PANTALEONE

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 81 (2014)

PANTALEONE

Manuel Castineiras

– Non si conoscono il luogo e le date di nascita e di morte di questo presbitero menzionato (vivente) nel 1165 nella scritta commemorativa del mosaico pavimentale della navata centrale della cattedrale di S. Maria Assunta a Otranto, sotto la scena dell’Arca di Noè. Si tratterebbe di un membro appartenente al clero secolare che aveva ricevuto l’ordinazione sacerdotale, vale a dire il più alto grado degli ordini maggiori prima di quello del vescovo. Poiché ciò avveniva di solito non prima dei trent’anni, considerata allora l’età canonica, si può dunque circoscrivere la sua data di nascita entro la prima metà del XII secolo.

Anche se Pantaleo è la forma latina del nome greco Πανταλέων, questo non dovrebbe indicare un’origine greca, perché dal X secolo in poi il suo uso era diventato abituale nella popolazione longobarda del Meridione, come nel caso di Pantaleone di Mauro della nobile stirpe amalfitana dei Comite Maurone, celebre per aver commissionato le porte bronzee (1057) del duomo di Amalfi (Milone, 2009).

La mancanza di notizie su Pantaleone, a esclusione delle due epigrafi che menzionano il suo nome nel mosaico di Otranto (eseguito tra il 1163 e il 1165), portò letterati (Corti, 1991) e studiosi (Antonaci, 1955; Willemsen, 1980; Gianfreda, 1992) a ipotizzare che il presbitero fosse appartenuto alla comunità grecofona del Salento e avesse ricevuto la sua formazione di dotto nel vicino monastero basiliano di S. Nicola di Casole, dove esisteva una fiorente scuola con una ricca ed enciclopedica biblioteca che avrebbe potuto nutrire e ispirare molti dei temi del mosaico. Si devono infatti al poeta Nicola di Otranto, nato tra il 1155 e il 1160 e abate nello stesso cenobio dal 1219 al 1220, alcuni versi che possono essere ritenuti come la più bella ekphrasis del mosaico (Castiñeiras, 2004, p. 45): «’Αδὰμ παλαιòς ἐκ ξύλου θρῆνουν φέρει / καì ξυμφορὰν ἄμετρον ἀνθρώπων γένει» («L’antico Adamo dall’albero reca pianto / e sventura infinita al genere umano»; Gigante, 1979; Cantarella, 1992). Nonostante ciò, sia il programma iconografico sia lo stile del mosaico non inducono a pensare a una formazione bizantina di Pantaleone, ma a un’approfondita conoscenza della cultura normanno-cavalleresca. A Otranto ci troviamo infatti davanti a un repertorio profano derivato dalla cartografia medioevale (Frugoni, 1983) e dalla tradizione insulare dei Marvels of the East dei secoli XI e XII, che era proprio dei romanzi cavallereschi e moralizzanti di Alessandro Magno, in particolare del Roman de toute chevalerie, composto nel XII secolo da Thomas di Kent, monaco di St. Albans. I due uomini che firmarono il mosaico, l’arcivescovo Gionata (1155? -1179?) e il presbitero Pantaleone, erano quindi consapevoli di questa cultura letteraria e artistica normanna, sia per una probabile origine normanna o addirittura gallese (Ionathas), sia per un’assimilazione culturale ai conquistatori (Pantaleone) nel contesto della latinizzazione del regno.

Non a caso, il programma del mosaico di Otranto, insieme con quelli di Taranto (1160-61), Lecce e Trani (1165), è stato interpretato come una sorta di manifesto o autoaffermazione del re Guglielmo I (1154-66), indicato nell’epigrafe del mosaico, nella zona presbiteriale, come «rege magnifico et t[r]iu[m]fatore» in seguito alla vittoria tra il 1160 e il 1161, con il sostegno dell’alto clero, sui baroni ribelli in Puglia e in Calabria appoggiati dall’imperatore bizantino Manuele I Comneno (1143-80), già attivamente intervenuto nella rivolta filobizantina del 1155-56 (Settis Frugoni, 1968, 1970, 1973).

Dalle epigrafi, che si situano rispettivamente nel mezzo della navata centrale e ai piedi della stessa, fu precipitosamente dedotto (Willemsen, 1980, p. 39; Barral i Altet, 2010, p. 46) che Pantaleone fosse il mosaicista, quando sembra più plausibile che si trattasse semplicemente del sovrintendente concepteur o canonico responsabile delle opere della cattedrale.

