FRISI, Paolo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 50 (1998)

FRISI, Paolo (al secolo Giuseppe)

Ugo Baldini

Secondogenito degli otto figli di Giovanni Mattia e di Francesca Magnetti, nacque a Melegnano, presso Milano, il 13 apr. 1728.

Il nonno paterno Antonio, nativo di Strasburgo (la forma originaria del cognome è ignota), era giunto in Lombardia come militare nell'esercito asburgico. Il padre operò negli appalti pubblici, procurando alla famiglia una certa agiatezza. Il primogenito, Antonio, fu medico e naturalista e allestì un orto botanico a Cinisello nella villa del conte D. Silva, storico, cultore di scienza e mecenate. Quando Antonio morì (1756), il F. divenne il principale sostegno della famiglia e a lungo ebbe preoccupazioni finanziarie. Filippo, magistrato, autore di un De imperio et jurisdictione (Milano 1777), visse con la famiglia, morendo verso il 1780. Altri due fratelli, Anton Francesco e Luigi, furono sacerdoti: il primo si segnalò come valente storico; il secondo, canonico di S. Ambrogio, ebbe anch'egli interessi eruditi e, sembra, scientifici.

Il padre morì precocemente, lasciando la famiglia in difficoltà economiche; nonostante ciò la vedova riuscì ad avviare i figli agli studi. In epoca imprecisata i Frisi si trasferirono a Milano; P. Verri ricordò che già nel 1741-42 il F., suo compagno nelle scuole dei barnabiti presso la chiesa di S. Alessandro (le Arcimbolde), emergeva per serietà e frequentava la biblioteca Ambrosiana. Nel 1743 il F. decise di entrare tra i barnabiti, e l'11 luglio venne ammesso nel noviziato di S. Maria in Carrobiolo a Monza. In seguito i suoi interessi culturali e la condotta di vita non denotarono sentimenti religiosi profondi; il Verri collegò la scelta all'influenza dei maestri o al desiderio di una vita di studio libera da bisogni materiali. Presi i voti il 15 ott. 1744, tornò a S. Alessandro per i corsi di lettere e filosofia. Studiò le lettere classiche col p. O. Branda e poetò in italiano e latino. Secondo il Verri la filosofia insegnata in S. Alessandro era un misto di "opinioni aristoteliche e immaginazioni cartesiane" e la penetrazione delle fisiche del Seicento non si estendeva a quella newtoniana. Ma dal 1744 questa fu insegnata nelle Arcimbolde da Francesco Re (Regi, De Regi, de Regibus) e la cultura scientifica del giovane F. suppone studi ordinati e la disponibilità di libri specialistici. Al termine del corso filosofico egli proseguì da solo gli studi matematici. Tra il 1747 e il 1749 studiò teologia nella scuola pavese dell'Ordine; il docente, G.P. Besozzi, favorì i suoi interessi scientifici e lo protesse anche in seguito.

A Pavia il F. frequentò R. Rampinelli, matematico dell'università e maestro di Maria Gaetana Agnesi. In una prolusione del 1764 ricorderà che il Rampinelli gli aveva fatto leggere ancora inedite le sue Institutiones mechanicae ac staticae. Nella formazione del F. furono importanti il Treatise of fluxions di C. Maclaurin, le Instituzioni analitiche dell'Agnesi, il commento ai Principia di Newton dei due padri minimi Th. Le Seur e F. Jacquier (Ginevra 1739-42), alcuni scritti di L. Euler; entro il 1750 conobbe la meccanica d'avanguardia (i newtoniani inglesi, Euler, la scuola francese fino a A.-C. Clairaut e J.-B. Le Rond d'Alembert). Con Jacquier stabilì presto un rapporto epistolare.

Terminati gli studi teologici, il F. fu inviato a insegnare filosofia nel collegio di S. Giovanni delle Vigne a Lodi, dov'era già nel gennaio 1750 e dove rimase quasi due anni (nel febbraio 1751 fu ordinato sacerdote). A questo periodo potrebbero risalire alcune delle lezioni filosofiche conservate nelle sue carte: le Institutiones logicae, la Disputatio proemialis ad universam philosophiam e i Prolegomena in metaphysicam (Milano, Bibl. del Politecnico, Fondo Frisi, ms. 20), il De metaphysicae natura et nomine e il De luce (ms. 26).

Le Institutiones sono fedeli ai moduli canonici (la struttura è ancora scandita in disputationes), e nei Prolegomena domina ancora il modello suareziano. Risale a Lodi il primo lavoro fisicomatematico, la Disquisitio mathematica in causam physicam figurae et magnitudinis telluris nostrae (Milano 1751). I censori dell'Ordine negarono il permesso di stampa perché, come gli scrisse il generale A. Viarigi di Roas nell'agosto 1750, il F. asseriva l'eliocentrismo. Il fratello Antonio presentò allora la Disquisitio al conte D. Silva, suo protettore e uomo colto, che offrì di finanziare la stampa; iniziò così un'amicizia solida (il F. gli dedicò l'opera e nel 1751 gli fece visita a Cinisello, osservando con lui i mari lunari; vi tornò spesso in seguito). Avendo il F. avviato la stampa senza il permesso dell'Ordine, il Viarigi gli indirizzò un richiamo, tuttavia non impedì la pubblicazione.

La querelle sulla figura della terra, nata da incertezze sullo schiacciamento polare del pianeta, era terminata, ma restavano irrisolti certi punti, ai quali il F. si applicò. Elaborando geometricamente le misure geodetiche stimò in 229/230 il rapporto tra raggio polare e equatoriale. Ma, più che essere strettamente geodetico, il lavoro riguardava gli effetti dei movimenti del globo terrestre sulla sua forma, supposta una sua composizione interna; era quindi collegato alla meccanica celeste.

Il F. diffuse la Disquisitio in Italia e all'estero; nel 1752 fu recensita nelle Novelle letterarie di Firenze (XIII, coll. 391-393), nei Nova acta eruditorum (pp. 409-412), nel Journal des Sçavants (pp. 500 s.); nel 1753, in termini più dialettici, nella Storia letteraria d'Italia di F.A. Zaccaria (V, pp. 110-117), e fu presentata in una seduta della Royal Society; nel 1754, infine, si ebbe una recensione nelle Philosophical Transactions (XVIII [1753], 1, pp. 5-17).

Nel 1753, in contemporanea con la seconda pubblicazione scientifica - e prima in matematica pura - (De methodo fluxionum geometricarum et eius usu in investigandis praecipuis curvarum affectionibus, Milano 1753) il F. fu nominato corrispondente dell'Académie des sciences. Intanto cercava un'altra sistemazione. Nel 1751 chiese al Viarigi di essere inviato nel seminario di Bologna, dov'era già noto agli scienziati dell'università e dell'Istituto. Nel luglio, invece, il Viarigi l'incluse tra i possibili successori di G.S. Gerdil nella cattedra di etica nel r. collegio di Casale Monferrato, affidato ai barnabiti, spiegandogli che quello poteva essere un primo passo verso l'università di Torino. Dal novembre 1751 il F. fu a Casale, dove forse insegnò filosofia generale (così indica la Disquisitio).

Fu in rapporto con scienziati torinesi, in particolare con G.B. Beccaria, e mostrò la capacità poi confermata di stabilire rapporti con ambienti nobiliari e governativi. A Casale avviò un dialogo col conte I. Radicati di Cocconato, cultore di matematica e conoscitore del pensiero europeo. Un confronto degli autori e opere utilizzati nelle lezioni del F. a Lodi e a Casale e in quelle a Milano, posteriori di soli due anni, mostra la comparsa di autori empiristi e preilluministi, e un mutamento nell'orientamento ideale e nella struttura dei corsi. L'influenza ideologica del Radicati sul F. non fu forse minore di quella del Verri (è documentata quasi solo da 104 lettere del Radicati dal 1758 al 1778, conservate a Milano nella Biblioteca Ambrosiana, codice Y 149 sup., mentre le lettere del F. a lui sembrano perdute). Risale al periodo casalese anche il De methodo fluxionum geometricarum.

