GREGORIO XV, papa

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 59 (2002)

GREGORIO XV, papa

Alexander Koller

Alessandro Ludovisi nacque il 9 genn. 1554 a Bologna, terzogenito del conte Pompeo e di Camilla Bianchini. La famiglia, di origine fiorentina, si era stabilita dal XII secolo a Bologna, dove era parte del patriziato senatoriale.

Nell'autunno del 1567, il Ludovisi, insieme con il fratello Ludovico, maggiore di cinque anni, entrò nel Collegio germanico di Roma, diretto dai gesuiti, e vi rimase due anni, avvicinandosi allo studio dei classici presso il Collegio romano, dove, a partire dal 1569, studiò filosofia e teologia prima di cominciare, nel 1571, gli studi di giurisprudenza nella sua città natale. Qui conseguì il titolo di dottore utriusque iuris il 4 giugno 1575. Tornato a Roma nello stesso anno, il Ludovisi ascese al primo gradino della carriera romana allorché il concittadino Gregorio XIII lo nominò primo collaterale di Campidoglio, ovvero giudice civile del tribunale capitolino, carica che ricoprì dal 20 sett. 1582 al 10 maggio 1585. Fu solo per motivi di salute che non poté recarsi in Polonia al seguito del legato pontificio Ippolito Aldobrandini nel maggio 1588. Nel 1591 fu membro della commissione istituita da Gregorio XIV per trattare la devoluzione di Ferrara alla S. Sede. Sotto il pontificato di Clemente VIII gli furono conferite nuove cariche: il 13 luglio 1593 divenne referendario della Segnatura di grazia e giustizia, la magistratura che giudicava sugli appelli e decideva l'affidamento delle cause ai tribunali. La sua carriera di giudice proseguì con la nomina, il 13 ag. 1596, a luogotenente civile del tribunale del Vicariato, con giurisdizione sulla diocesi di Roma. Dall'aprile 1597 fino all'agosto 1599 fu vicegerente di Roma (il sostituto del vicario) e il 17 ag. 1599 fu nominato auditore di rota. Nel 1601 gli fu affidata, congiuntamente a Maffeo Barberini e Pietro Millini, una missione a Benevento, territorio pontificio al di fuori dello Stato della Chiesa, per comporre le controversie relative ai confini con il Regno di Napoli e le baronie limitrofe.

L'ascesa del Ludovisi nella Curia romana proseguì anche durante il pontificato di Paolo V: il 2 apr. 1612 divenne arcivescovo di Bologna, succedendo a Scipione Borghese Caffarelli. Fu un pastore attento e fedele allo spirito tridentino: convocò quattro sinodi diocesani (1613, 1614, 1615, 1620) e intraprese la visita pastorale. Dal 1616 al 1618 il Ludovisi fu mediatore, insieme con l'inviato francese Philippe de Béthune, nel conflitto per i diritti sul Monferrato, riaccesosi in seguito alla morte del duca di Mantova Francesco Gonzaga (22 dic. 1612), genero del duca Carlo Emanuele di Savoia.

Il 19 sett. 1616 il Ludovisi fu nominato cardinale, ma ricevette il cappello cardinalizio soltanto nel concistoro del 20 nov. 1618, e il 3 dicembre gli fu assegnato il titolo di S. Maria in Traspontina. Il 28 genn. 1621 morì Paolo V; il Ludovisi partecipò al successivo conclave con la consapevolezza di poter essere candidato. La sua lineare carriera, e soprattutto la sua capacità di mediazione, gli consentirono di non subire veti al momento dell'elezione; poté cioè contare sul consenso della parte asburgica e di quella francese. Si trattava di sostegni maturati quando, su suo consiglio, Clemente VIII aveva nominato il cardinale Alberto d'Austria arcivescovo di Toledo e primate di Spagna e quando egli stesso si era adoperato per l'assoluzione del re di Francia Enrico IV.

