Mantegazza, Paolo

Il Contributo italiano alla storia del Pensiero: Scienze (2013)

Paolo Mantegazza

Paola Govoni

Medico, patologo, igienista, antropologo, Paolo Mantegazza fu tra i protagonisti del dibattito italiano sull’evoluzionismo. I suoi interventi sulle razze e sulla donna, di tono diverso negli scritti per esperti rispetto a quelli per il pubblico, aiutano a comprendere alcuni nodi controversi nella storia dei rapporti tra scienza e società. Fu divulgatore amato dal ristretto pubblico italiano e la circolazione internazionale dei suoi libri lo rese noto anche in numerosi altri Paesi. La sua presenza in ambiti così differenti aiuta a comprendere il ruolo sociale dell’esperto in un momento decisivo del processo di istituzionalizzazione della ricerca e di professionalizzazione dello scienziato.

La vita

Paolo Mantegazza nacque il 31 ottobre 1831 a Monza, in una famiglia altoborghese. La madre, Laura Solera (1813-1873), presto separata dal marito Giovan Battista, fu fondatrice di una delle prime scuole professionali femminili; colta e poliglotta, ebbe un ruolo importante nella formazione del figlio e, grazie alla sua rete di contatti, anche nelle prime fasi della sua carriera.

Influenzato dalle posizioni politiche della madre, che fu antiaustriaca e in contatto con Giuseppe Mazzini (La mia mamma, Laura Solera Mantegazza, 1876), Mantegazza partecipò ai moti del marzo 1848 a Milano; in seguito avrebbe riconosciuto l’influenza avuta da Carlo Cattaneo sulla sua formazione (si veda Rivista scientifica, «Nuova antologia», 1875, 29, p. 197). Iniziò a studiare medicina a Pisa, ma si laureò a Pavia nel 1854, dove Bartolomeo Panizza (1765-1867) guidò le sue prime ricerche (Ricerche sulla generazione degli infusorii, e descrizione di alcune nuove specie, «Giornale dell’I.R. Istituto lombardo di scienze, lettere ed arti», 1852, 18, pp. 467-90).

Conseguita la laurea, partì per un viaggio nelle capitali europee. A Parigi scrisse Fisiologia del piacere (pubblicato in Italia nel 1854), il primo dei quarantanove libri, quasi tutti divulgativi, di cui risulta autore. Fisiologia del piacere era un bizzarro miscuglio di dati scientifici, aneddoti e opinioni personali, nella cui narrazione il brio della conversazione da salotto si alterna con un tono da ‘sacerdote della scienza’. Sarebbe diventata questa la cifra della vasta pubblicistica di Mantegazza, di grande successo presso un pubblico con una scarsa o inesistente formazione scientifica.

Proseguì il viaggio in vari Paesi dell’America Latina, dove praticò come medico, tentò diverse attività commerciali e iniziò a occuparsi di antropologia (Sulla America meridionale. Lettere mediche, 2 voll., 1858-1860). Nel 1858 sposò Jacobita Tejada de Montemajor, con la quale avrebbe avuto quattro figli.

Lo stesso anno rientrò a Milano, dove comprese le potenzialità offerte dalle attività riconducibili all’ambito della cosiddetta scienza popolare, che avrebbero raggiunto l’apice del successo negli anni 1880-90. Il 20 agosto 1859 indicò nel diario (Giornale della mia vita, 12° vol.) i suoi obiettivi, tra i quali: esercitarsi a parlare in pubblico; pubblicare un volume divulgativo per «diffondere nel popolo idee buone» di igiene; ottenere «la simpatia dei [suoi] concittadini» per ampliare la clientela; ottenere la «candidatura per una cattedra». Mantegazza adotterà sempre con lucidità questo modo di procedere, dove obiettivi istituzionali, sociali e culturali si intrecciavano spesso a interessi personali, quasi mai a obiettivi di ricerca in senso stretto.

