CASTALDI, Panfilo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 21 (1978)

CASTALDI, Panfilo

Paolo Veneziani

Nacque a Feltre intorno al 1430 da una famiglia appartenente alla piccola nobiltà feltrina, i cui membri tuttavia esercitarono spesso le professioni liberali: il nonno Vittore era stato medico, il fratello Daniele fu notaio, un figlio di quest'ultimo sarebbe stato il noto giureconsulto e umanista Cornelio. L'11 gennaio del 1449 il C. era già studente in arti a Padova dove ebbe probabilmente per maestri alcuni illustri rappresentanti della cultura accademica padovana del secolo: Gaetano da Thiene, Sigismondo Policastri, Matteolo da Perugia. Il 24 luglio 1451 conseguiva il dottorato in arti ricevendone le insegne da Gaetano da Thiene. Proseguì poi, sempre a Padova, gli studi in medicina; era ancora studente quando, il 6 giugno 1454, stipulava il contratto dotale per il matrimonio con Caterina Gallinetta figlia del grammatico Damiano da Pola: dalle nozze avvenute presumibilmente poco più tardi, nacquero almeno due figli che gli sopravvissero. Ottenne la laurea in medicina prima del 1457 perché in quell'anno viene definito "phisicus" in un protocollo di notaio veneziano nel quale appare come procuratore del nonno paterno Vittore. Il C. cominciò quindi la sua attività professionale: il 21 sett. 1461 era medico stipendiato a Capodistria ma è probabile che la sua situazione professionale nella città istriana non lo soddisfacesse: tre anni più tardi concorse per Ilo stesso incarico a Belluno. Il Consiglio della città si riunì il 12 luglio 1464, su proposta del podestà Leonardo Contarini, per discutere la questione della nomina del nuovo medico; risultò eletto un certo Gregorio da Cesena e il C. fu secondo con 21 voti favorevoli e 26 contrari. Non sappiamo se il C. continuasse la sua professione a Capodistria o si trasferisse altrove: il 28 febbr. 1466 era nuovamente a Feltre, ma probabilmente solo per avere la riconferma da parte del vicario del vescovo dell'investitura di alcuni feudi montani per sé e per il fratello Daniele; nell'agosto del 1469 era,a Venezia.

Era quello l'anno in cui nella città veniva introdotta la stampa a caratteri mobili con la pubblicazione, ad opera del tedesco Giovanni da Spira, delle Epistolae familiares di Cicerone. Il C. conobbe certo quella invenzione; ebbe così probabilmente modo di acquisire quell'esperienza pratica, e coltivare quelle illusioni, che dovevano trasformare per breve tempo il medico oscuro e irrequieto in uomo d'affari e tipografo. Nessun documento forse ce lo proverà mai, ma è indubitabile, alla luce degli avvenimenti che seguirono, che il C. ebbe modo di studiare da vicino la nuova tecnica della stampa e di avere contatti con chi la esercitava: i suoi futuri collaboratori erano, possono essere scarsi i dubbi in proposito, degli operai dell'officina di Giovanni e Vindelino da Spira o delle altre sorte a Venezia nel 1470. IlC. non mancò presumibilmente di apprezzare anche le evidenti possibilità economiche dell'invenzione (la prima edizione del Cicerone, di trecento copie, si esaurì immediatamente e la seconda, di altrettante, in quattro mesi), ma pensò che non era il caso di tentare l'avventura a Venezia dove, a prescindere dal privilegio quinquennale concesso a Giovanni da Spira e venuto a decadere con la sua morte, la concorrenza si preannunciava accesa e agguerrita. Decise perciò di tentare l'impresa in una città dove la stampa era ancora sconosciuta e rivolse la sua attenzione a Milano. L'importante città doveva. avere un mercato librario potenziale abbastanza promettente visto che fin dal marzo del 1469si erano succedute nel tempo almeno tre persone che aspiravano ad introdurvi la tipografia; primo era stato un certo Antonio Caccia, anche lui medico, ma senza dubbio al suo tentativo mancò il successo. Provarono poi un tal Antonio Pianella, che proveniva da Venezia, ed un anonimo "maestro de la Magna"; la spuntò il primo che ottenne, il 7 sett. 1470, un privilegio della durata di cinque anni con la condizione che nessuno dimostrasse di saper lavorare meglio di lui. Forse il C. lo dimostrò ovvero il Pianella rinunziò al proposito, certo è che non si hanno ulteriori notizie di una sua attività tipografica né sono dimostrabili i suoi, supposti, rapporti con il Castaldi.