L'8 febbr. 1621 ebbe inizio il conclave e, il giorno successivo, il sessantasettenne Ludovisi fu eletto papa. Fra i cinquantadue cardinali che partecipavano all'elezione, l'unico concorrente che sembrò potersi contrapporre al Ludovisi fu Pietro Campori, il candidato di Scipione Borghese, poiché l'altro papabile, Ludovico d'Aquino, si era ammalato gravemente e ben presto morì. In memoria del suo conterraneo e primo protettore Gregorio XIII, Ludovisi prese il nome. La domenica Exsurge, il 14 febbr. 1621, ebbe luogo l'incoronazione e l'8 maggio Gregorio XV prese possesso dell'arcibasilica patriarcale e del palazzo lateranense.

Al momento della sua ascesa al pontificato l'Europa era attraversata dal grande conflitto scoppiato con la defenestrazione di Praga del 23 maggio 1618 (la guerra dei Trent'anni). I centri nevralgici di quella profonda crisi erano in quel momento la Boemia e la Valtellina. Con la vittoria della Montagna Bianca (Bilá Hora) nei pressi di Praga, l'8 nov. 1620 la Lega cattolica, con le truppe dell'imperatore Ferdinando II e del duca di Baviera Massimiliano, aveva sconfitto Federico V del Palatinato, il "re d'inverno" di Boemia. La vittoria aveva rafforzato la volontà di Roma di garantire che la corona imperiale restasse in mani cattoliche, sostenendo la linea degli Asburgo d'Austria: si rendeva a tal fine necessario consolidare il potere di quella dinastia all'interno degli Stati ereditari e ripristinare l'autorità imperiale. Occasione per ampliare e assicurare la maggioranza dei voti di cui potevano disporre i principi cattolici fu la messa al bando del principe elettore Federico del Palatinato da parte dell'imperatore (29 genn. 1621); con tale operazione si misero a disposizione i territori di Federico e soprattutto il quinto elettorato, che sin dal Medioevo apparteneva al Palatinato del Reno. La S. Sede si mosse con decisione affinché esso venisse conferito a un principe cattolico, ciò a evitare che mutassero gli equilibri (quattro cattolici e tre protestanti) all'interno del Collegio elettorale imperiale. Due erano i nomi per l'investitura: il conte palatino Volfango Guglielmo di Neuburg e il conte Massimiliano di Baviera.

G. XV preferì Massimiliano di Baviera (che ottenne formalmente la dignità elettorale il 25 febbr. 1623) per i meriti acquisiti nella lotta alla Riforma e per la superiorità della sua forza politica e militare. Affinché l'imperatore Ferdinando II decidesse in tal senso, erano stati inviati il nunzio straordinario Fabrizio Verospi e il frate cappuccino Giacinto da Casale a coadiuvare il nunzio ordinario presso la corte imperiale, Carlo Carafa. Come segno di riconoscenza, nel 1623 il nuovo principe elettore trasferì la Biblioteca Palatina dalla città di Heidelberg, espugnata da J.T. Tilly il 16 sett. 1622, a Roma, dove fu accorpata alla Biblioteca Vaticana. A questo scopo il 28 ott. 1622 fu inviato a Heidelberg il commissario pontificio Leone Allacci, erudito di origine greca e custode di quest'ultima Biblioteca, che ripartì per Roma il 14 febbr. 1623.

G. XV fu l'unico pontefice (con l'eccezione significativa di Gregorio XIII) che nella prima età moderna cercò di attuare nei confronti dell'Impero un progetto politico coerente. Per realizzare il suo programma di cattolicizzazione dell'Impero si adoperò affinché la Lega e l'imperatore continuassero la guerra partecipando alle spese e aumentando i sussidi già concessi da Paolo V, prevalentemente finanziati dalla Camera apostolica e da una decima imposta su benefici ecclesiastici tedeschi e su ordini monastici italiani. Il contributo era destinato al mantenimento di un reggimento che il generale pontificio Pietro Aldobrandini doveva arruolare in Boemia.