Dopo avere lavorato all’Ospedale maggiore di Milano, nel 1860, a ventinove anni, ottenne la cattedra di patologia dell’Università di Pavia, grazie a una ricerca sperimentale sulla coca (Landucci 1996, p. 2797). I suoi articoli scientifici fino allora erano stati nove, diversi dei quali brevi note (E. Ehrenfreund, Bibliografia degli scritti di Paolo Mantegazza, «Archivio per l’antropologia e l’etnologia», 1926, 1-4, pp. 7-22). Nel 1861 pubblicò Il bene e il male, un libro che gli valse la prima notorietà; nel 1862 fondò a Pavia il Laboratorio di patologia sperimentale, il primo con quella denominazione in Italia, e la rivista di alta divulgazione «L’Igea. Giornale d’igiene e medicina preventiva». Nel 1861 e nel 1863 visitò di nuovo l’Argentina. Nel 1865 fu eletto in Parlamento deputato della Destra.

Nel 1866 iniziò a pubblicare la serie di volumetti Almanacco igienico popolare, che per quasi quarant’anni (fino al 1905) ebbe un numero di lettrici e lettori rimarchevole per l’epoca. Con pubblicazioni popolari come questa e molte altre, Mantegazza condusse una campagna importante contro pregiudizi e abitudini deleterie per la salute personale e pubblica degli italiani, incluso il matrimonio tra consanguinei, e propugnò il controllo delle nascite. In dieci anni, egli raggiunse gli obiettivi che aveva confessato nel 1859 al suo diario: vantava una rete consolidata di rapporti importanti e una larga fama presso il pubblico dei lettori e degli elettori lombardi, categorie in larga misura coincidenti (fu rieletto in Parlamento nel 1867, e fu consigliere comunale a Milano dal 1860 al 1865). Tuttavia, in quegli anni il suo impegno verso l’antropologia era diventato prevalente.

Nell’ambito di una serie di misure promulgate dai primi governi liberali nel campo dell’istruzione e della ricerca, nel 1869 fu istituita la prima cattedra di antropologia ed etnologia, presso il Regio Istituto di studi superiori pratici e di perfezionamento, fondato a Firenze nel 1859. L’idea era di Mantegazza, che la realizzò con l’aiuto di Pasquale Villari (1827-1917), allora segretario generale del ministero della Pubblica istruzione. La cattedra fu assegnata inizialmente alla facoltà di Lettere: se per Villari l’antropologia era «la prima pagina della storia» (Landucci 1977, p. 113), per Mantegazza fu sempre lo studio dell’evoluzione biologica e insieme culturale dell’umanità (Barsanti 2010).

Giovane professore intraprendente, politico e massone, scrittore di fama, Mantegazza era la figura ideale per dare visibilità all’antropologia, disciplina di frontiera e poco nota in Italia. Nel 1869 fondò il Museo nazionale di antropologia ed etnologia, e nel 1871, insieme a Felice Finzi, la Società italiana di antropologia ed etnologia e la rivista «Archivio per l’antropologia e l’etnologia». La sua fu una presenza importante a Firenze, e non solo per il sistema di istruzione superiore. Le porte del Museo di antropologia furono aperte al pubblico e Mantegazza vi tenne conferenze di grande successo.

Per il suo impegno politico e pubblicistico nel campo della medicina sociale e dell’igiene, fu nominato membro del Consiglio superiore di sanità (1871) e presidente della Società italiana di igiene (1882) e, nel 1876, senatore (Ricordi politici di un fantaccino del Parlamento italiano, 1896). Non smise di viaggiare, facendo anche uso della fotografia per documentare le sue osservazioni etnografiche (Un viaggio in Lapponia coll’amico Stephen Sommier, 1881; India, 1884).

Nel 1891, rimasto vedovo, si risposò con Maria Fantoni, con la quale, nel 1892, ebbe un quinto figlio. Tra i promotori dei ‘soggiorni d’igiene’, fu direttore dei bagni di Rimini e medico presso le terme di Acqui; tra le sue carte sono numerose le tracce dei contratti che firmò per promuovere prodotti medici e non. La citata Bibliografia del 1926 elenca 1418 titoli. Morì a San Terenzo di Lerici (La Spezia) il 28 agosto 1910.

