DE MATTEIS, Paolo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 38 (1990)

DE MATTEIS, Paolo

Paola Santucci

Figlio di Decio e di Lucrezia Orico, nacque nella piana del Cilento (secondo G. De Crescenzo, Diz. stor. biogr. d. ill. salernitani, Salerno 19373 p. 155: Piano di Orria, prov. di Salerno) il 9 febbr. 1662; il De Dominici (pp.313 s.) ne scrisse una dettagliata biografia, dalla quale risulta che "infin dagli anni della puerizia si mostrò inclinato alla pittura, laonde il padre per secondar il suo genio lo condusse a Napoli ove ... andò disegnando nelle chiese le opere de' più rinomati maestri di quel tempo. Ma fu interrotto questo studio da suo padre che per consiglio di amici volle fargli apprender lettere, come scala per la quale si ascende più felicemente a' grandi onori ... Ma dopo qualche tempo ... supplicò il padre a lasciarlo" ritornare alla pittura.

Il D. fu prinia allievo di Luca Giordano (ibid., p. 314), che influì visibilmente su tutta la sua produzione, poi, intorno al 1682, si recò a Roma dove venne presentato da Gasparo de Haro y Guzmán, marchese del Carpio, al pittore Giovanni Maria Morandi, che lo introdusse all'Accademia di S. Luca, vero crogiuolo di esperienze moderato-barocche sulla linea dei dettami del teorico Giovan Pietro Bellori e del pittore Carlo Maratta. A Roma il D. "si diede ad osservare, e disegnare l'opere de' migliori maestri della Romana Scuola" (ibid., p. 315) e probabilmente entrò in contatto con il nutrito gruppo di artisti francesi presenti in città, schierati sul fronte classicistico che accomunava al tempo Roma a Parigi. Nominato il marchese del Carpio viceré di Napoli (1683), il D. tornò a Napoli, di nuovo alla scuola del Giordano, che aveva appena lasciato Firenze.

Erano questi gli anni in cui la situazione artistica napoletana registrava una felice oscillazione tra un luminoso linguaggio barocco non immune da influssi cortoneschi e il superamento del naturalismo in nome di un'adesione al nuovo stile importato dal Giordano. Quest'ultimo mostrava infatti una dualistica caratterizzazione di esperienze: da un lato il classicismo di Poussin e di P.F. Mola e dall'altro una visione più propriamente barocca che si rifaceva a P. Berrettini, a P. P. Rubens e a G. Lanfranco.

Nell'arte del D. si verifica una sintesi dei modi del Giordano e del Maratta, com'è visibile nell'Allegoria delle arti (Malibu, Cal., P. Getty Museum, firmato e datato 168 ...; ill. in Ferrari, 1970, p. 1259).

Dal 1686 il D. risulta iscritto alla congregazione dei pittori, strettamente legata alla Compagnia di Gesù, che aveva sede nella casa professa dei gesuiti. Nel 1690 la Madonna col Bambino della chiesa napoletana di S. Giovanni dei Fiorentini aprì la lunga serie di immagini devote dipinte dal D. e attestò altresì la sua adesione al classicismo marattesco.

In questi anni eseguì ancora: LaMadonna col Bambino, s. Liborio e altri santi (Napoli, chiesa di S. Liborio); Adamoed Evapiangono Abele (Copenaghen, Statens Museum for Kunst); Venere e Marte (Venezia, coll. priv.; cfr. Pilo, 1960); Betsabea (Londra, National Gallery); Caccia di Diana (Parigi, Louvre); S. Mauro guarisce gli infermi (Arezzo, badia delle Ss. Fiora e Lucilla); Martirio di s. Alessandro (Melfi, cattedrale); Galatea (Milano, Brera); Miracolo di s. Antonio (Napoli, S. Maria di Montesanto). Particolarmente importante è, tra il 1690 e il 1692, l'esecuzione delle ventidue tele inviate ai gesuiti del collegio imperiale di Madrid (chiostro di S. Isidoro), probabilmente commissionate dal conte di Benavides; qui sono anticipati modi e soggetti poi affrontati tra il 1693 ed il 1697 nella chiesa napoletana di S. Ferdinando: Episodi e gesta della vita dei ss. Ignazio e Francesco Saverio, ancora una volta esempio della perdurante adesione al linguaggio giordanesco sia pure in più ridotta gamma coloristica. Ancora di rilievo sono la commissione delle undici tele per la chiesa delle clarisse a Cocentaina (Alicante, Spagna, 1693-96 c.) e quella degli affreschi per il Gesù Nuovo (Napoli, firm. e dat. 1698).