Nel giugno 1752 il Viarigi esortò il F. a una vita più regolata e, dopo una risposta del F. definita "altera e arrogante", chiese al governo sabaudo di rimuoverlo dalla cattedra, precisando i motivi in un memoriale andato perduto (il Viarigi si sarebbe lamentato del suo "modo di vivere" e della sua "poca religiosità"). Il F., privato della cattedra e destinato a Montù Beccaria (sede dell'Ordine usata come casa di penitenza), riuscì prima a rinviare il provvedimento e nel novembre 1752, adducendo ragioni di salute (problemi di vista, ma era anche affetto da parziale sordità), ottenne l'invio a Novara come predicatore. Ma vi restò poco, perché dalla primavera del 1753 insegnò filosofia nelle Arcimbolde, mentre seguitava a cercare altre sistemazioni (nel 1753 I. Stellini si adoperò per ottenergli una cattedra nell'università di Padova).

A Milano riallacciò forse i rapporti con Verri. L'ambiente scientifico della città in quegli anni - dedicatasi l'Agnesi a opere umanitarie - era notevolmente povero: con G.A. Lecchi i rapporti non furono stretti, e il Re non era un ricercatore avanzato. Il F. sembra aver proseguito gli studi da solo, costruendo rapporti e agendo da abile propagandista di sé (dal 1753 pubblicò nelle Novelle letterarie di G. Lami, che recensivano quasi ogni suo lavoro, resoconti delle proprie ricerche e annunci di imminenti pubblicazioni; avviò corrispondenze con F.A. Zanotti, V. e G. Riccati, L. Ximenes, C. Walmesley, T. Needham, R.G. Boscovich, G.M. Mazzuchelli, J.-A. Nollet).

Iniziò anche a partecipare a concorsi, inviando all'Accademia di Pietroburgo, che bandiva un premio sulla teoria dell'elettricità (1755), una dissertazione tratta da un'opera sui fenomeni termici, luminosi e elettrici annunciata nelle Novelle letterarie del Lami (XV [1754], coll. 718 s.), ma mai pubblicata. Secondo Verri il lavoro del F. fu ritenuto il migliore ma non fu premiato perché egli, volendo essere associato all'Accademia, aveva contravvenuto alle regole firmando il testo. Fu associato, e la sua dissertazione stampata con quelle del vincitore J.A. Euler e di L. Beraud (J.A. Euler, Disquisitio de causa physica electricitatis una cum aliis duabus dissertationibus de eodem argumento, Petropoli 1755). Contemporaneamente stampò un altro scritto sul tema in forma di esercitazione di un allievo (Nova electricitatis theoria quamJ.B. Landriani publice propugnabat, Milano 1755); nel 1757 ristamperà a Lucca il testo di Pietroburgo, che ripubblicherà modificato nel primo volume delle Dissertationes. Nel 1756 la Royal Society inviò il lavoro a B. Franklin (che poi il F. incontrerà a Londra), e nel 1757 lo ammise come fellow. Ancora nel 1756 vinse il premio dell'Accademia di Berlino sulla teoria della rotazione terrestre, che iniziò a sollevarlo dalle ristrettezze; il suo lavoro fu stampato (Dissertation sur le mouvement diurne de la terre, Berlin 1756) e l'Accademia lo nominò membro ordinario estero. Negli stessi anni, su spinta di C. Walmesley, incontrato a Milano, il F. iniziò ricerche sulla precessione sfociate in lavori successivi.

Forse il F. curò il perfezionamento di allievi del Re, ma la sua cattedra rimase quella filosofica, come provano i manoscritti conservati nel Politecnico di Milano (ms. 23: Physicae elementa; ms. 28: Institutiones philosophiae, Institutiones physicae e Ethica, seu de moribus; ms. 35: Institutiones philosophicae, Institutiones logicae, Lectiones metaphysicae, Metaphysicae pars ultima de malis spiritibus, eorumque in corpora potestate).

In filosofia naturale è palese la scelta newtoniana; il F. espone la fisica recente, fino alla teoria di Boscovich. Così, pur mantenendo parti obbligate come l'ontologia fisica e la teologia naturale, egli fece evolvere la filosofia insegnata nelle Arcimbolde - con Brera e le Palatine la scuola di maggiore livello a Milano - dall'eclettismo aristotelicocartesiano verso una fisica matematica e sperimentale. Ma non condivise il rifiuto di certo newtonismo inglese di includere nel discorso scientifico l'origine della gravitazione, per la quale propose un modello di tipo cartesiano. Rispetto a Lodi (o Casale) l'evoluzione è ancor più evidenziabile in logica e metafisica. Il F. usò molto la recente Metafisica di A. Genovesi, ma andò oltre per l'interpretazione sensisticofisiologica della conoscenza. A F. Suárez e G.W. Leibniz affiancò P. Bayle; antepose la religione naturale alla rivelata; non presentò l'anima immateriale come dimostrabile e, come altri in quegli anni (Genovesi, Verri, G. Ortes), tese a risolvere la metafisica in studio dei meccanismi della vita associata. Prospettò un'identità di virtù e piacere, e immise nella trattazione Th. Hobbes, Chr. Wolff, S. Pufendorff, R. Cumberland, W. Wollaston, Ch. de Montesquieu. Senza estendere i dubbi sulla dimostrabilità dell'anima incorporea agli spiriti angelici, intervenne nel dibattito recente tra G. Tartarotti, G.R. Carli, S. Maffei e altri sull'azione del demonio e degli spiriti maligni e su stregoneria e magia. In una lezione de malis spiritibus ammise la possessione diabolica, ma escluse l'esistenza di spiriti in natura; ammise la realtà della magia prima della Rivelazione, attestata nelle Scritture, ma non dopo, e negò fenomeni come il vampirismo transilvano. Nel complesso la lezione fu una sintesi cauta del dibattito e il F. la divulgò in alcune tesi De existentia et perfectionibus Dei (Milano 1754) pubblicate da allievi. Anche se parve che il F. esagerasse il proprio ruolo (Carli gli contesterà di aver voluto apparire iniziatore della critica razionale a magia e stregoneria), la sua notorietà iniziò così a travalicare l'ambito tecnico.

Il De existentia tenta di provare esistenza e natura di Dio in base alla scienza del tempo rifiutando le prove deduttive tradizionali, e dà un valore solo psicologicoprobabilistico al consensus gentium. L'argomentazione, pur senza riferimenti espliciti ad autori contemporanei, porta a una teologia naturale deistica, ma rifiuta l'identificazione di Dio con materia e estensione, nega l'eternità della materia e la possibilità che l'ordine dell'universo sia spontaneo. Il F. dissente dal razionalismo assoluto di Spinoza e Leibniz, nega la riducibilità del pensiero alla materia e, contro Boscovich, quella della materia all'impenetrabilità prodotta da forze repulsive. Dopo il 1761 non tornò più direttamente su questi temi, e mancano prove del suo passaggio da una religione razionale a un marcato agnosticismo o all'ateismo; ma entrambe queste posizioni gli furono attribuite, non solo da avversari.

