PANTOMIMA

Enciclopedia Italiana (1935)

PANTOMIMA

Roberto CAGGIANO
F. Ber.

. Azione teatrale senza parole, espressa per mezzo dell'euritmia dei gesti e della varietà degli atteggiamenti del corpo, nonché della danza, soprattutto allorché è accompagnata da musica. L'etimologia del nome avverte della sua origine: πᾶν "tutto" e μιμέομαι "imito".

Antichità classica. - I Greci conobbero la rappresentazione mimica accompagnata dalla musica. Ne è saggio felice e famoso la scena degli amori di Bacco e di Arianna, che termina il Banchetto di Senofonte. Ma soltanto in Roma e all'epoca di Augusto il genere si fissò in forme precise. L'idea del separare la parola dal gesto doveva essere ben profondamente radicata nei Romani: Plinio il giovane (Ep., IX, 34,2) domanda a un amico se gli convenga far leggere a un liberto le proprie poesie, accompagnandolo a bassa voce, con gli occhi e con le mani, murmure, oculis, manibus. E già da secoli, nella commedia e nella tragedia, un attore recitava il canticum, mentre un altro eseguiva la mimica.

Pertanto il genere già esisteva virtualmente quando comparvero Pilade di Cilicia e Batillo d'Alessandria, ma essi obbedivano a gusti profondamente nuovi: dal che il grandissimo favore che l'accolse né più l'abbandonò. Commedia, e tragedia dànno una rappresentazione più o meno realistica della vita, né essa basta più alle età sature d'intellettualismo e stanche del reale. La mimica, staccandosi dalla parola e associandosi alla musica, va proprio oltre il reale. Dice Libanio (III, p. 381 segg. Reiske) che, nel pantomimo "i canti sono fatti per la danza, non la danza per i canti, e i versi contano pochissimo".

Il pantomimo consiste di tre elementi distinti: il danzatore, il numeroso coro che canta, la svariatissima orchestra di strumenti. Pilade, interrogato da Augusto sul carattere delle sue innovazioni, rispose: "fragore di flauti e di siringhe, folla d'uomini". Ma la parte essenziale era la danza, saltatio, e così saltare era l'azione del danzatore, fabula saltica la rappresentazione pantomimica, che, con termine moderno, potremmo chiamare balletto.

Il pantomimo di Pilade fu tragico e, come dice Plutarco, "lirico veemente, vario d'espressioni" (Quaest. conviv., 711 f); quello di Batillo, comico e satirico, fu "simile alla danza comica detta cordace, volto a imitare Eco o Pan o un Satiro che danza innamorato" (ibid.). Il pantomimo tragico ebbe maggiore fortuna e vita più lunga dell'altro.

Doveva esserci una specie di libretto, scritto quasi sempre in greco, per il quale si tagliuzzavano le tragedie greche e si saccheggiavano mitologia e storia. Ce ne dà un'idea Luciano (de saltatione, 63): il pantomimo, danzando, rappresenta "il Sole che rivela a Vulcano il tradimento della moglie, Vulcano che tende un tranello e te li acchiappa tutti e due nella rete, gli dei che sopravvengono uno a uno, Venere tutta vergognosa, lo spavento e le preghiere di Marte". Tutti questi punti essenziali dell'azione sono cantati da coro (cantica), accompagnato naturalmente dalla musica.

Abbiamo già detto che l'orchestra fu numerosissima (flauto, siringa, cembalo, cetra, lira, tromba). Essa regolava il canto del coro e la danza dell'attore: al che serviva anche uno speciale strumento, detto scabillum o scabellum, adattato al piede o del capocoro o dei singoli musicanti, una specie di scatola, di metallo o di legno, fenduta orizzontalmente, all'interno della quale era disposto un apparecchio che, sotto la pressione, emetteva un suono chiaro. Naturalmente la gente seria, come quel Cratone del dialogo lucianeo, giudicava che tale musica era molle, sensuale, che accarezzava sì l'orecchio con arie graziose e con abuso di trilli, ma che snervava le anime.

Può sembrare strano che, là dove la mimica era tutto, l'attore, adottando la maschera, sopprimesse il giuoco della fisionomia. Ma, anche a prescindere dal fatto che ben raramente il teatro antico si liberò dalla maschera, conviene pensare che la fisionomia ha importanza particolare in una rappresentazione realistica, non così in una interpretazione fantastica e lirica. Nel pantomimo interviene quella che, con parola oggi abusata, diremmo stilizzazione.

