INNOCENZO IV, papa

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 62 (2004)

INNOCENZO IV, papa

Agostino Paravicini Bagliani

Sinibaldo Fieschi, figlio di Ugo, nacque a Lavagna non oltre il 1190.

La famiglia paterna era una delle più potenti della costa orientale della Liguria. I conti di Lavagna dominavano su una contea attestata fra la Liguria orientale e l'Appennino parmense e controllavano così il transito appenninico lungo l'asse del passo delle Cento Croci. Le più antiche tracce di una vera e propria ascesa della famiglia risalgono alla seconda metà del XII secolo. Il 13 marzo 1174 i conti, fra i quali il capostipite dei Fieschi, Ruffino, con i figli Ugo e Guirardo, giurarono la pace con il Comune di Genova e ottennero in cambio la restituzione del feudo. Secondo la tradizione, Ugo avrebbe sposato una figlia di Amico Grillo. Ugo è il primo membro della casata che si fece chiamare Fieschi ("de Flesco"), un nominativo che sembra indicare la professione (appaltatore del fisco imperiale) e che avrebbe comunque finito per diventare un cognome.

Dei fratelli di Ugo, due (Tedisio e Guirardo) erano laici e morirono senza eredi; Obizzo (Opizone), Alberto e Ibleto intrapresero invece la carriera ecclesiastica, forse sulle orme di quel Manfredo, cugino del padre di Ruffino, che venne creato cardinale nel 1163 e coprì fino alla morte (1177) importanti incarichi sia in Curia sia come legato. Gli zii ecclesiastici di Sinibaldo acquistarono posizioni di rilievo entro lo stesso ambito geografico su cui si estendeva il dominio familiare.

Le sorti della famiglia ricaddero sulle spalle del padre di Sinibaldo, Ugo "Fliscus", che riuscì ad accrescere notevolmente il proprio rilievo politico. Secondo Salimbene (Ognibene) de Adam, Ugo ebbe almeno tre figlie e ben cinque (o sei, secondo altri) figli, fra cui Tedisio. Come nella generazione precedente, tre dei figli di Ugo abbracciarono lo stato ecclesiastico: cioè Rubaldo, Ruffino e Sinibaldo. Quest'ultimo, che è generalmente ritenuto il più giovane dei fratelli, fu comunque il più longevo. Le attestazioni che riguardano Rubaldo e Ruffino giungono infatti soltanto fino al 1231.

La data di morte di Ugo si colloca dopo il 1201 e prima del 2 marzo 1214; Sinibaldo era quindi ancor giovane quando morì il padre. Fu dunque forse a causa della sua condizione di orfano se Sinibaldo trascorse quasi tutta la giovinezza a Parma, sotto la guida di uno zio, il vescovo Obizzo.

Da Parma il giovane Sinibaldo andò a studiare diritto a Bologna. Il periodo bolognese può essere situato entro un arco di tempo che va dall'autunno-inverno 1213 al 5 dic. 1223, data alla quale porta il titolo di magister. È un'ipotesi, questa, che si basa sulla sinossi delle date di docenza dei professori bolognesi che Sinibaldo avrebbe avuto come maestri, stando alle affermazioni di Diplovatazio. La decisione di Obizzo di attribuire a Sinibaldo un canonicato a Parma, un titolo attestato per la prima volta nel 1226, deve molto probabilmente essere messa in relazione con la conclusione degli studi a Bologna.

Il 5 dic. 1223 Sinibaldo aveva non soltanto il titolo di magister, ma anche quello di suddiacono papale, fatto che fa pensare che durante il periodo bolognese egli avesse avuto modo di stabilire rapporti personali con la Curia romana e con Ugolino dei conti di Segni, futuro papa con il nome di Gregorio IX.

Tre anni dopo la prima attestazione di legami con la Curia, Sinibaldo fu a Roma. Nella Curia romana ricoprì l'ambita funzione di auditor litterarum contradictarum. È un inizio di carriera curiale di grande prestigio, che conobbe, subito dopo l'elezione di Gregorio IX, una nuova tappa: prima del 31 maggio 1227 Sinibaldo venne infatti nominato vicecancelliere della Chiesa romana. Ma già il 18 settembre di quello stesso anno Gregorio IX lo creò cardinale prete di S. Lorenzo in Lucina insieme con un altro cardinale "lombardo" (Goffredo da Castiglione, poi Celestino IV). Nell'ottobre 1234 venne nominato dal papa rettore della Marca di Ancona: è ben documentata una sua missione del 17 ott. 1235 nella zona di Collepergola; attorno alla metà del giugno 1239 Sinibaldo si trovava ancora a Rimini dove da fine maggio fomentava la defezione di Ravenna, guidata da Paolo Traversari con il sostegno dei Bolognesi. Sinibaldo occupò il rettorato almeno fino al 1240, quando il papa lo rivolle a Roma "per negozi ardui et urgenti".

