PANDEMIE

Enciclopedia Italiana - IX Appendice (2015)

PANDEMIE.

Giuseppe Ippolito
Enrico Girardi
Cristiana Pulcinelli

– AIDS. Pandemia influenzale. Ebola. Altre malattie. MERS-CoV. Influenza H7N9 e H5N1. Media e pandemie. Bibliografia. Webgrafia

I tecnici parlano di epidemia quando i casi di una malattia sono in eccesso rispetto a quello che ci si aspetterebbe normalmente in una specifica comunità, area geografica o stagione. È da notare che in questa definizione non viene indicato un numero di casi minimo perché si verifichi un’epidemia, e inoltre che l’area colpita può essere piccola (gli alunni di una classe) o piuttosto ampia (più Stati). Quando un’epidemia colpisce un’area molto estesa, travalicando i confini di una regione, e si diffonde colpendo una vasta popolazione, si parla di pandemia. Questa voce tratta in modo particolare le p. che riguardano gli esseri umani.

L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), in modo specifico per l’influenza, ha individuato una serie di requisiti necessari perché si verifichi una pandemia. In primo luogo deve emergere un virus geneticamente diverso in modo significativo dai virus che circolano nella popolazione umana e per il quale, quindi, la maggior parte della popolazione non ha immunità. Questo virus inoltre deve: essere capace di infettare gli esseri umani; essere capace di causare malattia negli esseri umani; trasmettersi da essere umano a essere umano in modo abbastanza efficiente.

Da sempre l’OMS tiene sotto controllo l’emergere di epidemie nel mondo: già nel 1947 (un anno dopo la sua fondazione) aveva creato un servizio di informazione epidemiologica via telex. Tuttavia, negli ultimi anni le cose sono cambiate. In particolare, le International health regulations (IHR) del 2005, entrate in vigore nel 2007, hanno radicalmente modificato i requisiti per le notifiche internazionali. Mentre in precedenza gli Stati membri avevano l’obbligo di notificare all’OMS in modo automatico i casi di colera, peste e febbre gialla, da quel momento in poi la notifica parte quando nel territorio di uno Stato viene identificato un evento che può costituire un’emergenza per la salute pubblica di rilevanza internazionale, chiamato anche PHEIC (Public Health Emergency of International Concern). Questo ampliamento della definizione di evento notificabile include ogni rischio, nuovo o in evoluzione, per la salute pubblica internazionale, valutato prendendo in esame il contesto in cui l’evento si verifica. Nel 2009 la p. di influenza H1N1 è stata dichiarata un PHEIC, così come il riemergere di casi di poliomielite in alcuni Paesi asiatici, del Medio Oriente e dell’Africa centrale nel 2014 e, nello stesso anno, l’epidemia di Ebola in Africa occidentale.

Le malattie epidemiche e pandemiche emergenti e riemergenti costituiscono una seria minaccia alla salute, tanto che il 12° programma generale di lavoro dell’OMS (2014-19) pone come uno dei cinque obiettivi strategici la riduzione di mortalità, morbidità e disagi sociali dovuti alle epidemie attraverso la prevenzione, la preparazione, la risposta e le attività di recupero. Per raggiungere questo obiettivo è stato messo in piedi il dipartimento PED (Pandemic and Epidemic Diseases), il cui lavoro si inquadra all’interno di un sistema di sorveglianza e di risposta che fa capo all’OMS. Un siste ma pensato per individuare in tempi brevi gli eventi ‘sentinella’, ossia quelle concentrazioni di casi di una malattia che possano indicare l’emergere di una nuova epidemia, e per rispondere velocemente e in modo efficiente a quegli eventi. A questo scopo l’OMS ogni giorno raccoglie informazioni da fonti diverse: servizi sanitari nazionali, uffici regionali, organizzazioni non governative, università, ospedali, ma anche stampa, radio, televisione, Internet. Quindi non solo informazioni ufficiali, ma anche quelli che gli anglosassoni chiamano rumours, ovvero chiacchiere. A questo punto comincia un processo di verifica al termine del quale parte la diffusione dell’informazione e l’organizzazione della risposta: l’OMS offre un sostegno alle autorità sanitarie della nazione colpita attraverso il GOARN (Global Outbreak Alert and Response Network), una rete alla quale aderiscono le maggiori istituzioni scientifiche e sanitarie del mondo. Le capacità di intervento del GOARN vanno dall’invio di team per le indagini epidemiologiche e l’assistenza medica alla fornitura di strutture per le diagnosi di laboratorio o la raccolta dei campioni biologici.