Così essendo, neppure apparirà strano che, come dice Luciano, un attore rappresentasse nello stesso pantomimo parti diversissime e che, con la mimica, dovesse evocare l'idea degli altri personaggi del dramma. Nel festino di Tieste, doveva essere successivamente Atreo, Egisto, Erope. Rappresentava Achille, Prometeo? doveva suggerire allo spettatore la presenza di Paride, di Vulcano (Libanio, III, p. 391 Reiske). Concessione al realismo era talora la presenza d'una comparsa muta e immobile, che facilitava l'intelligenza di ciascuna scena.

Certo tanto più pregiato era il danzatore, quanto più vivace ed espressiva la mimica e maggiore la potenza evocatrice e trasfiguratrice. Plutarco dice: "i movimenti li chiamano passi (ϕοραί), chiamano figure (σχηματα) le posizioni e gli stati nei quali finiscono i movimenti, ogni volta che, formando la figura di Apollo o di Pan o d'una Menade, si fermino graficamente nell'aspetto d'un corpo. La figura imita la forma e l'idea e a sua volta il movimento rivela un sentimento o un'azione o una forza. Con le indicazioni (δείξεις) invece indicano efficacemente le cose, la terra, il cielo, i vicini, ciò che avviene nell'ordine e nel numero......" (Quaest. conv., 247 b). Mani, dita che tutto esprimono (loquacissimae manus, (χείρες πάμϕωνοι), linguosi digiti, Cassiod., Var., IV, 51); parlare con le dita (χερσὶ λαλεῖν) si dice a proposito del pantomimo, che viene chiamato anche chironomus "gesticolatore a cadenza". Egli occupava il pulpitum (palcoscenico) e dietro a lui stavano coro e orchestra. Portava il costume dei tragici: mantello (palla), tunica che cadeva fino ai piedi (tunica talaria), di seta per maggiore grazia e libertà di movimenti.

Accolto con immenso favore al suo sorgere, il pantomimo romano soppiantò in breve ogni altra forma drammatica. Senza dubbio, ciò si deve, in non piccola parte, all'erotismo di cui era tutto pervaso. Gli attori furono idolo di folle e di potenti. Oltre a Pilade, Batillo e Ila, loro contemporaneo, si ricordano Mnestere favorito da Messalina e Paride da Nerone, che poi lo mise a morte, un altro Paride favorito da Domiziano, Apolausto che brillò sotto Traiano. Pantomimi scrissero Lucano e Stazio.

E pari furono i contrasti e lo spregio che suscitarono. Augusto esiliò dall'Italia Pilade e fece flagellare Ila. Sotto Tiberio scoppiarono gravi disordini, in seguito ai quali "le case dei pantomimi furono interdette ai senatori; quando uscivano in pubblico, era proibito ai cavalieri d'accompagnarli; era vietato loro di prodursi altrove che in teatro; ed era data facoltà ai pretori di punire con l'esilio il contegno scandaloso degli spettatori" (Tac., Ann., I, 77).

L'interlocutore moralista del dialogo lucianeo si sdegna di vedere "un uomo effeminato, che in molli vesti e in lascivi canti si vezzeggia, e rappresenta una donnetta innamorata, una di quelle antiche impudicissime, le Fedre, le Partenopi, le Rodopi, e tutto questo a cadenze, a gorgheggi, battute di nacchere con i piedi". In verità, fino al sec. IV d. C., le parti femminili furono sostenute da uomini. Quando nel pantomimo entrarono le donne, non poterono che dilagarne erotismo e immoralità. Pantomima fu quella Teodora che Giustiniano sollevò al trono imperiale. La morale cristiana fu nemica del balletto peccaminoso, come del resto d'ogni altra forma drammatica, e, prevalendo, lo fece scomparire.

Medioevo ed età moderna. - La pantomima si ritrova alle origini del melodramma, nelle primitive azioni sceniche che precedettero la sacra rappresentazione, via via sviluppandosi, o in dipendenza di quello, innestata nell'azione drammatica a guisa d'intermezzo, o facente parte a sé stante di uno spettacolo teatrale. Le pantomime con musica, per lo più d'argomento mitologico o cavalleresco, con allusioni simboliche agli alti personaggi in onore dei quali venivano rappresentate, erano già molto diffuse nel sec. XV presso le corti d'Italia e di Francia, presentando fin d'allora quei caratteri fondamentali che poi hanno conservato nell'epoca moderna sotto il nome di ballo o balletto.