L'anticonformismo del F. destò reazioni; il suo antiinnatismo collideva con l'uso recente delle idee innate in teologia e metafisica da parte del confratello Gerdil. Per raggiungere maggiore autonomia seguitò quindi a cercare una cattedra universitaria che ottenne grazie al provveditore dello Studio di Pisa, G. Cerati (che il F. aveva conosciuto a Milano) e al ministro toscano, D.-E. de Richecourt. I contatti, avviati nel 1753, portarono nel tardo 1755 all'offerta dei due insegnamenti di metafisica e etica. Nel 1755 il F. stampò a Lugano un Saggio sulla morale filosofia, poco diffuso e oggi quasi introvabile, che con il De existentia coprì le due discipline. È possibile che le due operette, quasi un unicum nella sua produzione e pubblicate in forma semiprivata, fossero intese all'ottenimento di quelle cattedre. A fine 1755 il F. ottenne dal generale dell'Ordine P.F. Premoli l'assenso al trasferimento e l'autorizzazione a ristampare la dissertazione premiata a Berlino (De motu diurno terrae dissertatio, Pisa 1756). Nel febbraio 1756 raggiunse Pisa, dopo aver visitato gli scienziati bolognesi, con i quali già corrispondeva (nel 1757 sarà ammesso nell'Accademia dell'Istituto). A Pisa, dove abitò nella casa barnabitica di S. Frediano, il F. ebbe colleghi G.G. De Soria, E. Corsini, G.B. Caraccioli, O. Cametti e T. Perelli. Con quest'ultimo, direttore dell'osservatorio e figura rilevante del newtonismo toscano, collaborò subito. Dal 1758, per la nomina del Caracciolo a generale dei teatini, il F. lo supplì nell'insegnamento dell'algebra, e dal 1761 gli subentrò lasciando le due cattedre filosofiche (un corso di Elementa algebrae è a Livorno, Bibl. Labronica, ms. sez. IV, 56).

Il F. stesso attestò poi che le conversazioni con il Perelli, le cui competenze eccedevano di molto il livello delle pubblicazioni, erano state uno stimolo; frequenti soggiorni a Firenze, dove la tradizione galileiana operava in istituti come il museo di fisica poi retto da F. Fontana, ampliarono le sue prospettive. Le venature deistiche e illuministiche nei circoli pisani accentuarono il distacco dalla formazione giovanile; il carteggio con l'Algarotti, conosciuto allora, rivela una notevole consonanza intellettuale; fu vicino al futuro doge di Genova A. Lomellino, matematico e estimatore di d'Alembert, e al portoghese L.A. Verney, ispiratore delle riforme pombaliane. Consolidò la familiarità con autori e testi illuministici e sviluppò interessi politici (sintomatici i rapporti con G. Aubert, l'editore livornese dell'illuminismo toscano: probabilmente il F. fu l'origine dei contatti Aubert-Verri, che nel 1763 portarono alla stampa delle Meditazioni sul piacere e nel 1764 a quella del beccariano Dei delitti e delle pene). Ebbero segno analogo le relazioni con A. Cocchi, H. Mann e A. Niccolini, membri della loggia fiorentina. L'aumentata libertà gli permise di vivere nel giro delle amicizie e, pare, anche dei piaceri, esplicando così nuovamente la propensione mondana spesso rimproveratagli.

Negli anni toscani le relazioni con il suo Ordine, a parte l'osservanza delle regole della sua sede religiosa, divennero tenui: ebbe scarni rapporti epistolari col generale P.F. Premoli, che autorizzò la stampa dei due volumi delle Dissertationes; forse per la liberalizzazione introdotta nel 1757 da Benedetto XIV, i suoi lavori di meccanica celeste non destarono più reazioni. Docente reputato (nel 1763 fu ascritto ai Fisiocritici di Siena, e al ritorno a Milano il governo toscano decretò che il suo nome rimanesse nei ruoli dell'Ateneo pisano), fu visitato da stranieri di passaggio a Pisa: l'incontro col naturalista svedese B. Ferrner preluse a rapporti con altri svedesi (D. Melanderhielm, P. Wargentin; il F. fu forse lo scienziato italiano del Settecento con maggiori rapporti nell'area scandinava). Proseguì anche la ricerca fondamentale. Nel 1757 pubblicò nelle Memorie sopra la fisica e l'istoria naturale (IV, Lucca 1757, pp. 115-128) un De aberratione lucis opusculum. Nel concorso dell'Accademia di Parigi per il 1758 sostenne l'esistenza di atmosfere nei pianeti, e la sua dissertazione fu premiata (De atmosphaera caelestium corporum dissertatio physico-mathematica, nel I volume delle Dissertationes, Lucca 1759, con Problematum praecessionis aequinoctiorum geometrica solutio, versione modificata del lavoro vincitore a Berlino, e De natura et motu aetheris, rifacimento del lavoro stampato a Pietroburgo). Il secondo volume delle Dissertationes, stampato a Lucca nel 1761, incluse due libri De inaequalitatibus motus planetarum omnium in orbitis circularibus, atque ellipticis, una versione modificata del De methodo fluxionum geometricarum e le citate Meditationes metaphysicae. Nei Novi commentarii dell'accademia di Pietroburgo stampò un saggio De problematis quibusdam isoperimetricis (VII [1758-59], Pietroburgo 1761, pp. 27-234). Il De inaequalitatibus, che estendeva il lavoro del F. in meccanica celeste al moto di rivoluzione, fu una tappa verso i successivi De gravitate e Cosmographia. Anche sul tema degli isoperimetri tornò più volte, e a tale riguardo ritenne di aver fornito i propri migliori contributi matematici. Partecipò anche al concorso dell'Accademia di Berlino per il 1760, ma Euler giudicò il suo lavoro non conclusivo.

Tra il giugno e l'autunno del 1760 il F. compì un viaggio a Roma e a Napoli. Qui forse incontrò il Genovesi e, certamente, G.M. Della Torre (forse sua guida in una ascensione sul Vesuvio, e poi suo corrispondente). I contatti a Roma sono meglio noti. Frequentò un cattolico antiscolastico come G. Bottari e probabilmente A. Fabroni; il cardinale D. Passionei gli ottenne un'udienza da Clemente XIII. Il papa chiese al F. un parere sulla questione del fiume Reno, oggetto dal secolo XVII di scritti e "visite" di esperti; il F. non esitò ad affrontare il tema, estraneo ai suoi studi precedenti, immergendosi nella vasta letteratura sull'argomento e redigendo un piano per il cardinale P.P. Conti, prefetto della Congregazione delle Acque (Alla S. Congregazione alle acque… Piano dei lavori da farsi per liberare e assicurare dalle acque le provincie di Bologna, di Ferrara, di Ravenna, Roma 1760; ristampa Lucca 1761).

Iniziò così una attività di consulenza idraulica esercitata fin quasi alla morte. Fu coinvolto nei contrasti tra Bologna, la cui zona risentiva delle piene del fiume, e le località del delta del Po che temevano che l'immissione del Reno in esso alzasse i rami deltizi. Il F. suggeriva di inalveare il Reno dopo Bologna lungo una linea già prima proposta, per poi immetterlo nel cosiddetto Cavo Benedettino, prolungato fino a un ramo del Po. Si trattava della modifica di un progetto di G. Manfredi, al quale il F. sottopose il piano nell'agosto 1760. La morte del Manfredi nel 1761 lo privò di un sostegno; pubblicando a Lucca nel 1762 Del modo di regolare i fiumi, e i torrenti, principalmente del Bolognese, e della Romagna, sintesi del suo lavoro che ebbe poi una edizione francese (Parigi 1774) e ben quattro edizioni inglesi (fino al 1872), egli unì un Elogio del Signore Gabriello Manfredi, il primo dei suoi scritti storicoscientifici.