Allo scadere del secolo il linguaggio pittorico del D. subì una graduale sterzata verso modi di più contenuto classicismo. Non è improbabile che a ciò contribuisse la presenza a Napoli di Luigi Garzi, già conosciuto a Roma dal De Matteis. In ogni caso, da un giordanismo ancora bene evidente nel 1699 il maestro passò a un composito gusto arcadico che si unì a elementi di tipo quietista professati dal padre Antonio Torres da lui frequentato. Nel 1699 gli affreschi (firmati e datati) della volta della farmacia della certosa di S. Martino a Napoli (De Martini, 1975, figg. 4-7) denunciano quest'orientamento insieme con un ben preciso significato ideologico: i rimedi alle malattie degli uomini possono essere garantiti dai certosini erboristi solo se assistiti dalla Madonna e da s. Bruno fondatore e protettore dell'Ordine, secondo una concezione proforidamente lontana dai pur contemporanei orientamenti scientifici. L'inizio del nuovo secolo segnò nel pittore un più. evidente distacco dal Giordano.

La progressiva normativizzazione dell'esperienza giordanesca culminò nel 170001 con la ripresa dei modi neornaratteschi che Francesco Solimena, tornato da Roma, sperimentò dopo il S. Cristoforo di S. Anna dei Lombardi a Napoli.

Sono di questi anni il S. Tommaso di Villanova (già a Napoli, S. Maria Egiziaca), il S. Giovanni della chiesa di S. Giovanni ad Ottaviano, la Natività e la paletta dell'Assunta per la chiesa dell'abbazia di Montecassino (firmata e datata 1702; cfr. De Martini, 1975, pp. 216 ss.).

Nel 1703, su invito del duca d'Estrées che era stato a Napoli al seguito di Filippo V, il D. si recò a Parigi con un suo allievo, Giuseppe Mastroleo, per restarvi fino al 1705 protetto da Luigi XIV.

Gli intenti di razionalizzazione arcadico-marattesca perseguiti dal maestro erano infatti congeniali ai coevi orientamenti della pittura francese ufficiale. A Parigi il D. partecipò al clima culturale del momento fondato sull'abbandono dei soggetti artistici a carattere profano e paganeggiante a favore di una pittura apologetica e celebrativa, di memoria lebruniana e di stampo religioso. Entrato in contatto con i pittori attivi alla decorazione della cupola di St. Louis-des-Invalides, subì l'influsso in particolare di P. Mignard, morto di recente, del quale vide, oltre le languide Madonne e i già citati affreschi agli Invalides, anche i lavori eseguiti per la chiesa di Val-de-Grâce e per Versailles. A Parigi il D. lavorò anche per il banchiere Pierre Crozat, affrescando alcuni ambienti del suo palazzo (Loret, 1934, p. 543), per il banchiere Thèvenin, per la casa Clérambault, per la Compagnia delle Indie e per la chiesa dei celestini (De Martini, 1975, pp. 215 s.).

Se si esclude il Diana e Atteone (Monaco, Bayerisches Nationalmuseum), in cui si ravvisano elementi paesaggistici alla Beich, desunti o dai dipinti inviati in Italia dal maestro o da una conoscenza diretta tra i due (è documentato un soggiorno di J. F. Beich a Napoli posteriormente al 1700), la produzione del D. non mostra in questa fase novità di sostanziale rilievo soprattutto in relazione alle nuove tendenze che venivano emergendo nell'ambiente napoletano: quelle ariose e movimentate del Giordano della cupoletta del Tesoro di S. Martirio o gravi e cadenzate dai contrasti luministici delle tele di S. Maria, Egiziaca, le altre programmaticamente antibarocche del Solimena, quelle, infine, rococò rappresentate soprat.tutto da Ferdinando Sanfelice e Domenico Antonio Vaccaro.