Prendiamo ora in esame alcuni dei principali eventi di questo inizio secolo che costituiscono o potrebbero costituire potenziali emergenze per la salute pubblica mondiale.

AIDS. – Tra le epidemie che ci accompagnano nel nuovo millennio, non si può dimenticare l’AIDS (Acquired Immune Deficiency Syndrome), causata dall’HIV (Human Immunodeficiency Virus). Questa p., partita negli anni Ottanta del secolo scorso, è diventata una delle peggiori tra quelle che hanno colpito il genere umano da quando si ha memoria storica (Graphic: as Ebola’s death..., 2014), causando fino a oggi 39 milioni di morti. Per fare un paragone, l’influenza spagnola del 1918-19 avrebbe provocato tra i 20 e i 50 milioni di morti.

Negli ultimi anni notevoli passi in avanti sono stati compiuti nel controllo di questa epidemia. Secondo The gap report 2014 dell’UNAIDS (United Nations AIDS), l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di AIDS, il numero delle persone che ogni anno si infettano con HIV è in declino nella maggior parte del mondo. Un progresso eccezionale è stato compiuto con i bambini: nel 2013 circa 240.000 bambini hanno contratto l’infezione, il 58% in meno di quanto era avvenuto undici anni prima. Le morti correlate all’AIDS sono crollate del 35% dal 2005 al 2015. Sempre nel 2013, hanno ricevuto la terapia con i farmaci antiretrovirali 12,9 milioni di persone che vivono con l’infezione da HIV; molte di queste persone vivono nei Paesi poveri del mondo, dove fino a qualche anno fa i trattamenti non arrivavano. Nonostante tutto, però, la p. è lungi dall’essere sotto controllo.

Attivista della campagna di sensibilizzazione sulla diffusione HIV

Ancora nel 2013 nel mondo sono morti 1,5 milioni di persone per cause correlate all’infezione da HIV, e sempre nello stesso anno si sono contati circa 2,1 milioni di nuove infezioni. Al 2015, nel mondo ci sono oltre 35 milioni di persone che vivono con l’HIV. Ancora non c’è una cura per questa malattia e neppure un vaccino. Il trattamento con i farmaci antiretrovirali può solo controllare il virus in modo che la malattia non si sviluppi, ma è una terapia complessa e costosa che dura tutta la vita. È vero che il numero di persone che hanno ottenuto i farmaci è aumentato anche nei Paesi a reddito medio-basso, ma rappresenta solo il 36% di coloro che, in quei Paesi, ne avrebbero bisogno. Tra l’altro, recentemente si è visto che l’espansione dell’accesso alla terapia costituisce una strategia per la prevenzione che si aggiunge a quelle tradizionali: aumentando il numero di individui poco o nulla contagiosi, si contribuisce a bloccare la trasmissione dell’infezione (McNairy, El-Sadr 2014).

Pandemia influenzale. – Dopo aver causato un primo focolaio in America Settentrionale ad aprile 2009, un nuovo virus influenzale ha cominciato a diffondersi rapidamente nel mondo, finché a giugno dello stesso anno l’OMS ha dichiarato che si trattava di una p. influenzale. L’evento non si era più verificato dal 1968, anno dell’influenza di Hong Kong. Il virus del 2009 (A/H1N1pdm09) non era mai stato identificato come causa di infezioni negli esseri umani. Le analisi genetiche hanno mostrato che ha la sua origine nei virus influenzali che colpiscono gli animali e che non ha relazioni con altri virus H1N1 che circolavano in precedenza.

La p. del 2009 si è mostrata meno pericolosa delle antecedenti. Tuttavia, le prime stime sulla mortalità diffuse dall’OMS nel 2010, contando i casi confermati dai laboratori (circa 16.000 morti), si sono rivelate troppo ottimistiche. Uno studio del 2013 valuta che la mortalità per problemi respiratori dovuta alla p. influenzale del 2009 sia stata circa 10 volte più alta: un numero di morti che va da 123.000 a 203.000. Inoltre, benché la mortalità sia simile a quella dell’influenza stagionale, è decisamente più alta tra le persone al di sotto dei 65 anni: tra il 62 e l’85% delle morti ha riguardato persone al di sotto di quella età, contro il 19% dell’influenza stagionale. Questo vuol dire che si sono persi molti più anni di vita (Simonsen, Spreeuwenberg, Lustig et al. 2013).

Ebola. – A marzo del 2014 è scoppiata un’epidemia di Ebola in Africa occidentale, la peggiore dal 1976, quando il virus Ebola è stato identificato, sia perché è la più estesa, sia perché è la più persistente, sia perché per la prima volta è uscita dai confini dell’Africa centro-orientale, entro cui si era mantenuta fino a quel momento (Frieden, Damon, Bell et al. 2014).

