BENEDETTO XIV, papa

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 8 (1966)

BENEDETTO XIV, papa

Mario Rosa

Nacque Prospero Lambertini a Bologna il 31 marzo 1675 da Marcello e da Lucrezia Bulgarini. Educato dai somaschi a Bologna e poi, dal 1688, a Roma nel Collegio Clementino, si laureò in teologia e diritto nel 1694. La sua preparazione giuridica gli spianerà la carriera curiale, finché raggiungerà, nel 1720, la carica di segretario della Congregazione del Concilio. Una grande esperienza delle Congregazioni romane (tra l'altro di quella dei Riti, nella quale sarà, dal 1708, promotore della fede) e una particolare sensibilità per gli aspetti istituzionali della vita ecclesiastica contrassegnano questo primo periodo di attività del futuro pontefice. Si delineano già in lui taluni atteggiamenti che resteranno costanti: un impegno semplificatore nell'alveo della intricata legislazione post-tridentina, che esprimerà nei pareri per la Congregazione del Concilio, raccolti più tardi nelle Quaestiones canonicae et morales... (Bassano 1767); una tendenza alla moderazione, che permetterà all'esperto canonista di condurre a termine gli spinosi negoziati con Carlo VI d'asburgo per la "monarchia sicula" e con Vittorio Amedeo II di Savoia quelli per il concordato del 1727; il tenue rigorismo e le simpatie per gli orientamenti maurini, che lo spingeranno a pronunciarsi, lo stesso 1727, nella Congregazione dei Riti, contro la nuova devozione al Cuore di Gesù.

Vescovo titolare di Teodosia nel 1724, il Lambertini diviene arcivescovo di Ancona il 20 genn. 1727. Cardinale il 30 apr. 1728, passa alla più importante archidiocesi della città natale il 30 apr. 1731. La sua personalità si arricchisce intanto della diretta esperienza pastorale, che egli modella sulle linee della riforma tridentina e sull'esempio del Borromeo e del Paleotti.

Fondamentale per la comprensione e il commento della sua attività bolognese resta la Raccolta di alcune notificazioni, editti ed istruzioni pubblicate per buon governo della sua diocesi..., 5 voll., Bologna 1733-40; Venezia 1740; Roma 1742 e ancora Venezia 1773 e 1778. Fin dalla prima notificazione il Lambertini dichiara di non voler "far novità, ma di rimettere in piedi lo stabilito dalle sacre leggi ed il praticato altre volte in questa nostra diocesi, con aggiugnervi ancora qualche moderazione e qualche segno di ogni maggiore equità" (Roma 1742, I, p. 5). Egli insisterà, in generale, sul potenziamento dell'attività parrocchiale e sul dovere di residenza per gli ecclesiastici beneficiati con cura d'anime, sulla vita spirituale e la sana amministrazione dei conventi femminili, sul riordinamento della materia beneficiaria, sui problemi attinenti al foro ecclesiastico, sulla utilità delle missioni popolari, con cui concluderà la visita della Città il 21 marzo 1733. Di qui la simpatia con cui da pontefice accompagnerà le missioni di S. Leonardo da Porto Maurizio e di s. Paolo della Croce.

Alla conferma unitaria delle singole disposizioni pastorali attraverso un sinodo diocesano il Lambertini pensò presto, se nella prefazione ai De Synodo dioecesana libri tredecim..., editi a Roma solo nel 1748, egli allude all'esperienza bolognese e all'intento di farla culminare nel sinodo, alle difficoltà avanzate dai difensori di una troppo rigida ossequienza "romana", e alla prima stesura dell'opera nata come pacato riesame della questione e lasciata imperfetta al momento dell'ascesa al soglio papale. Determinanti nella genesi dello scritto dovettero essere il richiamo al Tridentino, la fioritura dei sinodi diocesani durante il pontificato di Benedetto XIII e la diretta partecipazione del Lambertini, come canonista, al celebre sinodo romano di papa Orsini del 1725.

Completato più tardi e rimaneggiato nelle successive edizioni (Romae 1755; Ferrariae 1760; Romae 1767, ecc., sino all'edizione di Roma del 1806), esso assume importanza centrale, se colto in prospettiva negli orientamenti del Lambertini, proponendo il suo ideale pastorale di vescovo e di pontefice, in un'ultima duttile sistemazione della tradizione tridentino-borromeiana. Egli mira a recuperare aspetti della vita ecclesiastica e religiosa che si erano come cristallizzati nella prassi curiale e a ridare soprattutto valore e spontaneità all'esperienza pastorale diocesana. In complesso dal De Synodo scaturisce una posizione equilibrata, coerentemente sviluppata dal Lambertini negli anni di pontificato, stimolante fermenti e suggestioni di vita ecclesiastica e religiosa, per "liberare" quelle forze che sembravano soffocate dalla istituzionalizzazione e dall'eccessivo monopolio curiale configuratosi con la piena età della Controriforma.

Ancora in ambiente bolognese maturano le altre opere del Lambertini, arricchite in successive edizioni: le Annotazioni sopra le feste di nostro Signore e della beatissima Vergine..., Bologna 1740, di carattere liturgico-devozionale (Padova 1747;Venezia 1767; Napoli 1772, ecc.; in latino, Patavii 1745; Romae 1786), e il "trattato istruttivo" Della S. Messa, anch'esso di carattere liturgico devozionale, con un'appendice critico-agiografica (Padova 1747;in latino, Romae 1748e 1783;Venetiis 1783, con commento del gesuita E. de Azevedo; Magonza 1879, con note del p. J. Schneider).

Ma l'opera che doveva dare fama grandissima al Lambertini e dalla quale, come dal De Synodo, si dipartono altre linee prospettiche del pontificato benedettino è il De servorum Dei beatificatione et beatorum canonizatione, Bononiae 1734-38, 4 voll. in 5 tomi (ediz. ampliate: Patavii 1743; Venetiis 1766; Neapoli 1773-75, in 15 voll., ecc..; una riduzione e traduzione francese del cappuccino Joseph d'Audierne, con il titolo di Lettres curieuses, utiles et théologiques sur la béatification des serviteurs de Dieu..., Rennes 1758-64, in 6 voll.; una sinossi elaborata da E. de Azevedo, Venetiis 1790-92).

In questo scritto il Lambertini riversa un'esperienza ventennale maturata nella Congregazione dei Riti, presentando una "summa" della prassi venutasi formando da Urbano VIII in poi, ma insieme volge lo sguardo a tutta la tradizione ecclesiastica, dalle collezioni degli Atti dei martiri, con relativi problemi di critica storica, all'ufficio e messa dei santi, con i problemi connessi alla riforma del Breviario Romano, che saranno affrontati negli anni di pontificato. Nello sfondo sono compresenti le suggestioni della più matura cultura cattolica del primo '700, dall'opera dei bollandisti, alla critica maurina, alle posizioni muratoriane (cfr. t. VII, Napoli 1774, capp. 49-52sulle estasi e i rapimentì mistici, le visioni, le rivelazioni, i miracoli, i fenomeni abnormi ecc.). Anche i rapporti con medici bolognesi furono, sotto questo profilo, di grande significato, come egli stesso accennerà più tardi in una lettera al cardinale de Tencin (3nov. 1745, in Le lettere..., I, p. 285). Non mancheranno favorevoli ripercussioni dell'opera nel mondo protestante attraverso un'ampia recensione apparsa sugli Acta eruditorum di Lipsia (1° ott. 1740;1°genn. e 1° ag. 1741;1°genn. 1742).

Nell'impossibilità di elencare qui le singole edizioni delle diverse opere di B. XIV, si rinvia alle edizioni complessive: Opera..., 12 voll., Romae 1747-48; Opera omnia..., 15tomi, Venetiis 1787; Opera omnia..., 17tomi, Prati 1839-56; Opera inedita, a c. di F. Heiner, Friburgi Br. 1904.

Al conclave, apertosi il 19 febbr. 1740, dopo la morte di Clemente XII, il Lambertini non si presenta, nonostante la duplice esperienza curiale e pastorale, come uno dei cardinali "papabili". La sua candidatura si impone quale compromesso, dopo sei mesi di estenuanti trattative e di giochi di forza tra i partiti di Curia (il gruppo corsiniano e l'ala di opposizione capeggiata dal camerlengo A. Albani) e le potenze politiche, commisuranti attraverso uno dei più lunghi conclavi della intera storia della Chiesa romana a qual grado di crisi fosse giunto il papato non solo dopo gli ultimi anni di pontificato del vecchio papa Corsini, ma con l'esaurirsi di quelle condizioni politico-religiose che avevano caratterizzato la prima metà del secolo. Solo il 17 agosto, al 255° scrutinio, sbloccatasi la situazione, il Lambertini vedrà convergere su di sé, di colpo, cinquanta voti: prenderà il nome di B. XIV per gratitudine verso Benedetto XIII, cui doveva la porpora.

I primi anni del pontificato lambertiniano sono segnati da uno slancio eccezionale, che indica in B. XIV la precisa volontà di rinvigorire e ringiovanire le strutture e le istituzioni ecclesiastiche, di recuperare rapidamente posizioni perdute, di creare possibilità nuove per la Chiesa romana. Scioglierà dubbi e incertezze sul piano canonistico e dell'attività missionaria; mirerà a portare un soffio animatore nell'intero mondò cattolico, trasferendovi le ansie pastorali del suo episcopato bolognese, procedendo a numerose riforme, ma soprattutto accogliendo esigenze che erano venute maturando e imponendosi in larghi settori, dall'opera muratoriana tesa ad una "regolata devozione", alla pietà benedettina e agostiniana sviluppatasi nel mondo tedesco, ecc.; riprenderà con fermezza le fila di discussioni interrotte o giunte a punti di rottura, come sarà per la politica concordataria iniziata sotto i pontificati di Benedetto XIII e di Clemente XII.

Se grande è il fervore di B. XIV, difficili sono le condizioni entro cui la sua opera prende a svolgersi, e scarsi gli appoggi su cui egli potrà contare: donde, come più volte scriverà al Tencin (il carteggio coi quale è una fonte di particolare interesse per la conoscenza dell'animo di B. XIV e di molti momenti del suo pontificato) quella sua diffidenza per il Sacro Collegio, la cui configurazione non riuscirà mai a modificare sostanzialmente, per il peso di una tradizione che egli stesso in fondo avvertiva e per le pressioni esercitate dalle potenze cattoliche a favore di cardinali nazionali, o quel suo fastidio per il lento funzionamento delle Congregazioni e per gli interessi politici dei più alti esponenti di Curia; donde la tendenza non ad incidere duramente - il che non era nella sua natura e nelle sue possibilità di azione - su forze e consuetudini solidissime, ma ad aggirare le situazioni e a trascurare piuttosto la prassi delle Congregazioni per volgersi a ristretti gruppi di consiglieri o di esperti di fiducia. Ed in questo, soprattutto per gli aspetti diplomatico-politici del suo pontificato, B. XIV incontrerà collaboratori di eccezione, da quel brillante diplomatico che fu S. Valenti Gonzaga, che impronterà la politica papale come segretario di stato sino al 1751e in parte sino al 1756, all'Aldrovandi, che B. XIV nominerà prodatario e che, con il Valenti Gonzaga, contribuirà a tracciare le grandi linee di un rinnovato ed efficace sistema concordatario.