Non ci è stato conservato l'atto con cui il duca di Milano concedeva al C. il privilegio dì essere il solo tipografo a Milano per cinque anni: sappiamo della sua esistenza da un documento del maggio 1472 e dobbiamo ritenere che gli fosse stato concesso nel corso dell'anno precedente. Infatti il 3 ag. 1471 veniva pubblicato, senza nome di tipografo ma certamente ad opera dei C. e dei suoi collaboratori, il primo libro stampato a Milano: il De verborum significatione di Pompeo Festo impresso con un nitido carattere romano di chiara derivazione veneziana.

Il Festo fu seguito, poco più che un mese dopo, il 25 settembre, da un'edizione della Cosmographia di Pomponio Mela, ancora senza nome di tipografo. Un atto del 29 ott. 1471 ci documenta un accordo tra il prevosto di S. Vittore di Casorate, Giuliano Merli, e i fratelli Antonio e Fortunato Zarotto con Gabriele Orsoni in proprio ed in rappresentanza del C., per la stampa di trecento copie delle Epistolae familiares di Cicerone. Il contratto è assai importante sotto molteplici aspetti: anzitutto perché è l'unico documento che ci permetta di attribuire al C., o meglio alla tipografia da lui controllata, la stampa dei libri che gli vengono attribuiti e che non recano mai il nome del tipografo. Il Cicerone, la cui stampa era prevista nel contratto predetto, venne infatti pubblicato senza note tipografiche e appare impresso con il bel carattere romano, assai somigliante nelle maiuscole e nell'aspetto generale a quello usato a Venezia nel 1470dal Jenson (la bassa cassa assomiglia invece a quella del carattere di Giovanni da Spira), impiegato in precedenza per la stampa del Festo e del Mela e in altre operette di minor conto. Il documento dell'ottobre 1471è anche importante perché ci fa conoscere i nomi dei collaboratori, e a quel che sembra soci, del C.: Gabriele Orsoni e Antonio e Fortunato Zarotto. Costoro dovevano presumibilmente svolgere l'effettivo lavoro in tipografia mentre il C. aveva funzioni di direzione e organizzazione; Antonio Zarotto proseguirà poi da solo la sua attività, inizialmente con gli stessi caratteri usati con il C., ancora per molti anni e con notevole successo. Un paio di operette senza note tipografiche (una Vita della Vergine Maria di Antonio Comazzano ed un'anonima Persa di Negroponte in ottava rima) completano l'elenco delle edizioni attribuibili con sufficiente sicurezza alla tipografia diretta dal Castaldi. 19 singolare che queste due ultime o&rette e il Cicerone siano state stampate più o meno contemporaneamente, sempre a Milano, da Filippo da Lavagna, con un atto di diretta e alquanto sleale concorrenza e in evidente contrasto con il privilegio ducale concesso al Castaldi. Nel quadro di questa concorrenza e del tentativo di Filippo da Lavagna, e probabilmente anche d'altri, di iniziare a svolgere a Milano l'attività di tipografo in piena libertà ed in contrasto quindi con il monopolio attribuito per cinque anni al C. vanno considerati alcuni documenti conservati presso l'Archivio di Stato di Milano. Nei primi giorni del marzo 1472, poco prima che il Cicerone di Filippo da Lavagna venisse finito di stampare (25 marzo 1472), il C. venne convocato a Vigevano alla corte del duca Galeazzo Maria Sforza; cosa gli sia stato detto non risulta, ma è deducibile da un'ordinanza del duca ai maestri delle Entrate ordinarie in data 5 maggio 1472 in base alla quale è concesso al C., che ha rinunziato al privilegio affinché chiunque lo desideri possa liberamente dedicarsi all'attività di tipografo, di tornarsene a Venezia senza pagar dazi e portando con sé tutti i suoi arnesi e tutti i libri stampati ma ancora invenduti. Finiva così il tentativo dei medico feltrino di trasformarsi in tipografo, anche se due procure alle liti da lui conferite nel luglio del '72 stanno a dimostrare che la sua attività milanese qualche strascico processuale doveva averlo lasciato. Subito dopo la nomina dei procuratori il C., è logico supporlo, partì da Milano e tornò a Venezia dove la sua presenza è documentata nell'aprile del 1474; non risulta che tentasse di riprendere l'attività tipografica e probabilmente cedette ad altri il materiale che doveva aver portato con sé da Milano, visto che un carattere di stampa uguale a quello da lui usato appare a Venezia, nel 1475, nelle mani di due tipografi di mediocri capacità: Lorenzo dall'Aquila e Sibillino Umbro.