Conclusa con successo l'operazione con Massimiliano, G. XV cominciò a orientarsi verso un'eventuale tregua. I successi militari della Lega cattolica fino al 1623 costituiscono lo sfondo della politica offensiva di riforma e di ricattolicizzazione di Gregorio XV. Ai nunzi inviati in Germania fu soprattutto raccomandata la vigilanza nei confronti di vescovi e capitoli delle cattedrali: proprio essi avrebbero dovuto garantire l'autorità papale nell'Impero. A tal fine i nunzi furono sollecitati ad assicurare l'elezione di vescovi adatti, dalle sicure qualità spirituali: veniva infatti auspicata la designazione di "persone non solamente catoliche, ma zelanti e pie" (Istruzione per P.F. Montoro, nunzio a Colonia, 31 luglio 1621); i titolari di diocesi dovevano però anche dimostrare capacità di amministrazione e di governo. Anche gli statuti dei capitoli andavano soggetti a revisione ed eventualmente corretti e ai nunzi spettava poi vigilare attentamente sulle cooptazioni che ne rinnovavano la composizione interna.

Per la Boemia venne fornito al nunzio Carlo Carafa un programma immediato speciale per la ricattolicizzazione del paese. Era prevista l'istituzione di un'università cattolica a Praga, la diffusione di catechismi e altri "buoni libri per li fanciulli e per le persone idiote le antiche canzoni spirituali in lingua boema". Inoltre bisognava promuovere la presenza di librai e tipografi cattolici e l'attività dei gesuiti, ma soprattutto andava riformato il clero secolare e regolare e non da ultimo dovevano essere rivitalizzati i seminari e collegi del paese "per la grandissima penuria che vi ha di sacerdoti".

La seconda zona critica della guerra era al confine settentrionale della penisola italiana. Il centro geografico del conflitto era rappresentato dalla Valtellina, dal 1513 possedimento della Lega svizzera dei Grigioni.

La Riforma protestante aveva portato lacerazioni profonde tra la Valtellina e i Grigioni. Mentre le popolazioni di quest'ultima regione divennero protestanti, i Valtellinesi rimasero infatti cattolici, sentendosi parte integrante dello spazio culturale e linguistico italiano. A partire dal 1618 si susseguirono ripetuti scontri fra i protestanti dei Grigioni e i Valtellinesi, culminati nel "Sacro macello" del 19 luglio 1620, in cui furono uccisi circa 400 protestanti. La crisi fu confessionale e politica, perché la questione della Valtellina - a causa della sua decisiva posizione geografica - rientrava nella sfera di interessi di Francia, Savoia, Venezia e Asburgo. Nell'agosto del 1620 le truppe spagnole e austriache occuparono la valle e i territori confinanti, creando un corridoio strategico fra Milano e i possedimenti sul Reno superiore e in Tirolo.

La politica valtellinese di G. XV era dettata, oltre che dalla necessità di difendere la religione cattolica nella regione, soprattutto dal principio di salvaguardare la "pace e quiete d'Italia". Perciò egli respinse la controversa prima pace separata di Milano (6 febbr. 1621) fra il governatore spagnolo, il duca di Feria, e la Lega grigia, dominata dai cattolici, accettando invece la parte politica della pace di Madrid (25 apr. 1621) sulla base di trattati tra Francia e Spagna, che prevedevano l'uscita degli Asburgo dalla Valtellina e la restituzione di quel territorio alla Lega. Il disaccordo sulle clausole confessionali, ma anche le difficoltà spagnole ad accettare tale soluzione, comportarono il fallimento dell'intero negoziato. Nuove azioni militari portarono a una seconda pace separata di Milano (15 genn. 1622), per la quale i Grigioni persero di nuovo la Valtellina. Rispetto al trattato precedente, del 1621, Roma aveva minori riserve, per ragioni confessionali, ma Francia, Savoia e Venezia erano contrarie all'allargamento delle zone dominate dagli Asburgo - imperiali e spagnoli - i quali, dopo la pace di Lindau (30 sett. 1622), controllavano ormai i passi alpini; il conflitto quindi si inaspriva e ciò preoccupava la S. Sede. Dopo lunghi negoziati, Francia, Venezia e Savoia formarono una Lega offensiva ratificata con il trattato di Parigi (7 febbr. 1623).