La prima iscrizione recita: «Anno ab incarnatio[n]e D[omi]ni n[ost]ri Ie[s]u Chr[ist]i MCLXV, i[n]dictio[n]e XIIII, regnante d[omi]no n[ost]ro W[illelmo] rege magnif[ico], / humilis servus Ch[rist]i Ionathas Hydruntin[us] archiep[iscopus] iussit hoc op[us] fieri p[er] manus Pantaleonis / pr[es]b[ite]ri» («Nell’anno 1165 dall’Incarnazione di Nostro Signore Gesù Cristo, nella XIIII indizione, durante il governo del nostro signore Guglielmo, il re magnifico, l’umile servo di Cristo Gionata, arcivescovo di Otranto, comandò che fosse fatta quest’opera per mano del sacerdote Pantaleone»; per la trascrizione v. Magistrale, 1992, p. 67 n. 123; per la traduzione cfr. Willemsen, 1980, p. 148 n. 33).

La seconda iscrizione è la seguente: «Ex Ionath[e] donis per dexteram Pantaleonis/ hoc opus insigne est superans impendia digne» («Per mezzo dei doni di Gionata, per mezzo della destra di Pantaleone è quest’opera insigne che supera degnamente la spesa»; Willemsen, 1980, p. 149 n. 35).

Nella prima epigrafe viene utilizzata in riferimento a Pantaleone la formula latina «per manus», che nel linguaggio giuridico medievale significava alterius justitiam accipere (Du Cange, IV, 1954, p. 249), per cui l’espressione dovrebbe intendersi nel senso di mediazione. È assai probabile pertanto che Gionata abbia portato a termine l’opera per mezzo del presbitero Pantaleone, che potrebbe aver diretto lo sviluppo dei lavori e provveduto i mosaicisti sia dei modelli iconografici sia del denaro e dei materiali necessari. Il suo ruolo sarebbe stato quindi quello dell’operarius (sovrintendente) o thesaurarius (amministratore) piuttosto che quello di artista o esecutore materiale (auctor manualis). Probabilmente Gionata e Pantaleone, nella loro condizione di chierici colti, furono gli auctores intellectuales dell’opera. A tal proposito è utile sottolineare come l’«Arcidiaconus Acceptus», documentato in Puglia come scultore un secolo prima (1039-1071) tra Bari, Canosa, Trani e Monte Sant’Angelo (Velati, 2001), non esitasse a impiegare nel pulpito del duomo di Canosa la formula «feci[t] hoc opus» – indicativo della sua azione manuale –, invece di «iussit hoc opus fieri», più adatta al ruolo dei committenti o dei sovrintendenti.

Non sembra quindi che la formula per manus sia un adattamento latino dal greco Χείρ, giacché essa viene utilizzata soprattutto in periodi più tardi come nella pittura d’icona paleologa o postbizantina. Inoltre l’amicizia tra l’arcivescovo Gionata e Clemente, conosciuto come Judex Tarantinuse membro della Magna Curia di Palermo (Jamison, 1967), spiegherebbe l’impiego nelle scritte di un linguaggio commemorativo vicino allo stile della Cancelleria regale. È anche da rilevare che il primo testo con il nome di Pantaleone è stato collocato accanto alle scene riguardanti la costruzione dell’Arca di Noè – metafora della Chiesa –, dove la mano di Dio è raffigurata nel momento in cui ordina al patriarca la realizzazione dell’opera che permise la salvezza degli eletti nel Diluvio Universale.

Per quanto riguarda la seconda scritta, posta all’entrata della cattedrale, deve essere analizzata con prudenza, dal momento che non si è conservata nello stato originario. Dopo il crollo della facciata occidentale della cattedrale nel corso dell’assedio da parte del duca Alfonso di Calabria con lo scopo di liberare la città dai turchi (1481), questa parte della chiesa subì gravi danni al punto che rimase leggibile soltanto la prima riga del testo: «Ex Ionath[e] donis per dexteram Pantaleonis» (Laggetto [1537], 1924, p. 66); inoltre, l’estrema parte occidentale dell’opus musivo fu sottoposta dal 1872 in poi a restauri interpretativi che ricostituirono il testo della seconda riga («hoc opus insigne est superans impendia digne») in base alle testimonianze antiche (La Commissione conservatrice..., 1876; Castiñeiras, 2006, pp. 142 s.).

La formula per menzionare l’azione di Pantaleone – «per dexteram» – torna a essere ugualmente vicina al linguaggio giuridico e amministrativo, in modo che sembra piuttosto fare riferimento al fatto che Pantaleone gestì correttamente gli emolumenti elargiti da Gionata per l’allestimento dell’opera. Nel corso di due decenni la stessa bottega di mosaicisti portò infatti a termine i pavimenti di Taranto (1160-61), Otranto (1163-65), Lecce, Trani (circa 1165) e Brindisi (1178), utilizzando un repertorio basato sui miti della cultura cavalleresca, ma soltanto a Otranto compare il nome di Pantaleone, che fu probabilmente più un direttore dei lavori che un artista.

