonne. Il santuario e gli altri edifici pubblici, di cui tracce esistono tra l'arco e il tempio di Bēl, costituivano probabilmente l'ostacolo per il prolungamento del Grande Colonnato, dall'arco trionfale fino all'entrata nel recinto del tempio.

Dal lato S, tra l'arco trionfale e il tetràpylon, adiacente al Grande Colonnato c'era il teatro, costruito nella prima metà del II secolo. L'edificio contenente la scena, ben conservato, lungo m 48, è disposto parallelamente al Grande Colonnato; la, scena è larga m 10,5, ha tre esedre, una curvilinea in mezzo e due rettangolari ai lati. Il piano dell'orchestra è pavimentato con lastre quadrangolari ed ha un diametro di 20 metri. La cavea ha conservato 9 gradini e resti del decimo, ed è divisa in 11 cunei. A sinistra e a destra dell'edificio scenico si trovano due ingressi arcuati che conducono all'orchestra. Dietro il teatro si trova un porticato semicircolare, che costituisce l'ambulacro, in forma di una cavea rotondeggiante, dal S e dall'E. Dal porticato, in direzione S-O, si distacca una strada stretta con colonne da ambo i lati, che conduce ad una porta nelle mura, adorna di nicchie. Accanto alla porta si trova un piccolo locale per la guardia, dal lato esterno delle mura sono due bastioni semicircolari. A 120 m da questa porta, verso S-O, all'odierno incrocio dei sentieri delle carovane per Homs e per Damasco, coricata per terra si trova una delle tre colonne onorifiche, erette a Palmira. Essa fu costruita nel 139 d. C. e sulla sua cima si trovavano due statue.

Ad O della strada con portici che conduceva a questa porta si trovano le rovine di un edificio rettangolare, adiacente all'agorà. Vi si accede, come all'agorà, attraverso un ingresso dalla strada delle carovane. L'edificio fu certamente eretto nello stesso periodo dell'agorà. Dal S ha un porticato con tre ingressi verso l'interno. Nel muro adiacente a quest'edificio fu trovata la lastra con la famosa tariffa di P., documento fondamentale del diritto tributario, inciso in greco e in palmireno il 18 aprile 138. Tra il teatro, l'edificio ora descritto e l'agorà, si trovano le rovine di un edificio, probabilmente il senato, con all'interno gradini che servivano da sedili.

All'O dell'edificio del senato si trova l'agorà circondata da quattro portici, sulle cui colonne, su mensole, erano situate le statue dei dignitarî dal lato N, dei militari dall'O, dei capi delle carovane dal S e dei senatori dall'E, dalla parte, cioè, in cui si trovava l'edificio del senato. Nell'insieme dovevano esserci circa duecento mensole, tanto sulle colonne quanto sui muri interni dei portici. Uno degli ingressi nell'agorà era situato nel portico dei senatori, la porta centrale era adornata da statue dei familiari di Settimio Severo, la cui moglie Giulia Domna era figlia del gran sacerdote di Emesa. Le iscrizioni più antiche dell'agorà datano dagli anni 76-81 d. C., benché nella maggioranza i portici fossero costruiti all'epoca di Adriano. Alcuni blocchi di pietra e alcune colonne dell'agorà, parzialmente distrutta durante il regno di Zenobia, furono adoperati da questa regina per la costruzione delle mura di fortificazione.

A circa cento metri a N-O dell'agorà si trovano le rovine del grande tetrapilo, una porta quadrupla situata nel Grande Colonnato. Di questo edificio monumentale sono rimaste soltanto le rovine di quattro giganteschi zoccoli, innalzati sopra un podio quadrato, dal lato di 18 metri. Ogni zoccolo aveva quattro colonne di granito che sostenevano la trabeazione, riccamente decorata con ornamenti a viticci. Una statua si trovava in mezzo ad ogni piedistallo. Si sono conservate tre basi di questi monumenti. A S-O del tetràpylon si trovano ancora le rovine del portico che conduceva sulla piazza, situata a N dell'agorà. Un'altra strada stretta era tracciata a N-E del tetràpylon e conduceva al santuario di Ba῾alshamīn, esplorato negli anni 1954-56 dal Collart.

Il tempio stesso fu fondato negli anni 130-131; lo si deduce dall'iscrizione bilingue sulla mensola a sinistra dell'entrata. Male, il fondatore del tempio, finanziò anche il soggiorno di Adriano a P. nel 126. A quell'epoca la si usava chiamare Hadriana Palmyra. Il tempio prostilo ha sei colonne nel vestibolo e pilastri corinzî sul lato esterno delle pareti. Esso fu costruito sul luogo di un tempio della metà del I sec., eretto nello stesso periodo in cui furono costruite le mura che circondano il santuario. La cella del tempio è illuminata da finestre, cosa ignota nell'architettura classica. A N-O del tempio, nel recinto del santuario, si trova un colonnato parzialmente ricostruito.

