FINOGLIO, Paolo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 48 (1997)

FINOGLIO (Finoglia), Paolo (Paolo Domenico)

Valentina Antonucci

Non si conoscono gli estremi biografici precisi di questo pittore che, secondo De Dominici (1743), nacque ad Orta d'Atella (Napoli) intorno al 1590. Proveniente forse da una famiglia di estrazione borghese, se è vero che frequentò una scuola di lettere, fu condotto a Napoli ancora giovane dai suoi geniton, e "per lo genio ch'egli avea alla pittura fu messo sotto la direzione di Battistello Caracciolo, nella cui scuola fece molto profitto", senza lasciare. peraltro, di "frequentare anche la scuola del Cavalier Massimo, alla quale grandemente si affezionò e vi fece molto studio, per lo che riuscì Valentuomo ..." (ibid., pp. 115 s.).

La notizia della nascita in Orta d'Atella non è stata finora confermata da alcun documento: resta il fatto che il F., nelle opere firmate e nei documenti superstiti, compare come "Paulus Finolius Neapolitanus" (né mai si legge quel secondo nome, Domenico, aggiunto dal De Dominici, ibid.; D'Orsi, 1938, p. 56; Civiltà del Seicento..., 1984, p. 139). Per quanto riguarda il presunto discepolato presso Battistello Caracciolo e Massimo Stanzione, può dirsi notizia certamente falsa nell'aneddotica formulazione del De Dominici, ma illuminante per alcuni aspetti dell'evoluzione stilistica del pittore.

Seguendo alcuni indizi, già noti da tempo agli studiosi, che rivelavano un rapporto del F. con la provincia salentina (in primo luogo aveva sposato una donna di Lecce: Marangelli. 1979, p. 3), è stata attuata una puntuale ricognizione del patrimonio pittorico secentesco locale che ha permesso di delineare con chiarezza l'attività del pittore a Lecce e nel Salento, a partire dal secondo decennio del Seicento (Barocco..., 1995, p. 4).

A Lecce, nella chiesa domenicana di S. Giovanni Battista, è stata identificata la più antica opera firmata del F., un Sacrificio di Isacco, su cui compare anche una data di cui è leggibile un "MDCX" (ma non si può escludere che a questo seguisse un'altra cifra). Il dipinto è parte di una serie di quattro Storie di Abramo, omogenee nella concezione e nello stile, tutte sicuramente attribuibili alla stessa mano (ibid., pp. 44 s.). Sua è forse anche la Sacra Famiglia con ritratto di Prelato ritrovata nei depositi del seminario vescovile di Lecce. Si tratta di un dipinto vicino alle Storie di Abramo, di cui ripete nel S. Giuseppe la fisionomia del patriarca.

Altro possibile precedente del lavoro per i domenicani è la tela con i Ss. Andrea e Caterina della cattedrale di Ugento, senza firma né data, ma attribuita al F. da vari studiosi (Galante, 1979, p. 287; Pugliese, 1984, p. 531; Barocco..., 1995, p. 46). Nella diocesi ugentina, a Supersano, il F. aveva lasciato anche un altro dipinto, datato 1616, ora disperso, raffigurante la Vergine degli angeli con i ss. Rocco e Giovanni Battista (Galante, 1985, pp. 62, 67 n.8).

Appartengono ad una fase più matura dell'artista una serie di importanti tele leccesi, per lo più attribuite ad un imprecisato, tardo seguace del F. (Galante, 1979, p. 287; D'Elia, 1982, p. 230). Si tratta dei due dipinti con il tema della Regina virginum et martyrum della chiesa del Gesù (Barocco - 1995, p. 47); della tela con Il martirio di s. Orsola e delle compagne, eseguita per i carmelitani (ibid., pp. 47 s.); infine, sempre al Carmine, della Vergine del Carmelo e due santi carmelitani, attualmente nel controsoffitto ligneo della chiesa (attribuito al F. già in Paone, 1979, p. 258, fig. 434).

