GIOVANNI XIX, papa

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 55 (2001)

GIOVANNI XIX, papa

Antonio Sennis

Terzo figlio di Gregorio, conte di Tuscolo, e di Maria, il suo nome di battesimo era Romano. Era fratello di Teofilatto, papa con il nome di Benedetto VIII. Della sua vita prima dell'elezione al soglio pontificio si sa solo che dovette rivestire alcuni incarichi in seno all'amministrazione cittadina, forse con la dignità di senator. Quando fu eletto (19 apr. 1024, dieci giorni dopo la morte del fratello), era ancora laico, e questa sua improvvisa ascesa al vertice della gerarchia cattolica non mancò di suscitare i malevoli commenti di molti cronisti dell'epoca (cfr., per es.: Bonizone da Sutri, p. 584; Rodolfo il Glabro, IV, 4).

La notizia, riportata dal solo Rodolfo il Glabro e accettata da parte della critica (per es.: Dictionnaire de théologie catholique; Kelly), secondo cui G. avrebbe anche versato del denaro per assicurarsi l'elezione va invece considerata con una certa cautela. Occorre infatti ricordare che a tale riguardo il ms. lat. 6190 della Bibliothèque nationale di Parigi, codice delle Storie, almeno parzialmente idiografo dell'autore, originariamente riportava, come nome del pontefice simoniaco, "Gregorius" (con riferimento forse a suo padre Gregorio, o a Gregorio VI). Il lapsus calami fu corretto in "Iohannes" solo in un secondo tempo (cfr. Rodolfo il Glabro, Storie, IV, note al testo 25 e 31). È quindi possibile che, nella stesura del testo della cronaca, la confusione del nome del pontefice - non la sola in cui cadde questo cronista - abbia indotto il redattore ad aggiungere il riferimento all'elezione simoniaca, di cui come è noto era stato accusato Gregorio VI. Un riferimento che, in armonia con la luce negativa in cui G. è presentato nella cronaca, sarebbe stato mantenuto anche dopo la successiva correzione di "Gregorius" in "Iohannes".

Nei primi mesi di pontificato, G. intervenne subito nei contrasti che opponevano le due sedi patriarcali di Aquileia e Grado. Inizialmente il pontefice considerò legittime le pretese del patriarca di Aquileia, che reclamava la propria supremazia, ma poi, nel corso di un sinodo in Laterano (dicembre 1024), egli tornò sulle proprie decisioni, riconobbe i diritti del presule gradense e decretò l'autonomia di quella sede. Nello stesso tempo egli concesse alcuni privilegi alle sedi suburbicarie di Porto (maggio 1025) e Silvacandida (dicembre 1026).

Stando alla testimonianza di Rodolfo il Glabro (IV, 2-3), in quello stesso periodo G. avrebbe ricevuto una legazione inviata dall'imperatore bizantino Basilio II. Questi ambiva a far sì che al patriarca costantinopolitano fosse riconosciuto il titolo di "ecumenico". Per riuscire nel suo proposito, l'imperatore non avrebbe esitato a blandire il pontefice e i suoi consiglieri con offerte di denaro e oggetti preziosi. Il tentativo di Basilio II sarebbe andato a buon fine per l'avidità delle sue controparti, disposte a un accordo segreto. Tuttavia la notizia di quell'abboccamento sarebbe comunque trapelata, causando numerose e vibrate proteste da parte degli esponenti più in vista degli ambienti riformatori. G. sarebbe così dovuto tornare sulle proprie decisioni.

Il fondamento storico dell'episodio è da tempo oggetto di discussione. Esso fu per esempio giudicato del tutto attendibile da F. Dvornik (p. 460), mentre A. Michel (pp. 61-63) non ebbe esitazioni a rigettarne l'autenticità. Al riguardo, l'unica fonte è per l'appunto Rodolfo il Glabro, dato che Ugo di Flavigny, il solo altro cronista che ne fa cenno, sembra dipendere interamente da lui. È probabile che il riferimento alla corruttibilità del pontefice e della sua cerchia sia frutto della maldisposta fantasia del cronista. Tuttavia non è affatto escluso che nel corso del pontificato di G. vi sia stata una tendenza al riavvicinamento tra la Chiesa di Roma e l'Impero bizantino. Stando a un documento conservato, in copia di poco posteriore, nell'Archivio della cattedrale di Bari, sulla genuinità del quale la critica non è tuttavia unanime, proprio G., nel giugno 1025, avrebbe per esempio riconosciuto il titolo di metropolita che Bisanzio, arcivescovo di Bari, capitale del catapanato bizantino, aveva assunto, assegnando a quella sede dodici vescovati suffraganei (cfr. J. Gay, p. 427, e, più di recente, K.J. Herrmann, pp. 63-66; gli editori del Codice diplomatico barese, I, Le pergamene del duomo di Bari (952-1264), a cura di G.B. Nitto de Rossi - F. Nitti di Vito, Bari 1897, pp. 21-23, respinsero come falso il privilegio pontificio; A. Petrucci, p. 645, lo ha giudicato, invece, sicuramente genuino). È probabile che, grazie a queste intese diplomatiche di G. con il potere bizantino, la Chiesa di Roma sia riuscita a intensificare la propria influenza in alcune aree dell'Italia meridionale.