Tale orientamento costituisce in effetti l'aspetto più sintomatico del papato lambertiniano, al suo aprirsi, e trova il suo centro nel lucido spirito conciliativo di B. XIV, nella preminenza di interessi più propriamente religiosi di fronte a quelle preoccupazioni istituzionali ed ecclesiastiche, che apparivano ormai superate dalla logica dell'azione statale e nella coscienza dei contemporanei, nella presa di consapevolezza di nuove realtà politiche e nell'impegno di far uscire la Chíesa cattolica da un isolamento pericoloso, da una subordinazione alle potenze cattoliche, cui una sostanziale debolezza la condannava.

Il primo ad essere concluso sarà il concordato con il Regno di Sardegna. Entrato in crisi da tempo il concordato del 29maggio 1727, B. XIV riaprirà le possibilità di un accordo mediante passi diretti presso il ministro marchese d'Ormea e il sovrano, adottando cioè quel metodo che preferirà spesso in analoghe trattative di politica ecclesiastica di avviare o facilitare le discussioni con un personale intervento e di deferirle poi, per la conclusione, a collaboratori di fiducia. Il 5genn. 1741il Valenti Gonzaga da una parte e dall'altra il card. Alessandro Albani, come protettore della Corona, con il plenipotenziario sardo de Rivera, possono firmare due convenzioni circa i feudi pontifici in Piemonte e la materia beneficiaria. Rimasti insoluti i punti riguardanti la giurisdizione e l'immunità ecclesiastica, il pontefice, per superare gli scogli del rigido giurisdizionalismo sabaudo, emanerà una particolare istruzione, il 6genn. 1742. Intorno alla quale, modificata e ulteriormente estesa dallo stesso B. XIV (1750), da Clemente XIII(1763), Clemente XIV (1769e 1770), Pio VI (1776, 1779, 1782, 1786)sino a Leone XII (1826), ruoteranno per lungo arco di tempo i rapporti tra Santa Sede e Regno di Sardegna.

Maggiore importanza assume, nella politica concordataria lambertiniana, la definizione del concordato con il Regno di Napoli, dove non si trattava di operare revisioni, ma di superare essenziali difficoltà scaturite da opposte intransigenze.

Già nel gennaio 1741, contemporaneamente alle trattative con la Sardegna, l'Aldrovandi presenta a B. XIV un piano completo di compromesso, ma i negoziati tra il Valenti Gonzaga, l'Aldrovandi, il Gotti, il Corradini da una parte e il cardinale T. Acquaviva e Celestino Galiani, l'uno come ambasciatore spagnolo, l'altro come rappresentante napoletano, dall'altra, si prolungano, per la rigidezza del Corradini, il quale impersona le più strette vedute curiali e la politica del vecchio entourage corsiniano. Tuttavia, il 2giugno 1741, il Valenti e l'Acquaviva sottoscrivono il documento che appare favorevolissimo allo Stato nei delicati settori dell'immunità reale, locale e personale. Per facilitare gli accordi, che nelle ultime tre congregazioni furono discussi alla sua stessa presenza, B. XIV si piegò a talune estreme richieste regalistiche napoletane, come al riconoscimento dell'exequatur regioper le bolle papali, brevi, ecc.; due bolle, del 1741e del 1745, secondo le promesse di B. XIV al momento della firma del concordato, amplieranno le competenze del cappellano maggiore. I nuovi rapporti, seppure manterranno una situazione di equilibrio, non elimineranno tuttavia gli antichi attriti tra Roma e Napoli, durante il pontificato lambertiniano, ma la crisi dei rapporti concordatari incomincerà a maturare, auspice il Tanucci, nel 1761, scomparso ormai Benedetto XIV.

Un particolare concordato con il Portogallo (30 ag. 1745)definirà il concordato del marzo 1736e una convenzione del 173 . La nuova convenzione intendeva compensare la Dataria di numerose pensioni ecclesiastiche divenute di patronato regio. In questa occasione B. XIV riconobbe di essersi dovuto piegare ad "esorbitanti concessioni" (a Tencin, 25ag. 1745, in Le lettere..., I, p. 267), ma, nei non facili rapporti con l'aggressivo regalismo portoghese, respingerà poco più tardi la richiesta di istituire vescovadi di nomina regia nelle Indie, stanti i tradizionali diritti e interessi della Francia in quelle terre di missione.

Amplissime concessioni da parte della S. Sede presenta il concordato con la Spagna, stipulato nel 1753, la cui lunga elaborazione risale però al dicembre 1740, ai primordi cioè del papato lambertiniano. Il concordato clementino del 1737 era stato subito posto in discussione da parte spagnola, le cui tendenze regalistiche, fomentate anche da alti ambienti ecclesiastici, e particolarmente dal cardinale Belluga, accompagnandosi alla situazione internazionale nel corso della guerra di successione austriaca, renderanno impossibile ogni intesa sino al 1750. Il metodo delle trattative dirette darà, anche questa volta, risultati positivi, con la formale sanzione del concordato l'11 genn. 1753. B. XIV cederà nel timore di una rottura con la Spagna e di un isolamento totale tra l'Austría infida e la Francia travagliata dal problema giansenista, accordando al re il richiesto diritto di patronato universale su 12.000 benefici sino ad allora in contestazione, mentre solo 52 uffici ecclesiastici minori rimarranno di libera collazione pontificia. La Spagna verserà in compenso consistenti indennizzi, ritenuti inferiori tuttavia al totale delle rendite perdute dalla Camera apostolica. Ma B. XIV, nonostante le opposizioni curiali, poté finalmente operare una drastica riforma della Dataria, eliminando infiniti abusi sviluppatisi intorno al traffico e all'accaparramento delle prebende spagnole e allo scandaloso fenomeno delle cedole bancarie, che era il sistema di cauzione per i proventi riservati sui benefici di collazione papale.

L'ultimo concordato benedettino, in ordine di tempo, stipulato con Maria Teresa per la Lombardia (17 dic. 1757), regolerà la tassazione dei beni ecclesiastici, allorché verrà data esecuzione al catasto teresiano.

Mentre viene cercando nuove intese con gli Stati italiani ed europei, lo slancio iniziale del pontificato lambertiniano si volge ai settori della vita religiosa ed ecclesiastica. Una delle prime encicliche benedettine, la Ubi primum del 3 dic. 1740, - B. XIV userà frequentemente questa forma di "colloquio" con l'episcopato, attribuendo all'enciclica il carattere tipico assunto nell'età moderna - raccomanderà ai vescovi la formazione del clero, le visite pastorali, l'obbligo della residenza, confermato poi dalla bolla Ad universae christianae reipublicae del 3 sett. 1746. Per la scelta di elementi idonei all'episcopato B. XIV istituirà una speciale Congregazione, mentre delegherà un'altra (23 nov. 1740) per il sollecito disbrigo di complessi quesiti inoltrati dalle diocesi a Roma. Nel 1742 si preoccuperà di definire in generale le modalità dei concorsi sanciti dal Tridentino per adire cariche ecclesiastiche. Tra il 1741 e il 1742 interverrà in materia di disciplina sacramentale riguardo al matrimonio, emanando per i Paesi Bassi (4 nov. 1741) un importante decreto di deroga alla legislazione tridentina circa la validità dei matrimoni tra protestanti e dei matrimoni misti, qualora i coniugi o il coniuge acattolico fosse passato al cattolicesimo, e limitando, con altre disposizioni, la possibilità dei matrimoni di coscienza e la facilità con cui venivano concesse le dispense.

Nel 1741 darà avvio ai lavori per la correzione del Breviario romano, improntati ai risultati della critica storico-erudita maurino-muratoriana e a quelle preferenze biblico-patristiche proprie della cultura rigorista. La commissione, che venne costituita tra gli altri dal Valenti, dal Tamburini, dal Besozzi, con la partecipazione estema del Muratori (1743), non condurrà a termine la riforma, nonostante le sollecitazioni del Tencin presso B. XIV, che riflettono gli orientamenti dell'episcopato francese sul problema del Breviario, e il personale impegno del pontefice. Ma l'interesse venutosi a creare concorre allo sviluppo degli studi agiografici e di storia ecclesiastica e alla diffusione del clima muratoriano soprattutto durante il primo decennio del pontificato benedettino. Suggestioni delle "moderate" aspirazioni riformatrici muratoriane sono ben avvertibili infatti in altre disposizioni di B. XIV, in questo tomo di tempo: egli proibirà nel 1740 l'uso delle trombe nelle chiese, eliminando dalla musica ecclesiastica un tipico strumento "barocco", e la pratica delle flagellazioni pubbliche; nel 1742 accorderà, secondo le richieste muratoriane, la diminuzione del numero dei giorni festivi, attuata gradualmente in Italia e in vari paesi europei tra il 1748 e il 1754; con una enciclica ai vescovi dello Stato pontificio insisterà., nel 1746, per la presenza del Crocifisso sugli altari e per una "regolata devozione" delle immagini dei santi.

Le nuove esigenze devozionali si affiancano in questi anni a diverse riforme liturgiche, che denotano, tra l'altro, la particolare attenzione volta da B. XIV alle Chiese orientali: la revisione del Martirologio, conclusa nel 1748; la revisione dell'antico messale glagolitico per i paesi slavi, compiuta nel 1754; l'edizione dell'eucologio greco, cui si lavorava in Roma sin dai tempi di Urbano VIII, prescritto ad uso dei greco-uniti nel 1756. A tali orientamenti non corrisponde un analogo, parallelo impulso per gli studi di esegesi biblica, gravati dalle tradizionali proibizioni post-tridentine delle traduzioni della Scrittura nelle lingue nazionali: proibizioni che B. XIV confermerà nel 1748, respingendo le istanze rivoltegli da ambienti rigoristi e gianseni-steggianti, e che abrogherà solo con un decreto del 13 giugno 1757, compiendo un passo tardivo e neppure completo verso il superamento di antiche barriere.

Nel settore missionario, nel 1741, con un breve diretto ai vescovi portoghesi dell'America meridionale, B. XIV prende posizione a favore dei diritti umani degli Indios. Ma provvedimenti decisivi riguardano le missioni in Cina e in India.