L'esame delle opere fin qui citate conferma in modo definitivo l'ipotesi già avanzata da alcuni studiosi sul percorso formativo dell'artista: certamente il F. apprese il mestiere in una delle tante botteghe tardo-cinquecentesche fiorenti a Napoli, assimilando il cromatismo e gli stilemi compositivi ed espressivi della pittura manieristica postridentina (Causa, 1972, pp. 934-936). Si può ipotizzare ch'egli sia entrato in contatto giovanissimo, forse come apprendista, con Ippolito Borghese, come confermerebbe lo stile delle opere salentine. Né è da escludere che, ancora a Napoli, il F. abbia lasciato prove difficilmente distinguibili dalla produzione minore della bottega del Borghese: è il caso del S. Andrea Avellino in S. Paolo Maggiore, a lui riferito (Leone de Castris, 1991, p. 316 n.25).

Con ogni probabilità, proprio grazie ai consolidati rapporti del Borghese con la provincia salentina (Galante, 1988, p. 50), il F., terminato il suo apprendistato, approdò a Lecce, città che allora maturava una profonda trasformazione di gusto e di committenza artistica volgendosi dal tradizionale "venetismo" d'importazione ad un vivo interesse per la produzione napoletana. Qui la pittura del F. era destinata ad avere successo anche perché, nella rassicurante cornice di stilemi devoti e decorativi (gli angioletti ingioiellati, i trionfi di nuvole, i parmeggi serici e sovrabbondanti), introduceva alcune novità attualissime di naturalismo "prima maniera": audaci scorci di piedi in primo piano, lavorati con realismo caravaggesco; ombre che vanno a scavare nella materia preziosa delle stoffe.

Nel capoluogo salentino il F. stabilì la propria residenza per un lungo periodo e, probabilmente, conobbe Rosa Lolli, la donna che sarebbe divenuta sua moglie (sicuramente prima del 6 maggio 1623, come è documentato in una carta notarile) e seguito prima a Napoli, poi di nuovo in Puglia, a Conversano, al servizio del conte Giangirolamo (II) d'Acquaviva. Dal matrimonio nacquero due figli, Beatrice e Giuseppe (Marangelli, 1967, pp. 196, 205-207).

Si trasferì a Napoli qualche tempo dopo, considerato che soltanto tre anni dopo, nel maggio 1626, il F. ricevette il saldo dei pagamenti per una delle sue opere di maggior prestigio, la grande tela della Circoncisione, che egli stesso dichiara "fatto di mia mano et posto nel capitulo dentro la chiesa di Santo Martirio supra Napoli ..." (Faraglia, 1892, pp. 658 s.). All'inizio dell'ottobre 1626 ricevette inoltre il saldo per un dipinto con Le dieci vergini del Vangelo (perduto), eseguito per il monastero napoletano della ss., Trinità delle Monache (Nappi, 1988, pp. 140 s.). C'è da ritenere che la sua attività napoletana fosse già avviata da qualche tempo, se i certosini lo scelsero per eseguire un dipinto importante come la Circoncisione (e forse anche, stando ad alcune antiche guide napoletane, l'originaria pala con Gesù tra i dottori nel capitolo, poi sostituita con quella di Mura tuttora visibile: Causa, 1978, p. 52). Ma soprattutto fa propendere per un suo ritorno a Napoli non molto dopo il maggio 1623 il fatto che il dipinto di S. Martino ci rivela un F. straordinariamente evoluto: il passaggio dalla prima alla seconda maniera dell'artista appare in questa grande tela già perfettamente maturato, palesemente sulla falsariga del filone pittorico del naturalismo. Alle spalle della Circoncisione si intravede cioè una approfondita meditazione sugli esiti del caravaggismo "riformato", da Battistello Caracciolo a Simon Vouet (Causa, 1972, pp. 934 s.). Probabilmente tale meditazione era iniziata fin dall'arrivo dell'artista a Napoli, dopo anni di relativo isolamento in provincia: e forse proprio al primissimo periodo napoletano, più che all'ultimo salentino, è da riferirsi un'opera come Tobiolo e l'angelo della parrocchiale di Alessano (Lecce), concepito, sia pur con qualche concessione alla vecchia maniera, come un vero e proprio omaggio a Carlo Sellitto e al Caracciolo (ai quali è stato anche alternativamente attribuito: D'Elia 1982, p. 191, fig. 223; Barocco..., 1995, p. 50).