Politiche della scienza

Negli anni in cui Mantegazza vi era studente, l’Università di Pavia non offriva, a suo parere, le condizioni per una buona formazione sperimentale, e chi voleva impratichirsi nelle tecniche di laboratorio si recava all’estero. Mantegazza non seguì quella strada e, alcuni anni dopo essere diventato titolare della cattedra di patologia, confessò al diario che la sua «esperienza scientifica [era] stata molto imperfetta» e che sentiva «un bisogno urgente di un viaggio e di un breve soggiorno in Germania per impararvi tecnica microscopica e chimica» (Giornale…, cit., 16° vol., 4 marzo 1863). Il vortice degli impegni cui si è accennato lo indusse, tuttavia, a trascurare quei propositi, ed egli si occupò sempre di ambiti diversi, con risultati diseguali. Fu spinto da una curiosità mai sistematica ma inesauribile, affiancata da un aggiornamento costante sui risultati della ricerca scientifica internazionale (era in grado di leggere in cinque lingue), come testimoniano i suoi interventi nel dibattito sull’evoluzionismo.

A dieci anni dalla pubblicazione di On the origin of species (1859), il primo scritto di Mantegazza sull’argomento è la recensione (Carlo Darwin e il suo ultimo libro, «Nuova antologia», 1868, 8, pp. 70-98) a un altro libro di Charles R. Darwin, The variations of animals and plants under domestication (1868; si vedano Landucci 1996 e Volpone 2011). Mantegazza presentava la pangenesi non come un risultato provvisorio, come aveva scritto prudentemente Darwin, ma come «una delle linee più grandiose della sua teorica» (Carlo Darwin, cit., p. 88). Lo scienziato inglese aveva citato in modo errato una ricerca di Mantegazza (Degli innesti animali, 1865) e ne era seguito un breve scambio epistolare tra i due. Grazie alla fama di Mantegazza e a una retorica potente, la recensione del 1868 è riconosciuta come un contributo importante alla diffusione dell’evoluzionismo a sud delle Alpi. L’articolo era chiaro e ricco di esempi, ed è interessante evidenziare in che modo i lettori della «Nuova antologia» venivano introdotti da Mantegazza al concetto di selezione naturale:

Lo studio delle piante e degli animali domestici ci dimostra l’azione diretta del clima e del cibo, gli effetti dell’uso e del disuso sugli organismi viventi; ci dimostra il potente influsso dell’eredità, dell’incrociamento, e di quella scelta di caratteri a cui Darwin ha dato un nome ormai immortale, quello di natural selection (pp. 71-72).

La complessità del processo spariva invece per i lettori dei libri divulgativi di Mantegazza, nei quali la selezione naturale era definita come capace di portare «i pochi forti [a guidare] i molti deboli; i pochi intelligenti, [a governare] le turbe dei poco intelligenti» (Igiene del nido, 1877, p. 75). Salti di questo tipo si produssero anche nell’ambito della psicologia positiva, di cui Mantegazza fu uno dei primi cultori (si veda Misura d’uomo, 1986). Nelle sue opere popolari (che, al contrario di quelle specialistiche, ebbero ampia circolazione) la sbrigatività era frequente:

Abbiamo la ferma convinzione che fra la pila di Volta e il cervello umano vi sia una serie non interrotta di gerarchie, come fra il nervo e il filo telegrafico (Elementi d’igiene, 1864, p. 533).

Il lavoro di Mantegazza fu importante in tema di igiene, ambito cruciale in un Paese le cui condizioni sociali erano drammatiche. In particolare, grazie a «L’Igea», periodico da lui fondato con l’obiettivo di raggiungere medici e ricercatori, l’igiene fu introdotta in Italia come settore di studi ancor prima della sua istituzionalizzazione nelle facoltà mediche.

Le attività di Mantegazza in campo antropologico ebbero enorme successo presso il pubblico in anni di colonialismo ed esplorazioni geografiche. Le notizie sui ‘selvaggi’ da lui presentate in scritti e conferenze suscitarono curiosità che si intrecciavano con i temi dell’evoluzionismo, scatenando accesi dibatti politici e su scienza e fede (Pancaldi 2003). Mantegazza concepiva se stesso come «sacerdote» di una scienza che era «religione dell’avvenire»; con questi presupposti presentava le origini animali dell’umanità e il grado di civiltà cui questa era giunta come la capacità della specie di progredire secondo le leggi di un ‘progresso’ orientato al meglio. Il processo era insieme emancipazione dall’animalità e dalla superstizione: per queste ragioni la sua antropologia univa lo studio della natura a quello della cultura umana.