Prima (P. D, a Guardia..., 1989, p. 74) o dopo il viaggio a Parigi (De Martini, 1975) il D. eseguì gli affreschi della volta della chiesa di S. Sebastiano a Guardia Sanframondi (Benevento); nel 1707 dipinse le Storie della vita di s. Nicola di Bari in S. Nicola alla Carità a Napoli; l'anno successivo era impegnato in S. Anna dei Lombardi (Madonna delle Grazie con i ss. Mauro e Placido, dai modi bolognesi e correggeschi nonché santafediani; affreschi con S. Bernardo in gloria; Virtù). Nel 1711 decorò la sede della congregazione dei pittori nella casa professa dei gesuiti, "e fece nel mezzo della volta la pittura, ... in atto di dipingere per ordine dell'Eterno Padre ... l'Immaculata concezione di Maria" (De Dominici, p. 326) e altre raffigurazioni sulle pareti. Pur continuando a lavorare per gli innumerevoli ambienti ecclesiastici, passato il Regno sotto il dominio austriaco, fu nell'ambito del ceto civile ed aristocratico, ora assurto a posizioni di particolare privilegio, che maturarono molte nuove commissioni: per il palazzo del viceré conte W. Daun a Vienna tra il 1713-19 eseguì "Ercole coronato dalla Gloria ed assistito dalla Giustizia, dalla Fortezza e dal valore, mentre la Verità e il tempo tenean l'invidia, e la maldicenza abbattute" (De Dominici, p. 332); per Eugenio di Savoia l'Allegoria per il trionfo di Eugenio di Savoia alla battaglia di Zenta (Bernard Castle, Bowes Museum, Inghilterra), di cui una seconda versione autografa è nel castello di Opocno; per il castello di Pommersfelden una Galatea e un'Aurora con il carro del Sole (Schleier, 1979, pp. 66-69, figg. 55 s.).

Nel 1711 conobbe il filosofo inglese A. A. Cooper, terzo conte di Shaftesbury, il quale l'anno seguente gli commissionò un Ercole al bivio (Gile's House, Dorset, Inghilterra; replica firmata e datata 1712 alla City Art Gallery and Temple Newsam House di Leeds, Inghilterra; due repliche ancora a Monaco, Bayerisches Nationalmuseum; per queste ultime cfr. G. M. Pilo, 1960, figg. 60a, 60d).

Di questo dipinto lord Shaftesbury forniva indicazioni programmatiche nell'Essay on painting being a notion of the historical draught or tablature of the Judgement of Hercules (London 1713). Fondato sull'antico tema di Prodico di Ceo, tramandato da Senofonte nei Memorabilia Socratis, ildipinto è un exemplum virtutis d'impronta socratico-platonica, il cui significato consiste nell'affermazione che non la strada delle apparenze sensibili indicata dalla voluttà bisogna perseguire, ma quella più ardua che procede per gradi di elevazione spirituale.

Per Aurora Sanseverino, duchessa di Laurenzana ed arcade napoletana, il D. esegui un'Annunciazione (SaintLouis, Missouri, City Art Museum; efr. Civiltà..., 1979, I, p. 152). Mentre era in piena attività a Napoli (decorazione perduta della cupola del Gesù Nuovo; tele per la cappella degli avvocati ai Ss. Apostoli; diciotto tele con Storie della Madonna perS. Gregorio Armeno), il D. si recò in Puglia, dove eseguì nel 1713, nel cappellone del duomo di Taranto, affreschi con l'Apoteosi di s. Cataldo e, nella chiesa di S. Giacomo della stessa città, tre dipinti ispirati al Reni e al Maratta. Per la chiesa del Purgatorio a Monopoli eseguì la Madonna delle anime del Purgatorio, per quella di S. Lorenzo a Laterza il Martirio di s. Lorenzo; infineper S. Croce in Bisceglie l'Incoronazione della Vergine.

Tornato a Napoli nel 1713, eseguì in quest'anno l'Immacolata (Napoli, chiesa di S. Brigida) per i signori Gervasini. In questo periodo perduravano le sue posizioni classicistiche; da queste sembra distaccarsi nell'Allegoria della pace di Utrecht e della pace di Rastadt, celebrantela fine delle ostilità per la successione al trono di Napoli, sancita dall'avvento al trono di Carlo VI, ex candidato degli Asburgo al trono di Spagna: della tela originale, oggi a Capodimonte, rimane soltanto la parte centrale con l'autoritratto del D. ed alcune figure residue della grande allegoria.

