GREGORIO VI, papa

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 59 (2002)

GREGORIO VI, papa

Antonio Sennis

Il suo nome di nascita era Giovanni. Alcune fonti gli attribuiscono inoltre l'ulteriore appellativo Graziano sia da solo sia unito a Giovanni (per un elenco completo cfr. G.B. Borino, L'elezione e la deposizione di G. VI, in Arch. della R. Società romana di storia patria, XXXIX [1916], pp. 229 s. con le note relative). Di lui non si conoscono né il luogo né la data di nascita, e anche le sue origini familiari sono oscure.

La notizia che lo vorrebbe legato da vincoli di parentela con la famiglia romana dei Pierleoni è infatti molto tarda: a livello documentario compare per la prima volta nell'epigrafe che Ottavio Pierleoni fece apporre, nel 1674, sul sepolcro del suo avo Pietro di Leone, situato nell'atrio della basilica di S. Paolo. In essa G. era definito "patruus", cioè zio, del defunto (sull'inconsistenza della tradizione cfr. però P. Brezzi, Roma e l'Impero medioevale, Bologna 1947, p. 208).

Giovanni Graziano era arciprete della chiesa di S. Giovanni a Porta Latina allorché Benedetto IX (Teofilatto dei conti di Tuscolo), in seguito a pressioni esercitate dai circoli riformatori romani, rinunciò al papato in suo favore (1° maggio 1045). Non è possibile stabilire con certezza chi fossero coloro che spinsero Benedetto IX ad abbandonare la carica; forse del gruppo faceva parte lo stesso G. VI, che secondo alcune testimonianze era legato al pontefice da vincoli di parentela spirituale. Gli Annales Romani lo definiscono per esempio "patrinus" di Benedetto IX. In ogni caso è probabile che la sua ascesa al soglio pontificio sia stata il frutto di un accordo tra le due famiglie da decenni in lotta per il predominio sulla città: i Crescenzi e i conti di Tuscolo.

Precedentemente, nel settembre 1044, una rivolta aveva cacciato da Roma Benedetto IX e nel gennaio 1045 era stato consacrato papa Silvestro III (Giovanni vescovo di Sabina, molto probabilmente legato ai Crescenzi), che fu a sua volta cacciato nel marzo successivo, con il ritorno di Benedetto IX.

È inoltre arduo pronunciarsi in merito all'effettiva canonicità dell'elezione di Gregorio VI. Da un lato appare difficilmente verificabile la testimonianza degli Annales Romani secondo cui, con procedura del tutto irregolare, egli sarebbe stato scelto personalmente dal suo predecessore e avrebbe addirittura ricevuto da lui garanzia scritta al riguardo ("Benedictus […] eiusdem pontificatus sui honorem per cartulam refutavit Iohanni archipresbitero"; cfr. Le Liber pontificalis, a cura di L. Duchesne, II, Paris 1892, p. 331). D'altro canto, le fonti appaiono, in generale, concordi nell'affermare che l'elezione di G. VI fruttò del denaro al suo predecessore. Non è chiaro se la somma fosse versata dallo stesso G. VI o, come egli avrebbe in seguito affermato, da suoi sostenitori che egli avrebbe solo in un secondo tempo provveduto a rimborsare. Molti testi indicano esplicitamente che G. VI sarebbe stato coinvolto in prima persona nella transazione (cfr. per tutti Annales Altahenses maiores), alcuni addirittura quantificano in 2000 "librae" la somma versata al papa uscente (così il catalogo tradito dal trecentesco ms. Vat. lat., 1340, per la cui descrizione cfr. Le Liber pontificalis, p. CCV).

In ogni caso, almeno sulle prime, il nuovo pontefice fu accolto con entusiasmo da coloro che tanta ostilità avevano manifestato nei confronti di Benedetto IX. Pier Damiani, per esempio, salutò l'evento con grande gioia, scrivendo a G. VI una calorosa lettera nella quale lo esortava a intraprendere un'energica azione di riforma. Altra indiretta testimonianza di una consonanza di intenti tra il nuovo pontefice e gli ambienti riformatori può essere dedotta dalla buona intesa che egli sempre ebbe con Ildebrando, il futuro papa Gregorio VII, che fu suo collaboratore e amico.

La posizione di G. VI alla guida della Chiesa di Roma non era però salda. Nell'autunno del 1046 il re di Germania Enrico III scese in Italia e, giunto a Pavia, presiedette un sinodo nel corso del quale fu pronunciata una nuova condanna della simonia. G. VI si risolse a muovere incontro al sovrano, dal quale fu ricevuto a Piacenza. Egli fu forse accolto con onore da Enrico III (cfr. per esempio Ermanno Contratto e Arnolfo), ma è assai improbabile che nella circostanza la sua legittimità fosse riconosciuta.

Poco tempo dopo, il 20 dic. 1046, egli infatti fu costretto a presentarsi di fronte a un sinodo riunito a Sutri. Anche Silvestro III e Benedetto IX, i quali evidentemente continuavano a manifestare le proprie aspirazioni al pontificato, avrebbero dovuto recarsi in giudizio. Essi, però, non lo fecero e a subire l'inchiesta e la conseguente condanna per simonia fu il solo Gregorio VI. Secondo alcune fonti l'imperatore ne avrebbe ordinato la deposizione (cfr. per es. Chronicon S. Benigni Divionensis e De ordinando pontifice); secondo altre, sarebbe stato G. VI stesso a dichiararsi colpevole e quindi, pur invocando alcune circostanze attenuanti, non meritevole della dignità papale (tale versione degli avvenimenti compare, con alcune varianti, per es. Desiderio di Montecassino; Chronica monasterii Casinensis; Bonizone; Bernoldo di S. Biagio).

Egli fu comunque imprigionato il giorno stesso, mentre veniva eletto papa l'arcivescovo di Bamberga Suidger, che assunse il nome di Clemente II. Desiderando probabilmente allontanare quanto più possibile dalla scena romana G. VI, che doveva avere ancora solidi appoggi in seno alla Curia, Enrico III ordinò che fosse condotto prigioniero in Germania, probabilmente a Colonia, accompagnato da Ildebrando.

La possibilità di una nuova accessione di G. VI al soglio pontificio si presentò quando, il 9 ott. 1047, Clemente II morì. A Roma Benedetto IX (forse grazie a una nuova elezione) era tornato a capo della Chiesa romana. Tuttavia, Enrico III manifestò l'intenzione di proporre un altro candidato. Vi fu allora chi, come il vescovo di Liegi Wazone, avanzò la candidatura di G. VI come la più autorevole (cfr. al riguardo Anselmo di Liegi). Enrico III scelse invece (Natale 1047) il vescovo tedesco Poppone, che assunse il nome di Damaso II.

Non è possibile stabilire se, a questa data, G. VI fosse già defunto. Egli comunque dovette morire in quel torno di tempo, giacché da questa data in avanti non se ne ha più notizia.

Fonti e Bibl.: Per la bibliografia si rinvia ad A. Sennis, G. VI, in Enciclopedia dei papi, II, Roma 2000, p. 150.

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