Il 23 marzo il ministero della Salute della Guinea ha notificato all’OMS un focolaio in rapida evoluzione di febbre emorragica da virus Ebola in aree boschive del Sud-Est, con 49 casi, tra cui 29 decessi. Il giorno dopo i casi sono raddoppiati. L’epidemia si è propagata rapidamente: anche questa un’anomalia. Nel giro di due mesi sono stati confermati casi anche nei due Paesi confinanti con la regione della Guinea coinvolta: Liberia e Sierra Leone. Nel corso dell’estate l’epidemia si è diffusa in Nigeria, Senegal e Mali. Per la prima volta sono scoppiati focolai nei centri urbani e sono stati diagnosticati casi anche in Paesi al di fuori dell’Africa: Germania, Spagna, Stati Uniti, Italia, Regno Unito. In Spagna e negli Stati Uniti si è verificata una trasmissione locale del contagio, limitata però agli operatori sanitari. Al 6 gennaio 2015, la catena delle infezioni è interrotta in Senegal, Nigeria, Spagna, Stati Uniti. I casi sospetti sono 20.972, gli accertati con esami di laboratorio 13.354, i morti 7905.

Personale specializzato per il trattamento dell'Ebola

Il virus Ebola (EBOV) fa parte della famiglia dei filo-virus, cui appartengono anche il Marburgvirus e il Cuevavirus. Quasi tutti i filovirus causano gravi febbri emorragiche negli esseri umani. Fino a una cinquantina di anni fa questi virus erano completamente sconosciuti. Nel 2001, dopo gli invii di lettere contaminate con spore di antrace avvenuti negli Stati Uniti, sono stati stanziati investimenti per migliorare la conoscenza degli agenti patogeni utilizzabili negli attacchi bioterroristici. Da allora si sono scoperte molte cose sui filovirus, ma molto c’è ancora da scoprire. Per es., non è ancora chiaro quali siano gli animali che normalmente li ospitano e perché le epidemie causate da filovirus si stiano verificando più frequentemente: negli ultimi 21 anni se ne sono contate 19, delle quali 3 solo nel 2014 (Hayden 2014).

Dalla fine degli anni Settanta del 20° sec. sono state identificate cinque specie diverse che possono essere classificate come Ebola virus: Zaire, Bundibugyo, Sudan, Reston, Taï Forest. Le prime tre sono state associate a focolai estesi della malattia in Africa e, in particolare, la specie Zaire è quella che ha causato l’epidemia del 2014. Come sia avvenuto il primo passaggio del virus all’essere umano non si sa ancora, tuttavia si ritiene che il ‘caso zero’, un bambino di tre anni, si sia infettato mangiando frutta contaminata dalle feci di pipistrelli (Pteropodidae) conosciuti come volpi volanti o pipistrelli della frutta, considerati uno dei probabili serbatoi animali del virus, ossia animali che ospitano il virus senza che questo sia dannoso per la loro salute. Oppure, il bambino potrebbe essere entrato in contatto direttamente con un animale infetto. Del resto, in quella zona dell’Africa i pipistrelli vengono spesso cacciati, venduti al mercato e mangiati, così come molti altri animali selvatici, dalle antilopi ai topi. Una volta introdotto nella comunità umana, il virus ha cominciato a trasmettersi da persona a persona, anche grazie alle pratiche funerarie locali che prevedono numerosi contatti con il cadavere. Il virus può essere trasmesso da una persona a un’altra per contatto diretto, attraverso lesioni della pelle o membrane mucose (degli occhi, del naso o della bocca), con sangue, urina, saliva, vomito, latte, seme di una persona malata o morta a causa della malattia. Può trasmettersi anche con aghi e siringhe contaminati, ma non attraverso l’aria, l’acqua o il cibo. Non ci sono prove che gli insetti trasmettano la malattia. Inoltre, solo alcuni tipi di mammiferi si infettano (le scimmie, le scimmie antropomorfe, i pipistrelli).

Altre malattie. – Negli ultimi anni si è assistito a una «epidemia di epidemie» (Bartlett 2014): febbre da virus West Nile, malattia di Lyme, malaria, chikungunya, tubercolosi multiresistente (XDR-TB, eXtensively Drug-Resistant TuBerculosis) hanno creato problemi seri in diversi Paesi, compresi quelli occidentali. Alcune di queste infezioni meritano un’attenzione particolare.

