TOSCHI, Paolo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 96 (2019)

TOSCHI, Paolo

Alessandra Avanzini

TOSCHI, Paolo (Paolo Stanislao Francesco). – Nacque a Parma il 6 giugno del 1788, da Luigi, cassiere delle Poste, e da Anna Maria Brest, di origini tedesche, entrambi di Parma.

Ebbe una sorella, Teresa, e un fratello, Giovanni. L’infanzia fu turbata da una situazione familiare difficile: tra il 1790 e il 1798, infatti, il padre, accusato di irregolarità, venne sospeso dal servizio.

Compì studi atipici sotto la guida dello zio prete Giovanni e, pare, di monsignor Alfonso Muzzarelli (Clerici, in Paolo Toschi e il suo tempo, 1992, p. 905).

In seguito studiò, con risultati eccellenti, presso l’Accademia di belle arti di Parma: incisione con Jean-François Ravenet e disegno con Biagio Martini, di cui serbò un pessimo ricordo contestandogli grettezza di carattere e scarsa competenza tecnica, «per la qual cosa io arrivai a Parigi mal istrutto e viziato nel disegno» (Note autobiografiche, in Paolo Toschi e il suo tempo, cit., p. 889). Nel 1807 fondò, con alcuni amici, tra cui Antonio Isac, la Società parmense degli incisori all’acquerello. L’anno successivo si unì al sodalizio l’amico Claudio Linati. La società si sciolse nel 1809 quando, insieme a Isac, Toschi si trasferì a Parigi, sulla spinta ancora una volta di «alcune disgrazie di famiglia», probabilmente la morte del padre. Su questa decisione, tuttavia, agì anche il desiderio di specializzarsi nell’arte dell’incisione. Il sostegno per i suoi studi all’estero fu garantito soprattutto dal barone Lucio Bolla, di cui egli serbò sempre un grato ricordo.

Nella capitale francese ebbe come maestri Charles-Clément Bervic, l’incisore più quotato dell’epoca, che divenne presto uno dei suoi principali estimatori, e il fiammingo Joachim Jan Oortman, con cui si specializzò nella tecnica dell’acquaforte. Durante la permanenza parigina, inoltre, strinse rapporti di amicizia e collaborazione con l’antiquario Giuseppe Giunio Poggi, il medico, letterato e patriota Carlo Botta, e l’archeologo Ennio Quirino Visconti.

In questo periodo gettò le basi di una fama che ebbe dimensione europea e che trovò particolare affermazione con l’accoglienza entusiasta riservata, nel 1826, all’incisione commissionata da François Gérard, primo pittore del re, del suo quadro con l’Entrata di Enrico IV in Parigi. Lo stesso Carlo X, cui era dedicata, ne restò ammirato e regalò all’artista una tabacchiera d’oro ornata di diamanti e gli conferì la Legion d’onore. Ulteriore attestazione della fama raggiunta furono le nomine a vario titolo nelle principali accademie di belle arti europee, tra cui Venezia, Bologna (1826), Milano, Torino, Berlino (1827), Copenaghen, Firenze, Napoli (1831), Parigi (1832), Roma e San Pietroburgo (1833).

In Francia Toschi maturò il progetto di realizzare nella propria città natale una scuola d’incisione, incentrata sull’arte del bulino, all’altezza di quanto appreso a Parigi. Prima del ritorno a Parma, nel 1815, fu protagonista di un rocambolesco recupero di molte opere trafugate dal Ducato parmense nel periodo napoleonico, in particolare la Madonna di s. Girolamo del Correggio. Senza alcun incarico ufficiale del governo ducale, «mi portai al Museo [il Louvre] con sette o otto facchini e tre barelle con diversi panni da letto e della corda. Là profittando della confusione e dello sbigottimento nel quale erano tutti gli impiegati del Museo feci staccare i sette, otto o dieci principali nostri quadri» (Note autobiografiche, cit., p. 890) e, millantando un sostegno militare prussiano, ottenne di farli spedire a Parma.

Il suo rientro nella città ducale avvenne nel 1819, a motivo delle nozze con Maria Rigo (1803-1880), figlia di Bartolomeo, tesoriere generale del Ducato. Queste furono agevolate dall’amico Isac – che, nel 1814, tornato a Parma, aveva sposato Clarina, sorella maggiore di Maria – e furono celebrate il 7 ottobre di quell’anno. Dal matrimonio nacquero tre figlie, di cui due morte in tenera età: Marianna Teresa (1825-1827), Anna (1834-1863), Emilia (1841).