Intanto per la prima volta si era preso in considerazione il progetto di consegnare le fortezze della Valtellina al papa. Si giunse così al trattato di deposito di Madrid (14 febbr. 1623), che condizionò definitivamente la politica pontificia. Le fortezze valtellinesi furono consegnate alle truppe papali il 6 giugno 1623 e per tale scopo G. XV aveva inviato lì suo fratello Orazio, duca di Fiano. Alla morte del papa, un mese dopo, la crisi della Valtellina non era affatto risolta e al successore, Urbano VIII Barberini, fu lasciata una grave ipoteca politica e militare.

Altro tema della politica estera della S. Sede era il progetto matrimoniale tra il principe Carlo, figlio di Giacomo I d'Inghilterra, e l'infanta di Spagna Maria.

Il piano risaliva al 1614 ed era legato ad altri grandi temi della politica europea. Dopo molti tentativi falliti, nell'agosto del 1621 G. XV incaricò una congregazione cardinalizia di esaminare il contratto matrimoniale concertato dalle due corti. Il 23 marzo 1623 fu presa la decisione di accordare la dispensa necessaria perché l'unione potesse compiersi, confidando in concessioni a favore dei cattolici inglesi. Gli articoli modificati del contratto matrimoniale e la dispensa furono inviati a Madrid al nunzio Innocenzo de' Massimi e finalmente, dopo altri negoziati, il 17 giugno furono accettati da Carlo. Nell'autunno del 1623 la rottura tra Spagna e Inghilterra fece però definitivamente fallire il progetto di matrimonio. Per rappresentare gli interessi della S. Sede presso le potenze cattoliche G. XV nominò complessivamente tredici nunzi ordinari e otto straordinari. Per decisione della congregazione di Propaganda Fide dell'8 marzo 1622 fu soppressa la nunziatura di Stiria (Graz), eretta da Gregorio XIII nel 1580, il cui programma riformatore era stato, nel frattempo, attuato. Con questa misura il numero delle nunziature ordinarie (senza tenere conto delle istituzioni simili alle nunziature come la Collettoria di Portogallo, l'Inquisizione di Malta o la Legazione di Avignone) si ridusse da dodici a undici.

G. XV tenne quattro promozioni cardinalizie, la prima delle quali ebbe luogo il 19 apr. 1621, e creò undici porporati, tra i quali Richelieu.

L'inizio del pontificato di G. XV coincise con l'insorgere di una crisi agraria in Italia che sarebbe durata diversi decenni. Per rimediare allo stato d'emergenza, il papa e il cardinal nipote Ludovico Ludovisi fecero importare cereali da Castro, dalla Sicilia, dalla Savoia e dall'Europa occidentale. Assicurare un peso minimo per una forma di pane a un prezzo fisso comportò ingenti perdite per l'Annona e in generale per le finanze pontificie.

Nonostante la brevità del suo pontificato, G. XV lasciò nella Curia e in tutta la Chiesa cattolica un'impronta incisiva. Nel tentativo di impedire le ingerenze nei conclavi da parte delle potenze (della Francia e, soprattutto, della Spagna), spronato anche dai cardinali Federico Borromeo e Roberto Bellarmino, G. XV decise di riformare il regolamento dell'elezione papale.

Le nuove disposizioni furono pubblicate nella bolla Aeterni Patris Filius (15 nov. 1621), con la quale furono ammessi tre sistemi: "per scrutinium", ovvero per scrutinio segreto mediante schede, con due scrutini al giorno e l'obbligo dei due terzi dei suffragi; "per compromissum", ovvero per decisione di un gruppo di cardinali da definire dopo vari scrutini senza esito; "per quasi inspirationem", ovvero per via di elezione spontanea per acclamazione, senza accordi prestabiliti. Furono inoltre vietati accordi sull'inclusione o esclusione di cardinali. Questo ordinamento fu integrato dalla bolla Decet Romanum Pontificem (12 marzo 1622), che regolava le questioni cerimoniali. Le disposizioni elaborate rimasero sostanzialmente in vigore fino al 1904. Da Pio X in poi il regolamento sull'elezione del pontefice è stato più volte modificato e, da ultimo, nella costituzione apostolica del 24 febbr. 1996 Universi Dominici gregis, Giovanni Paolo II ha abolito le elezioni "per compromissum" e "per quasi inspirationem".