Roma era assediata da Federico II e, in questo quadro drammatico, la Curia si preparava a convocare un concilio che lanciasse nuovamente la scomunica contro l'imperatore. Per consentire l'operazione, Genova assunse parte dell'onere del trasporto di un gruppo di prelati; sulle sue navi il 25 apr. 1241 i padri del futuro concilio vennero assaliti dalla flotta imperiale e catturati al largo dell'isola del Giglio il 3 maggio. Il biografo di I. IV, Niccolò da Calvi, sembra confermare che Sinibaldo non fu estraneo al progetto di convocare il concilio, disegno che naufragò nell'alto Tirreno.

Il 25 giugno 1243 Sinibaldo fu eletto papa, assumendo il nome di Innocenzo IV, in seguito a una lunga vacanza della Sede apostolica, protrattasi dalla morte di Gregorio IX avvenuta il 21 ag. 1241. Federico II, che non aveva liberato i cardinali da lui fatti prigionieri nel 1241, salutò la notizia dell'avvenuta elezione con "gaudio magno". Il papa entrò a Roma il 20 ott. 1243. Il 28 maggio dell'anno successivo I. IV procedette alla nomina di dieci nuovi cardinali. L'imperatore e il papa avrebbero dovuto incontrarsi a Narni il 7 giugno 1244, ma questa volta fu il pontefice a decidere di fuggire da Roma. Una nave genovese lo condusse a Genova, dove cadde malato (luglio-ottobre). In autunno varcò le Alpi in direzione di Lione, città imperiale in prossimità del Regno di Francia, lontana dai conflitti italiani, che offriva perciò facili possibilità di accesso.

Tre settimane dopo il suo arrivo a Lione, il 27 dicembre, I. IV convocò un concilio per la festa di S. Giovanni dell'anno successivo. Una convocazione fu indirizzata ugualmente all'imperatore. Per la prima volta, i maestri generali degli ordini mendicanti erano invitati a un concilio generale. Gli affari di Roma e del Patrimonio erano affidati a quattro cardinali (Rinaldo di Ienne, futuro Alessandro IV, Stefano Conti, Riccardo Annibaldi e Raniero Capocci), tutti di origine romana o almeno laziale.

Tre mesi prima dell'apertura del concilio (13 apr. 1245), il papa rinnovò la scomunica contro Federico II e suo figlio, il re Enzo. Un ultimo tentativo (maggio 1245) del patriarca di Antiochia Alberto, amico dell'imperatore e che godeva di un prestigio indiscusso in seno alla Curia romana, per riavvicinare il papa e l'imperatore svanì di fronte alle esitazioni di Innocenzo IV.

Se il IV concilio Lateranense si impose per il suo poderoso programma legislativo, il primo concilio di Lione va ricordato soprattutto per i problemi politici che fu chiamato ad affrontare. Scomunicando Federico II, Gregorio IX aveva lasciato intravedere l'idea che soltanto un concilio avrebbe potuto tentare di risolvere il conflitto con l'imperatore. Convocato due anni più tardi, il concilio non poté aver luogo, sia per le rappresaglie dell'imperatore sia per la morte del papa.

Il concilio di Lione tenne una sessione preliminare il 26 giugno 1245 nel refettorio della collegiata di S. Giusto. Il pontefice pronunciò un discorso sui "dolori del papa": la corruzione morale, l'insolenza dei Saraceni, lo scisma con la Chiesa greca, i problemi dell'Impero latino d'Oriente, la minaccia dei Tartari e, naturalmente, la persecuzione della Chiesa da parte dell'imperatore. Contro Federico II il papa rinnovò le accuse tradizionali di violazione del giuramento, di sospetto di eresia e di sacrilegio.

Tra la prima e la seconda sessione (5 luglio), al fine di provare la legittimità della sua azione, I. IV fece copiare tutti i privilegi e tutti gli atti favorevoli alla Chiesa romana, promulgati nel corso dei secoli precedenti da imperatori e re. Novantuno documenti furono così copiati (si tratta dei cosiddetti transumpta di Lione), dal privilegio di Ottone I a quelli di Federico II (ben trentacinque). Questa raccolta, munita dei sigilli di quaranta prelati, fu presentata alla terza sessione del concilio (17 luglio), non mancando di suscitare reazioni. I vescovi inglesi protestarono contro l'inserimento nei transumpta dell'attestazione di Giovanni Senzaterra che poneva il suo Regno sotto la sovranità apostolica. Il rappresentante dell'imperatore, Taddeo da Sessa, grande giudice alla corte imperiale, affermò che la convocazione del 27 dic. 1244 non era valida, protestò contro l'autenticità di certi privilegi e annunciò la sua decisione di fare appello contro la condanna nell'ambito di un futuro concilio. Come risposta, il papa fece leggere all'assemblea la bolla di deposizione di Federico II, intonò subito dopo il Te Deum e chiuse così la terza e ultima sessione del concilio.