La ricca dote della moglie e la parentela con Rigo resero concreto il progetto della scuola, che, innestandosi sullo studio avviato dal cognato e divenuto adesso Isac-Toschi, prese avvio quello stesso anno. Denunciato lo stato disastroso della vita artistica del Ducato, Toschi s’impegnò con successo nel dare a questa istituzione fama internazionale, e «ben presto la nostra Scuola fu frequentata da nazionali e da esteri» (p. 891). Seppure in modo intuitivo, in essa sperimentò anche una prassi didattica tesa a valorizzare l’individualità degli allievi: «io credo commetterebbe un grande errore chi senza por mente a quella diversità d’indole e di disposizioni volesse far camminare tutti gli allievi ad un passo uniforme come coscritti militari» (lettera ad Antonio Costa del settembre del 1851, in Copialettere, in Paolo Toschi e il suo tempo, cit., p. 575).

Tra i suoi più convinti ammiratori vi fu la duchessa Maria Luigia, che nel 1820 lo nominò direttore delle Gallerie e scuole dell’Accademia e nel 1838 direttore dell’Accademia: di fatto, egli ebbe in mano le sorti artistiche della città. Nel 1821 gli fu affidato il progetto per l’ampliamento e il rinnovamento della Galleria nazionale e dell’Accademia di belle arti, curato per la parte esecutiva dall’architetto Nicola Bettoli; per il completamento delle opere, nel 1825, Toschi ricevette la croce di cavaliere dell’Ordine costantiniano di S. Giorgio. Sempre nel 1821 fu incaricato di lavorare all’aspetto ornamentale del nuovo teatro Ducale, inaugurato nel 1829. Nel 1828, infine, la stessa scuola, di cui aveva assunto la piena titolarità a seguito della morte di Isac, fu annessa ai corsi della locale Accademia, che da allora ebbe tra gli insegnamenti anche quello dell’intaglio e del rame. Infine, nel 1839, la duchessa gli finanziò l’ambizioso progetto di riprodurre le opere del Correggio a Parma e i quattro affreschi del Parmigianino nella chiesa di S. Giovanni Evangelista.

Questa preminenza fu anche motivo di radicate ostilità da parte di vari esponenti delle istituzioni artistiche cittadine, tra cui, in particolare, Biagio Martini. Di diversa natura, ma ugualmente aspro, lo scontro che oppose Toschi al conte Stefano Sanvitale e ai suoi tentativi di dare spazio a Parma, e più ancora nell’Accademia, alla litografia, più veloce e meno costosa dell’intaglio in rame.

Il sovraccarico lavorativo e le preoccupazioni familiari si tradussero in sempre più frequenti periodi di malattia – «un reuma infiammatorio» nelle sue parole – che lo accompagnarono fino alla morte. Sul finire degli anni Venti si era aperta, inoltre, una stagione di dolorosi lutti: nel 1827, per «un attacco di petto», morì improvvisamente la figlia primogenita; nel 1828, dopo lunga sofferenza, morì di tisi l’amico fraterno Isac. Ad aggravare ulteriormente il suo stato psicofisico contribuì, poi, il sempre più difficile rapporto con il suocero. Nel febbraio del 1826 Rigo, infatti, fu destituito dalla sua carica a causa di sostanziosi ammanchi nelle casse del tesoro. Per far fronte a questa situazione, egli ottenne che il genero firmasse due obbligazioni con l’impegno a liquidare, entro il 1829, il consistente debito contratto con lo Stato. Successivamente Rigo pretese anche la restituzione immediata, e con gli interessi, non solo delle somme erogate per il soggiorno parigino, ma anche per gli anni vissuti nella sua casa dopo il matrimonio. Ne nacque un aspro scontro legale, che s’interruppe con la morte di Rigo nel 1829. Le difficoltà finanziarie, invece, continuarono, e costituirono una costante preoccupazione, anche perché Paolo, alla morte di Isac, si prese carico del mantenimento della numerosa famiglia dell’amico.

Politicamente Toschi espresse una posizione moderata, favorevole all’unificazione nazionale, condividendo, in particolare, la prospettiva neoguelfa e avversando l’ipotesi repubblicana. Nel 1823 il suo nome comparve nella lista degli appartenenti alle società segrete dei Sublimi maestri perfetti e della carboneria, inserito tra coloro da ammonire senza ulteriori provvedimenti (Casa, 1904). In occasione dei moti del 1831 Toschi partecipò agli iniziali tentativi, senza successo, di indurre la duchessa ad alcune concessioni e, quando questa lasciò Parma, come membro del Consiglio civico sostenne la nomina del governo provvisorio. Negli anni successivi fu oggetto di «molta sorveglianza»: ancora nel 1833, in un’informativa riservata, il direttore generale della polizia del Ducato, Odoardo Sartorio, lo descriveva come «pronunciatissimo liberale e non poco pericoloso; è di carattere insubordinato, insofferente ed irrequieto; fomenta le passioni politiche dei suoi allievi» (Archivio di Stato di Parma, Protocollo della corrispondenza segreta della polizia generale, 1832-34). Più ancora delle sue azioni, furono, comunque, la fama e la vasta rete di conoscenze internazionali ad allarmare le autorità.