Di passaggio a Bologna, il 6 giugno osservò con gli astronomi dell'Istituto il transito di Venere sul disco del sole. Il suo piano non fu adottato. Il Perelli formulò proposte in parte diverse (con il sostegno di Le Seur e Jacquier), aprendo la fase che dopo approfondimenti dei due minimi e dei gesuiti L. Ximenes e G.A. Lecchi produsse verso il 1770 la soluzione operativa. Tuttavia Bologna ringraziò il F.: nel 1764 il senato cittadino lo nominò lettore onorario di matematica nell'università. Negli anni toscani (cui appartengono due pareri sugli effetti climaticosanitari delle acque stagnanti della Valdinievole e del taglio di una foresta presso Pisa) andò quasi tutte le estati a Milano passando per Genova, dove incontrò spesso il Lomellino. Ebbe contatti coi membri dell'accademia dei Pugni, pur non facendone parte: a parte P. Verri, il F. sembra essere stato in rapporto con gli altri, e specificamente col Beccaria (del quale forse Verri gli inviò a Pisa il saggio sulle monete), successivamente al 1756. Dopo il ritorno a Milano contribuì al Caffé con due scritti anonimi, Degl'influssi lunari (I [1764], n. 26) e il Saggio sul Galileo ("il più elegante, e solido scrittore che abbia avuto l'Italia": II [1765], nn. 3-4).

Nel primo articolo il F. attaccò le credenze antiche sul ruolo delle fasi lunari in molti fenomeni, limitandolo a quelli ottici e gravitazionali. Quindici anni dopo, dato il parere diverso di alcuni, tra i quali G. Toaldo, ribadì la propria posizione in un Ragionamento (in Giornale de' letterati di Pisa, XL [1780], pp. 146-168; poi negli Opuscoli filosofici, Milano 1781). La posizione del F., oltre al suo illuminismo, rivela un ideale scientifico meccanicistico, escludente ogni fatto o nozione non chiaramente riconducibile a una dinamica di urto tra masse. Il Saggio sul Galileo, preludio al successivo Elogio del Galileo, interessa come correzione del quadro della storia scientifica moderna delineato nel d'alembertiano Discours préliminaire all'Encyclopédie, dove Galileo era solo uno dei predecessori di Newton. L'intento di rivendicazione nazionale che nel F. convisse col cosmopolitismo di principio spiega il successo del testo (tre ristampe fino al 1772). A Parigi il saggio ebbe una traduzione francese, stampata quattro volte fino al 1819 (anche nel Supplément à l'Encyclopédie, III, Amsterdam 1777, pp. 172-176).

Nel 1763 al F. (che nel 1759 aveva già rifiutato di succedere al Rampinelli a Pavia) fu offerta la cattedra di matematica nelle Scuole Palatine di Milano, in contemporanea con la chiamata di Boscovich a Pavia. Egli accettò, forse per effetto delle prime riforme asburgiche o perché le Palatine, istituto pubblico, escludevano parte dei problemi sorti in S. Alessandro. Nell'aprile del 1764 tornò a Milano, stabilendosi nel Collegio Imperiale Longone, affidato ai barnabiti, e tenne la prolusione (Praelectio habita Mediolani VIII Id. Maij anno MDCCLXIV, Milano 1764). Restò nelle Palatine fino alla morte; nel 1768 il governo asburgico, riformando l'insegnamento superiore, istituì nella scuola un corso per architetti e ingegneri, trasferendovi il Boscovich per insegnare le discipline specialistiche e assegnando al F. la matematica di base, ciò che gli parve una diminutio. Usò quindi le proprie aderenze nel governo, ottenendo per sé una cattedra di meccanica, idrometria e architettura teorica. Nel 1770, all'inaugurazione del nuovo corso, fu egli a parlare per la facoltà filosofica. Divenne il principale consulente del governo nelle questioni attinenti l'istruzione e le professioni scientifiche (un suo Piano scientifico per il Regolamento del Collegio degli ingegneri, e architetti, indirizzato al Carli nel dicembre 1771, fu decisivo per la riforma di quel collegio). Quasi contemporaneamente, forse per suo consiglio, i barnabiti lombardi decisero di formare quadri scientifici inviandogli allievi promettenti del Re. Risale quindi in parte al F. la formazione del nucleo di scienziati barnabiti poi attivo nell'Italia settentrionale.

Subito dopo l'arrivo del F. a Milano il Silva, fabbriciere del duomo, gli chiese un parere sul progetto per l'erezione della guglia maggiore, dell'architetto F. Croce. La relazione del F. (giugno 1764) fu contraria, e provocò la richiesta di altri pareri a G.B. Beccaria, Boscovich, F. Re e F. Martinez, che nella sostanza difesero il progetto. Replicò prima privatamente, poi con l'anonimo Saggio sopra l'architettura gotica (Livorno 1766), la cui forma di discorso generale cela appena la motivazione. Giudicata l'architettura gotica esteticamente e staticamente inferiore a quella classica, il Saggio si accentra su problemi di statica delle volte, circa i quali (senza riferirsi al duomo di Milano) il F. conferma le proprie posizioni. Le tesi del F. sulla statica degli edifici, riprese nel suo contributo maggiore sull'argomento, la seconda parte delle Instituzioni di meccanica, d'idrostatica, d'idrometria e dell'architettura statica, e idraulica (Milano 1777), parvero deboli già ai contemporanei. Il dibattito sul duomo di Milano fu riassunto da E. Pini nel dialogo Delle cupole (in Dell'architettura, Milano 1770), ma critiche forti vennero da altri (come nel Della spinta delle volte di F.M. Franceschinis, in Opuscoli matematici, Bassano 1787, pp. 77-102). Nel settore si può riconoscere al F. solo il merito storicodidattico di aver contribuito ad avviare in Italia una manualistica avanzata, funzionale ai corsi superiori di ingegneria che le riforme illuministiche sostituivano agli antichi canali di formazione.

Nel marzo 1766, mentre il governo asburgico sottraeva la censura all'Inquisizione, il F. fu nominato censore alle stampe con mandato "per l'ecclesiastico". Questo prova che egli appariva un religioso "moderno" orientato in senso giurisdizionalistico; meno chiari sono i suoi motivi nell'accettare un ruolo estraneo ai suoi studi, che lo coinvolse in tensioni e accrebbe alcune ostilità contro di lui. Incisero esigenze economiche, ma anche considerazioni di prestigio e l'intento di svolgere un ruolo liberalizzante in un settore che, anche per esperienza personale, sentiva decisivo: quando nel 1768 il Nuovo piano per la revisione e introduzione dei libri nella Lombardia gli assegnò gli scritti di fisica, matematica e diritto egli protestò per il trasferimento a un'area che pure era più vicina ai suoi studi. Ebbe più volte problemi con le autorità di governo che, soprattutto dopo che al C. di Firmian successe J.J. Wilczeck, non gli risparmiarono richiami, dovuti quasi sempre all'aver autorizzato opere considerate irriverenti o pericolose. L'edizione milanese (1769) di La Chiesa e la Repubblica entro i loro limiti di C. Amidei originò addirittura un richiamo di W.A. von Kaunitz.

Un fatto decisivo nell'evoluzione intellettuale del F. fu il viaggio in Francia e Inghilterra, preparato da rapporti epistolari che sorpassarono l'ambito scientifico (nel 1765 inviò il Dei delitti e delle pene al d'Alembert). Il F. partì nell'aprile 1766 e, visitati Radicati, Gerdil e Lagrange, fu a Parigi dal 19 maggio. Le sue attività sono documentate dalla corrispondenza con l'Italia, da un diario del viaggio e da cenni successivi.