La parte della città che si trova ad E della strada che conduce dal tetràpylon sul retro del tempio di Ba῾alshamīn appartiene a quelle più rovinate dell'antica Palmira. È stato possibile definire soltanto alcuni complessi archeologici. Alcune decine di metri ad E del tetràpylon alcune colonne più alte nelle file del Grande Colonnato meritano particolare attenzione. La penultima di queste conserva le tracce di una mensola strappata, sulla quale si trovava la statua della regina Zenobia, come è dimostrato da un'iscrizione greca e palmirena, incisa sul tronco della colonna. A sinistra di questa si trova un'altra colonna, la cui mensola, come è dimostrato da un'iscrizione in palmireno, sosteneva una statua di Odenato, marito della regina.

Entrambe le iscrizioni sono dell'anno 271. Furono dunque incise un anno prima che P. venisse conquistata dalle truppe di Aureliano.

Più in là, ad E, verso il tempio di Bēl, sul lato settentrionale del Colonnato, si trova il portico composto di quattro colonne monolitiche di porfido; in un'iscrizione greca incisa su uno del blocchi appartenente certamente a quell'edificio, è menzionato Sosiano Ierocle, governatore della Siria fenicia ai tempi di Diocleziano (284-305), come creatore delle terme che vi furono costruite. Gli scavi condotti dal Service des Antiquités siriano negli anni 1959-1960 hanno messo in luce la piscina centrale delle terme, circondata da colonnato, un profondo canale aperto e altri locali appartenenti alle terme di Diocleziano. Cento metri a N-O da questo edificio si trova la sorgente del Serraglio con l'acqua potabile.

A N-E, circa a metà strada tra questo posto e le mura, si trova l'unica delle tre colonne onorifiche, conservata interamente. Eretta nel 139, vi si trovavano due ritratti scultorei di Aailani e di suo padre.

Ad E della colonna si sono conservati i resti delle mura dell'epoca di Giustiniano. Tra la colonna e le mura si scorgono le tracce di un edificio monumentale, costruito con grandi blocchi di pietra. Duecento metri a N della colonna si vedono le rovine di un altro edificio monumentale, basato su una pianta quadrata, con un cortile interno: forse i resti di una caserma. Questa interpretazione sembra convalidata dall'ubicazione dell'edificio: a cento metri da una delle porte della città, rinforzata da due bastioni del periodo di Giustiniano.

Il quartiere della città, situato a N-O della linea tracciata dall'edificio dell'agorà, dal tetràpylon e dal tempio di Ba῾alshamīn, è caratterizzato dalla rete di strade perpendicolari al Grande Colonnato, rete simile a quelle delle città ellenistiche. Vi si trovano le rovine di case che avevano un peristilio di tipo ellenistico; mancavano invece gli atri di tipo romano. Sul portone di una delle case si trova una iscrizione ebraica, che testimonia della presenza di una colonia ebraica in città. Può darsi che si tratti di una sinagoga.

Nello stesso quartiere si sono conservate anche le rovine di due primitive basiliche cristiane del V o VI sec., erette parzialmente con blocchi di edifici più antichi. Entrambe hanno una navata tripla, divisa dal coro tramite un arco. Il coro, a forma di abside, aveva da ambo i lati due locali su pianta quadrata. Nella basilica che si trova a metà strada circa tra il Grande Colonnato e le mura settentrionali ci sono sei colonne conservate ancora in situ. Tra le basiliche ci sono tracce di un muro che separava i due edifici. Il muro è del primo periodo arabo, quindi probabilmente dell'VIII secolo.

La prospettiva N-O del Grande Colonnato, il quale si unisce in quel punto con il cosiddetto Colonnato Trasversale, è chiusa dalle rovine di una grande tomba del III sec., oggi chiamata il Tempio Sepolcrale. Si è propensi a credere che originariamente questo edificio fosse stato al di fuori del recinto urbano e che vi sia stato incorporato ai tempi di Zenobia, quando durante i frettolosi lavori di fortificazione, le mura furono spostate più a N-O, sfruttando le esistenti costruzioni tombali, a forma di case. Nel Tempio Sepolcrale sei colonne conservate in situ sostengono il timpano parzialmente distrutto.