Con la bolla Ex quo (11 luglio 1742) B. XIV pone fine alle acute polemiche divampanti tra gesuiti da un lato e francescani e domenicani dall'altro, a proposito dei "riti cinesi" (sulla liceità o meno, e sotto quale forma, per i convertiti, di celebrare riti tradizionali. legati al culto degli antenati, ecc.) variamente affrontati dai predecessori, e in ultimo da Clemente XII, con conseguente incertezza interpretativa delle norme. La decisione benedettina sembrò suonare - e fu sfruttata da parte di rigoristi e di giansenisti, tenaci fautori della condanna dei "riti cinesi" - quale espressione di sfiducia nel metodo missionario "accomodante" gesuitico. In realtà B. XIV non fece che confermare, sia pure con spiccata venatura rigorista, un atteggiamento abbastanza costante seguito sino ad allora da Roma.

Ma B. XIV stesso pare di lì a poco riequilibrare la situazione per le missioni dell'India meridionale, dove, anche dopo le recenti proibizioni di Clemente XII (1734 e 1739), persisteva l'analoga prassi dei "riti malabarici", cioè di un adattamento del metodo missionario, soprattutto gesuitico, a tradizioni, costumi e usi locali. La bolla Omnium sollicitudinum (12 sett. 1744)ha un suono più mite che non la condanna dei "riti cinesi", concedendo una ulteriore dilazione decennale per la prassi "accomodante" e accogliendo la proposta gesuitica di destinare un apposito gruppo di missionari per il rruìnistero tra i paria.

Tale tendenza mediatrice ed equidistante, in cui si riflettono e si compenetrano le diverse e spesso contrastanti forze ed esigenze del cattolicesimo, è visibilissima, ancora in questi anni, nell'enciclica Vix pervenit sull'usura (1° nov. 1745), indirizzata ai vescovi italiani.

Occasionata, come sembrò, dall'opera De usuris licitis et illicitis (1743)del giansenista utrettino N. Broedersen e soprattutto da quella dell'erudito veronese S. Maffei, Dell'impiego del denaro (1744), di ispirazione "latitudinaria", contro le quali si erano accese le reazioni gianseniste e rigoriste, queste rappresentate in Italia dal domenicano Concina e dai concittadini dei Maffei, i fratelli Ballerini, in effetti una decisione papale in merito fu sollecitata dallo stesso Maffei. Contro il Maffei l'enciclica ribadisce la tesi della intrinseca sterilità del denaro e vieta, sulla base della tradizione canonistica, la percezione di un interesse anche modico "ex ipso mutuo... ipsius ratione mutui"; ma, contro la tendenza rigorista e accogliendo una prassi ormai diffusa, menziona la legittimità di titoli estrinseci (di danno emergente e di lucro cessante) per la lecita percezione di un interesse. La lettura "estensiva" e quella"restrittiva" del documento papale permisero che si perpetuasse tuttavia, tra teologi e canonisti delle due parti, la discussione nel corso della seconda metà dei secolo.

Lo slancio iniziale va attenuandosi ora che si procede nel primo decennio di pontificato. La guerra di successione austriaca, i problemi della politica internazionale e la stessa sorte del pur neutrale Stato pontificio, percorso dalle armate austriache e spagnole in lotta, distolgono o almeno affievoliscono l'attenzione di B. XIV dall'impegno pastorale e dalle riforme ecclesiastiche e disciplinari per volgerla agli inquieti orizzonti europei. Qui la politica benedettina appare incerta e contraddittoria, subordinata com'è necessariamente al gioco politico-diplomatico delle potenze, a sanzione di quel ruolo secondario e passivo nello scacchiere politico europeo che il papato aveva dovuto assumere dalla pace della Westfalia.

B. XIV compie un primo errore, per lo meno di tempestività, allorché nonostante le interessate opposizioni francese e spagnola, ma soprattutto i consigli di attesa dell'accorto segretario di stato, si affretta a riconoscere il diritto ereditario di Maria Teresa (20 dic. 1740). Su di lui pesa, in questa situazione, la visione più tradizionale della diplomazia pontificia, che continua a scorgere nell'Austria l'antemurale del cattolicesimo in Germania e il baluardo nei Balcani contro i Turchi. Ma B. XIV, nell'incertezza degli eventi e nel desiderio di una rapida composizione del conflitto, finisce con l'adeguarsi, anche troppo sollecitamente, a nuove situazioni di fatto, operando un revirement con il riconoscimento dell'elezione imperiale di Carlo Alberto di Baviera (Carlo VII), il 28 febbr. 1742, a soli sedici giorni dalla incoronazione.

Le invocazioni di B. XIV alla pace risuonano sempre più fievoli, dopo che la neutralità dello Stato pontíficio verrà violata da Austriaci e Spagnoli nello stesso febbraio 1742e dopo la dura reazione di Maria Teresa di fronte al "tradimento " papale. Sbloccata improvvisamente la difficile situazione dalla morte di Carlo (20 genn. 1745), B. XIV può riassumere un più convincente atteggiamento neutrale, seppure, stando alla parte austriaca, non siano mancate questa volta simpatie pontificie per la candidatura dell'elettore di Sassonia e re di Polonia Federico Augusto, mentre la parte francese avanza il sospetto che l'orientamento papale sia adesso favorevole a Francesco Stefano di Lorena: sospetto che B. XIV respingerà in una lettera indirizzata al Tencin (29 sett. 1745, in Le lettere..., I, p. 278) con atteggiamento che sarà senza dubbio sincero, poiché Francesco Stefano, come granduca di Toscana, e in generale come sovrano, impersonerà sempre ai suoi occhi, per i legami massonizzanti e giansenisteggianti intrattenuti a raggio europeo, un sistema di governo sottilmente antiecclesiastico e "antiromano", di astiosa e puntigliosa diffidenza giurisdizionalistica e regalistica che egli si sforzava di superare nell'alveo della politica concordataria. Tuttavia B. XIV deve piegarsi al riconoscimento di Francesco Stefano nell'allocuzione concistoriale del 15 dic. 1745e, formalmente, il 25 nov. 1746.

I rapporti con Vienna vengono lentamente normalizzandosi. Già nel 1751 Si delinea un'intesa, quando B. XIV, dopo lunghe trattative, provvede a sopprimere il millenario patriarcato di Aquileia e a creare i due arcivescovadi di Gorizia e di Udine, per ovviare alla difficile situazione pastorale del territorio, diviso tra la giurisdizione austriaca e quella della Repubblica di Venezia. La soluzione, gradita a Vienna, comporta per converso una ripresa del tradizionale anticurialismo veneziano (1754), e perciò stesso un ulteriore riavvicinamento tra B. XIV e gli Asburgo Lorena. Nel 1754 viene risolta in Toscana la crisi aperta nel 1739 con il processo dell'Inquisizione contro il poeta T. Crudeli e perpetuata dalla politica della Reggenza. Il concordato del 1757 per la Lombardia, di cui si è detto, conclude questo corso filoaustriaco della politica benedettina, in implicita funzione antiprussiana all'aprirsi della guerra dei Sette anni.

La guerra di successione austriaca però non tanto sposta i termini dei rapporti tra Roma e Vienna, quanto apre sullo scacchiere tedesco nuovi problemi per la politica pontificia, dopo l'occupazione della cattolica Slesia da parte di Federico II di Prussia.

Con una patente per gli affari ecclesiastici (15genn. 1742)il sovrano mirerà subito ad assorbire la giurisdizione ecclesiastica cattolica nella struttura giuridica e amministrativa statale. L'arcivescovo di Breslavia, cardinale Sinzendorf, la massima autorità cattolica nei territori occupati, elabora due piani di compromesso per la costituzione di un vicariato apostolico nell'ambito della monarchia prussiana (1742-43), che B. XIV respinge risolutamente, il primo nel fondato timore che si venga a creare una Chiesa nazionale tedesca sottoposta al sovrano di Prussia, il secondo denunciando il radicale sovvertimento dello statusquo che Federico aveva promesso di rispettare per i diritti della Chiesa cattolica in Slesia (preliminari di Breslavia tra Austria e Prussia, II luglio 1742).

Chiusasi in un'impasse questa prima fase di rapporti, la soluzione dei problemi è avviata paradossalmente da un altro motivo di attrito tra la Santa Sede e la Prussia, dopo il rifiuto da parte di B. XIV di convalidare la nomina del canonico F. G. di Schaffgotsch, prelato mondano, massonizzante e "libertino", scelto da Federico quale coadiutore iuresuccessionis delloSinzendorf (1743). Una base di trattative si configura dopo il 1747, quando lo Schaffgotsch, succeduto allo Sinzendorf, invia a Roma un plenipotenziario per sollecitare la conferma papale. La diplomazia pontificia e gli ambienti di Curia abbinano facilmente la questione della conferma con quella riguardante, nel loro insieme, i rapporti con la politica prussiana. La prima è risolta con rapidità, dopo che il nunzio in Polonia, A. Archinto (che diverrà, nel 1756, segretario di stato a conferma dell'interesse di B. XIV per i problemi del mondo tedesco), incaricato di un'inchiesta sulla persona del neocletto arcivescovo di Breslavia, si pronunzierà favorevolmente (1748). Le discussioni sul secondo ordine di problemi sono destinate, invece. per la loro stessa complessità, a prolungarsi, ma danno occasione ad un fatto assolutamente nuovo nella storia dei rapporti tra papato e paesi protestanti: per la prima volta, dal tempo della Riforma, rappresentanti di un principe protestante (al plenipotenziario si era affiancato l'agente del Palatinato a Roma, nominato, seppure non pubblicamente, nello stesso 1747, agente prussiano) conducono negoziati diretti con la Sede romana. Le punte più aspre vengono smussandosi di fronte alla nuova realtà delle cose, e gli stessi contatti preparano il terreno per un modusvivendi, sciogliendo il raggelato inviluppo politico-ecclesiastico creatosi in Germania da Augusta alla pace della Westfalia. La composizione dei rapporti verrà sanzionata, tramite l'Archinto, con un accordo generale sui problemi della legislazione matrimoniale e della materia beneficiaria, nel 1748.