Esito felicissimo di questo primo naturalismo finogliesco sono le dieci lunette ad olio con i Santi fondatori di Ordini religiosi, anch'esse nella sala del capitolo di S. Martino, coeve o forse addirittura di poco precedenti la Circoncisione (D'Orsi, 1938, p. 66).

Altra esperienza fondamentale del primo periodo napoletano fu la collaborazione con il Borghese al polittico della chiesa di S. Antonio a Lauria, in Basilicata, probabilmente completato dal F. come suggerisce un pagamento a lui effettuato il 26 marzo 1627 (Nappi, 1990, p. 170). Di derivazione borghesiana è la grande pala con la Vergine apocalittica e santi per la chiesa di S. Maria della Serra a Tricase, vicino Lecce, opera tradizionalmente negata al F. (D'Elia, 1964, p. 145) sulla base di una data spuria un tempo visibile sul cartiglio della firma (D'Orsi, 1938, p. 59): cartiglio su cui perfettamente si legge, dopo il restauro, "Paulus Finolius Neapolitanus" (Barocco..., 1995, p. 49). Ancora una ripresa di spunti borghesiani si trova in due dipinti ora in S. Giovanni Evangelista a Lecce, ma eseguiti per la chiesa del Carmine: si tratta delle due tele con i Ss. Angelo e Giuseppe e i Ss. Giovanni Battista e Giovanni della Croce in cui il F. innesta con più decisione un luminismo dì tipo caravaggesco (Galante, 1985, p. 62). Come per la pala di S. Maria della Serra, una datazione al 1626-27 sembra molto verosimile per questi due dipinti.

Del 1629 è la commissione della pala d'altare, raffigurante l'Immacolata Concezione, per la cappella Bonaiuti in S. Lorenzo Maggiore a Napoli (Strazzullo, 1955, p. 40; Marangelli, 1967, p. 195). Per i francescani di S. Lorenzo il F. aveva dipinto, forse poco prima della pala Bonaiuti, un'altra Immacolata Concezione, attualmente conservata nel deposito del Museo di S. Lorenzo. Questa tela sembra riferirsi ancora a modelli tardomanieristici, su cui però il F. felicemente innesta un luminoso cromatismo e il trattamento illusionistico delle stoffe che caratterizzano la pala Bonaiuti e altre sue opere coeve. L'Immacolata della cappella Bonaiuti dovette avere un discreto successo se il F. stesso la riprodusse, con poche varianti, nella chiesa di S. Lorenzo a Montesarchio (Pacelli 1983, p. 124, fig. 44) e probabilmente diverse copie ne furono messe in circolazione, autografe o di collaboratori (il F. era dedito, durante glì anni napoletani, all'attività di copia e vendita di quadri: Marangelli, 1967, pp. 196, 208). Una copia superstite si trova ora nel Musée des Beaux-Arts di Lilla (ibid., p. 124, fig. 47; Spinosa, 1984, tav. 352).

Altre due sono le tele napoletane, non databili con precisione ma entrambe caratterizzate dal medesimo gusto pittorico che si esprime nei dipinti per S. Lorenzo: la Vergine con s. Teresa d'Avila nella chiesa di S. Maria Donnaromita (Civiltà…, 1984, p. 272) e la grande Vergine col Bambino e i ss. Margherita, Antonio e Bernardo, dipinta per la chiesa dei Ss. Bernardo e Margherita a Fonseca (D'Orsi, 1938, p. 340), attualmente conservata nel Museo di Castelnuovo (Civiltà..., 1984, p. 273; Spinosa, 1984, tav. 348). L'Annunciazione che si trovava in S. Francesco delle Monache (D'Orsi, 1938, p. 61, fig. 3) è andata distrutta durante l'ultima guerra (Bologna, 1991, p. 69, figg. 43 s.). Infine va citato, come opera di alta qualità e verosimilmente autografa, il Padreterno benedicente, frammento di un polittico perduto, conservato nella chiesa di S. Maria dei Sette Dolori (Civiltà..., 1984, p. 275).

