PANTEISMO

Enciclopedia Italiana (1935)

PANTEISMO

Alberto PINCHERLE
Goffredo COPPOLA
Guido CALOGERO

. Termine filosofico-religioso, entrato nell'uso nei primi anni del sec. XVIII, in occasione delle controversie dei deisti inglesi (J. Toland, nel 1705, intitolò una sua opera Pantheistikon, e si parlò di pantheists). Secondo l'etimologia (dal gr. πᾶν "tutto" e ϑεός "Dio") esso designa in generale ogni concezione filosofico-religiosa che consideri il principio divino come non intrinsecamente distinto dal mondo, ma anzi come permeante l'universo e realizzantesi in esso.

Il panteismo si oppone così tanto all'"ateismo" che nega l'esistenza della divinità, quanto al "teismo" che alla divinità attribuisce essenza indipendente e conclusa in sé medesima. E si oppone, di conseguenza, anche a ogni "creazionismo", cioè a ogni concezione di Dio come creante, in un dato momento del tempo, il mondo, e perciò sussistente nella sua perfezione anche prima di quel momento, indipendentemente dal mondo da creare.

Storia delle religioni. - Alla concezione che Dio è tutto e che il tutto è Dio si può pervenire sia partendo dalla fede in Dio, sia dalla concezione del mondo come unità compiuta e perfetta in sé. Nel primo caso si ha il cosiddetto "acosmismo" o "panteismo acosmistico" (dal gr. a- privativo e κόσμος "mondo"); nel secondo caso il cosiddetto "pancosmismo". Questa distinzione ha importanza dal punto di vista della religione, ponendosi il problema del valore e del contenuto religioso del panteismo: se cioè lo si possa considerare come un atteggiamento spirituale prevalentemente, o almeno in parte, religioso, ovvero soprattutto, se non completamente, razionalistico e filosofico. La questione è stata molto discussa, soprattutto dopo Schleiermacher. Oggi si conviene generalmente nel riconoscere che gl'interessi religiosi prevalgono nella prima forma di panteismo, si fanno sentire assai meno vivamente nella seconda.

Al panteismo, cioè a una posizione religiosa in cui il rapporto tra l'uomo e la divinità non è più quello raffigurato come rapporto tra creatura e Creatore, ecc., bensì diventa semplicemente un rapporto della parte al tutto, si può pervenire, religiosamente, per varî modi. Già un primo avviamento ad esso si può ravvisare in quell'atteggiamento spirituale della mentalità primitiva, per cui non esiste ancora una vera e propria distinzione tra soggetto e oggetto, anzi neppure tra un oggetto e un altro: ma qualunque cosa si crede possa trasformarsi in qualunque altra. Questo modo di raffigurarsi la realtà, tuttavia, non ha ancora un valore teoretico, e non dà luogo, di fatto, a un vero e proprio panteismo.

Storicamente, un passo verso il panteismo, e in alcuni casi molto notevole, si trova là dove assistiamo alla formazione di un sincretismo: dove cioè si viene annullando la distinzione tra le divinità di un politeismo già ben formato, non nel senso di negazione delle altre divinità (come false) di fronte all'unica vera (che sarebbe monoteismo), ma come riconoscimento di un'essenza unica della divinità, di cui le personalità del pantheon sono considerate soltanto manifestazioni. È il fenomeno che si ravvisa, p. es., in certe espressioni della religione orfica del mondo classico, secondo le quali Zeus (cioè quella essenza unica della divinità) viene successivamente identificato con varî dei, con le forze della natura, ecc., per proclamare finalmente ch'egli è tutto.

Una questione importante è quella delle relazioni tra il misticismo e il panteismo. Indubbiamente il mistico cerca di realizzare l'unione completa tra sé e Dio, annullando ogni distinzione, per perdersi e disperdersi nella divinità. Ma nel misticismo l'unione con il divino, l'unio mystica, rappresenta piuttosto una meta, un ideale, non raggiunto del tutto e al più solo in alcuni momenti; Dio è per lo più cercato ancora fuori del mondo, non identificato con esso. Tuttavia vi sono forme di misticismo speculativo in cui il mondo è considerato, non soltanto come una scala, per così dire, onde ascendere a Dio, ma come animato e permeato dalla divinità stessa; così come vi sono forme in cui il mondo è negato completamente, per affermare la sola realtà del divino, e dell'elemento divino che è nell'uomo. Mistico è appunto, in sostanza, il panteismo della speculazione religiosa dell'India antica, nella religione vedicobrahmanistica; negl'Inni del Rgveda, e specialmente nel libro X, gli dei sono identificati con Agni e Agni è tutti gli dei, mentre dalla concezione magica del sacrificio si sviluppa la teoria dell'identità tra l'ātman e il brahman: per cui il brahman, che è l'universo, in noi è l'ātman, e l'unità dei due costituisce il tema su cui tanto volentieri si sofferma la speculazione delle Upaniṣad.