Il Colonnato Trasversale, lungo 230 m, è due volte più largo della parte scoperta del Grande Colonnato, cioè 22 m. I due portici coperti laterali sono larghi 6 m ciascuno. Esso va da S-O a N-E, inizia presso le mura e presso la porta chiamata oggi di Damasco con uno spiazzo ovale simile a quello che si trova a Gerasa. A giudicare dalle iscrizioni, conservate su alcune colonne, questo colonnato aveva caratteristiche parzialmente sacre. La maggioranza delle iscrizioni risale agli inizî del sec. II, si può dunque supporre che il Colonnato Trasversale avesse costituito un'arteria precedente al Grande Colonnato; probabilmente attraverso la Porta di Damasco entravano in città le carovane dei mercanti, che procedevano lungo la Valle delle Tombe, provenienti da Damasco. Da N-O il Colonnato Trasversale è adiacente al quartiere occidentale della città; nel periodo di Diocleziano questo quartiere fu diviso dal colonnato tramite un muro innalzato sul luogo degli antichi magazzini e botteghe, che si trovavano nel porticato N-O del colonnato stesso.

Il quartiere O di P. fu trasformato in un campo fortiticato romano da Sosiano Ierocle, creatore delle terme, poc'anzi menzionate. Non c'è dubbio però che questo quartiere fosse stato uno dei più antichi centri urbani di P.; ne testimoniano la disposizione spaziale dell'asse principale del quartiere, alquanto obliqua al Colonnato Trasversale, e una serie di monumenti provenienti dal periodo precedente la costruzione del Colonnato Trasversale, come ad esempio la terza delle colonne onorifiche innalzate in questo quartiere nel 64 d. C., come risulta da un'iscrizione.

Circa 90 m dalla Porta di Damasco, nel muro fortificato che corre da N-O lungo il Colonnato Trasversale si trova la cosiddetta Porta Pretoria, scoperta dalla missione archeologica polacca nel 1959; la porta è disposta obliquamente all'asse del Colonnato Trasversale. La porta, che ha un ingresso principale e due passaggi laterali, si trova probabilmente sul luogo di un'altra più antica, o forse di un arco che portava dal Colonnato Trasversale al quartiere occidentale.

Dalla Porta Pretoria, attraverso un portico romano, probabilmente del II sec. e parallelo al Colonnato Trasversale, una larga via Pretoria conduce al tetràpylon scoperto nel 1960.

Il tetràpylon del periodo di Diocleziano, si trova all'incrocio della via Pretoria e della via principale, lungo la quale, a N-E del tetràpylon si trovano le rovine del tempio di Allat e la già menzionata colonna onorifica; su uno dei suoi rocchi è inciso un orologio solare.

Dal tetràpylon, la via Pretoria conduceva attraverso un edificio a forma di propileo fino ad un tempio oblungo, eretto sopra un alto zoccolo, con scale monumentali dai tre lati. La cella di questo tempio termina con un'abside. L'edificio serviva forse nell'epoca di Diocleziano come tempio delle insegne; esso è costruito quasi interamente con blocchi provenienti da altri edifici. Il terreno del cosiddetto Campo di Diocleziano, attualmente oggetto di metodici lavori di scavo, potrà forse fornire prossimamente nuovi dati riguardanti questo quartiere, che fu densamente abitato nel periodo bizantino e nel primo periodo arabo: ne testimoniano le rovine delle case di abitazione, che venivano costruite con pietre provenienti da edifici monumentali che si trovavano in quel luogo.

Bibl.: Opere generali: A. Musil, Palmyrena, A Topographical Itinerary, New York 1928; J. G. Février, Essai sur l'histoire politique et économique de Palmyre, Parigi 1931; Th. Wiegand, Palmyra, 2 voll., Berlino 1932; A. Poidebard, La trace de Rome dans le desert de Syrie, 2 voll., Parigi 1937; J. Starcky-S. Munajied, Palmyre, Damasco 1948; J. Starcky, Palmyre, Parigi 1952. Religione: J. G. Février, La religion des Palmyréniens, Parigi 1931. Lingua e iscrizioni: J. Cantineau, Grammaire du palmyrénien épigraphique, Il Cairo 1935; F. Rosenthl, Die Sprache der palmyrenischen Inschriften, Lipsia 1936. Le iscrizioni sono in parte raccolte nel III volume della seconda parte del C. I. S.; raccolte parziali: J.-B. Chabot, Choix d'inscriptions de Palmyre traduites et commentées, Parigi 1922; J. Cantineau-J. Stracky, Inventaire des inscriptions de Palmyre, fasc. I-X, Damasco 1930-1949. Monumenti: A. Musil, Palmyrena, A Topographical Itinerary, New York 1928; Th. Wiegand-K. Krencker, Palmyra, Berlino 1932; K. Michalowski, Palmyre. I, Fouilles polonaises 1959, Varsavia 1960; II, Fouilles 1960, Varsavia 1962.

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