Quando Mantegazza morì la notizia fece il giro d’Europa. I giornali scientifici più autorevoli non ricordarono le sue ricerche ma le brillanti doti di scrittore («Nature», 1° settembre 1910, p. 27; «British medical journal», 17 settembre 1910, p. 824), e non mancò chi lo definì «una figura pittoresca» («Lancet», 1910, 2, pp. 856-57). Le commemorazioni furono centinaia, e vi fu chi, come Giuseppe Sergi, scrisse:

Mantegazza fu di ingegno vario e versatile, di cultura larga e molteplice, d’istruzioni varie, di attività continua e costante, di parola facile e briosa, di stile, nello scrivere, chiaro e fecondo: per queste qualità non sempre facili a ritrovare insieme in un uomo, io lo chiamo geniale. Fu scienziato? (Paolo Mantegazza, «Nuova antologia», 1910, 233, p. 231).

Al di là delle gelosie tipiche dell’accademia, Sergi poneva un quesito che resta aperto. I ruoli di politico e di sacerdote del progresso ‘alla Mantegazza’ nell’Italia di età liberale erano accettati, e lo sarebbero stati anche in seguito, sebbene sull’onda di retoriche diverse da quella positivista. In Italia l’immagine dello scienziato impegnato in campo sociale non era la stessa diffusa in Gran Bretagna, Paese cui Mantegazza guardò come a un modello e che spesso indicò come tale ai suoi lettori. In contesto vittoriano, un high priest of science come Thomas H. Huxley (1825-1895) non avrebbe probabilmente potuto godere di credibilità presso i colleghi senza il sostegno di proprie ricerche sperimentali significative. Celebrato a sud delle Alpi come scienziato e antropologo, Mantegazza era citato da Darwin piuttosto come «the Italian traveller» (The descent of man, and selection in relation to sex, 1871, p. 322).

La vasta letteratura esistente su Mantegazza sembra indicare che il suo contributo più importante in campo scientifico fu di tipo istituzionale (Landucci 1996, p. 2802): con la fondazione del laboratorio pavese, dove lavorarono Camillo Golgi e Giulio Bizzozero (1846-1901), della cattedra e del museo di antropologia, con la fondazione di riviste come «Archivio» e «L’Igea», Mantegazza contribuì all’istituzionalizzazione di settori d’indagine trascurati o sconosciuti in Italia.

Donne, uomini, razze

Quando, da giovane, Mantegazza intraprese l’avventura sudamericana, aveva tra i suoi obiettivi anche quello di arricchirsi. Non ci riuscì con il commercio della coca, un prodotto che consumò regolarmente dal 1863, perché non ottenne dal governo boliviano il permesso per commercializzarla (Landucci 1996, p. 2802). Diventò invece ricco investendo i guadagni realizzati come pubblicista e consulente, docente e politico. Negli anni del suo maggiore successo, le incursioni in campi come l’igiene e la sessualità, i viaggi, il romanzo sentimentale e di fantascienza ante litteram resero a Mantegazza in diritti d’autore più del doppio del suo stipendio annuo di docente. Questi dati, insieme con quelli editoriali, consentono di ricostruire la capillare e duratura circolazione dei suoi scritti, inclusi quelli su razze e donna, utili a comprendere alcune dinamiche sfuggenti delle interazioni tra scienziati e pubblico e le loro ripercussioni novecentesche (Govoni 2002).

In merito alla questione ebraica, per es., le posizioni di Mantegazza come antropologo erano prudenti rispetto a quelle di altri colleghi. Ma il Mantegazza divulgatore non era altrettanto accorto. Nel settimanale forse di più ampio successo negli anni 1880-90, «Il Fanfulla della domenica», si svolse uno scambio tra Mantegazza e Benjamino Soria, un lettore ebreo offeso dai toni dell’antropologo sugli «israeliti». L’episodio è fra i numerosi censiti per ricostruire la diffusione del razzismo in Italia, Francia, Gran Bretagna, Romania e Germania prima dell’Olocausto (Brustein 2003, p. 164). Mantegazza esordiva esprimendo riprovazione per i sentimenti antiebraici diffusi ovunque e da secoli. Li spiegava come frutto di «paura per tutto ciò che è più forte di noi: invidia per tutto ciò che è più ricco e potente», ma proseguiva:

Aggiungete a questo la ripugnanza naturale di razza a razza, aggiungete alcuni difetti odiosi degli Israeliti, frutti però anch’essi delle nostre persecuzioni; e avrete dinanzi agli occhi, se non tutta l’anatomia, almeno lo scheletro del magno problema antisemitico. Gli Ebrei sono spesso usurai, sono spesso tiranni nel

regno dell’oro, sono spesso sudici, son quasi sempre nevrotici e quindi ipocondriaci (La questione antisemitica, «Il Fanfulla della domenica», 20 settembre 1885, prima pagina non numerata).

Nel 1886 Mantegazza decise di pubblicare un libro antropologico che provocasse colleghi e pubblico trattando di sessualità, e dove i temi razziali erano ampiamente affrontati. Gli amori degli uomini: saggio di una etnologia dell’amore (2 voll., 1886), bollato come «libro erotico», fu messo all’Indice e diventò un best seller. Dei due volumi che componevano l’opera, il primo era dedicato al matrimonio, all’igiene e all’educazione sessuale, il secondo estendeva l’analisi alle popolazioni non europee. La battaglia dell’autore era contro l’ipocrisia, che a suo dire impediva una schietta educazione sessuale dei giovani. Nei panni di «psicologo naturalista», Mantegazza descriveva i «normali» desideri e le «perversioni» in diverse popolazioni. Circa le razze, ammetteva che «la scienza ha fatto piena giustizia delle false credenze, che vi fossero razze sterili fra di loro», ma precisava che «l’uomo europeo è uno dei tipi più alti dell’umana famiglia, ma è giunto in alto, passando ad uno ad uno tutti gli scalini bassi e medi» (2° vol., p. 247): scalini in cui si trovano «selvaggi», «negri» e donne di tutte le razze.

Lo psichiatra tedesco Richard von Krafft-Ebing (1840-1902), peraltro piuttosto tollerante in fatto di rigore, pur citando ampiamente Mantegazza sosteneva che il suo scritto era brillante ma non «scientifico» (Psychopathia sexualis […], 1886, trad. ingl. 1892, p. III). Tuttavia furono proprio queste caratteristiche che decretarono al libro di Mantegazza un ampio successo, continuato fino agli anni Trenta e Quaranta del Novecento. Il sesso, tema di sicuro scalpore quando trattato da Mantegazza, diventava il veicolo potente e duraturo per la circolazione di idee sulle razze e sulla donna affrettate e ambigue.

Alla ‘questione della donna’ Mantegazza dedicò una delle sue ‘fisiologie’ (Fisiologia della donna, 1893). Nella conclusione della parte etnografica, prevedeva un mondo dove, scomparse le «razze inferiori», si sarebbe imposta «una donna europea» la cui fisionomia si sarebbe avvicinata a quella della donna di Francia, «nazione media» (a suo parere, infatti, l’apice positivo era rappresentato dalle donne inglesi e tedesche, quello negativo dalle italiane e spagnole). Approfondite le ragioni biologiche che spiegavano l’impossibilità per la donna di svolgere le stesse attività dell’uomo, Mantegazza affermava che, se è facile «finché si tratta del fisico essere giusti […] la donna è più bassa […] il suo cervello ha minor peso», le cose erano meno ovvie quando si trattava di fare «la psicologia comparata dei due sessi»; dichiarava quindi che la donna «non è né al di sopra né al di sotto dell’uomo; ma gli è accanto» (p. 13). Il procedere contraddittorio di Mantegazza, talvolta all’interno della medesima pubblicazione, è all’origine dei diversi modi in cui è stato possibile leggere le sue pagine (Minuz 1986; Rossi-Doria 1999; Pireddu 2007). In tema di ‘natura’ della donna, in ogni caso, non sembrerebbero esserci dubbi sul fatto che per Mantegazza la risposta definitiva dev’essere affidata alla storia dell’evoluzione:

E ora concludiamo. La donna fu ed è e sarà sempre meno intelligente dell’uomo; e il carattere generale del suo pensiero è quello di essere infantile. Nella lunga via dell’evoluzione essa si ferma sempre a stazioni più vicine al punto di partenza. Di certo con un’educazione migliore essa potrà in avvenire dare un tributo maggiore alla scienza, alle lettere, alle arti; ma credo che la distanza che la separa da noi sarà sempre la stessa: perché insieme alla donna progredirà anche l’uomo […]. L’oppressione, in cui fu tenuta fino ad oggi la donna, non basta a spiegare la sua inferiorità (Fisiologia della donna, cit., p. 269).