È assai probabile che nello stesso arco di tempo il F. abbia prodotto anche un buon numero di opere destinate ad arredare le residenze signorili come suggerisce un documento di pagamento eseguito dal Banco della pietà nel marzo 1627 da parte di donna Lucrezia Cardenas principessa di Squillace "in conto di lavori che l'avrà da fare" (Strazzullo, 1955, p. 40; Marangelli, 1967, p. 195). Sono state recentemente avanzate alcune proposte di attribuzione: tra le più interessanti, quelle di un caracciolesco S. Giovanni Battista in collezione privata romana (Bologna, 1991, p. 66 fig. 38), del dipinto con Giuseppe e la moglie di Putifarre, già nella collezione Kress ed ora al Fogg Art Museum di Cambridge (Spinosa, 1984, tav. 351; Bologna, 1991, pp. 69, 291) e della piccola tela con Cristo e l'adultera (Lecce, collezione privata: Barocco, 1995, p. 36). Di committenza privata doveva essere anche il Martirio di s. Sebastiano già nella collezione Longhi (ora a Capodimonte), per il quale l'attribuzione al F. sembra pertinente (Galante, 1988, pp. 52 s.). Secondo l'inventario del 1701 del palazzo del Buen Retiro, il F. avrebbe dipinto per la corte spagnola una serie di grandi tele con soggetti classici e biblici di cui rimane un Trionfo di Bacco (Tarragona, Museo, deposito del Prado: Pérez Sánchez, 1965, p. 392). È probabile che la commissione di tali dipinti fosse avvenuta a Napoli, da parte del viceré, e che l'esecuzione sì sia protratta per diversi anni, anche dopo il trasferimento a Conversano.

Il 27 ag. 1631 il F. ricevette dai monaci di S. Martino il saldo di un pagamento complessivo di 1200 ducati (Nappì, 1988, p. 147) per la più importante commissione ottenuta dal pittore a Napoli, cioè la decorazione della cappella dedicata al santo titolare nella certosa di S. Martino (Faraglia, 1892, p. 659).

I due dipinti laterali, ad olio, sono perduti; così è perduto anche l'altro dipinto eseguito dal F. per la cappella e citato nel medesimo documento di pagamento: un S. Martino, vescovo con tre puttini, destinato all'altare maggiore ma rifiutato dai committenti e restituito all'artista (Nappi, 1988, p. 147).

Gli affreschi con Storie di s. Martino, tuttora perfettamente conservati, divennero giustamente famosi: il De Dominici (1743, p. 115) vi si sofferma con profusione di elogi, citando l'ammirazione che aveva per essi F. Solimena; il F. rivela effettivamente negli affreschi di S. Martino una notevole maturità tecnica ed un ricco linguaggio narrativo (Spinosa, 1984, tav. 354 s.).

Il 27 nov. 1632 il F. viene citato, in veste di padrino, nel documento di battesimo di un nipote di Battistello Caracciolo (Marangelli, 1967, p. 196). Nel gennaio 1635 il suo nome compare in un documento notarile stipulato a Conversano, dove il F. viene detto residente (Marangelli, 1979, p. 3). Nel maggio dello stesso anno, tuttavia, il F. risulta di nuovo a Napoli, insieme con la figlia Beatrice e con il suo promesso sposo F.A. Alefante: essi stipulano il contratto di rinuncia ai beni paterni in cambio di una donazione di 2000 ducati fatta dal pittore alla figlia (Marangelli, 1967., pp. 196 s.). È questa l'ultima testimonianza della presenza del F. a Napoli; poi, fino alla morte. visse e lavorò principalmente tra Conversano e Monopoli.