Nei due paesi incontrò gran parte del mondo scientifico e filosofico: a Parigi d'Alembert, D. Diderot, P.-H. Thiry d'Holbach, Ch.-A. Helvétius, G.-L. Leclerc de Buffon, M.-J. Caritat de Condorcet, A.-P. Séjour, J.-É. Montucla, H.-L. Duhamel de Monceau, A. Morellet, L.-A. Bougainville, J.-S. Bailly, C.-H. Watelet; a Londra (dove andò in agosto, tornando a Parigi nell'autunno attraverso Olanda e Belgio) D. Hume, B. Franklin, E. Waring, N. Maskelyne e di nuovo C. Walmesley. Mostrò il suo De gravitate (pubblicato nel 1768), sul quale d'Alembert ed É. Bezout riferirono positivamente all'Académie nel settembre, e discusse il problema dei tre corpi; visitò musei scientifici e gli osservatori di Parigi e Greenwich, presenziò a sedute delle accademie scientifiche, a occasioni mondane e spettacoli. Si confermò abile nello stabilire conoscenze (a Parigi una fu Anne-Marie Le Page du Boccage; a Londra fu in rapporto con diplomatici italiani e col nunzio pontificio). L'ambiente e la libertà dal controllo ecclesiastico lo entusiasmarono; scrisse da Parigi a A. Barbiano di Belgioioso che "i maggiori pazzi del mondo si trovano dove sono gli uomini di maggior spirito", e tuttavia "nelle altre città gli uomini si arrabbiano e si annoiano, e qui si vive". Anche se i dibattiti parigini gli parvero esprimere solo in parte indagini ponderate (che attribuì solo a quattro o cinque persone), la decisa scelta illuministica e l'urbanità gli attirarono credito: Diderot e d'Alembert scrissero di lui a Voltaire, e il secondo anche a Hume. Le conversazioni parigine radicalizzarono le sue posizioni ideologiche: le lettere del d'Holbach rivelano familiarità, ed egli rifiutò di incontrare il nemico degli enciclopedisti, E. Fréron. A Parigi preparò anche l'arrivo di Beccaria e A. Verri, partiti dopo di lui; ma quando il primo, atteso ansiosamente nei circoli illuministi, occupò il centro della scena suscitando il risentimento del Verri, e in seguito anticipò il ritorno in Italia, il F. lo giudicò negativamente. In seguito i loro rapporti furono solo di correttezza formale.

Il F. tornò a Milano nell'aprile 1767 evitando (secondo A. Verri) di fare una deviazione per visitare Voltaire, temendo il giudizio del caustico vegliardo. Dopo il viaggio la rete dei suoi corrispondenti si ampliò. Approntò per la stampa il De gravitate universali corporum (Milano 1768), preceduto nel 1767 da tre articoli di meccanica nei Commentarii dell'Istituto di Bologna (1767, V, 1, pp. 291-308 e 309-332; V, 2, pp. 11-58). Ne derivarono i De theoria lunae commentarii, scritti insieme con D. Melanderhielm (Parma 1769), la Cosmographia physica et mathematica (I-II, Milano 1774-75) e, su un piano più manualistico, le Instituzioni di meccanica, d'idrostatica, d'idrometria e dell'architettura statica, e idraulica… (Milano 1777).

A questi scritti il F. affidò principalmente la propria fama scientifica. Il De gravitate incluse pressoché tutti gli sviluppi della fisica matematica da Newton a metà del secolo XVIII. L'opera ha struttura dedotta "ex ipsa natura gravitatis" (meccanica generale; moto di un pianeta intorno al sole; interrelazioni tra masse orbitanti), con scolii su meccanica dei fluidi, ottica, meteorologia, fisica dell'atmosfera, struttura della terra. Nessun contenuto era nuovo; il F. ordinò risultati dispersi in numerose pubblicazioni, non usando l'analisi avanzata, ma una combinazione di analisi elementare e geometria sintetica. Per lo più, quindi, le novità che apportò consistettero in semplificazioni ottenute sostituendo la veste matematica delle dimostrazioni originarie con una più tradizionale o più accessibile (talora anche concettualmente più diretta). In linea generale, perciò, egli non fu uno scienziato innovativo; certi suoi risultati (come una restrizione della fascia d'oscillazione del moto di precessione rispetto a d'Alembert) furono relativamente marginali; altri non ressero alle verifiche. Il suo lavoro fu di alto livello applicativo e pedagogico, ma non giustifica l'immagine di eccellenza che il F. ne ebbe e che Verri ripropose. Questo vale anche per la Cosmographia, ampia sintesi del quadro newtoniano dell'universo (che aggiornò e ampliò il De gravitate), e ancor più per le Instituzioni. Questi lavori ebbero diffusione internazionale (anche se il Keralio tentò invano di pubblicare il De gravitate in Francia), e in Italia furono tra i testi più noti della nuova fisica.

Al viaggio all'estero del 1766-67 ne seguì un secondo a partire dal luglio 1768 a Vienna. Il motivo immediato fu presentare a Giuseppe II il De gravitate, a lui dedicato. Anche questo viaggio fu un successo; l'imperatore e Kaunitz conversarono con il F. non solo di scienza (Giuseppe II volle essere aggiornato sugli studi sull'elettricità), ma sui rapporti Chiesa-Stato (era in corso la polemica sulla bolla In Coena Domini). Entrambi lo sollecitarono a occuparsene; Kaunitz gli trasmise un suo scritto sull'argomento e, in settembre, lo ospitò (primo italiano) nel suo possedimento moravo di Austerlitz; la sua stima fu tale che nel 1776 lo impose tra i membri della Società patriottica di Milano. A corte il F. conobbe il protomedico G. van Swieten, col quale parlò dell'innesto del vaiolo, e R. Calzabigi, che l'introdusse alla vita teatrale viennese. A Vienna e dopo il ritorno si dedicò a letture di diritto canonico, e tra novembre e dicembre stese un Ragionamento sopra la potestà temporale dei principi e l'autorità spirituale della Chiesa, dedicato a Giuseppe II ma rimasto inedito.

Si è dubitato dell'invio del testo a Vienna, ma una lettera del Calzabigi (27 febbr. 1769) prova che il F. lo aveva annunciato. Esso considera prima in generale i rapporti Stato-Chiesa, separando l'aspetto politico-amministrativo dallo spirituale sulla scorta di autori moderni, da Hobbes in poi, ed escludendo così i casi misti. Questa parte mostra un'influenza del libro di C. Amidei, di cui il F. autorizzò in quei mesi l'edizione milanese. Segue la proposta di riforme incisive, che rivelano un'esperienza sofferta: riduzione al minimo degli ordini regolari, e soprattutto dei mendicanti; fissazione dell'età minima per entrare nella vita religiosa a venticinque anni; statizzazione delle scuole degli ordini; abolizione dell'Inquisizione e avocazione allo Stato della censura sulle stampe. Il Ragionamento non fu uno scritto giuridico (gli sono stati imputati schematismo e carenza di elaborazione tecnica), ma una proposta di indirizzo e un tentativo di raccordare l'elaborazione ideologica degli illuministi lombardi a una realtà concreta. Questo lo rende documento di alto interesse indipendentemente dall'influenza sull'azione di governo (non pienamente valutabile: ma esso anticipa certe riforme giuseppine).

Nel 1771 il F. collaborò all'edizione milanese della traduzione della Colombiade di madame du Boccage, avviata nel 1757-58 da accademici Trasformati (tra cui Verri e Parini). La stessa autrice gli aveva chiesto nel 1768 di aiutare la Somaglia nella revisione della traduzione. Egli scrisse una introduzione al poema che documenta interessi sulle civiltà extraeuropee ed è, dopo il saggio di F. Algarotti sugli Incas, uno dei primi interventi italiani su un argomento posto da Rousseau al centro della riflessione storico-ideologica.