Il C. riprese poi la professione di medico; il 25 nov. 1478 era di nuovo a Capodistria, in rapporti di familiarità con il procuratore di S. Marco Nicolò Venier, alla stesura del testamento del quale fu presente come testimone. Il 10 apr. 1482 era medico stipendiato a Zara e certo doveva aver assunto l'incarico nella città da pochissimo tempo, poiché nomina un procuratore per la sistemazione degli affari lasciati in sospeso a Capodistria. A Zara morì la moglie Caterina e il C. sposò in seconde nozze Margherita, figlia di un orefice di quella città, dalla quale ebbe un altro figlio di nome anche lui Panfilo. La presenza a Zara del C. è documentata per quasi sette anni consecutivi; risiedette quindi fino alla morte nella città dalmata, dove esercitò la professione di medico circondato dalla stima generale, a quanto è possibile dedurre dalla sua presenza quale testimone in molti atti e dalla sua nomina ad arbitro in una controversia tra le suore del convento di S. Demetrio e Francesco Gritti.

Il C. mori a Zara nel novembre o nel primissimi giorni del dicembre 1487: infatti in un atto dell'8 di quel mese tra il figlio Leonardo e il genero Paolo Canal si cita il nome dei C. "olim et riuper medici phisici salariati in Jadra".

Sul finire del XIX secolo suscitò infinite polemiche la cosidetta "questione Panfilo Castaldi", originata da un brano di una cronaca di Feltre di un francescano del '600, A. Cambruzzi, nella quale si affermava., richiamandosi a più antiche cronache, che l'inventore della stampa a caratteri mobili sarebbe stato, verso il 1456, appunto il C.; da lui l'avrebbe appresa Fust e attraverso quest'ultimo Gutenberg. Da questa notizia, nata próbabilmente da un fraintendimento della effettiva attività tipografica a Milano del C., divampò l'entusiasmo per il misconosciuto inventore italiano con affermazioni basate più su un sentimento patriottico che su obiettive testimonianze storiche. L'affermazione del Cambruzzi, a dire il vero, era riportata, senza particolare rilievo, già in vari scritti del '700 e dell'800, ma acquistava improvvisamente importanza con l'articolo pubblicato da I. Bernardi nel 1864 su La Mente di Milano; la tesi "castaldiana", ripresa anche da altri, era però confutata l'anno seguente da L. Scarabelli su L'Annunciatore di Fano. Tagliava corto sulla questione la associazione dei tipografi milanesi che nel 1867 innalzava, nella piazza principale di Feltre, una statua in onore del C. quale inventore della stampa. A confermare, almeno così sembrava, l'opinione ormai prevalente, venivano nel 1884 i documenti che provavano in maniera inconfutabile la connessione del C. con la tipografia e la sua attività a Milano, scoperti alcuni anni prima da E. Motta nell'Archivio di Stato di quella città. A complicare per di più le cose si aggiungeva, sempre nel 1884, A. Tommasich di Capodistria che pubblicava una memoria manoscritta lasciata da A. M. Cargnati, guardiano del convento dei frati minori di Capodistria, secondo la quale nella biblioteca di quel convento sarebbero stati conservati due opuscoli stampati dal C. nel 1461 nella città istriana. Degli opuscoli non restava traccia e la questione permaneva insoluta quando l'associazione dei tipografi decideva di far studiare il problema al bibliotecario della Marciana di Venezia, C. Castellani. L'interpellato deluse le aspettative dei castaldiani e finì per negare non solo la teoria estrema che voleva il C. inventore della stampa, ma anche quella più moderata che lo considerava il primo tipografo italiano. Quella che può essere considerata la parola definitiva sulla questione doveva scriverla G. Fumagalli; con qualche incertezza, nel 1891 con La questione di P. C. nella quale pur riteneva possibile che il medico di Feltre potesse aver inventato la stampa, ancorché non ce ne fossero le prove inconfutabili; da ultimo nel suo Lexicon typographicum quando affermava che ormai, nel 1905, nessuno avrebbe potuto contestare a Gutenberg il merito di essere stato il vero autore dell'invenzione della stampa tipografica.