L'ultima opera napoletana è la grande tela con il Battesimo di s. Aspreno, attualmente conservata a Castel Sant'Elmo (Napoli), ma eseguita per il presbiterio della cattedrale di Pozzuoli (Bologna, 1991, p. 291). Commissionata dal vescovo M. de León y Cardenas, che fu eletto nel 1631, la sua realizzazione si pone dunque tra la fine dei lavori in S. Martino e la chiamata del conte di Conversano (non più tardi della metà del 1634). In essa appare un assimilato influsso riberesco (Spinosa, 1984, tav. 361). Sulla base di un plausibile confronto con questo dipinto, è stata attribuita al F. la Messa di s. Filippo Neri dell'abbazia di S. Maria a Montserrat (Barcellona: Barroero 1989-1990, p. 217).

Nella città di Conversano, al servizio dell'Acquaviva e della consorte Isabella Filomarino, il F. fu per più di dieci anni protagonista della scena pittorica. L'opera più imponente è il ciclo di Episodi della "Gerusalemme Liberata" (Conversano, Municipio, Aula consiliare): dieci grandi tele ad olio in cui la grandiosità della concezione è pari alla qualità della pittura (D'Orsi, 1938, pp. 359-361; Spinosa, 1989, p. 470).

Se l'intervento di collaboratori vi fu, com'è ovvio, esso non determinò però vistose cadute di stile: i restauri hanno messo pienamente in luce come quelle parti che un tempo si credevano mediocri interventi della bottega fossero in realtà ridipinture successive (D'Elia, 1982, p. 216; Restauri..., 1983, pp. 52-54). L'esecuzione delle dieci tele (o almeno la gran parte dell'esecuzione) ha un suo presumibile terminus ante quem nell'anno 1643, in cui il conte di Conversano, accusato di lesa maestà, fu imprigionato a Napoli e poi a Madrid. Riabilitato, egli tornò a Conversano nel 1646, dopo la morte del F. (D'Elia, 1982, p. 218).

Legato alla stessa committenza è la decorazione pittorica della chiesa dei Ss. Cosma e Damiano in Conversano, costruita dopo il 1636, in cui l'intervento del F. appare di qualità inferiore rispetto al ciclo precedente.

Cinque sono le pale d'altare che originariamente ornavano gli altari delle cappelle: S. Domenico guarisce i ciechi (Spinosa, 1984, tav. 359), Il battesimo dei ss. Cecilia e Valeriano (D'Elia, 1982, fig. 245), Il martirio di s. Gennaro (ora collocata in un corridoio dell'annesso monastero; ibid., fig. 246), Il miracolo di s. Antonio da Padova, La Vergine appare a s. Rosa da Viterbo. L'eterogeneità dei soggetti, di cui soltanto gli ultimi due sono riferibili alle tradizioni agiografiche dell'Ordine francescano cui la chiesa era affidata, ha fatto ipotizzare che i primi tre dipinti non siano stati concepiti ed eseguiti insieme con gli altri due in un programma decorativo organico (D'Orsi, 1938, pp. 351 s.).

Probabilmente non sono autografi, ma eseguiti su cartoni o disegni preparatori del F., gli affreschi che decorano la volta della chiesa, completati, stando alla data che vi compare dipinta, nel 1650 (D'Orsi, 1938, pp. 368 s.).

Più difficile si presenta il compito di stabilire l'autografia di un altro ciclo di affreschi, commissionato dall'Acquaviva: quello, cioè, che decora il soffitto della camera dei conti nel castello di Conversano. Si tratta di una serie di ovali con Storie di Giacobbe, per i quali non esiste altro termine cronologico oltre a quello, già fissato per le tele della Gerusalemme, del 1643 (D'Elia, 1982, p. 221); a meno che non li si debba ritenere opere di bottega eseguite dopo la morte del F., come suggerirebbe la vicinanza compositiva e stilistica con gli affreschi di S. Cosma (D'Orsi, 1938, pp. 367-369; D'Elia, 1964, p.1 45).

L'attività pittorica del F. negli anni conversanesi si estende ad una serie di opere in cui si scorge in vana misura l'intervento di collaboratori.