Questo dipinto, ispirato al Rubens che dipinge l'allegoria della Pace del Giordano, è una contaminazione, di due generi, lo storico e il ritrattistico, ed è eseguito in chiave di luminoso giordanismo, con rapide stesure cromatiche. Sottolinea inoltre l'intenzione del maestro di dichiarare la sua personale adesione al nuovo assetto politico che gli consentiva, sotto gli auspici della ritrovata pace, di poter esplicare serenamente la sua attività nella tranquillità domestica, come denuncia il suo abbigliamento in veste da camera. t quanto appare in una copia in coll. Jedding ad Amburgo ed in un bozzetto nella S. C. Blaffer Foundation di Houston (Civiltà del '700..., 1979, p. 155, fig. 61).

Ripresi i consueti modi stilistici, il D. continuò ad inviare dipinti in Puglia e nel Napoletano; nel 1721 eseguì l'Apparizione dell'Immacolata a s. Bruno per la chiesa dell'Addolorata in Serra San Bruno. Eseguiti nel 1721-22 affreschi e quadri per il duca di Monteleone don Nicolò Pignatelli (De Dominici, p. 323), nel 1723 il D. tornò a Roma, dove si trattenne fino al 1726, per servire il card. M. de Polignac già conosciuto a Parigi. Qui incontrò il napoletano card. V.M. Orsini, poi papa Benedetto XIII, il quale lo accolse "con grande amorevolezza" (ibid., p. 333). La sua permanenza a Roma non fornì al D. nuovi spunti culturali, essendo l'ambiente pittorico fermo sulle note posizioni di classicismo barocco dei seguaci del Maratta e dei francesi lì presenti. A Roma, oltre che per i committenti di area ecclesiastica e papale, egli lavorò anche per alcuni aristocratici portoghesi (ibid., p. 334), a dispetto di un ambiente che male accoglieva la boriosità del suo carattere, come testimoniano le lettere di Onofrio Avellino a Solimena (ibid., p. 335). Per papa Innocenzo XIII Conti firmò e datò nel 1723 il Miracolo del beato Andrea Conti d'Anagni (oggi in coll. Rosenberg a Parigi; De Martini, 1975, p.226 n.43; cfr. anche Spinosa, 1986, p. 138 e fig. 157).

La produzione degli ultimi anni mostra ormai il D. convinto esecutore di uno stanco formulario accademico sulla base del riferimento costante al Giordano e al Maratta: Madonna della Pace e Madonna della Cintura (Benevento, Museo del Sannio); Transito di s. Giuseppe e S. Camillo De Lellis (Napoli, chiesa del Chiatamone); Raccolta della manna, Oblazione di Melchisedec, Il serpente di bronzo, Sacrificio d'Isacco (parrocchiale di San Paolo d'Argon presso Bergamo; Dreoni, 1979, pp. 70-73); Vocazione di s. Matteo (Messina, già chiesa delle Anime del Purgatorio, Museo nazionale; cfr. Barbera, 1980).

Il D. morì a Napoli il 26 luglio 1728 e fu sepolto nella chiesa della Concezione.

Il D. aveva sposato in prime nozze Rosolena Perrone, figlia dello scultore Michele, e in seconde nozze la figlia dell'avvocato Francesco Di Agostino. Tre figlie, avute dalla prima moglie, furono pittrici e sono ricordate dal De Dominici all'interno della biografia del padre.

Mariangiola, la prima e la più dotata, raggiunse risultati superiori a quelli delle altre due sorelle Felice ed Emmanuella. Merita adeguata considerazione il fatto che Mariangiola, sotto la direzione patema "disegnò ragionevolmente a concorrenza de' migliori scolari del Padre" (De Dominici, p.349). Inoltre la sua attività pittorica è giudicata "con lode" soprattutto riguardo agli esiti nella ritrattistica, ritenuta la sua specialità.

Dei "moltissimi quadri" da lei eseguiti, "parte copiati dal Padre, e parte d'invenzione", non vi è attualmente alcuna traccia. Riguardo al profilo biografico andrà ricordato il suo primo matrimonio con il "Dottor Marco Carcano, Regio Uditore in Provincie del Regno" (De Dominici, p. 349) cui seguirono le seconde nozze con l'avvocato Onofrio Roseti.

Il De Dominici sottolinea la continuità della sua attività pittorica, non interrotta dalle vicende familiari ed il suo amore per la pittura, che tuttavia non fu sufficiente a consentirle di raggiungere la "perfezione" del padre.

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