La sua reputazione scientifica sembrò crescere con il livello dei dedicatari dei suoi lavori. Fu associato ad altre accademie, puntualmente elencate nei frontespizi delle opere (Stoccolma, Lione, Copenhagen, Berna, Harlem, Uppsala, degli Agiati di Rovereto). Le relazioni estere, i premi e la diffusione delle opere sembrarono porlo al vertice della matematica italiana. Ma dopo il 1770 certe riserve precedenti (d'Alembert aveva criticato la dissertazione premiata a Berlino, e la sua corrispondenza con Lagrange mostra che entrambi non stimavano molto i lavori del F.; nel 1769 A. Verri scrisse al fratello che Le Seur e Jacquier non ritenevano il F. un matematico di primo livello) divennero più frequenti, ed egli trovò un sostenitore deciso nel solo P. Verri. La funzione di d'Alembert italiano, che aspirava a svolgere, urtava con limiti ambientali e col suo stato di religioso, e presupponeva una autorità scientifica indiscussa che gli mancò. Nella relazione sul concorso del 1772 sulla teoria della luna l'accademia parigina criticò fortemente il lavoro del F.; lo stesso d'Alembert affermò che egli aveva commesso errori grossolani e non si adoperò a fondo perché passasse da corrispondente a socio estero ordinario dell'Accademia. Nel 1774 un'edizione francese del trattato sui fiumi suscitò rilievi che il F. attribuì a errori del traduttore, ma senza riuscire a dissolverli. Il giudizio di d'Alembert filtrò in Italia, fornendo autorevolezza alle critiche di matematici quali Gregorio Fontana, G.F. Malfatti, A.M. Lorgna. Nel 1772 le note matematiche del F. alla sesta edizione di Livorno delle Meditazioni sull'economia politica di Verri (cui aggiunse un estratto dello Essay on the theory of money di H. Lloyd, presentato come convergente con le idee dell'amico), pur notevoli come precoce esempio di economia matematica, furono criticate dal Carli e da altri (particolarmente aspra una recensione anonima, attribuita a G.B. Venturi, nel Nuovo Giornale de' letterati d'Italia di Modena, maggio-giugno 1773, pp. 228-283). Seguirono episodi non sempre riconducibili a rivalità personali o a contrapposizioni ideologiche (come il F. e P. Verri tesero a fare), o al fatto che il F., mal comprendendo la psicologia altrui, urtò molte suscettibilità (valutazione ricorrente nel carteggio tra i fratelli Verri). Un'accusa frequente - anche tra amici - fu che in lui orgoglio e ambizione sfociassero nella vanità. Nel 1773 il F. presentò al Firmian un parere negativo sul piano del Boscovich per l'osservatorio astronomico di Brera; ma nonostante lo scioglimento della Compagnia di Gesù e il trasferimento del dalmata in Francia il piano fu realizzato in buona parte, perché l'osservatorio rimase affidato a ex gesuiti, i cui rapporti con il F. non superavano la fredda cortesia. Nel silenzio delle Efemeridi di Brera sui suoi lavori il F. vide un'offesa intenzionale, e tra 1777 e 1781 sostenne il progetto di A. Rizzi-Zannoni di una carta della Lombardia esigente solo poche misure astronomiche, mentre gli astronomi caldeggiarono una impostazione rigorosa e ritennero che egli sminuisse il ruolo della loro istituzione. La rottura giunse quando le Efemeridi per il 1781 scrissero che d'Alembert aveva reso inutili altre ricerche sulla precessione degli equinozi.

Il F. protestò col giovane B. Oriani, suo ex alunno e aggiunto all'osservatorio, ma le Efemeridi per il 1782 precisarono che altri (non nominati) avevano solo fornito contributi di dettaglio. Il F. le criticò pubblicamente, segnalando l'esistenza di trenta errori nelle Efemeridi, e gli astronomi (A.G. Cesaris, F. Reggio, Oriani) replicarono con le Lettere astronomiche per servire di appendice alle Effemeridi di Milano per l'anno 1783 (Milano 1782). La polemica continuò a lungo: il F. scrisse una controreplica (Milano, Bibl. del Politecnico, ms. fondo F. 35), ma poi delegò il compito di rispondere a P. Verri (Una lunga lettera a un amico che spiega la questione delle tre lettere astronomiche stampate in Modena nel 1782, Milano 1782), rivedendola e inserendovi brani della propria. Oriani rispose, e il Verri ancora replicò. La comunità scientifica fu neutrale oppure (Lorgna, G. Fontana) sostenne gli astronomi, e il F. vide in questo solo meschinità. Per lui e il Verri la polemica fu una provocazione di ex gesuiti, sostenuti dai confratelli del Giornale modenese (dal 1773 diretto dal Tiraboschi); ma analisi recenti valutano di poco peso i rilievi del F. alle Efemeridi. Nel complesso l'urto con scienziati e intellettuali ex gesuiti, come altri avuti dal F., nacque da intrecci di tensioni ideologiche o scientifiche con risentimenti personali non sempre limpidi. L'ostilità del F. contro la Compagnia aveva radici lontane. Prima dell'urto con il Boscovich il F. mal tollerò le recensioni ai suoi lavori (dal 1753) nella Storia letteraria d'Italia e negli Annali letterari d'Italia del gesuita F.A. Zaccaria; dal 1757 non corrispose più con un matematico quale V. Riccati, cui si era rivolto all'inizio della carriera, e i giudizi che espresse sui suoi lavori avviarono altre polemiche. Seguendo d'Alembert egli espresse critiche alla Compagnia in analisi storico-scientifiche, contenute principalmente negli elogi che iniziò a pubblicare negli anni Settanta: l'Elogio del Galileo (Milano 1775; ristampato a Livorno nello stesso anno e più volte in seguito); l'Elogio del Cavalieri e l'Elogio del cavaliere Isacco Newton, pubblicati entrambi a Milano nel 1778 e riediti più volte. Per un'analisi della genesi di queste opere la perdita quasi totale della più che ventennale corrispondenza col d'Alembert (non restano quasi lettere del F. e meno di quaranta di d'Alembert) è perciò grave. Per generalità e densità d'analisi gli elogi frisiani divennero un polo della riflessione italiana sulla scienza, ma anche sulle cause del declino del paese e sulle prospettive di ripresa; per comunanza di visione, anche se posteriore e relativo a un periodo diverso, si può loro associare l'Elogio del signor d'Alembert, scritto nel 1784 e pubblicato postumo dai fratelli del F. (Milano 1786). La genesi dell'elogio di Galileo non è del tutto chiara. Nel luglio 1774 il F. scrisse a G. Fontana che ve lo aveva "impegnato" il Fabroni (che rivide il testo con il Perelli, e seguì la stampa a Livorno). L'elogio del Cavalieri derivò dal precedente, che indicava nel gesuato il vertice della matematica italiana nell'età galileiana; il F. vi lavorò dal 1775. L'elogio di Newton va connesso al successo di quello di Galileo, che spinse il F. a estendere l'analisi alla figura centrale della scienza recente, e all'intento di avvalorare l'interpretazione dello spostamento del centro dell'ideazione scientifica dall'Italia verso l'Europa atlantica, che era al fondo dei primi due elogi. L'elogio di d'Alembert, nato come commemorazione dell'amico, fu un'occasione per delineare lo sviluppo delle scienze matematiche dopo Newton.