Anche Fisiologia della donna ebbe un successo immediato e duraturo, proseguito fino agli anni del fascismo e del dopoguerra.

Mantegazza fu un viaggiatore di professione, un esterofilo curioso e aperto alle novità, un uomo, nel privato, consapevole dei propri limiti: queste caratteristiche lo salvarono da quel nazionalismo che fu, invece, tipico di molti suoi contemporanei, i quali contribuirono in tal modo a circoscrivere i confini della scienza italiana in ambiti ancora più marginali. Caratteristica di Mantegazza fu quell’attività di esperto-divulgatore-riformatore sociale che, pur non esente dalle ambiguità qui sopra richiamate, gli consentì di portare in diverse occasioni gli interessi della scienza al centro del dibattito pubblico.

Opere

Per l’elenco completo delle opere di Mantegazza, si veda E. Ehrenfreund, Bibliografia degli scritti di Paolo Mantegazza, «Archivio per l’antropologia e l’etnologia», 1926, 1-4, pp. 1-176.

Per i manoscritti conservati presso il Museo di antropologia ed etnologia di Firenze, si veda Le carte e la biblioteca di Paolo Mantegazza, a cura di E. Frati, Milano 1991.

Pressoché ogni evento (professionale e personale) della vita di Mantegazza è da lui raccontato in Giornale della mia vita, 62 volumi manoscritti conservati nella Biblioteca civica di Monza.

Bibliografia

G. Landucci, Darwinismo a Firenze: tra scienze e ideologia, 1860-1900, Firenze 1977, in partic. pp. 107-56.

F. Minuz, Femmina o donna, in V.P. Babini, F. Minuz, A. Tagliavini, La donna nelle scienze dell’uomo: immagine del femminile nella cultura scientifica italiana di fine secolo, Milano 1986, pp. 114-60.

Misura d’uomo: strumenti, teorie e pratiche dell’antropometria e della psicologia sperimentale tra ’800 e ’900, a cura di G. Barsanti, S. Gori-Savellini, P. Guarnieri, C. Pogliano, catalogo della mostra, Firenze 1986.

G. Landucci, Mantegazza Paolo, in Dictionnaire du darwinisme et de l’évolution, éd. P. Tort, 1° vol., Paris 1996, ad vocem.

A. Rossi-Doria, Antisemitismo e antifemminismo nella cultura positivistica, in Nel nome della razza: il razzismo nella storia d’Italia 1870-1945, a cura di A. Burgio, Bologna 1999, pp. 455-73.

P. Govoni, Un pubblico per la scienza: la divulgazione scientifica nell’Italia in formazione, Roma 2002, in partic. pp. 207-70.

W.I. Brustein, Roots of hate: anti-Semitism in Europe before the Holocaust, Cambridge 2003, in partic. pp. 162-76.

G. Pancaldi, L’evoluzionismo darwiniano: successi e controversie, in Storia della scienza, Istituto della Enciclopedia Italiana, 7° vol., L’Ottocento, Roma 2003, pp. 850-56.

N. Pireddu, Introduction, in P. Mantegazza, The physiology of love and other writings, ed. N. Pireddu, Toronto 2007, pp. 3-53.

G. Barsanti, Un poligamo di molte scienze. L’antropologia a tutto campo di Paolo Mantegazza, in L’Uomo e gli uomini: antologia di scritti antropologici, a cura di F. Barbagli, G. Barsanti, Firenze 2010, pp. 5-29.

A. Volpone, Splendori e miserie della più grande opera di Darwin, in Ch. Darwin, La variazione degli animali e delle piante allo stato domestico, a cura di A. Volpone, Torino 2011 pp. XV-XCVIII.

© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata

CATEGORIE
TAG

Esplorazioni geografiche

Fanfulla della domenica

Bartolomeo panizza

Selezione naturale

Giuseppe mazzini