MERS-CoV. – Nel 2012 in Arabia Saudita è stata identificata una nuova malattia virale che colpisce le vie respiratorie e che può essere anche molto grave. Poiché i casi sono tutti collegati ai Paesi della penisola arabica, la malattia è stata battezzata MERS (Middle East Respiratory Syndrome) e il coronavirus che ne è la causa è il MERS-CoV. I coronavirus sono abbastanza comuni e normalmente causano malattie piuttosto lievi delle alte vie respiratorie, come il raffreddore, ma nel 2002 in Cina è apparso un nuovo coronavirus dalle caratteristiche particolari: causa una malattia molto grave chiamata SARS (Severe Acute Respiratory Syndrome) che, tra il 2002 e il 2003, ha colpito 8.098 persone in 25 Paesi uccidendone 774.

Anche il MERS-CoV è degno di attenzione: la malattia che causa, i cui sintomi sono tosse, febbre e respiro affannoso, fino a metà gennaio 2015 ha colpito 955 persone e ne ha uccise 351, circa il 30%. I dati disponibili suggeriscono che i dromedari rappresentino la fonte d’infezione (diretta o indiretta) di molti casi umani (Al-Tawfiq, Memish 2014).

La trasmissione interumana appare invece limitata. Il passaggio del virus avviene prevalentemente attraverso goccioline di saliva o per contato diretto; sembra tuttavia plausibile anche la trasmissione per via aerea in quanto tracce di RNA (RiboNucleic Acid) virale sono state rilevate nell’aria di una stalla di dromedari colpiti dal virus. Le misure di prevenzione e controllo sono difficili da mettere in atto perché spesso non è possibile identificare i pazienti in modo precoce: infatti, i sintomi iniziali di questa malattia si possono confondere con quelli di altre patologie respiratorie.

Influenza H7N9 e H5N1. – Un’altra malattia che deve essere tenuta sotto controllo è l’influenza aviaria. Ci sono due virus rischiosi per l’uomo: H7N9 e H5N1. Il primo nel 2013 in Cina è stato individuato per la prima volta negli esseri umani, in pazienti che avevano avuto contatti con i polli. Da allora e fino a gennaio 2015 sono stati riportati 347 casi con un tasso di mortalità del 21%. Fino al 2015 non è stata confermata una trasmissione da persona a persona che possa considerarsi efficiente. L’altro virus, H5N1, è apparso per la prima volta nel 1997 e ha un tasso di mortalità ancora più alto: 59% (Bartlett 2014). La differenza principale tra i due virus è che mentre l’infezione causata da H5N1 risulta fatale in tempi rapidi negli uccelli, quella causata da H7N9 è normalmente asintomatica in questi animali. Questo vuol dire che H7N9 ha un reservoir (serbatoio) stabile e silente che è molto difficile da trovare ed eliminare.

Media e pandemie. – Le epidemie e le p. più recenti hanno messo in evidenza il ruolo determinante dei media nella comunicazione e nella gestione del rischio. Da un lato, come abbiamo visto, grazie ai rumours i media sono una delle fonti che contribuiscono a identificare un evento rischioso per la salute pubblica. Dall’altro lato, sono anche il canale di diffusione delle notizie alla popolazione quando c’è un’emergenza per la salute pubblica.

Oggi i social media e le informazioni scambiate su Internet si stanno sostituendo ai media tradizionali e si sta pensando di utilizzarli come opportunità per migliorare la sorveglianza degli eventi epidemici (Velasco, Tumacha, Denecke et al., 2014). In particolare, sta nascendo un nuovo settore di ricerca chiamato digital epidemiology che è un approccio interdisciplinare tra scienza, tecnologia e salute pubblica. Già esistono esempi di cosa può produrre questo approccio: un sistema per identificare le comunità con un maggior rischio di alta incidenza di influenza basato sull’analisi delle attitudini nei confronti della vaccinazione rilevate da Twitter (Costello 2015).

Nella percezione del pubblico, tuttavia, non sempre i media svolgono il loro ruolo in modo ineccepibile. Uno studio pubblicato in Svizzera ha analizzato come il pubblico dei non esperti ha recepito il comportamento di quanti, a vario titolo, sono stati coinvolti nella p. influenzale del 2009. Ne è uscito un quadro drammatizzato dove si muovono eroi (medici, ricercatori) e vittime (i Paesi poveri), mentre i media sono i cattivi che generano allarme o che sono marionette al servizio di interessi forti e industrie farmaceutiche (Wagner-Egger, Bangerter, Gilles et al. 2011). Infatti, un’accusa che spesso viene mossa ai media è quella di esagerare il rischio di un’epidemia contribuendo così a creare malintesi. Ma si è visto che spesso i media hanno avuto un’influenza positiva sulla percezione della malattia da parte della popolazione, facilitando gli interventi di prevenzione (Riva, Benedetti, Cesana 2014).

