Pantera

Enciclopedia Dantesca (1970)

pantera

Pier Vincenzo Mengaldo

All'inizio della trattazione sul volgare illustre (VE I XVI 1) D. paragona quest'ultimo a una p. che diffonde in ogni luogo il suo profumo ma in nessun luogo appare, e che egli, dopo averla finora braccata per tutta l'Italia (nella precedente rassegna negativa dei dialetti, I XI-XV), senza riuscire a catturarla, si propone ora d'irretire nei suoi lacci attraverso un procedimento razionale, non più empirico, di ricerca: Postquam venati saltus et pascua sumus Ytaliae, nec pantheram quam sequimur adinvenimus, ut ipsam reperire possimus, rationabilius investigemus de illa, ut solerti studio redolentem ubique et necubi apparentem nostris penitus irretiamus tenticulis.

L'analogia della p. s'inserisce qui in un contesto stilistico in cui D., con procedimento non infrequente nel trattato, ridà attualità e vivezza di metafore concrete a vecchi traslati ormai cristallizzati nell'uso scientifico e privi delle originarie connotazioni: così il verbo ‛ venari ' (cui risponde in volgare, Cv II I 5, ‛ appostare '), largamente attestato (ad esempio, in s. Tommaso) nel senso astratto di " ricercare ", e che D. aveva già usato in accezione più concreta nel passo, affine a questo, di VE I XI 1; e gli stessi ‛ tenticula ', o ‛ tendicula ', che appaiono ad esempio spesso nel Policraticus di Giovanni di Salisbury (ediz. Webb, II 12, IV 3, V 10 e 16) nell'accezione tecnica di " strumenti dialettici ", " trappole verbali ". Dalla metafora fondamentale della p. deriva poi, nel § 4 dello stesso capitolo, l'uso di ‛ redolere ' e ‛ cubare ' riferiti al volgare illustre, quod in qualibet redolet civitate, nec cubat in ulla (ma di ‛ redolere ' la tradizione retorica faceva già uso in senso tecnico, a significare splendore verbale ed espressività: cfr. Matteo di Vendôme Ars versif. II 9).

Il profumo fascinoso della p., che attrae gli animali tutti (fuorché il dragone), di cui poi la fiera si ciba, era un luogo comune della cultura medievale, fissato soprattutto, sulla traccia dei zoografi antichi (Aristotele Hist. animal. IX 17 621a; Plinio Nat. hist. VIII XVII 62; Solino XVII 8), da quella fortunatissima compilazione, archetipo di tutti i bestiari medievali, che è il Physiologus (v. in particolare la versio latina B, ediz. Carmody, p. 23). Basti riportare la versione che ne dà Brunetto Latini nel Tresor, ediz. Carmody, I CLXXXIII 1 " Panthere... est amés de toz animaus fors quedou dragon. Et sa nature est que tout maintenant qu'el e a sa viande prise, se rentre en son espelonce, et se dort .III. jours; lors se lieve et oevre sa bouche, et flaire s'alaine si dous et si souef ke totes bestes ki sentent l'odour s'en vont devant lui, fors solement le dragon, ki s'afiche es pertuis desous terre, pour la puour k'il en a, k'il set bien que a morir le covient ". Ma è importante ricordare come da simili rappresentazioni tradizionali dei bestiari erano già nate interpretazioni figurali a loro volta topiche; in particolare in due direzioni. Una religiosa, per cui la p. è Cristo e il dragone il demonio (punto di partenza sarà il particolare del risveglio dopo tre giorni); cfr. ad esempio Ugo di San Vittore De Bestiis II 23, o in Italia il cosiddetto Bestiario moralizzato (Contini, Poeti II 317). E una cortese, in cui la p. simboleggia il potere attrattivo della donna amata; cfr. in ispecie il Bestiaire d'amours di Richart de Fornival, ediz. Segre, pp. 44-45, e la canzone Eissamen com la pantera attribuita a Rigaut de Berbezilh (donde, probabilmente, il sonetto Sì come la pantera per alore di Chiaro Davanzati). Da ciò, anche fuori di precisi simbolismi, l'abitudine di assimilare il profumo o respiro della donna amata a quello della p., così diffusa nella nostra tradizione duecentesca (materiali soprattutto, da ultimo, in Il mare Amoroso, a c. di E. Vuolo, Roma 1962, 161-163); ivi compreso il Detto 199 ed ha più dolce alena / che nessuna pantera (in rima equivoca con un pantera di altro significato: cfr. ediz. Parodi), da confrontare forse in particolare con Guinizzelli Lo fin pregi' avanzato 40 ss. (in Contini, Poeti II 465 ss.)..

Non sembra accettabile l'interpretazione dello Spitzer, secondo il quale l'immagine dantesca, sottintendendo l'etimologia isidoriana, ripresa da Uguccione da Pisa, che collegava panther a πᾶν, " tutto ", suggerirebbe che come la p. divora tutti gli altri animali così il volgare illustre " divora " i vari volgari municipali. Più probabile è invece che D., anticipando in nuce un concetto che verrà poi svolto nel cap. XVIII attraverso la nozione di volgare cardinale, alluda attraverso quella metafora alla funzione propria del volgare illustre di attrarre e modellare su di sé i volgari municipali. E sul piano delle connotazioni più indirette è possibile invece che all'analogia volgare illustre-p. sia sottesa l'altra equazione, di cui sopra, Cristo-p., se è vero che poco più avanti (§ 5) la funzione del volgare illustre di dar sentore di sé dappertutto, ma in una parte più e meno altrove è paragonata all'azione della simplicissima substantiarum, quae Deus est, che redolet variamente nei vari prodotti della creazione. Ciò risulterebbe in linea con l'evidente alone religioso di cui D. avvolge nel trattato la sua nozione di volgare illustre. E v. ILLUSTRE.

Bibl.-Marigo, De vulg. Eloq. 134-135; L. Spitzer, in " Italica " XXXII (1955) 92.