Il 6 genn. 1622, non a caso il giorno dell'Epifania, G. XV fondò la congregazione di Propaganda Fide, cui fu affidata la missione cattolica d'Oltremare e la restaurazione della fede nei paesi protestanti d'Europa. Già nell'ultimo quarto del sec. XVI si intravedevano i segni della futura istituzione; a tal fine Gregorio XIII e Clemente VIII avevano creato congregazioni cardinalizie che ebbero breve vita. La bolla di fondazione della nuova congregazione, Inscrutabili Divinae Providentiae, fu pubblicata il 22 giugno 1622. Il primo prefetto di Propaganda fu il cardinale Antonio Maria Sauli e il primo segretario Francesco Ingoli, che mantenne tale carica fino al 1648. G. XV partecipava almeno a una delle sedute che avevano luogo tre volte al mese in qualità di ordinario esclusivo per tutti i territori di missione.

Al nuovo istituto opponevano resistenza, da una parte, alcuni dicasteri curiali (segreteria di Stato, congregazione dei Vescovi e regolari, congregazione dell'Inquisizione e dell'Indice), le cui competenze furono limitate, dall'altra, la Spagna e il Portogallo, che rischiavano di vedere compromessi i loro diritti di patronato nei territori d'Oltremare.

Il carattere controriformatore del pontificato di G. XV trovò la sua espressione più visibile nella canonizzazione di cinque personaggi di spicco per la storia della Chiesa: Isidoro di Siviglia, Ignazio di Loyola, Francesco Saverio, Teresa d'Ávila e Filippo Neri furono dichiarati santi il giorno di S. Gregorio Magno (12 marzo) del 1622 nella basilica di S. Pietro. Nello stesso anno G. XV beatificò Alberto di Lauingen, detto Alberto Magno, e prescrisse per tutta la Chiesa la celebrazione delle feste dei ss. Anna e Gioacchino. Favorì due nuove congregazioni, dedicate alla formazione dei giovani, cui erano stati concessi i voti semplici rispettivamente già da Clemente VIII e Paolo V. Il 3 nov. 1621 la Congregazione dei chierici regolari della Madre di Dio, fondata da Giovanni Leonardi, fu riconosciuta Ordine religioso di voti solenni. Il 18 nov. 1621 G. XV promosse alla stessa dignità gli scolopi (chierici regolari delle Scuole pie), istituto fondato da Giuseppe Calasanzio.

Fra i più immediati consiglieri di G. XV fu il suo segretario Giovanni Battista Agucchi, anch'egli discendente da una famiglia del patriziato bolognese, che ebbe grande influenza soprattutto per quel che riguardava il rapporto con i nunzi. A stretto contatto con G. XV, in quanto alloggiavano come Agucchi nel palazzo apostolico, erano il segretario dei Brevi, il cardinale Scipione Cobelluzzi, membro del S. Uffizio e della congregazione di Propaganda Fide, e il datario Francesco Sacrati, creato cardinale il 19 apr. 1621. A questi si aggiungeva un altro gruppo di cardinali: Giovanni Battista Bandini (dal 1622 prefetto della congregazione dei Vescovi e regolari), Aloisio Capponi, Pier Donato Cesi, Domenico Ginnasi e Roberto Ubaldini (prefetto della congregazione del Concilio). Immediatamente dopo la sua elezione, G. XV aveva creato cardinale suo nipote Ludovico (15 febbr. 1621), nominato due giorni dopo prefetto della segreteria dei brevi segreti, e il 21 febbraio sovrintendente dello Stato della Chiesa.