Gli elogi sono testi complessi, per forma e contenuto. Devono molto agli esempi di B. Bovier de Fontenelle e, soprattutto, di d'Alembert. Con il Fabroni, il F. ne iniziò in Italia la forma "scientifica e ragionata"; gli elogi del toscano sono di poco posteriori, ma le sue vite di intellettuali italiani del secolo XVIII, precedenti e note al F., ne anticipano tratti. Il F. somma ricostruzione biografica e ambientale, analisi delle opere e generalizzazioni storiche, etiche o epistemologiche, ponendo il lavoro scientifico del singolo in rapporto allo stato precedente della disciplina e alla situazione storico-culturale. Perciò il F. opera una valutazione dei due italiani (Galileo e Cavalieri) diversa da quella di Newton e soprattutto di d'Alembert, formatisi in tempi e ambienti in cui la attività scientifica era già un valore sostenuto socialmente. Egli indica il principale fattore di stasi della situazione italiana, che agì su Galileo e in parte sul Cavalieri, in una cultura scolastica al cui centro pone la Compagnia di Gesù. Tuttavia, anche se gli elogi furono all'origine dell'immagine illuministico-positivistica del ruolo storico di Galileo, contengono spunti (apparentemente solo tecnici) a lungo non recepiti nella "vulgata" galileiana. Per il F. nella crisi della scienza italiana aveva agito anche un fatto tecnico: l'estraneità di Galileo e della sua scuola agli sviluppi dell'algebra. Inoltre egli non considerò il Cavalieri una personalità subordinata a Galileo, ma una figura comparabile, diversa per impostazione mentale (più "vasta" la mente di Galileo, più "profonda" quella del Cavalieri). L'influenza degli elogi frisiani nel definire i moduli italiani del genere e certi schemi valutativi su personalità, periodi e aspetti della storia scientifica italiana fu grande. Letti ampiamente, contribuirono ad avviare una fase importante di studi di storia della scienza e a fissare un'autoimmagine della comunità scientifica e un modello della storia intellettuale del paese, quasi topico nella storiografia risorgimentale.

Generalmente ammirati sul piano stilistico, gli elogi di Galileo e del Cavalieri suscitarono reazioni per certi giudizi storici e perché configuravano una continuità tra scienza moderna e illuminismo. Punta di lancia della polemica furono ancora gli ex gesuiti della Continuazione del nuovo Giornale de' letterati di Modena, con recensioni anonime a diverse edizioni dell'elogio del Cavalieri (XIV [1778], pp. 191-236, 280-285; XXII [1781], pp. 116-124). La prima rilevò che i giudizi sul ruolo scientifico dei gesuiti erano fuori luogo in una biografia del matematico, e li contestò. Il F. scrisse due repliche (Dello stato delle scienze presso i gesuiti e Del merito letterario, e scientifico dei gesuiti), che però utilizzò solo in parte in successive edizioni dell'elogio. Il d'Alembert, il cui saggio contro la Compagnia aveva ispirato i suoi pronunciamenti, l'esortò a non curarsi della "canaille jésuitique".

Prima e dopo i viaggi a Parigi e Vienna il F. svolse molte consulenze, non solo idrauliche e non solo per il governo asburgico. Nel 1765 fu consultato sulla strada Modena-Pistoia. Nel 1770 fu in Trentino per questioni circa l'utilizzo delle acque (vi tornerà nel 1773-74 per la regolazione del torrente Fersina). Nel 1772 esaminò un progetto di acquedotto per Genova. Dal 1772 al 1775 si interessò all'idea del Kaunitz di un sistema idroviario nell'Italia settentrionale, che unisse il Tirreno all'Adriatico e al Lago Maggiore, e forse anche alla rete fluviale di Austria e Slovenia. Il F. propose un porto fluviale a Cremona, connesso all'alta Lombardia dal fosso colatore della Delmona; studiò la canalizzazione dell'Adda, un'idrovia Milano-Pavia (la livellazione del F. tra le due città fu criticata dagli astronomi di Brera) e lo sviluppo del Naviglio di Milano. Sospeso il progetto, i suoi studi rimasero inediti (parte nell'Arch. di Stato di Milano, Acque, p.a.; altri nella Biblioteca del Politecnico, Mss. Frisi). Nel 1776 dotò di parafulmine un edificio pubblico milanese e, scritto un saggio Della maniera di preservare gli edifizj dal fulmine (Milano 1776), lo inviò in America al Franklin insieme con altre pubblicazioni. Nell'estate del 1777 la Serenissima lo chiamò a consulto con lo Ximenes e S. Stratico sul corso del Brenta (aveva trattato della laguna di Venezia nel libro VII delle Instituzioni di meccanica). Si dissociò da un progetto di A.M. Lorgna, e dette pareri sulla diversione di corsi d'acqua minori dalla laguna e sui canali della zona di Padova. A Venezia conobbe esponenti del patriziato, e la Serenissima non gli lesinò riconoscimenti e ricompense (sottrattegli da malfattori durante il ritorno a Milano; in seguito il governo veneto rifuse le perdite, ma l'episodio lo scosse). Nel novembre 1777 il Firmian l'interessò alla riforma delle unità di misura della Lombardia austriaca. Egli propose come unità di misura di lunghezza il "braccio di fabbrica" di Milano, con divisori e multipli decimali.

Questa parte del progetto fu pubblicata nell'anonimo Della riduzione delle misure di lunghezza della Città, e dello Stato di Milano (Milano 1781), forse non scritto da lui ma inglobante sue proposte e tabelle. Una riforma delle misure di peso, che, sempre con ripartizione decimale, prendeva a base l'oncia mercantile milanese, rimase invece inedita (Milano, Bibl. Politecnico, ms. F. 34, n. 27).

Nel 1773, soppressi i gesuiti, le scuole Palatine (divenute regio ginnasio) vennero trasferite nell'ex collegio della Compagnia a Brera, distante dalla residenza del F., che ne trasse ragione per chiedere l'autorizzazione a risiedere in famiglia, ciò che implicava la secolarizzazione. La cosa non piacque in ambienti ecclesiastici e, solo nel 1776, dopo un intervento del Kaunitz, Pio VI gli concesse lo stato secolare finché fosse pubblico professore. Visse con la madre, tre fratelli e una sorella; la vita laicale gli creò problemi economici (per Verri si adattò pienamente alla nuova situazione, ma fonti barnabitiche parlano di un parziale pentimento). Nell'agosto 1778 il F. compì un terzo viaggio all'estero, andando in Svizzera col Gorani. Fu nel Canton Ticino e in quelli francofoni, visitò Ch. Bonnet e A. Trembley, con i quali corrispondeva. Nel successivo 1779 soffrì tra maggio e agosto di disturbi nervosi. Nell'estate uscì dalla crisi, ma in seguito ridusse le sue frequentazioni, e il suo sguardo sulla società si fece più disilluso, come appare in due scritti di allora, l'Elogio del conte Donato Silva (Milano 1779) e l'Elogio di Tito Pomponio Attico (Milano 1780, ma già terminato nel 1779), che sono tra i suoi minori e meno noti, ma rivelano il suo stato intimo.

Nel 1780, alla morte di Maria Teresa, la Società Patriottica diede incarico di scrivere l'elogio al Parini, che poi rinunciò adducendo ragioni di salute, ma forse per la concorrenza del F., che aveva manifestato l'intento di scriverne uno proprio. Egli lavorò al testo dal 1781, incoraggiato da Kaunitz, e lo terminò nell'autunno del 1782. Una copia manoscritta inviata al Kaunitz per un giudizio preventivo fu smarrita, e l'Elogio di Maria Teresa imperatrice apparve anonimo, per opera del Fabroni (Pisa 1783).