Non mancheranno in seguito contrasti su quei punti su cui inevitabilmente dovevano collidere le esigenze del dispotismo illuminato federiciano e la flessibile resistenza di B. XIV, soprattutto in materia testamentaria, riguardo a lasciti e legati pii, o nel settore delle doti monastiche. Nei quali momenti B. XIV ricorse ancora a tutti i mezzi e a tutte le mediazioni possibili - e non solo a mediazioni politiche - per ammorbidire l'intransigenza di Federico, a volte sollecitando, come avvenne per la questione della coadiutoria di Breslavia, l'intervento dello scienziato Maupertuis, amico personale del sovrano, e più spesso quello dell'Algarotti, amatissimo da Federico: si vedano, ad esempio, una lettera dell'Algarotti al re, del 19 febbr. 1751, insieme con la quale egli trasmette una lettera indirizzatagli da B. XIV, e la risposta del re di Prussia, che - quale ne sia il velato intento "politico" - suona elogio altissimo di B. XIV ed espressione della fama cui ormai la sua moderazione e la sua "saggezza" erano giunte nella considerazione del mondo protestante e dei più disincantati politici (cfr. Federico ad Algarotti, 20 febbr. 1751, in Correspondance..., pp. 150 s.).

È questo, dal 1748 al 1756, dalla pace di Aquisgrana all'inizio della guerra dei Sette anni, il periodo di massimo splendore del pontificato lambertiniano, così come si presentò agli occhi dei contemporanei, in un secondo slancio di rinnovamento, questa volta diretto non già alle riforme ecclesiastiche, semmai continuate e perfezionate, ma piuttosto alla riforma interna dello Stato pontificio e alla cultura e alle istituzioni culturali. L'asse della politica e degli interessi benedettini si sposta dunque, riprendendo le fila di tentativi appena abbozzati negli anni di guerra ed ora più facilmente perseguibili nel raccoglimento della pace europea.

Già dal decennio 1740-50 era apparso chiaro come il risanamento della gravissima situazione finanziaria dello Stato fosse il presupposto di qualsiasi riforma sul piano economico ed amministrativo. Provvedimenti parziali e discontinui erano stati adottati durante il periodo di guerra, per limitare le spese dell'amministrazione, incrementare le entrate e ridurre il deficit perpetuato dall'ineliminabile peso del debito pubblico cresciuto paurosamente sotto Clemente XII. Ad un piano più organico penserà B. XIV, all'indomani della pace di Aquisgrana. Anche qui egli ravviva e stimola una tradizione, ed anche qui, per B. XIV, poco esperto in materia, saranno da analizzare i rapporti con consiglieri ed esperti, dall'Aldruvandi all'Argenvilliers al Valenti Gonzaga - alla cui ispirazione risalirebbero i tentativi per intaccare la rete dei pedaggi, dei monopoli e dei privilegi locali o professionali, e il favore di B. XIV per lo sviluppo dei traffici di Ancona e Civitavecchia - al banchiere e finanziere romano Belloni, amministratore generale delle dogane durante il pontificato benedettino. Ma saranno da sottolineare il salto qualitativo che ora si compie, e l'impegno personale del pontefice, che cercherà di seguire da vicino il dibattito delle idee e le voci di riforma e di rendersi conto dei suggerimenti e delle proposte. Ad un giurista ordinatore e semplificatore qual'è B. XIV non sfuggirà l'esigenza di un deciso intervento sull'apparato finanziario pontificio: la costituzione Apostolicae Sedisaerarium (18 apr. 1746) definirà un metodo unitario di amministrazione, ordinando la registrazione delle entrate e delle uscite della Camera apostolica, la formazione di bilanci annuali e il rendimento dei conti. Tale linea sfocerà nel motu proprio del 29 giugno 1748, confermato con bolla dell'8 luglio, tendente a liberalizzare non soltanto il commercio interno del grano, ma anche il commercio interno in generale.

La libertà di commercio dei grani non è una novità benedettina: provvedimenti in tal senso erano stati adottati da Clemente XI, Innocenzo XIII, Benedetto XIII e soprattutto da Clemente XII, ma B. XIV volle dare ad essi un carattere costante, ispirato da una esigenza più organica di libera circolazione delle derrate e delle merci. Le disposizioni di papa B. XIV escludevano però il distretto di Roma, la Sabina, e in genere i luoghi sottoposti alla Grascia di Roma. È evidente il compromesso, cui il pontefice e i suoi consiglieri sì erano dovuti piegare, e il divario tra le più ricche regioni del Bolognese e del Ferrarese e le più povere zone meridionali dello Stato, gravate per di più da un centro di consumo dell'importanza di Roma.

Seguiranno (12 luglio e 3 sett. 1749) un editto e un motu proprio, volti a favorire le precedenti disposizioni di libertà commerciale e richiedenti perciò i titoli di legittimità di chi vantava o godeva esenzioni e franchigie. Si profila dunque un più vasto impegno di riforma e di riorganìzzazione dell'amministrazione e dell'economia dello Stato. Il 12 maggio 1750 un editto Sopra il libero commercio de' cenci e stracci per uso delle cartiere dello Stato Pontificio liberalizza questa importante branca del commercio statale, ma, esistendo da parte di molte comunità una privativa di incetta, il cui introito costituiva una voce normale dei bilanci, il provvedimento deve essere ridimensionato, da una dichiarazione del successivo 28 settembre. In questa stessa direzione si pone l'abolizione della privativa dei tabacchi (1757), vigente sin dall'epoca di Alessandro VII.

Un piano generale di riforma è rappresentato dalla Constitutio super bono regimine communitatum, sotto il titolo di Gravissimarum sollicitudinum (1° ott. 1753), che investe, con la nomina di un'apposita Congregazione, non solo i problemi del commercio interno ed estero, ma quelli dello sviluppo dell'agricoltura e delle arti. Alla elaborazione del piano collaborò certamente l'Argenvilliers (cfr. Arch. Segr. Vat., Ben. XIV Bullae..., t. 22, cc. 298 r ss.). Lo stesso 1° ott. 1753 B. XIV promulga la costituzione Adcoërcenda delinquentium flagitia, prescrivente un piano di riforma della procedura penale.

Per un bilancio dei tentativi e delle riforme benedettine andrà notato tuttavia che, se vengono colpiti molti abusi e disfunzioni esistenti prevalentemente sul piano aniministrativo e finanziario, non sono intaccate affatto le strutture economico-sociali dello Stato pontificio. Si giungerà, ad esempio, alla fine del pontificato lambertiniano senza aver nulla concluso riguardo ai rilievi catastali iniziati sotto Benedetto XIII, per la provincia di Urbino, "ragguagliati a stima e misura con un metodo solo ed uniforme in tutti i luoghi, comprendendo nel nuovo appasso indistintamente i beni di qualunque sorta di ecclesiastici e privilegiati...", come suona la pressante richiesta del visitatore L. Merlini, delegato del pontefice (5 apr. 1758). Di per sé però le riforme del pontefice B. XIV sprigionano forze ed esigenze nuove e mettono in luce le profonde antinomie dello Stato: non solo appaiono evidenti le antitetiche possibilità di sviluppo tra le parti settentrionale e meridionale del paese, ma si viene distinguendo l'orientamento liberistico per il commercio interno da quello protezionistico per il commercio estero, in armonia con il programma mercantilistico patrocinato dal Belloni.

Uno straordinario impulso alla cultura e alle arti caratterizza altresì, in questi anni di pace, il pontificato benedettino. È il periodo più fervido della cultura romana, prima del mecenatismo superficiale e fastoso della età di Pio VI. La tramontante erudizione maurino-muratoriana, che si esplica nelle Accademie fondate da B. XIV, dei concili, della storia ecclesiastica, della liturgia e dei riti, si accompagna alla reviviscenza archeologica, romana, dove l'antiquaria classicistica incomincia. ad avvertire le prime suggestioni del neoclassicismo estetizzante winckelmanniano, e cristiana, esprimentesi nell'Accademia per la storia e le antichità, nell'arricchimento delle collezioni dei palazzi capitolini e nella costituzione del Museo di antichità cristiane. Sono gli anni in cui maturano le opere e l'attività di R. Venuti, e in cui appaiono le Magnificenze di Roma di G. Vasi (1747-61), le Vedute di Roma (1748) e le Antichità romane (1756) di G. B. Piranesi.

In questo clima la Biblioteca Vaticana avrà, anch'essa, eccezionale incremento, paragonabile solo al periodo di Leone XIII. B. XIV curerà l'acquisto della biblioteca del marchese A. G. Capponi, ma, soprattutto, dopo la morte dell'ultimo Ottoboni (1748), quello della biblioteca Ottoboniana, la più notevole raccolta privata di Roma.Èsotto il pontificato di B. XIV che ha inizio la descrizione dei manoscritti vaticarti (tra il 1756-59 appaiono tre volumi del catalogo dei manoscritti orientali curati dall'Assemani), ripresa solo al tempo di Leone XIII. Alla Biblioteca si aggiungerà, nel 1755, il Museo di antichità cristiane, secondo un'idea proposta dal Maffei nel 1749, riproposta dall'archeologo G. G. Bottari l'anno successivo e resa possibile dalle fortunate campagne di scavi condotte nelle catacombe romane tra il 1749-52.

Una riforma dell'università di Roma sarà effettuata su proposta dell'Argenvilliers, che ne era rettore, nel 1746, ma cura particolare B. XIV dedicherà all'università e alle istituzioni culturali bolognesi: dando impulso agli studi di anatomia, fondando una cattedra di chirurgia, contribuendo, nel 1752 e nel 1757, alla costituzione di un Museo anatomico, e destinando all'Istituto delle Scienze, mentre era in vita, la propria biblioteca privata che farà aprire, nel 1756, ad uso pubblico.

Restauri di antichi edifici, come il Colosseo, e di edifici sacri, come le basiliche di S. Maria Maggiore e di S. Maria degli Angeli, il Pantheon, ecc., completamenti di opere pubbliche, come la fontana di Trevi, l'amicizia e la protezione accordata ad uomini di cultura come il Maffei e il Muratori, il Genovesi, l'Amort, il Boscovich, la corrispondenza con Fontenelle, Algarotti, Maupertuis, La Condamine, la tanto discussa, allora e dopo, corrispondenza con Voltaire, la fama di tolleranza e di cristiana indulgenza, l'antinepotismo, la pietà personale "non ispida e crucciosa e severa, ma compassionevole e umana e ridente", come scriverà con felice ìncisività F. Galiani, il fervore religioso cuiminato nell'anno santo 1750 - che è l'apice del pontificato di B. XIV sotto questo profilo e che il papa regolerà nei termini tuttora vigenti, unificando le norme per estendere il giubileo a tutto il mondo cattolico - le riforme ecclesiastiche e i tentativi di riordinamento dello Stato raccolgono intorno al nome di B. XIV un coro europeo di ammirazione. Persino il mondo anglicano, così accesamente antipapista, dedicherà per la penna di H. Walpole un'epigrafe celebrativa al papato benedettino.