Dopo la precisa puntualizzazione del Fumagalli la "questione" poté essere considerata chiusa e non venne infatti ulteriormente sollevata con un minimo di credibilità storica.

Fonti e Bibl.:Per i documenti concernenti il C. cfr.: P. Naldini, Corografia ecclesiastica, o sia descrittione della città e della diocesi di Giustinopoli detta volgarmente Capodistria..., Venezia 1700, p. 239;E. Motta, P. C., Antonio Planella, Pietro Ugleimer ed il vescovo di Aleria, in Riv. stor. ital., I (1884), p. 267;B. Cecchetti, Autografi di P. C., in Arch. veneto, XXXIII(1887), p. 538;F. Pellegrini, P. C. in una seduta del Consiglio dei nobili della città di Belluno, Belluno 1888;G. B. Ferracina, La vita e le poesie ital. e latine, edite e ined., di Cornelio Castaldi..., Feltre 1899, pp. 9-12;G. Caprin, L'Istria nobilissima, II, Trieste 1905, p. 8 n. 3;G. Biscaro, P. C. e gli inizi dell'arte della stampa a Milano (1469-1472), in Arch. stor. lomb., XLII (1915), pp. 5-14;M. Gaggia, Docum. inediti su P. C., in Arch. stor. di Belluno, Feltre e Cadore, VII (1935), pp. 617-628;T. Gasparrini Leporace, Docum. dell'Archivio di Stato di Zara sulla vita e l'attività di P. C., in Miscell. in onore di G. Praga ..., Venezia 1959, pp. 27-53;P. Sanibin, Il grammatico Damiano da Pola e P. C., in Italia medievale e umanistica, VI (1962), pp. 371-400. Importanti studi sul C., oltre che negli scritti già citati, sono quelli di P. Nai, IPrimi quattro tipografi di Milano: C. Zarotto, Lavagna, Valdarfer, in Arch. stor. lomb., LXI (1934), pp. 569-594; Id., I collaboratori di P. C., ibid., n.s., I (1936), pp. 424-448; Id., P. C. Primo tipografo italiano, ibid., n.s., V (1940), pp. 313-372;M. Gaggia, Qualche cenno ancora su P. C., in Arch. stor. di Belluno, Feltre e Cadore, VIII(1936), pp. 738-40;Id., Notizie genealog. delle famiglie nobili di Feltre, Feltre 1936, pp. 84, 85; G. Biasuz, Nuovi documenti su P. C., in Archivio storico di Belluno, Feltre e Cadore, XXXII(1961), pp. 29-33. Per le ediz. stampate dal C. cfr.: Catalogue of book printed in the XVth century now in the British Museum, VI, London 1905, pp. 698 s.; Indice gener. degli incunaboli delle biblioteche d'Italia, I-V, Roma 1943-1972, nn. 2814, 3201, 3847, 6339. Per la "questione Castaldi" cfr. in particolare: A. Cambruzzi, Storia di Feltre, II, Feltre 1873, p. 141;I. Bernardi, P. C. da Feltre e l'invenz. dei caratteri mobili da stampa, Milano 1865;I. Bernardi-A. Zanghellini-A. Valsecchi, Intorno a P. C. da Feltre e alla invenz. dei caratteri mobili per la stampa, Milano 1866;L. Scarabelli, Di P. C., Bologna 1866;G. Praloran, Delle origini e del Primato della stampa tipografica, Milano 1868, pp. 125-72;A. Tommasich, in La Provincia dell'Istria, 16 ag. 1884 e 5sett. 1884;C. Castellani, La stampa in Venezia dalla sua origine alla morte di Aldo Manuzio Seniore, Venezia 1889, pp. VII-XXXII; G. Fumagalli, La questione di P. C., Milano 1891;Id., Lexicon typographicum Italiae, Florenee 1905, pp. VII-XI; B. Ziliotto, Capodistria, culla della stampa italiana, in Miscellanea in onore di R. Cessi, II, Roma 1958, pp. 7-19.

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