Un problema da tenere presente è che il termine epidemia viene utilizzato in due accezioni diverse dagli esperti e dai non esperti. Per i secondi il termine di solito implica un pericolo per la popolazione e un grande numero di vittime, non così per gli epidemiologi, come abbiamo visto. Questa discrepanza contribuisce a creare confusione e può diventare un problema nella comunicazione del rischio. L’obiettivo fondamentale infatti è evitare la paura, ma non sempre la comunicazione degli esperti riesce a raggiungerlo: il «New York Times», inondato negli ultimi mesi del 2014 da domande dei lettori su come ci si contagia con Ebola, sostiene che gli esperti spesso sono poco chiari e usano termini ambigui, come per es. l’espressione fluidi corporei, utilizzata senza specificare a quali fluidi è legato il rischio di contagio (Altman 2014).

C’è poi un problema di fondo: ogni nuova minaccia alla salute è accompagnata da incertezze che riguardano in particolare la comprensione di che cos’è la malattia e di quali sono i rischi di trasmissione. L’ammissione dell’incertezza però spesso dà luogo alla sensazione terrorizzante che le autorità sanitarie non sappiano quello che stanno facendo (Rosenbaum 2015). L’equilibrio tra la necessità di essere trasparenti anche su ciò che si ignora e la necessità di trasmettere indicazioni con autorevolezza è difficile da raggiungere e le strategie per ottenerlo meritano un’attenta riflessione da parte dei diversi attori coinvolti.

Bibliografia: P. Wagner-Egger, A. Bangerter, I. Gilles et al., Lay perceptions of collectives at the outbreak of the H1N1 epidemic: heroes, villains and victims, «Public understanding of science», 2011, 20, 4, pp. 461-76; L. Simonsen, P. Spreeuwenberg, R. Lustig et al., Global mortality estimates for the 2009 influenza pandemic from the GLaMOR project: a modeling study, «PLoS medicine», 2013, 10, 11:e1001558; J.A. Al-Tawfiq, Z.A. Memish, Middle East respiratory syndrome coronavirus: epidemiology and disease control measures, «Infection and drug resistance», 2014, 7, pp. 281-87; T.R. Frieden, I. Damon, B.P. Bell et al., Ebola 2014. New challenges, new global response and responsibility, «The New England journal of medicine», 2014, 371, 13, pp. 1177-80; E.C. Hayden, The Ebola questions, «Nature», 2014, 514, 7524, pp. 554-57; M.L. McNairy, W.M. El-Sadr, Antiretroviral therapy for the prevention of HIV transmission: what will it take?«Clinical infectious diseases», 2014, 58, 7, pp. 1003-1111; M.A. Riva, M. Benedetti, G. Cesana, Pandemic fear and literature: observations from Jack London’s The scarlet plague, «Emerging infectious diseases», 2014, 20, 10, pp. 1753-57; UNAIDS (United Nations AIDS), The gap report, Genève 2014; E. Velasco, A.T. Tumacha, K. Denecke et al., Social media and Internet-based data in global systems for public health surveillance: a systematic review, «The Milbank quarterly», 2014, 92, 1, pp. 7-33; L. Rosenbaum, Communicating uncertainty. Ebola, public health, and the scientific process, «The New England journal of medicine», 2015, 372, 1, pp. 7-9.

Webgrafia: L.K. Altman, Epidemic of confusion. Like AIDS before it, Ebola isn’t explained clearly by officials, «The New York Times», 10 nov. 2014, http://www.nytimes. com/2014/11/11/health/ likeaids-before-it-ebola-isnt-explained-clearly-byofficials. html?_r=0; J.G. Bartlett, An epidemic of epidemics, «Medscape infectious diseases», 2014, http://www.medscape.com/viewarticle/821073;Graphic: as Ebola’s death toll rises, remembering history’s worst epidemics, «National geographic», 25 ott.2014, http://news. nationalgeographic.com/news/2014/10/ 141025-ebola-epidemic-perspective-historypandemic/; V. Costello, Researchers changing the way we respond to epidemics with Wikipedia and Twitter, «PLoS blogs», 29 genn. 2015, http://blogs.plos.org/blog/2015/01/29/researchers-changing-wayrespond-epidemics-wikipedia-twitt/. Tutte le pagine web si intendono visitate per l’ultima volta il 6 agosto 2015.

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