Eppure in tanto splendore, negli stessi anni trail 1748-56, un'inquietudine incomincia a velare l'animo di B. XIV; ed è la preoccupazione con cui egli guarda alla cultura razionalistica e illuministica all'inizio di quella battaglia che doveva colpire a fondo la vita e le istituzioni della Chiesa romana. La seconda condanna della massoneria segna lo spartiacque tra una fase di rapporti tolleranti e il momento in cui si apre la lotta che raggiungerà il suo culmine durante il pontificato di Clemente XIII.

B. XIV promulgherà la bolla Providas Romanorum pontificum (18 maggio 1751) contro la massoneria, rinnovando la condanna di Clemente XII del 1738, deciso a condizionare, anche con sorprendente durezza, i fermenti politico-ideologici dei "lumi", allorché la diffusione della "setta" a Napoli, oltre che in Francia, gli presenterà il pericolo vicino, in tutta la sua drammaticità.

Seguirà la condanna dell'Espritdes lois di Montesquieu, pubblicata il 13 marzo 1752, non senza esitazioni e discussioni, risalenti al dicembre 1750, per il grandioso successo dell'opera, il dichiarato favore verso l'autore dei cardinali Querini, prefetto dell'Indice, e Passionei, le pressioni dell'ambasciatore francese a Roma duca di Nivernais, che soltanto come grazia personale potrà ottenere da B. XIV la non pubblicazione di un decreto specifico di condanna e il semplice inserimento dell'opera nell'elenco annuale dell'Indice.

Ogni compromesso pare superato dalla solenne condanna delle celebri tesi sorboniche dell'abate M. de Prades, che diedero avvio, com'è noto, alla prima soppressione dell'Encyclopédie. B. XIV emanerà allora, il 22 marzo 1752, un breve speciale, in concomitanza con l'atteggiamento che si andava assumendo in Francia contro i philosophes e stimolato dagli ambienti di Curia. Ma il Passionei presenterà presto a B. un'"apologia" e una lettera del de Prades, che aveva trovato rifugio presso Federico di Prussia (a Tencin, 31 genn. 1753, in Arch. Segr. Vat., Misc. Arm. XV, 156, c. 249 r-v). B. XIV esiterà a lungo prima di concedere la richiesta assoluzione, ma la protezione accordata al de Prades dal sovrano finirà col vincere la riluttanza del pontefice, che accoglierà la ritrattazione del celebre fuggiasco, soprattutto in vista del mantenimento dei buoni rapporti con Federico II.

Un capitolo a parte, in quest'ordine di problemi, è costituito dai rapporti che B. XIV intrattenne con Voltaire e dalla famosa dedica del Mahomet alpapa.

Quando la pièce fu ritirata dalle scene, dopo la terza rappresentazione, per le proteste dei "dévots" e dei parlamentari di Parigi, Voltaire, che aveva pensato di dedicare la tragedia "du phanatisme" a Federico II, dirotterà la dedica alla persona di B. XIV, nell'intento di far tacere la "cabale" e di non chiudersi definitivamente le porte dell'Académie: egli stesso chiarirà i retroscena di questa "petite affaire" e delle sue "coquetteries" con il papa in una importarite lettera al marchese d'Argenson (in Bestermann, n. 2900). Il 17 ag. 1745 (ibid., n. 2949) lo scrittore presenterà "al capo della vera relligione questa opera contro il fondatore d'una falsa e barbara setta".

I cardinali Passionei, Querini e Acquaviva, il rappresentante francese a Roma Canillac, e l'archiatra pontificio Leprotti, con le loro mediazioni e le loro pressioni, appaiono nello sfondo della risposta che B. XIV indirizzerà a Voltaire, il 15 sett. 1745 (ibid., n. 2967), lusingato "per così singolare bontà verso di di Noi, assicurandoLa che abbiamo tutta la dovuta stima del suo applaudito valore nelle lettere".

Voltaire non si lascerà sfuggire l'occasione per diffondere la lettera "du plus joufflu saint père que nous ayons eu depuis longtemps" (ibid., n. 2945) e per sfruttare il nome del pontefice, con spregiudicato funambolismo, nella lotta tra il gesuitico Journal de Trévoux, di cui solleciterà l'appoggio, contro le giansenistiche Nouvelles ecclésiastiques.

Di fronte alle reazioni dell'opinione pubblica cattolica, e in specie francese, e alle preoccupate richieste di notizie da parte del Tencin., B. XIV preciserà che la lettera a Voltaire era stata concepita su le pedate di S. Girolamo, che redarguito d'aver lodato ed esaltato Origene, scrisse commendavimus philosophum, non dogmatistam (Le lettere..., I, pp. 314 s.), ma assicurerà di aver vietata la stampa di una traduzione italiana dei Mahomet e la sua rappresentazione in un collegio romano. E allo stesso Tencin indicherà, poco più tardi (ibid., I, p. 331), non senza qualche candore, i motivi della sua benevolenza verso Voltaire, nell'intento di tenere in qualche modo legato alla Chiesa romana uno scrittore i cui meriti era impossibile disconoscere, "avendo la Sede apostolica avuti danni considerabili da persone poste in fuga, e che se fossero restate fra noi, non avrebbero poi fatto quel danno che poi fecero". Era un'illusione che si sarebbe assai presto dileguata: la censura dei consultore L. Ganganelli (poi Clemente XIV) dell'intero corpus volteriano nell'edizione di Dresda (28 ag. 1752) sarà la base per le condanne delle opere di Voltaire, che il nome dell'autore, le protezioni di cui godeva in Curia, gli stessi compromettenti passi compiuti da B. XIV avevano procrastinato e che si succederanno dal 1753 al 1757.

Dinanzi a questi episodi e al crescere e all'irrobustirsi del movimento dei "lumi", B. XIV mostra di avvertire sempre più acutamente, tra il 1748-58, l'importanza di un compatto fronte apologetico, preoccupandosi delle polemiche tra le varie scuole teologiche e delle divisioni e delle debolezze all'interno del mondo cattolico. Egli aveva sempre mirato a garantire alle discussioni dottrinali un clima di grande libertà; e di questa capacità estrema di mediazione lambertiniana sono esempio le prese di posizione volte contro gli antigesuiti (condanna dell'opera del cappuccino Norberto di Lorena sui "riti malabarici", nel 1745), o contro i gesuiti (condanna del Benzi, difesa degli agostiniani Bellelli e Berti e dei Noris, condanna della gesuitica Bibliothèque janséniste), oppure l'atteggiamento salomonico assunto nelle polemiche tra il rigorista domenicano Concina ela Compagnia di Gesù.

Ma la "tolleranza" benedettina non aveva potuto impedire che le polemiche, soprattutto tra domenicani e gesuiti, già tra il 1744 e il 1746 toccassero momenti durissimi. Era maturato perciò, intorno al 1746, il progetto, poi non, realizzato, di una bolla che proibisse generalmente gli attacchi personali e limitasse le tendenze controversistiche tra i regolari (cfr. Arch. Segr. Vat., Ben. XIV Bullae..., t. 22, cc. 180r-190r). Come che sia, tale posizione del pontefice, piuttosto alieno dalle discussioni propriamente teologico-morali, per la sua formazione giuridico-canonistica, aveva contribuito a sollecitare quella pluralità di orientamenti e quei fermenti nel mondo cattolico che egli riteneva indispensabili per un organico sviluppo del suo patrimonio dottrinale.

Non atteggiamento oscillante, dunque, questo di B. XIV, o tendenza al compromesso, secondo la tradizione storiografica perdurante dal Pastor ai giorni nostri, ma determinazione, programmatica, sebbene da un lato essa, al momento della svolta del pontíficato negli anni '50, si trovi a dover far leva su schieramenti tutt'altro che univoci e ancora alla ricerca di un difficile equilibrio, e storicamente finirà col portare al rafforzamento di quelle correnti filogianseniste o comunque antigesuitiche, non identificantesi necessariamente con le posizioni giansenistiche, e a riproporre - anche per una serie di esterne vicende politico-ecclesiastiche - l'intero problema dell'atteggiamento di Roma nei riguardi del movimento giansenista-quesnellista.

Con equanimità e prudenza B. XIV, sin dall'inizio, aveva affrontato la questione, allorché, eletto pontefice, si era trovato a dover estendere alla Francia la consueta bolla per il giubileo straordinario in occasione dell'elezione papale: diversamente dalla bolla per il giubileo di Clemente XII, B. XIV aveva evitato nel documento riferimenti espliciti all'esclusione dei giansenisti dall'indulgenza giubilare e analogo atteggiamento, volto a non provocare reazioni dei Parlamenti francesi, in adesione ai suggerimenti del Tencin e della Corte, adotterà in occasione della estensione alla Francia (1745) del giubileo straordinario per la pace promulgato nel 1744. Indubbiamente l'orientamento di B. XIV era condizionato dalla particolare situazione francese e dai buoni rapporti personali con Luigi XV, tanto è vero che, nel caso dei giansenisti olandesi, respingerà decisamente un tentativo di "concordia", patrocinato da alti esponenti di Curia, tra cui il segretario del S. Uffizio cardinale Corsini, e fondato solo sull'"abiura dei dogmi di Giansenio" e non, come egli richiese, sull'accettazione "pura e semplice" della Unigenitus (Le lettere...., II, pp. 91, 102 s., 159).

La posizione sostanzialmente moderata di B. XIV farà tuttavia rapidamente nascere le "ciarle" (ibid., II, pp. 235 s.) che egli simpatizzasse per il movimento: il che smentirà più volte, lamentando la strumentalizzazione che le parti in contrasto, per opposte ragioni, venivano facendo del suo atteggiamento equidistante. Il quale si enuclea con particolare evidenza da un giudizio sull'opera di Quesnel, nella quale scorgerà "un positivo dolo ed una velenosa zizania, che va spargendo insensibihnente per sempre mantenere il giansenismo ed il bajanismo", senza tacere però una critica di fondo al sistema seguito nella condanna delle Réflexions morales, cioèal modo stesso con cui si era giunti alla Unigenitus, e al comportamento di Clemente XI in quella occasione: "... condannò le proposizioni di Quesnello contenute ne' suoi libri, senza averlo voluto sentire. Noi in verità abbiamo tutta la stima di quei gran pontefice, ma non possiamo negare di non esserci mai potuti appagare della di lui condotta in quel punto, ibid., I, pp. 371 s.).

Si rafforza, in questo tempo, in B. XIV la convinzione profondamente giuridica, profilatasi nei primi due anni di pontificato e confermata da vari episodi di polemiche o di condanne, di ammettere alla difesa l'autore cattolico dell'opera sottoposta all'esame dell'Indice: convinzione che culmina nella riforma della Congregazione del 1753 e nella revisione dell'Indice dei libri proibiti compiuta nel 1757.