Ludovico aveva allora venticinque anni ed era stato al servizio della Curia come referendario utriusque signaturae e prelato della Consulta. Il cardinal nipote subì in Curia la concorrenza di Agucchi, ma conservò una certa autorevolezza, anche se non poteva prendere decisioni senza l'approvazione del papa. Fu tuttavia coperto di benefici e prebende, e ad accrescere vieppiù le sue sostanze anche dopo la scomparsa di G. XV fu la morte di due nipoti di precedenti pontefici, Pietro Aldobrandini (10 febbr. 1621) e Alessandro Peretti (2 giugno 1623). Del primo Ludovico assunse, oltre la commenda di numerose abbazie, la carica redditizia di camerlengo, del secondo il possesso di tre abbazie e la carica di vicecancelliere. Non diversamente dai propri predecessori, il papa favorì anche gli altri parenti in Curia attribuendo loro le cariche, civili e militari, che venivano solitamente riservate ai consanguinei del sovrano. Nel marzo del 1621, al fratello di Ludovico, Niccolò, che aveva solo undici anni, furono conferiti il governatorato di Borgo, la prefettura di Castel S. Angelo e la carica di comandante di Civita Castellana. A Orazio, fratello minore del papa (gli altri due erano morti nel 1585 e nel 1591) e padre di Ludovico e Niccolò, fu destinato il generalato della Chiesa (assunse l'incarico il 17 marzo 1621).

G. XV fu attento a definire strategie familiari che assicurassero perpetuamente benefici alla famiglia. Se da un lato i suoi rapporti con i Borghese diventavano sempre più difficili, dall'altro i Ludovisi cercarono di stringere legami più saldi con la famiglia Aldobrandini, soprattutto dopo la morte del cardinale Pietro, che nel conclave del 1621 aveva sostenuto la candidatura del Ludovisi. Questo avvicinamento culminò nel contratto matrimoniale stipulato il 2 apr. 1621 tra Ippolita Ludovisi, nipote di G., e Giovanni Giorgio Aldobrandini, pronipote di Clemente VIII. Non meno importante fu l'avviamento di un accordo per le nozze fra Niccolò Ludovisi e Isabella Gesualdo, erede del principato di Venosa e titolare di uno dei più ingenti patrimoni della penisola (il contratto è del 24 apr. 1622). Dopo la morte di Isabella, nel 1629, Niccolò sposò Polisena Mendoza (morta nel 1643), principessa di Piombino e dell'isola d'Elba e infine, nel 1644, Costanza Pamphili, nipote di Innocenzo X. Si arrivò così all'unione, per via matrimoniale, delle tre famiglie papali Aldobrandini, Ludovisi e Pamphili.

Durante il pontificato di G. XV lavorarono a Roma i pittori bolognesi Domenichino e Guercino. Il primo, un protetto del segretario di Stato Agucchi, intenditore d'arte, lavorò come architetto pontificio, tra l'altro per la villa e il casino Ludovisi, e ritrasse G. XV e il cardinale nipote. Il Guercino dipinse, per incarico del papa, la pala d'altare della Deposizione, posta sulla tomba di s. Petronilla nella basilica di S. Pietro.

Nelle fonti G. XV è descritto di bassa statura, smilzo, taciturno, riservato e flemmatico. Sin dall'inizio del suo pontificato la sua cagionevole costituzione non fu all'altezza delle esigenze del suo ministero. Mentre per il primo anno del pontificato sono tramandati solo stati di debolezza, nel 1622 e nel 1623 egli fu colto da numerosi attacchi di gotta. Un'ultima ricaduta ne provocò la morte, la sera dell'8 luglio 1623 nel palazzo del Quirinale.

In un primo momento fu sepolto nella basilica di S. Pietro, in seguito nella chiesa della Ss. Annunziata, presso il Collegio romano, da lui frequentato nei primi anni romani, e poi inumato definitivamente in una cappella terminata nel 1717 nell'abside destra della chiesa di S. Ignazio (fondata dal cardinale Ludovisi) in un monumento funerario di Pierre Legros.

Fonti e Bibl.: Per la bibliografia si rinvia ad A. Koller, G. XV, in Enciclopedia dei papi, III, Roma 2000, p. 297. Si aggiunga: A. Koller, Le rôle du Saint Siège au début de la guerre de Trente ans. Les objectifs de la politique allemande de Gregoire XV (1621-1623), in L'Europe des traités de Westphalie. Esprit de la diplomatie et diplomatie de l'esprit, a cura di L. Bély - I. Richefort, Paris 2000, pp. 123-133.

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