In particolare si ricordano le tre tele che decorano il soffitto della chiesa dell'Annunciata ad Airola (ora in provincia di Benevento), databili ai primi anni di Conversano: Annunciazione, Madonna col Cristo (Spinosa, 1984, tavv. 349 s.) e Immacolata Concezione, in cui il F. riprende gli schemi compositivi e iconografici utilizzati nelle due versioni dell'Immacolata di S. Lorenzo a Napoli (Pacelli, 1983, p. 124, fig. 43). Si può riferire agli stessi anni anche il Padreterno benedicente nella chiesa di S. Antonio Abate di Campobasso, in cui il F. ripete, forse servendosi di collaboratori, il dipinto di S. Maria de' Sette Dolori a Napoli (Lattuada, 1984, pp. 177-185).

A Taranto (nell'episcopio) e nella vicina Grottaglie (chiesa del Carmine) si trovano rispettivamente una Apparizione di Cristo a s. Gaetano ed una Apparizione della Vergine col Bambino a s. Gaetano (Barocco..., 1995, p. 49), in entrambe le quali sono distinguibili vasti interventi di bottega (D'Elia, 1970, p. 14).

Per la chiesa dei paolotti di Conversano il F. eseguì una copia della pala di Iacopo Palma il Giovane, conservata nella cattedrale di Monopoli, con La Vergine col Bambino e i ss. Rocco e Sebastiano (D'Elia, 1964, p. 98). Il medesimo Ordine gli commissionò anche, per la chiesa di S. Angelo in Monopoli, la tela con La Vergine col Bambino e i ss. Eligio e Trifone (Spinosa, 1984, tav. 358), uno dei culmini artistici del F. (Russo Minerva, 1937; D'Orsi, 1938, pp. 348 s.).

L'ultima tela eseguita dal F. è considerata I ss. Benedetto e Biagio, eseguita per l'altare maggiore della chiesa di S. Benedetto a Conversano (Spinosa, 1984, tav. 360), in cui è evidente un autentico gusto "barocco", che l'avvicina alle coeve realizzazioni romane e nordeuropee (interessante l'accostamento con la statuaria beminiana proposto da D'Elia, 1970, p. 18).

Nei dieci anni trascorsi nel feudo degli Acquaviva il F. ebbe modo di integrarsi perfettamente nella società locale, intessendo una fitta rete di rapporti familiari e commerciali con esponenti delle classi medio-alte conversanesi e monopolitane. Una ricca documentazione attesta anche un'attività del F. nel campo della compravendita, del prestito e di altre imprese finanziarie (Marangelli, 1967, pp. 198, 208-210). Un importante riconoscimento sociale per lui furono, nel novembre 1642, le nozze della figlia Beatrice, rimasta vedova dell'Alefante, con il nobile conversanese G.B. Tarsia, alle quali fece da testimone Cosma Acquaviva d'Aragona, figlio primogenito del conte (Marangelli 1967, pp. 199-204).

Il F. morì tra l'aprile ed il settembre del 1645, lasciando al figlio Giuseppe, insieme con i beni, una lunga serie di debiti e di affari da portare a termine (ibid., 1967, p. 204).