Un maggior protagonismo caratterizzò la partecipazione, insieme all’amico Pietro Giordani, agli eventi del 1848. Inizialmente Toschi sostenne la prospettiva di una svolta costituzionale del duca, ma nel momento in cui Carlo II lasciò il Ducato, temendo «una crisi repubblicana, che ci veniva minacciata dai nostri anarchisti uniti a fomentatori forestieri», si conformò al voto generale di unione al Regno di Sardegna (lettera a Enrico Salati, presidente del Dipartimento di grazia, giustizia e buongoverno, del 22 novembre 1849, in Copialettere, cit., p. 506).

Ciò non impedì che su L’Alba, foglio democratico fiorentino, venisse pubblicato un duro attacco all’incisore parmigiano «T [...] altra volta liberale» ed ora accusato di essere «uno de’ più accaniti partigiani del Duca» (13 aprile 1848, p. 1). Profondamente scosso dall’accusa, Toschi scrisse il 15 aprile 1848 a Roberto d’Azeglio – cui lo legavano anche rapporti artistici e che condivideva con il fratello Massimo la stima artistica e politica per l’artista parmigiano –, ottenendo pieno sostegno attraverso le pagine del Risorgimento. Nella lettera difese l’iniziale apertura nei confronti di Carlo II come il sostegno a una linea moderata capace di contenere derive rivoluzionarie, senza che ciò recasse «nessun danno alla gran causa italiana, giacché il duca [...] dichiarava di riportarsi allo arbitrio dei tre principi della Lega Italiana per rispetto alla sua sorte avvenire e per quella del suo Stato» (in Clerici, 1916, p. 844),

Restaurato il governo borbonico, nell’ottobre del 1849 il nuovo duca Carlo III decretò la destituzione di Toschi dalla direzione dell’Accademia per «cattiva condotta politica». L’allontanamento dall’attività artistica fu un colpo durissimo, che lo raggiunse peraltro in un momento di particolare sofferenza di salute. Scrisse a Salati, e allo stesso duca, ricordando, tra l’altro, come solo pochi mesi prima fosse stato accusato di «tenere in mia casa una camarilla duchista» (lettera a Enrico Salati, in Copialettere, cit., p. 506).

A sua difesa si mosse anche dall’Inghilterra il principe Alberto, consorte della regina Vittoria e grande amico del duca, e infine nel 1850 Toschi venne reintegrato nel ruolo di direttore delle Gallerie e delle scuole dell’Accademia di belle arti.

Morì improvvisamente nel suo studio il 30 luglio 1854, «in conseguenza d’un accesso d’apoplessia che lo coglieva in mezzo a’ dolori che una gravissima malattia di vescica cominciava a recargli» (lettera del genero Ercole Godi a Vincenzo Toschi, 17 agosto 1854, in Copialettere, cit., p. 690).

Opere. Autore di innumerevoli disegni, acquerelli e, soprattutto, incisioni. Di queste ultime, oltre alla ricordata Entrata di Enrico IV in Parigi (1826), ebbero una particolare rinomanza Lo spasimo di Sicilia di Raffaello (1833) e la serie, parzialmente realizzata, delle riproduzioni degli affreschi del Correggio e del Parmigianino.

Fonti e Bibl.: Un’ampia documentazione è presente nel Fondo Toschi presso il Museo Glauco Lombardi di Parma; in particolare, il Copialettere, pubblicato in P. T. e il suo tempo. Le lettere di un incisore, a cura di A. Mavilla, Parma 1992, contenente anche due scritti autobiografici, Note autobiografiche, pp. 889-894, Mie imprese di rilievo, pp. 895-896, e un manoscritto di G.P. Clerici, La vita e le opere di P. T. calcografo parmense (1788-1854), pp. 897-984. Si vedano inoltre: P. Martini, Intorno a P. T., Parma 1854; M. d’Azeglio, I miei ricordi, II, Firenze, 1867, p. 377; E. Casa, I carbonari parmigiani e guastallesi cospiratori nel 1821 e la duchessa Maria Luigia imperiale, Parma 1904, p. 228; G.P. Clerici, P. T. e Pietro Giordani. Da lettere e documenti editi e inediti, in Nuova Antologia, CXXII (1914), pp. 414-441; Id., P. T. e Massimo d’Azeglio, ibid., L (1915), f. 1050, pp. 487-496; Id., P. T. e Roberto d’Azeglio, in Rivista d’Italia, XIX (1916), pp. 839-855; P. Medioli Masotti, P. T., Parma, 1973; P. T. (1788-1854), incisore d’Europa (catal.), a cura di F. Sandrini, Parma 2004. Schede biografiche si trovano anche in G.B. Janelli, Dizionario biografico dei parmigiani illustri, Genova 1877, pp. 453-456; E. Bénézit, Dictionnaire critique et documentaire des peintres, sculpteurs, dessinateurs et graveurs de tous les temps et de tous les pays, III, Paris 1924, p. 911; R. Lasagni, Dizionario biografico dei parmigiani, IV, Parma 1999, pp. 608-615.

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