Fonti e Bibl.: G.M. Laggetto, Historia della guerra di Otranto del 1480… [1537], trascritta da un antico manoscritto e pubblicata con brevi commenti dal can. Luigi Muscari, Maglie 1924, pp. 28-31, 66; F. Ughelli, Italia sacra,VII, Venetiis 1721, coll. 51, 61; G. Marciano, Descrizione, origini e successi della provincia d’Otranto... (Napoli 1855), Galatina 1996, pp. 375-377; H.W. Schulz, Denkmaeler der Kunst des Mittelalters in Unteritalien, I, Dresda 1860, pp. 260-268; La Commissione conservatrice dei monumenti storici e di belle arti di Terra d’Otranto al Consiglio provinciale. Relazione pell’anno 1875, del duca Sigismondo Castromediano, Lecce 1876, p. 35; Ch. Du Cange, Glossarium mediæ et infimæ latinitatis..., III, Graz 1954, p. 91 (dextera), IV, Graz 1954, p. 249 (per manus); A. Antonaci, Otranto. Testi e monumenti, Galatina 1955, pp. 119 s.; E.M. Jamison, Judex Tarentinus, in Proceedings of the British Academy, LIII (1967), pp. 294 s.; C. Settis Frugoni, Per una lettura del mosaico pavimentale della cattedrale di Otranto, in Bullettino dell’Istituto storico italiano per il Medio Evo e Archivio Muratoriano, LXXX (1968), pp. 213-256; Ead., Il mosaico di Otranto: modelli culturali e scelte iconografiche, ibid., LXXXII (1970), pp. 243-270; Ead., Historia Alexandri elevati per griphos ad aerem. Origine, iconografia e fortuna di un tema, Roma 1973, pp. 265-311; M. D’Elia, Il mosaico pavimentale della cattedrale di Otranto. Cronaca di un restauro, in Quaderni medievali, III (1977), pp. 121-131; M. Gigante, Poeti bizantini di Terra d’Otranto nel secolo XIII, Napoli 1979, p. 153; C.A. Willemsen, L’enigma di Otranto. Il mosaico pavimentale del presbitero Pantaleone nella Cattedrale, Galatina 1980, pp. 37-39, 148 n. 33, 149 n. 35; C. Frugoni, La figurazione basso-medievale dell’Imago Mundi, in Imago Mundi: la conoscenza scientifica nel pensiero bassomedioevale. Convegni del Centro di studi sulla spiritualità medievale... 1981, Todi 1983, pp. 225-269; P. Belli D’Elia, La Puglia, Milano 1987, pp. 149-154; M. Corti, L’ora di tutti, Milano 1991, 2000, pp. 11 s.; R. Cantarella, Poeti bizantini, II, Milano 1992, p. 909 n. 90; G. Gianfreda, Il mosaico di Otranto. Biblioteca medioevale in immagini, Lecce 1992, p. 72; F. Magistrale, Forme e funzioni delle scritte esposte nella Puglia normanna, in Scrittura e civiltà, XVI (1992), pp. 7-75; V. Velati, Le cattedrali romaniche pugliesi, Roma-Bari 2001, pp. 21 s.; M. Castiñeiras, L’Alessandro anglonormanno e il mosaico di Otranto: una ekphrasis monumentale?, in Troianalexandrina, IV (2004), pp. 41-86; Id., D’Alexandre à Arthur: l’imaginaire normand dans la mosaïque d’Otrante, in Cahiers de Saint-Michel de Cuxa, XXXVII (2006), pp. 139-153; Id., L’Oriente immaginato nel mosaico di Otranto, in Medioevo mediterraneo: l’Occidente, Bisanzio e l’Islam. Atti del Convegno internazionale di studi, Parma… 2004, a cura di A.C. Quintavalle, Milano 2007, pp. 590-603; Mosaici medievali in Puglia, a cura di S. Vasco Rocca, Bari 2007, pp. 43, 161-167; A. Milone, La data della porta di Amalfi, in Le porte del Paradiso. Arte e tecnologia bizantina tra Italia e Mediterraneo, a cura di A. Iacobini, Roma 2009, pp. 201-218; X. Barral i Altet, Le décor du pavement au Moyen Âge. Les mosaïques de France et d’Italie, Roma 2010, pp. 45 s., 49, 156, 365 s., 370.

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