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Lecce, Carte del notaio G.F. Gustapane, a.1623, fasc. 46-26, cc. 7478; B. De Dominici, Vite de' pittori, scultori e architetti napoletani, III, Napoli 1743, pp. 115 s.; N. Faraglia, Notizie di alcuni artisti che lavorarono nella chiesa di S. Martino sopra Napoli, in Arch. stor. per le prov. napoletane, XVII (1892), pp. 658 s.; L. Russo Minerva, Una nuova opera del F. ed altri quadri di Monopoli, in La Gazzetta del Mezzogiorno, 12 apr. 1937; M. D'Orsi, P.F. pittore napoletano, in Japigia, IX (1938), pp. 55-66, 195-209, 340-352, 368 s.; F. Strazzullo, Doc. inediti per la storia dell'arte a Napoli, in Il Fuidoro, II (1955), p. 40; Mostra dell'arte in Aglia dal Tardoantico al Rococò (catal.), a cura di M. D'Elia, Roma 1964, pp. 98, 145 s., 171; A.E. Pérez Sánchez, Pintura italiana del siglo XVIII en España, Madrid 1965, p. 392; F. Marangelli, P. F., in Arch. stor. pugliese, XX (1967), pp. 195-210; M. D'Elia - P. D'Elia, I pittori del Guercio. L'ambiente artistico conversanese ai tempi di Giangirolamo II, Molfetta 1970, pp. 14 s., 18, 26 s.; R. Causa, La pittura del Seicento a Napoli, in Storia di Napoli, V, Cava dei Tirreni 1972, pp. 934-936, 977; Id., L'arte nella Certosa di S. Martino, Napoli 1978, pp. 51 s.; R. Buono, Nota bibliografica su P. F., in Ricerche sul Seicento e Settecento in Puglia, I (1978-79), pp. 91-103; L. Galante, Sintonia e varianti della pittura salentina..., in Il rosone e la conchiglia. Arte e ambiente in Terra d'Otranto da Lepanto a Masaniello, Lecce 1979, p. 287; M. Paone, Chiese di Lecce, II, Galatina 1979, p. 258; Arte in Basilicata (catal.), Matera 1981, p. 108; Pittura napoletana da Caravaggio a Luca Giordano (catal.), Napoli 1982, pp. 180 s.; M. D'Elia, La pittura barocca, in La Puglia tra Barocco e Rococò, Milano 1982, pp. 191, 208-218, 221 s., 230, figg. 245 s.; Restauri in Puglia 1971-1981, Fasano 1983, pp. 48, 52-54; T. Matera De Bellis, P. F.L'altro sguardo, Fasano 1983; V. Pacelli, Giorgio marmoraro... e scultore nella cappella Bonaiuto in S. Lorenzo Maggiore di Napoli, in Ricerche sul Seicento napoletano, Milano 1983, p. 124; V. Pugliese, Pittura napoletana in Puglia, in Seicento napoletano. Arte, costume, ambiente, a cura di R. Pane, Milano 1984, pp. 203, 235, 531; R. Lattuada, Un inedito di P. F. a Campobasso, in Conoscenze, I (1984), pp. 177-185; Civiltà del Seicento a Napoli (catal.), a cura di N. Spinosa, Napoli 1984, pp. 139, 142, 272 s., 275; La pittura napoletana del Seicento, a cura di N. Spinosa, Milano 1984, tavv. 348-352, 354-361; L. Galante, Note in margine al "Seicento napoletano", in Ricerche sul Seicento napoletano, Milano 1985, pp. 62, 67; Id., Appunti per Vouet, Gargiulo e F., in Itinerari di ricerca storica, I, Galatina 1988, pp. 50, 52 s.; Barocco mediterraneo. Genova, Napoli, Venezia nei musei di Francia (catal.), Napoli 1988, p. 178; E. Nappi, Le chiese di Giovan Giacomo Conforto, in Ricerche sul Seicento napoletano, Milano 1988, pp. 140 s., 147; Musées de France. Répertoire des peintures italiennes du XVIIe siècle, a cura di A. Brejon de Lavergne, Paris 1988, p. 147; R. Buono, La Gerusalemme Liberata di P. F., in Ricerche sul Seicento e Settecento in Puglia, III (1984-89), pp. 109-126; N. Spinosa, La pittura del Seicento nell'Italia meridionale, in La pittura in Italia. Il Seicento, II, Milano 1989, pp. 468, 470, 509; A. Spinosa, ibid., p. 741; L. Barroero, Schede seicentesche: F., Vaccaro, Vanni e il "Maestro degli annunci", in Prospettiva, 1989-90, nn. 57-60, p. 217; E. Nappi, La chiesa di S. Eframo Vecchio a Napoli, in Ricerche francescane, XIX (1990), p. 170; Battistello Caracciolo e il primo naturalismo a Napoli (catal.), a cura di F. Bologna, Napoli 1991, pp. 66, 69, 290 s.; P. Leone de Castris, Pittura del Cinquecento a Napoli 1573-1606. L'ultima maniera, Napoli 1991, pp. 316, 322; Barocco a Lecce e nel Salento (catal., Lecce), Roma 1995, pp. 4, 36, 44-50.

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