La costituzione Sollicita ac provvida (9 luglio 1753), che prescrive la nuova procedura notevolmente liberale dell'Indice, saràelaborata Personalmente da B. XIV, con la collaborazione del segretario della Congregazione, il domenicano T. Ricchini: il documento accoglierà anche i pareri formulati da un gruppo di consiglieri, Giorgi e Bottari e i pp. Tamburini e Baldini, sulla gradualità del processo e le garanzie per l'accusato (cfr. Arch. Segr. Vat., Ben. XIV Bullae..., t. 22, cc. 59r-81s, 104r-v, 151r-152r), ma la più celebrata disposizione sulla diretta difesa dell'autore fu quasi certamente introdotta, nel dettato finale, dallo stesso pontefice. La costituzione, non più rispettata nel clima di irrigidimento del papato, che seguirà alla morte di B. XIV, sarà menzionata e, per il punto della difesa dell'autore dell'opera sub iudice, espressamente ripresa solo nel motu proprio di Paolo VI Integrae servandae del 7 dic. 1965, sulla riforma della Congregazione del S. Uffizio.

Il 23 dic. 1757 apparirà, obbedendo alla stessa ispirazione, la nuova edizione dell'Indice, che resterà in vigore sino al tempo di Leone XIII. Desterà scalpore, e sembrerà espressione perfetta dell'età lambertiniana la cancellazione (16 apr. 1757) della proibizione di scritti in difesa del sistema copernicano, e perciò stesso di quelli galileiani, sulla base delle risultanze dei nuovi studi fisico-astronomici e, come pare, di un intervento del gesuita Boscovich.

Attraverso questo clima generale di distensione, silenzi e azioni indirette, tolleranze e resistenze, la linea benedettina nei confronti del giansenismo tenderà dunque a non provocare le ostilità dei Parlamenti francesi e a sgretolare e ad assorbire gradualmente i nuclei più consistenti del movimento: così, nel 1746, B. XIV otterrà l'accettazione della Unigenitus dall'Oratorio di Francia, seppure dovrà lamentare sul piano disciplinare che abbia riferito "il motivo... unicamente nel comando del Re, e nell'esser essa fatta già legge del Regno", ripromettendosi di intervenire "senza tradire la verità, ma con termini tali che non siano irritativi, per non accendere maggior fuoco, e far saltare nel precipizio chi va ballando nell'orlo" (Le lettere..., I, p. 379).

Realmente si era sull'orlo di quel contrasto politico-religioso che travaglierà la Francia dell'ancien régime, di quella prova di forza tra Corona e Parlamenti, che si concluderà con l'umiliazione della monarchia, intorno all'affaire dei "biglietti di confessione" rilasciati da sacerdoti di provata fede antigiansenista e pretesi dall'arcivescovo di Parigi Beaumont per l'amministrazione dei sacramenti ai moribondi. B. XIV resisterà, in un primo tempo, fidando nei "buoni amici di Francia", a pressioni che gli vengono da taluni settori di Curia e si asterrà dall'intervenire anche quando la situazione precipiterà tra il 1750-55. È ilsuo, in questa situazione, un atteggiamento politico ponderato, come i fatti dimostreranno, e l'unico atto a non alimentare le già violente passioni gallicane dei parlamentari francesi. Eppure, tale orientamento di B. XIV è solo in apparenza timoroso o neutrale, in attesa che gli avvenimenti di per sé trovino quasi un naturale e placido sbocco. Resasi più che mai palese la titubanza di Luigi XV nella lotta, B. XIV si deciderà a indirizzare al sovrano una lettera privata perché il suo silenzio non venisse inteso come noncuranza, o addirittura come connivenza con le posizioni parlamentari. La risposta del re, evasivamente sdrammatizzatrice, non potrà non apparire al pontefice "troppo cautelata", lasciandolo "in qualche sollecitudine" (a Tencin 23agosto 1752, in Le lettere..., II, p. 502). Ancor più sollecitato a pronunciarsi pubblitamente, B. XIV dovrà, a questo punto, affrontare in qualche modo il problema centrale della Unigenitus, che definirà "sanctissima atque omnium plausu excepta", e per la quale assicurerà il proprio "attacco" e il proprio "doveroso impegno" (ibid., II, pp. 518, 530 e 535):dietro le quali espressioni piuttosto anodine traspaiono i prudenti suggerimenti dei più "muratoriani" fra i cardinali di Curia, il Tamburini e il Besozzi, che accompagnano il pontefice nella difficile corrispondenza con l'episcopato francese. Ma in altri settori di Curia si avanzano forti riserve su quella che era ritenuta condiscendenza eccessiva di B. XIV e si teme che per amor di pace egli sia disposto a chiedere agli "appellanti" meno di quanto la Santa Sede abbia preteso nel passato (cfr. una lettera del card. Querini al Corsini, 18ag. 1752, cit. in Dammig, p. 386). Tra contrastanti influenze e di fronte ad una situazione giunta al limite di rottura, B. XIV vedrà scaturire la soluzione del drammatico contrasto dalla stessa parte francese. Nell'Assemblea del clero del 1755maggioranza e minoranza, raggiunto un accordo sulla opportunità del rifiuto dei sacramenti agli avversari notori della Unigenitus, divergeranno sui criteri con cui dovesse caratterizzarsi tale "notorietà". Non rimase che appellarsi ad una decisione papale.

Trattative tra B. XIV e la Francia erano state avviate già dal 1754, con la presenza in Roma, quale ambasciatore straordinario, del conte Choiseul Stainville. Istituita nel gennaio 1756una speciale Congregazione, B. XIV, secondo le richieste francesi, chiamerà a fame parte cardinali non solo "moderati", antigesuiti o francofili, ma già noti per la loro esperienza in materia: principalmente Galli, Tamburini, Spinelli e Landi. Un importante materiale sinora sfuggito all'attenzione degli studiosi e appena menzionato dal Dammig ci permette di stabilire come in un primissimo abbozzo della enciclica Exomnibus Christiani orbis (16 ott. 1756) B. XIV intendesse qualificare la Unigenitus non quale "regola di fede", secondo le pressioni degli "zelanti", - "non essendo mai stata chiamata tale che nel Concilio romano, e Noi ch'eravamo nel Concilio purtroppo sappiamo come andò l'affare...", egli commenta, con implicita conferma della voce, levatasi più volte negli ambientì giansenisti, di un unicum interpolato negli atti sinodali -, ma definirla indubbiamente quale "giudizio dogmatico, irreformabile" della Chiesa. Tale atteggiamento di B. XIV, oltre che dalle istanze francesi, potrebbe essere stato modificato soprattutto dall'ascoltatissimo Tamburini che suggerirà al pontefice di non dare alla Unigenitus una qualifica precisa, ma di manteneere semplicemente, ad esempio dei predecessori, "ferma e inconcussa l'autorità": la qual proposta veniva a circoscrivere tutta la discussione sul piano esclusivamente disciplinare (cfr. Arch. Segr. Vat., Segr. Stato, Francia, 671, Unigenitus1735-76, cc. n.n., in part. il fasc. Scritture dell'E.mo Card. Tamburini sopra l'Enciclica... con osservazioni sopra le medesime). Progetti, proposte e controproposte rimbalzano tra Roma e Parigi: B. XIV cederà su molti punti non solo formali, ma terrà fermo sulla questione del "giansenismo notorio" che Luigi XV e i consiglieri desideravano limitare al caso di una esplicita sentenza della magistratura (il che era condiviso dal Tamburini) o di una confessione da parte dell'infermo, e che il pontefice volle invece estendere anche ad una "condotta di fatto" (non però sulla base di dicerie o sospetti), nel senso già espresso dall'Assemblea del clero.

È indubbio che l'enciclica papale, accettata all'unanimità dall'Assemblea del clero del 1760, liquidò gli aspetti del contrasto nei suoi termini religiosi ed ecclesiastici, poiché, soppresso il "bollettino di confessione", ebbe termine quella "guerra ai moribondi" che tanto colpì lo spirito umanitario e i "lumi" del secolo (una amara satira in Voltaire, Traité sur la tolérance, cap. 16). Soprattutto essa pose in moto forze maturate nell'ombra dei dissensi teologico-disciplinari e sviluppatesi per effetto della liberalità e della "tolleranza" benedettine. Come quasi vent'anni prima, con l'inizio del pontificato di B. XIV, la cultura e le istanze riformatrici maurino-muratoriane avevano informato di sé posizioni ufficiali al centro del cattolicesimo, così si aprivano nuove prospettive per le correnti gianseniste o giansenisteggianti o "agostiniane" ora che il movimento, attraverso gli stessi esponenti della cultura muratoriana, come il Tamburini, era giunto a farsi sentire negli ambientì della Curia romana e trovava in qualche modo risonanza in un importante, favorevole documento papale. Già durante l'elaborazione dell'enciclica il Tamburini aveva sollecitato B. XIV a cogliere l'occasione per "svelare il senso della Costituzione [Unigenitus]per solo impulso di sua carità". All'indomani del documento si ripropone negli ambienti giansenisti italiani in rapporto con taluni esponenti più aperti del giansenismo francese e olandese - quest'ultimo rappresentato dal Clément, che compirà in Italia un apposito viaggio - l'antico progetto di una "spiegazione" della Unigenitus. Iltentativo, bloccato dalla morte di B. XIV, verrà ripreso, senza alcun risultato, agli inizi del pontificato di Clemente XIII., ma tutte le vicende del giansenismo nella seconda metà del '700sono comprensibili soltanto ove si tengano presenti le condizioni che si erano andate configurando durante il pontificato di B. XIV, e in particolare attraverso questo che è uno dei suoi ultimi momenti di maggior rilievo.

Così come il problema "gesuitico", che impronterà i pontificati di Clemente XIII e di Clemente XIV, prende significato alla luce dell'ultimo atto del pontificato di B. XIV: la nomina del visitatore e riformatore dei gesuiti portoghesi nella persona del patriarca di Lisbona F. Saldanha (1°apr. 1758), dopo che la corte e il ministro Pombal avevano intensificatoquella lotta che, ampliatasi rapidamente anche nei regni borbonici, doveva portare alla soppressione della Compagnia. B. XIV mitigò il breve elaborato dall'antigesuita cardinale Passionei, ma vi lasciò contradditorietà di norme esecutive, in quanto il Saldanha figurava al tempo stesso come visitatore dai poteri limitati e come riformatore cui era attribuita discrezionalità assai ampia, sebbene in una istruzione al patriarca B. XIV raccomandasse un prudente procedere soprattutto riguardo all'accusa di abusivo esercizio di commercio da parte dell'Ordine. In effetti B. XIV dovette pensare a un possibile intervento di riforma della organizzazione interna della Compagnia, come aveva già effettuato in qualche singolo caso (Le lettere..., I, pp. 380 s.); ma anche questa volta sembra che forze nuove o rimaste lungo tempo latenti abbiano preso la mano sul vecchio pontefice destinato a scomparire il 3 maggio 1758.