L'elogio è l'unico dedicato dal F. a un personaggio politico; la ricerca di un tono sostenuto produce anche forzature retoriche, ma vi si osserva il tipico impasto tra quadro storico, dati biografici, analisi delle opere e generalizzazione etica. L'opera della sovrana è preceduta da un'analisi delle vicende belliche connesse alla sua salita al trono e da una della guerra dei Sette anni. L'esame non trascura la sua devozione religiosa, la sobrietà e metodicità di vita e l'umanità, ma si concentra sulle riforme (con particolare attenzione alla Lombardia), come esempio di quanto una monarchia assoluta solerte del bene pubblico e servita da funzionari capaci e disinteressati superi altre forme politiche in efficacia. L'elogio riassume l'ideologia e sensibilità civica del F.: separazione Chiesa-Stato; antigesuitismo; ruolo primario del ceto colto e prevalenza dei fattori intellettuali nel processo storico (il F. polemizza col "cinico ginevrino" per aver negato il ruolo degli studi nel miglioramento complessivo delle società); sostegno a un'economia di libera concorrenza (notevoli gli accenni al ruolo conservatore delle corporazioni di mestiere). L'opera non piacque a tutti; ebbe tuttavia una traduzione francese, prefata dal Condorcet (Éloge de l'impératrice-reine Marie-Thérèse, Amsterdam-Paris 1785).

Nel 1781 il F. pubblicò a Milano gli Opuscoli filosofici, con testi già editi, ma rivisti (Delle influenze meteorologiche della Luna, ancora in polemica con il Toaldo, e Dei conduttori elettrici, ripresa dello scritto del 1776), e altri nuovi: Dell'azione dell'olio nell'acqua, Del calore superficiale, e centrale della Terra, Dei fiumi sotterranei. Dal 1782 stampò una raccolta dei suoi maggiori lavori scientifici, riveduti e ampliati, con l'aggiunta di scritti nuovi (Operum tomus primus, algebram et geometriam analyticam continens, Milano 1782; Operum tomus secundus, mechanicam universam et mechanicae applicationem ad aquarum… theoriam continens, ibid. 1783; Operum tomus tertius, cosmographiam physicam et mathematicam continens, ibid. 1785, postumo; un quarto volume, destinato agli elogi, non fu pubblicato). Nel 1783 l'accademia di Pietroburgo premiò una sua dissertazione sull'uniformità della rotazione terrestre.

Nel 1783 il F. fu visitato da V. Alfieri, che gli affidò la diffusione a Milano del secondo volume delle sue tragedie e ne ebbe lettere di presentazione per Parigi. L. Castiglioni, nipote del Verri, ebbe da lui una commendatizia per Franklin. Nel maggio 1784 la sua notorietà fu sancita da un colloquio a Milano con Gustavo III di Svezia. Nell'estate, per i disturbi causatigli da più fistole, i medici gli consigliarono il riposo domestico. Lavorò al terzo volume delle sue opere, ordinando l'epistolario (a lui probabilmente risale l'attuale divisione in paesi di provenienza e singoli corrispondenti) e, soprattutto, stendendo l'Elogio del signor d'Alembert. Nell'autunno i disturbi si aggravarono; i medici suggerirono un intervento chirurgico al quale seguì un'infezione: P. Verri gli consigliò di prendere i sacramenti ed egli accettò, ricevendoli dal confratello Racagni, che testimoniò del fatto quando a Milano circolò la voce che il F. avesse rifiutato i conforti religiosi.

Il F. morì a Milano il 22 nov. 1784; i barnabiti, nonostante il distacco degli ultimi anni, lo vollero sepolto in S. Alessandro.

La bibliografia delle opere del F. in G. Boffito (Scrittori barnabiti o della Congregazione dei chierici regolari di San Paolo (1533-1933), II, Firenze 1933, pp. 72-98 (vedi anche IV, pp. 381-397) è stata corretta, ed estesa a ristampe e edizioni di inediti tra 1933 e 1970, da R. Candiani, Catalogo dei manoscritti e bibliografia, in Ideologia e scienza nell'opera di Paolo Frisi (1728-1784).Atti del Convegno internaz. di studi (giugno 1985), a cura di G. Barbarisi, Milano 1987, II, pp. 445-579 (alle pp. 517-529 sono elencati 67 titoli, in buona parte pubblicati più volte, cui vanno aggiunte 81 pubblicazioni di lettere del F. o di altri a lui, avvenute lui vivente o postume: pp. 567-579). Edizioni recenti di inediti frisiani sono in A. Masotti, Scritti inediti di P. F., in Rendiconti del R. Ist. lombardo di scienze e lettere, LXXVI (1942-43), 2, pp. 286-315; LXXVII (1943-44), 1, pp. 3-14; LXXVIII (1944-45), 1, pp. 367-390; Illuministi italiani, III, Riformatori lombardi piemontesi e toscani, a cura di F. Venturi, Milano-Napoli 1958, ad Indicem; U. Petronio, Uno scritto giurisdizionalista dell'illuminismo lombardo, in Annali di storia del diritto, X-XI (1966-67), pp. 547-576; S. Tomani, I manoscritti filosofici di P. F., Firenze 1968; P. Frisi, Scritti di idraulica fluviale e di canalizzazione, a cura di C. Fischer, Firenze 1970.

Fonti e Bibl.: Circa 1600 lettere al F., con abbozzi o copie di circa 50 sue, sono conservate nella Bibl. Ambrosiana di Milano (codici Y 148 sup.-Y 154 sup.; Y 163 sup.); circa altre 160, con lettere sue ad altri (circa 700), sono in numerose biblioteche e archivi italiani ed esteri (ad esempio a Londra, British Museum, Mss. Egerton 15 ss.). Le carte di lavoro e gli inediti, con alcune lettere sue o a lui, si trovano a Milano nella Biblioteca del Politecnico nei 35 codici del Fondo Frisi, e in misura minore altrove (segnatamente nell'Archivio di Stato di Milano). Il ms. 44 della Collezione Viganò della Biblioteca del Politecnico di Brescia, che come i due fondi precedenti proviene dai fratelli del F., raccoglie invece attestazioni di premi accademici, necrologi del F. e lettere di cordoglio per la sua morte. Una documentazione così copiosa è solo il residuo di una più ampia; se certe perdite sembrano tarde (parte del codice Y 153 sup. della Biblioteca Ambrosiana con lettere di Bailly e Condorcet), altre perdite importanti risalgono al F. stesso o ai fratelli. Manca gran parte delle lettere del d'Alembert e di P. Verri (che forse volle gli fossero restituite) e tutte quelle di provenienza ecclesiastica; mancano anche lettere o documenti attinenti ai rapporti con l'Ordine o con singoli barnabiti, e lettere del matematico G. Pessuti, vicino al F. negli ultimi anni. Alcune perdite sono state spiegate con l'abitudine del F. di dare in lettura le lettere che riceveva, altre col desiderio dei fratelli di occultare lettere che, come quelle del d'Alembert, potessero comprometterne la sostanziale ortodossia che essi cercarono di accreditare. Fonte primaria della biografia del F. rimane P. Verri, Memorie appartenenti alla vita ed agli studi del signor don P. F., Milano 1787. Un elenco degli scritti sul F., esteso alle recensioni alle opere e a lavori che lo menzionano anche solo incidentalmente, dal 1752 al 1985, è ancora in Candiani, pp. 533-563. I due volumi di atti del citato convegno Ideologia e scienza contengono contributi su quasi tutti gli aspetti della sua vita e attività, fornendo per ognuno un bilancio sullo stato degli studi. Tra i contributi posteriori: F. Venturi, Settecento riformatore, V, 1, Torino 1987, pp. 562-572, 588-591 (in parte ripresa di studi precedenti); ampio materiale sulle relazioni F.-Beccaria è in Opere di Cesare Beccaria, ed. naz. diretta da L. Firpo, Milano 1984 e ss.

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