Filosofia. - Dal punto di vista strettamente filosofico, il panteismo, considerato nelle sue principali formulazioni, trova anzitutto la sua espressione più rigorosa nell'acosmismo: il quale, vedendo in tutto il mondo non altro che la manifestazione dell'unico principio divino, giunge a svalutare ogni aspetto particolare di tale manifestazione, e cioè viene a considerare come illusoria ogni molteplicità cosmica, a "negare il mondo". Tale estrema forma acosmistica di panteismo è tipicamente professata dalla filosofia indiana, in quanto essa scorge nell'infinita varietà delle cose soltanto un riflesso fallace della sostanziale unità divina in cui ogni differenza è dissolta. Nell'Occidente, essa può considerarsi rappresentata dalla metafisica dell'eleatismo che, attribuendo realtà all'unico principio dell'essere, relega tutti gli aspetti particolari del reale dalla sfera della verità in quella dell'erronea opinione. Certo, la metafisica parmenidea e melissiana dell'essere non ha immediato carattere teologico, e non è storicamente sicuro che il suo "ente" sia il diretto erede dell'unico dio di Senofane, ma quell'ente è comunque fornito di tutti i predicati assoluti proprî della realtà divina, e permette quindi di parlare, giusta il più lato senso filosofico del termine, di un panteismo eleatico.

S'intende, d'altro lato, che tale estrema forma di panteismo rischia di giungere alla dissoluzione di sé medesima, in quanto tende a far scomparire del tutto il mondo di fronte a Dio, tornando così a una nuova e più universale asserzione di teismo. Perché Dio compenetri tutto il mondo, è necessario che questo mondo in qualche modo sussista: di qui il problema della relativa esistenza dell'universo, che di necessità si presenta nella più propria forma del panteismo, detto perciò "realistico" o "naturalistico". Nella filosofia antica, questo panteismo è sostanzialmente professato già da alcuni tra i maggiori pensatori presocratici (come per es. dai milesî, inclini a considerare tutta la natura come animata e divina), e trova poi i principali sostenitori negli stoici, la cui fisica rielabora del resto la concezione eraclitea della divina Ragione permeante e informante l'universo così come l'anima compenetra il corpo. Nel pensiero moderno esso ha per massimo rappresentante il sistema dello Spinoza, che eredita e conduce a perfezione, nell'identità natura sive Deus, il naturalismo del Rinascimento e in particolar modo il monismo bruniano, concependo la divinità come universale sostanza e tutte le realtà particolari come semplici modi di essere dei suoi attributi. Solo in senso più lato possono invece essere dette panteistiche le concezioni neoplatoniche dell'emanazione dei varî gradi della realtà dal supremo principio divino, e i sistemi teologici cristiani che a tale emanatismo s'ispirano (p. es. lo gnosticismo, Origene, Scoto Eriugena, ecc.). Se infatti anche l'emanatismo concepisce tutta la realtà come partecipe del divino, da cui promana o da cui è irradiata e informata, esso resta d'altronde teistico nell'idea della rigida trascendenza del principio divino, in sé affatto indipendente e immune da tutto ciò che da esso deriva. In vista di questo peculiare carattere del panteismo emanatistico, esso è stato così talora designato col nome speciale di "panenteismo" (v.).

La qualifica di panteismo, infine, viene data anche ai sistemi dell'idealismo metafisico postkantiano, e in particolare a quello di Hegel, dal punto di vista onde il supremo principio speculativo, che in essi tiene luogo di Dio, vi si manifesta e attua dialetticamente attraverso tutti gli aspetti dell'empirico. E, in questo larghissimo senso, "panteismo idealistico" o "logico" è ogni moderno sistema idealistico o spiritualistico, che non distacchi il mondo dei valori dal mondo delle cose. Ciò non toglie che il nome di "panteismo", per la sua originaria connessione col classico problema teologico, suoni meno opportuno se riferito a sistemi che da tale problema sono ormai troppo lontani.

Bibl.: Chantepie de La Saussaye, Handbuch der Religionsgeschichte, 4ª ed. a cura di A. Bertholet ed E. Lehmann, Tubinga 1925 segg., p. 77 segg.; art. Pantheism di varî, in Hastings, Encyclopaedia of Religion and Ethics, IX, Edimburgo 1917, p. 609 segg.; G. van der Leeuw, Einführung in die Phänomenologie der Religion, Monaco 1925, p. 154 segg. Per il panteismo filosofico v. G. B. Jaesche, Der Pantheismus nach seinen verschiedenen Hauptformen, voll. 3, Berlino 1826-1832; Ed. Boehmer, De pantheismi nominis origine, usu et notione, Halle 1851; C. Ranzoli, Il linguaggio dei filosofi, Padova 1911, pp. 155-74; H. Scholz, Zu den ältesten Begriffen von Theismus und Pantheismus, in Preuss. Jahrb., 1912.