Non è facile formulare un giudizio complessivo sulla figura e sul pontificato di B. XIV, per lo stato attuale degli studi e per il perdurare di una polemica configuratasi lungo la seconda metà del '700 e variamente atteggiatasi in sede storiografica sino ai giorni nostri.

A grandi linee, da una parte incontriamo un bilancio negativo dell'opera di B. XIV, pur nel riconoscimento di meriti personali e di indubbie buone intenzioni: è la posizione che, modulata su di un metro rigidamente moralistico ed "ecclesiastico", va dalle Memorie del Fantuzzi (1800), che codifica le riserve curiali, tradizionaliste, espresse ancora vivente B. XIV, sui "cedimenti" del pontificato lambertiniano, alla Storia dei Papi del cattolico conservatore Pastor. Posizione che è ulteriormente schematizzata nella più recente opera del Dammig sul giansenismo romano settecentesco.

Di contro - ed è certo la tendenza storiografica più fortunata e suggestiva - avrà esito e risonanza tra gli storici protestanti (Macaulay, Ranke), liberal-moderati (Sismondi, Botta), negli ambienti cattolico-liberali e in quelli modernisti (Loisy) il mito di origine illuministico-giansenistica del pontefice illuminato e tollerante, la cui ansia religiosa viene collegata alla parentesi "benedettina" dei papato di Clemente XIV e contrapposta ai papati "politici" e "gesuitici" di Clemente XIII e di Pio VI. Già nel Delle lodi di papa Benedetto XIV. Orazione, Napoli 1758, F. Galiani traccia, nonostante l'occasionalità dell'elogio funebre, le linee principali di questo più noto ritratto di B. XIV, come laddove coglie nel pontefice, in annonia con la preoccupazione tutta settecentesca per la "felicità", la sensibilità più etica che teologica quale risposta all'attesa di un'epoca, e quella "ragionevole" serenità cristiana che egli impersonerà tra i contemporanci, raccomandandosi, per essa, alla leggenda e alla storia. Il Galiani in effetti enuclea un elemento che rimarrà acquisito nella successiva letteratura storiografica: il nuovo costume di vita portato da B. XIV sul soglio di Pietro, facilitante un diverso, aperto modo di "dialogare" col proprio tempo. Il qual motivo il Botta amplierà e arricchirà nella sua Storia d'Italia (libro XLI). Ma il Botta aggiunge al profilo di B. XIV due toni che mancano, o almeno non appaiono così espliciti nell'"elogio" del Galiani, quelli della tolleranza e dell'ecumenismo di papa Lambertini. I quali motivi sono elaborati piuttosto nell'ambiente giansenisteggiante franco-italiano più moderato che si era espresso nella enciclica del 1756e nei successivi tentativi di spiegazione della Unigenitus. Il Cerati e il Bottari, i diretti collaboratori del pontefice, dal Ricchini al Bouget, ecc., forniscono al giansenisteggiante apologeta francese del cattolicesimo settecentesco, L. A. Caraccioli, prezioso materiale per la Vie du pape Benoît XIV (Liège 1766;Paris 1783), che sviluppa un Abrégé della vita di B. XIV apparso a Roma già nel 1759. Nello scritto, che ha perciò carattere di opera di collaborazione e di tendenza, rifluiscono, con evidenti forzature, intorno all'opera e alla figura di B., tutti i temi cari al ríformismo giansenistico con i suoi particolari richiami tardo-settecenteschi tolleranti ed ecumenistici.

Non v'è dubbio che tale mito, che pure ha scaturigini storicamente configurabili e storico significato, ha finito con lo spostare i termini di un concreto discorso storiografico; come, d'altronde, la polemica più generale che ha investito la valutazione dell'arco di vicende politico-ecclesiastiche e religiose dal pontificato benedettino alla Rivoluzione, ha stravolto, con le preoccupazioni che si è detto, le prospettive di un dibattito. Sinora in sostanza si sono affrontati due antitetici modi di intendere, soprattutto all'interno della Chiesa cattolica, l'essenza stessa della sua compagine ecclesiastica e della sua responsabilità religiosa. Mancato un approfondimento in sede di indagine storica, l'interesse per la figura di B. XIV si è indirizzato verso quel più modesto e superficiale filone aneddotico-letterario riscontrabile nelle opere del Giovagnoli, del Cantoni, del Valenti o nella nota e garbata commedia di A. Testoni, Il cardinal Lambertini (1905).

Qualche provvisoria indicazione che potremo qui offrire permetterà forse di avviare la formulazione di un giudizio storico su B. XIV fuori da mitizzazioni o polemiche. Se è facile far cadere definitivamente, per B. XIV, la tesi di un papa e di un pontificato "religioso" contrapposto ai pontificati "politici" dei successori - poiché, come si è potuto variamente sottolineare, preoccupazioni religiose e politiche in B. XIV si intrecciano e strettamente si condizionano -, meno facile, ma opportuna si presenta l'esigenza di ridimensionare storicamente la celebrata tolleranza lambertiniana. La quale trova i suoi limiti in una valutazione pur sempre "ecclesiastica" e istituzionale dei rapporti tra le confessioni cristiane o in "politici" adattamenti a situazioni di fatto. B. XIV avvertirà con realistico acume l'inconsiste a dei tentativi irenici del cardinale Querini nei riguardi del mondo protestante tedesco, destinati ad agire nella limitata direzione di classi auliche e colte, e continuerà a considerare i luterani secondo gli schemi tradizionali quali "perfidi protestanti" ed "eretici della Germania", reagendo agli orientamenti di effettiva tolleranza religiosa patrocinati dal cardinale Sinzendorf. "... il dire poi com'esso fa generahnente parlando, che la religione cattolica non si può né si deve difendere coll'armi, ma col solo aiuto delle prediche e delle preghiere, sembra una proposizione più che temeraria..." (Lelettere..., I, p. 318). Una conferma di tale atteggiamento va vista nel particolare modo col quale B. XIV guarderà al problema, acutizzatosi in Francia, dei relapsi al calvinismo e nell'approvazione della dura politica repressiva di Luigi XV al riguardo: anche qui, in analogia con il problema della tolleranza in Germania e i rapporti con il Sinzendorf, l'orientamento papale verso i calvinisti in genere contrasterà singolarmente con l'accorato appello irenico ed ecumenico che verrà rivolto a B. XIV (1° marzo 1755) dal vescovo giansenista di Soisson, Fitz-James (cfr. Appolis, pp. 231 ss.).

Neppure nei riguardi degli israeliti B. XIV innoverà rispetto agli orientamenti e alla prassi dei predecessori, mantenendo il tradizionale linguaggio antiebraico (Le lettere... 3 I, p. 250) e la legislazione restrittiva in vigore nello Stato pontificio. È probabile l'instaurarsi di un tipo di predicazione più tollerante - stando ad una testimonianza del Caraccioli, da accogliere con cautela -, ma una riforma più "liberale" della legislazione antiebraica si avrà solo, momentaneamente, durante il pontificato di Clemente XIV.

Più viva e feconda di risultati sarà invece l'attenzione volta da B. XIV alle Chiese orientali, facilitata da una tradizione unionistica che aveva antiche radici e da una personale propensione del pontefice per la liturgia e i riti delle comunità orientali: durante il suo pontificato sorgerà il patriarcato degli Armeni di Cilicia in unione con Roma.

Con le quali osservazioni, se si vuole suggerire da un lato una valutazione più attenta di taluni orientamenti religiosi e politico-ecclesiastici di B. XIV, su cui sinora si è maggiormente insistito, non si intende dall'altro non porre in rilievo l'importanza della sua personalità e della sua opera nella storia della Chiesa cattolica lungo il corso del '700: esse restano centrali e come la chiave di volta, tra prima e seconda metà del secolo, per la comprensione degli avvenimenti e degli orientamenti del papato e del mondo cattolico sino alla Rivoluzione. P. che B. XIV lasciava ai successori le linee ancora incerte, ma spesso consapevolmente tracciate, di un nuovo volto della Chiesa romana e, insieme, grandi possibilità e alternative: la possibilità di liquidare, o almeno di ridurre considerevolmente, senza lacerazioni, il peso del monopolio controriformistico-gesuitico e di effettuare, su basi per così dire tridentino-muratoriane, una riforma interna della Chiesa, nell'efficace mediazione di tradizione ed esigenze nuove; la possibilità di continuare una fase elastica di rapporti concordatari e di accompagnare un equilibrato sviluppo delle diverse correnti del mondo cattolico, consolidandole di fronte alla cultura e agli ideali dei "lumi"; l'alternativa di risolvere pacificamente il problema giansenista e di perseguire le riforme dello Stato pontificio nell'alveo del movimento illuministico. Era un programma di vasto respiro, che includeva tuttavia difficoltà e contraddizioni, già avvertite, ma contemperate da una personalità che trova rispondenza migliore nel clima "moderato" e preilluministico, allorché immette di slancio il mondo cattolico nelle sorgenti ancora tenui del riformismo e del cosmopolitismo della prima metà del secolo, ma che va gradatamente svelando, all'interno del suo immenso sforzo mediatore e propulsore, la immaturità, le profonde incrinature e le carenze del cattolicesimo settecentesco. Era comunque l'estrema carta religiosa e politica che il papato giocava, in quel contesto storico e con quelle forze, per armonizzare aspirazioni divergenti e proporre una diversa considerazione, che pure rampollava da esigenze profonde, degli orientamenti religiosi, ecclesiastici e politici della Chiesa di Roma. I successori di B. XIV, di fronte all'urgenza dei problemi ecclesiastico-religiosi (dal problema "gesuitico" ai contrasti con la politica del dispotismo illuminato, ecc.), compiranno una scelta procrastinata, ma inevitabile, chiudendo però presto, quasi totalmente, le ricche prospettive aperte dal suo pontificato.