Seguendo l'esempio del suo predecessore, G. si mostrò inoltre propenso a mantenere buoni rapporti con il nuovo re di Germania, il successore di Enrico II, Corrado II di Franconia. Tuttavia sembra che egli, in questo modo, finisse semplicemente per assecondare il sovrano in ogni sua iniziativa. Così, in occasione di un sinodo tenuto in Laterano il 6 apr. 1027, Corrado II, incoronato imperatore qualche giorno prima (26 marzo), costrinse il papa a ritirare il provvedimento con il quale aveva decretato l'autonomia del patriarcato di Grado. Tale sede fu così ricondotta sotto il controllo del patriarca di Aquileia, il tedesco Poppone, deciso sostenitore di Corrado II.

Alla cerimonia di incoronazione di Corrado II assistette, tra gli altri, anche re Canuto, sovrano d'Inghilterra e di Danimarca. Questi ottenne da G. l'abolizione dei tradizionali versamenti in danaro che i presuli inglesi dovevano corrispondere quando veniva loro concesso il pallium e delle imposizioni pecuniarie che gravavano sulla schola Anglorum in Vaticano. In cambio egli garantì al pontefice il versamento regolare dell'obolo di S. Pietro.

La collaborazione, forse sottomessa, che G. assicurò a Corrado II consentì al sovrano di perseguire con tutta libertà una politica di riassetto delle clientele ecclesiastiche in Germania. Per esempio, il pontefice non si oppose al trasferimento della sede vescovile di Zeitz a Naumburg (dicembre 1028), né reagì in alcun modo all'atteggiamento palesemente ostile del vescovo di Costanza Warmann (ottobre 1031). Questi, con il benestare dell'imperatore, bruciò infatti pubblicamente un privilegio pontificio destinato al monastero di Reichenau, in virtù del quale, nel corso di cerimonie particolarmente solenni, l'abate di quella comunità poteva indossare alcuni paludamenti pontifici.

G. si mostrò inoltre deciso nel sostenere le posizioni riformatrici, soprattutto in Francia. Egli ebbe in particolare favore il monastero di Cluny e il suo abate Odilone. Uno dei primi provvedimenti che prese una volta eletto papa fu infatti quello di concedere all'abbazia un privilegio di esenzione. Quando, qualche tempo dopo, il vescovo di Mâcon Gauzlin tentò di mettere in dubbio, nel corso di un sinodo tenutosi ad Anse, la liceità delle decisioni papali, la reazione di G. non si fece attendere. Il 28 marzo 1027, alla presenza di Corrado II - che forse quindi ne controllava realmente le decisioni - il pontefice confermò tutti i privilegi concessi in passato a Cluny, concedendo nuovamente alla comunità l'esenzione dalle ingerenze vescovili. Nell'occasione G. scrisse anche una lettera al re di Francia Roberto II, invitandolo a vigilare affinché al monastero non venisse arrecato alcun danno. Il vescovo Gauzlin fu, per parte sua, minacciato di scomunica.

Di recente sono invece stati avanzati dubbi riguardo al riconoscimento che G. avrebbe concesso (1031) all'apostolicità di s. Marziale, in favore dell'omonimo monastero di Limoges. Nel corso dei secc. X e XI, infatti, i monaci dell'abbazia di S. Marziale di Limoges, per incrementare la fama del loro patrono, evangelizzatore del Limosino e fondatore della sede episcopale di Limoges, avevano fabbricato una leggenda secondo la quale il santo sarebbe stato uno dei settantadue discepoli di Cristo. La questione dell'apostolicità di s. Marziale divenne di capitale importanza agli inizi del sec. XI, sotto il governo dell'abate Odolrico. Il principale difensore dell'apostolicità del santo fu il cronista Ademaro di Chabannes, con il sostegno del vescovo di Limoges Giordano, che intravedeva la possibilità di rivendicare diritti primaziali per la propria sede. Secondo studi recenti, il racconto del concilio di Limoges (1031), nel corso del quale, sulla base anche del riconoscimento garantito da G., sarebbe stata proclamata l'appartenenza del santo al gruppo dei discepoli di Cristo, è largamente deformato dalla strategia propagandistica di Ademaro (cfr. Callahan).

In quegli stessi anni Guglielmo, abate del monastero di S. Benigno di Digione, si recò al cospetto di G. e ottenne la protezione apostolica per il monastero di S. Benigno di Fruttuaria, da lui fondato nella diocesi di Ivrea. Anche in ciò è da vedere il segno dell'interesse di G. per le istanze più riformatrici del monachesimo. Lo stile di vita del monastero di Fruttuaria, ispirato a un indirizzo rigoristico e regolato da consuetudini molto simili a quelle cluniacensi, diede infatti origine a un vero e proprio movimento riformato che si diffuse soprattutto nell'Italia subalpina.

Non si conoscono le circostanze della morte di G., avvenuta con ogni probabilità a Roma il 20 ott. 1032, né il luogo della sua sepoltura.

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