Elementi costitutivi delle pantomime furono in Francia quelle Momeries, Entremets, Moresques, Tournois, che precedettero la Mascarade del sec. XVI, e in Italia i Trionfi, le Mascherate, gli Intermezzi; spettacoli concepiti, con lusso di fantasiose coreografie e decorazioni sceniche, nella magnificenza delle corti principesche. La più complessa e fastosa espressione a cui giunse questo genere fu, attraverso le varie derivazioni, Le Ballet comique de la Reyne, ideato e allestito dall'italiano Baltazarini e rappresentato a Versailles nel 1581. Appunto alla corte di Francia la pantomima ebbe gran voga, e in una forma tutta speciale; non solo la più eletta nobiltà, ma i re stessi, come Luigi XIII e Luigi XIV, si compiacevano prendere parte all'esecuzione.

Nelle opere di Lulli la pantomima occupa tutta una parte, si può dire quasi indipendente dal resto dell'opera e generalmente il prologo, di carattere allegorico e allusivo agli avvenimenti più recenti della vita militare o galante del re. Ma all'azione mimica sono ancora sovrapposte parti di canto (arie, duetti, cori), così come nelle comedies-ballets dello stesso Lulli. Si deve a J.-G. Noverre (1727-1810), maestro di ballo e direttore delle feste alla corte di Francia, l'avere ricondotto la pantomima ai suoi caratteri più tipici ed essenziali, escludendo del tutto la parola sia cantata che recitata.

Il Gluck chiama pantomima la scena che inizia il terzo atto del suo Orfeo (1762), costituita esclusivamente da danze. E lo stesso titolo porta pure una delle più belle scene della Presa di Troia di H. Berlioz (1856): Andromaca e suo figlio Astianatte vengono silenziosamente a deporre fiori ai piedi dell'ara, in presenza del re Priamo e del coro che mormora esclamazioni di pietà.

Confondendosi nella terminologia con il "ballo", la pantomima, nei suoi ulteriori sviluppi, segnati anche da periodi di decadenza, fino ai nostri giorni ha continuato a godere del favore del pubblico, orientandosi, quanto a contenuto espressivo, a seconda dell'evolversi del gusto e del grado di cultura dei coreografi e dei compositori. Così dal ballo enfatico e macchinoso, benché talvolta splendidamente coreografico, dell'ultimo trentennio del sec. XIX, (L. Délibes, A. Messager, R. Marenco, ecc.), si è giunti alle espressioni moderne di I. Stravinskij, S. Prokofiev, A. Casella, O. Respighi, G. F. Malipiero, R. Pick-Mangiagalli, ecc., in cui anche la concezione coreografica è meditata sulla base di una sensibilità estetica e decorativa più raffinata. È da rilevare il contributo di novità apportato dall'elemento folkloristico (costumi, leggende, ritmi) che ha dato modo ai musicisti di esaltare e di affermare i caratteri di nazionalità, come ad es. il folklore russo nel Peiruška di Stravinskij e quello siciliano nella Giara di Casella.

Bibl.: Antichità classica: Broadbent, History of pantomime, Londra 1901; H. Bier, De saltatione pantomimorum, dissert., Bonn 1917; H. Wagenvoort, Pantomimus und Tragödie im Augusteischen Zeitalter, in Neue Jahrbücher für das klassische Altertum, 1920, pp. 101-113; C. Albizzati, Pantomimus, in Rendiconti della Pontificia Accademia romana di archeologia, V (1928), pp. 27-31; L. Robert, Pantomimen in griechischen Orient, in Hermes, LXV (1930), pp. 106-122; Christ-Schmid, Gesch. d. griech. Litter., II, i, Monaco 1920, p. 339; II, ii, Monaco 1924, pp. 685, 958; L. Friedländer, Darstellungen aus d. Sittengeschichte Roms, II, 10ª ed., Lipsia 1922. La migliore trattazione moderna è in Daremberg e Saglio, Dictionnaire des antiquités grecques et romaines, IV, p. 316 segg. Per l'epoca medievale e moderna, R. Rolland, Musiciens d'autrefois, Parigi 1908; E. Desideri, La musica contemporanea, Torino 1930; R. Haas, Aufführungspraxis der Musik, in Handbuch der Musikwissenschaft, Postdam 1931. V. inoltre la bibliografia alla voce ballo.