Fonti e Bibl.: Manca una biografia completa e moderna su Benedetto XIV. Per notizie sul pontificato, indicazioni archivistiche e bibliogr. bisogna ancora rifarsi in generale a L. v. Pastor, Storia dei Papi, XVI, 1, Roma 1933. Due rapidi, più recenti profili offrono: E. Morelli, B. XIV uomo e Pontefice, in Tre profili, Roma 1955, e L. Dal Pane, B. XIV e una memoria ined. del conte Marco Fantuzzi, Bologna 1958. Una utile rassegna degli studi più recenti su B. in V. E. Giuntella, Studi sul Settecento romano. Il pontificato di B. XIV, in Studi romani, VI (1958), pp. 184-188; insufficiente, per più lati, L.-P. Raybaud, Papauté et pouvoir temporel sous les pontificats de Clément XII et Benoît XIV (1730-1758), Paris 1963. Tra le fonti ined. meritano partic. attenzione in Arch. Segr. Vat. le Bullae consistoriales Ben. XIV, tomi 29, dove è raccolto prezioso materiale sui principali documenti del pontificato di Benedetto XIV. Di grande importanza l'edizione de Le lettere di B. XIV al cardinale de Tencin, a c. di E. Morelli, I, 1740-1747, Roma 1955; II, 1748-1750, Roma 1965, che supera la vecchia Correspondance de Benoît XIV…, a c. di E. de Heeckeren, Paris 1912, 2 voll. Le lettere non ancora pubbl. dalla Morelli in Arch. Segr. Vat., Misc., Arm. XV. 156 (per gli anni 1751-54), e Misc., Arm. XV. 157 (per gli anni 1755-58). Altre lettere di B. XIV a vari, di importanza minore, in Lettere ined. di Santi, Papi, Principi…, a c. di L. Cibrario, Torino 1861 (29 lettere di B. XIV al cardinale delle Lanze), pp. 251-284; Briefe Benedicts XI V an dem Canonicus F. Peggi in Bologna (1707-17 58), nebst Benedicts Diarium des Conclaves von1 740, a c. di F. X. Kraus, Freiburg i. B.-Tübingen 1884 (la 2 ediz., Freiburg i. B. 1888 è arricchita dalla biografia di B. XIV di F. Scarselli e dall'elenco delle opere); Lettere di B. XIV all'arcid. Innocenzo Storani di Ancona, a c. di M. Moroni, in Arch. stor. Per le Marche e per l'Umbria, II (1885), pp. 715-796; Lettere inedite di B. XIV al card. A. M. Querini (1740-1750), in Nuovo arch. veneto, n. s., IX (1909), pp. 5-93, 279-300; X (1910), pp. 159-215 (si cfr. però il cod. Vat. Lat. 10960); Lettere ined. di B. XIV al card. F. Tamburini, a cura di B. Trifone, in Arch. d. Soc. romana di storia patria, XXXIV(1911), pp. 35-73. Sull'episcopato bolognese: I. Vittori, P. Lambertini arciv. di Bologna e la sua opera riform., in Archig., XXIII (1928). pp. 309-321 (estrem. generico); M. Fanti, Il "pastorale governo" del cardinale Lambertini, in Strenna storica bolognese, IX (1959), pp. 61-119. Per un giudizio equilibrato sulle opere liturgiche di B. XIV v. H. Leclercq, in Dict. d'arch. chrétienne et de liturgie, II, col. 771. Per i rapporti con gli ambienti scientifici: G. Martinotti, P. Lambertini(B. XI V) e lo studio dell'anatomia in Bologna, Bologna 1911; J. D. B. Gorce, L'oeuvre médicale de P. Lambertini (pape Benoît XIV) 1675-1758..., Bordeaux 1915. Sulla politica concordataria di B. XIV non esiste uno studio specifico: occorre perciò rifarsi direttamente all'ottima Raccolta di concordati su materie ecclesiastiche tra la S. Sede e le autorità civili, [Città del Vat.] 1954, I, pp. 330-443. Per il concordato con il Regno di Napoli, cfr. A. Melpignano, L'anticurialismo napoletano sotto Carlo III, Roma 1965, passim. Anche sui rapporti con il Muratori e sul clima "muratoriano" dei primordi del pontificato di B. XIV non esistono ricerche particolari: sarà utile una rilettura dell'Epistolario muratoriano, per gli anni compresi fra il 1740 e il 1750; qualche indicazione in F. Callaey, La critique historique et le courant pro-janséniste à Rome au XVIIIe siècle, in Nuove ricerche storiche sul giansenismo, in Analecta Gregoriana, LXXI, Roma 1954, pp. 185-194(in part. per i lavori sulla riforma del Breviario); in E. Appolis, Entre jansénistes et zelanti. Le "tiers parti" catholique auXVIIIe siècle, Paris 1960, passim e in E. Cochrane, Giovanni Lami e la storia ecclesiastica ai tempi di B. XIV, in Arch. stor. ital., CXXIII (1965). pp. 48-73. Sulla questione dei "riti cinesi e cfr. Diz. biogr. degli Italiani, II, Roma 1960, sub voce Alessandro VII, pp. 210 e 215(bibl.). Sulla questione dell'usura: cfr. Dict. de Théol. Cath., XV, 2, coll. 2377 s., sub voce Usure; J. Noonan, The scholastic Analysis of Usury, Cambridge 1957, pp. 356 s.; Diz. biogr. degli Italiani, V, Roma 1964, subvoce Ballerini Pietro; in part. per i rapporti tra B. XIV e il Maffei, a questo proposito, L. Dal Pane, I libri di economia di una biblioteca papale, in Rend. delle sess. dell'Acc. delle Scienze dell'Ist. di Bologna, classe di scienze morali, s. 5, IX (1959), pp. 47-72, dove è pubblicata anche una lettera dei Maffei a B. XIV sfuggita alla edizione dell'Epistolario maffeiano, a c. di C. Garibotto, Milano 1955.

Sugli orientamenti politici di B. XIV durante e dopo la guerra di successione austriaca: per i rapporti con Francesco Stefano di Lorena e la Reggenza toscana, cfr. A. Zobi, Storia civile della Toscana dal 1737 al 1848, I, Firenze 1850, pp. 241 ss., 317, e app., pp. 35, 41, 46 s.; per i rapporti con l'Austria e i contrasti con Venezia circa la soppressione del Patriarcato di Aquileia, F. Seneca, La fine dei patriarcato aquileiense (1748-751), Venezia 1954.Per i rapporti con la Prussia, oltre il Pastor, O. Hegemann, Friedrich der Grosse und diekatholische Kirche in den reichsrechtlichen territorien Preussens, Müinchen 1904; v.anche Correspondance de Fréderic Roi de Prusse avec le comteAlgarotti..., s.l. 1799 pp. 148 s., 150 s., 152.Sulle riforme dello Stato pontificio: L. Dal Pane, Lo Stato pontificio e il movimento riformatoredel Settecento, Milano 1959. pp. 47. 137, 138 ss., 148 ss., 239-253;cfr. la puntualizzazione complessiva di F. Venturi, Elementi e tentativi di riforme nello Stato pontificiodel Settecento, in Riv. stor. ital., LXXV (1963), part. pp. 782 ss. e dello stesso, Illuministi italiani, VII, Milano-Napoli 1965, pp. XXII ss., XXXV ss. e passim.

Sulla cultura romana intorno alla metà del secolo e le Accademie istituite da B. XIV: Notizie delle Accademie erette in Roma per ordine della Santità di N. S. Papa B.decimoquarto, Roma 1740; sugli studi e le scoperte archeologiche L. Hautecoeur, Rome et la Renaissance de l'antiquité à la fin du XVIIIe siècle, Paris 1912, pp. 10 ss., 43, 51, 52,64, 92, 146, 184; C. Justi, Winckelmann und seine Zeitgenossen, Leipzig 1923, I, pp. 318, 362; II, pp. 29. 120, 160 ss., 169 s., 174 ss., 260, 285, 341, 349, 391; III, pp. 9, 17 s., 36, 130, 306. Per l'incremento della Biblioteca Vaticana: G. Salvo Cozzo, Icodici Capponiani della Biblioteca Vaticana, Roma 1897, pp. IX-XIX; per il fondo Ottoboniano, cfr. Mem. istor. della Bibl. Ottoboniana scritta dall'ab. Costantino Ruggieri, in Codices manuscripti Graeci Ottoboniani Bibl. Vat., a c. di E. Feron e F. Battaglini, Roma 1893, pp. XL-LX. Per i rapporti con l'ambiente bolognese: E. Gualandi, Il card. FilippoM. Monti, papa B. XIV e la biblioteca dell'Istituto delle scienze di Bologna, Parma 1921. Per i rapporti con il Genovesi: G. M. Monti, A. Genovesi e B. XIV, in Arch. stor. per la Prov. di Salerno, 1933.Per l'orient. di B. nei riguardi della cultura illuministica v. qualche indic. in M. Rosa, Sulla condanna dell'"Esprit des lois" e sulla fortuna di Montesauieu in Italia, in Riv. di storia della Chiesa in Italia. XIV (1960), part. pp. 412 ss. In particolare: per l'atteggiamento contro la massoneria. I. Rinieri, Della rovina di una monarchia, Torino 1906, part. pp. 389 ss.e pp. 601 ss. (docc.); per la condanna di Montesquieu, oltre allo studio citato del Rosa, R. Shackleton, Montesquieu. A criticai Biography, Oxford 1961, pp. 370 ss.;Montesquieu, Oeuvres complètes, a c. di A. Masson, Paris 1955, III, pp. 647 s., 1278 ss.. 1292, 1304 s., 1310, 1320 ss., 1330 ss., 1348 ss., ecc.; per i rapporti tra B. XIV e Voltaire, P. Martino, L'interdiction du "Mahomet" de Voltaire et la dédicace au pape (1742-1745), in MémorialHenri Basset, II, Paris 1928, ma cfr. anche Voltaire's Correspondence, a cura di Th. Bestermann, XIV, Genève 1956, pp. 157 s., 200 s., 203 s., 222 s. e passim. Per la condanna delle opere volteriane: Bibl. dell'Accad. dei Lincei e Corsiniana, cod. Cors. 1465. Per l'atteggiamento di B. XIV verso il giansenismo cfr. E. Dammig, Il movimento giansenista a Roma nella seconda metà del sec. XVIII, Città dei Vaticano 1945, pp. 375-390 e passim, e contra il lavoro che è stato già citato dell'Appolis. Sulla missione dello Choiseul Stainville, M. Boutry, Choiseul à Rome. Lettres et mémoires inédites, 1754-1757, Paris 1895. Sulla fortuna di B. XIV, oltre alle indicaz. fornite in questa voce, cfr. Pastor, XVI, 1, pp. 455-462. Sul filone aneddotico letterario: R. Giovagnoli, Leggende romane. Papa Lambertini, Roma, 1887; F. Cantoni, Lambertiniana, ossia i motti di papa Lambertini, Bologna 1920; T. Valenti, Papa Lambertini umoristico, Roma 1938. Per profili rapidamente informativi, cfr. Encicl. Ital., VI, pp. 612 ss.; Dict. de Théol. Cath., II, coll. 706-708; Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés., VIII, coll. 163 ss.

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