I. IV decise di ritardare la pubblicazione dei canoni conciliari per apportarvi alcune correzioni e aggiunte; egli stesso ne fece del resto un commento, nel suo Apparatus. La diffusione dei canoni conciliari approfittò dell'esistenza, ormai consolidata, delle collezioni di decretali. Ventitré decreti completarono il Liber extra di Gregorio IX e furono ripresi, a eccezione del secondo e con estratti della bolla di deposizione Ad apostolicae dignitatis, dal Liber sextus di Bonifacio VIII.

Nel 1245, a Lione, I. IV istituì uno Studium generale che aveva il compito di seguire le peregrinazioni della Curia romana. Gli insegnanti e gli studenti avrebbero goduto degli stessi privilegi dei loro colleghi negli Studia generalia.

Il termine Studium generale era già stato usato da canonisti importanti (Goffredo da Trani, Bernardo da Botone), ma non da un'autorità come il Papato; per di più mai prima di allora lo Studium di Parigi era stato indicato come un modello. Scuole private di diritto, sia civile sia canonico, esistevano già prima in seno alla Curia romana. Anche dopo l'istituzione dello Studium Curiae le scuole di diritto continuarono a funzionare su basi private.

In occasione della visita effettuata da I. IV a Cluny (1246), i cardinali portarono per la prima volta il cappello rosso che il papa aveva loro concesso un anno prima, in occasione del primo concilio di Lione.

Lione era diventata "meta di fedeli giunti da ogni parte del mondo", ossia un'altra Roma ("Roma altera"), secondo le espressioni di Niccolò da Calvi. Ma lo stesso pontefice aveva stabilito un'identificazione esplicita tra i "limina" degli apostoli romani (Pietro e Paolo) e l'ubicazione del papa. Per "limina" degli apostoli, egli intendeva "dove è il papa" ("ubi papa est"). Nessuno prima di lui si era spinto così lontano. La frase di Niccolò da Calvi sull'"altra Roma" è testimonianza importante per comprendere come nel corso del Duecento la persona del papa sia riuscita ad attrarre spazialmente il legame con Roma. Roma non è dunque più a Roma, ma "dove è il papa".

Subito dopo essere giunto a Lione, I. IV donò una Rosa d'oro a Raimondo Berengario V, conte di Provenza, come sappiamo da una bolla con cui lo stesso I. IV concesse indulgenze ai fedeli che avrebbero visitato la tomba di Raimondo nella chiesa di St-Sauveur a Aix-en-Provence, alla quale il conte aveva consegnata quella stessa Rosa d'oro. I. IV donò una Rosa d'oro anche ai canonici di St-Just di Lione, come segno di gratitudine per l'ospitalità ricevuta durante il suo lungo soggiorno in quella canonica.

Sempre a Lione, il 13 maggio 1250, il cardinale Giovanni Gaetano Orsini lesse in concistoro, quasi d'improvviso, un memorandum che il grande studioso inglese e vescovo di Lincoln, Roberto Grossatesta, aveva poc'anzi consegnato a tre cardinali e allo stesso Innocenzo IV.

Il testo riveste una notevole importanza di carattere storico perché contiene una delle più severe denunce della politica curiale che siano state pronunciate a un così alto livello fino a investire, nella sua critica, anche la persona del sommo pontefice (cfr. Southern; Paravicini Bagliani, 1994).

Aperto al mondo grazie alla sua origine sociale e geografica, I. IV si interessò ad accrescere le conoscenze, soprattutto per quanto riguarda i Tartari e l'Estremo Oriente, e mise perciò in moto un'ampia azione diplomatica. A Lione, alla corte di I. IV, l'Occidente poté avere, per la prima volta, informazioni di prima mano sui Tartari, grazie a un certo arcivescovo Pietro, un prelato proveniente verosimilmente dalla Russia, e al cappellano del cardinale Giovanni da Toledo, Ruggero da Torrecuso, fatto prigioniero dai Mongoli nel 1241-42 e autore di una delle fonti più importanti sull'invasione dei Tartari in Ungheria, il Carmen miserabile super destructione Regni Hungariae. Il papa pensò di inviare due ambasciate e ne incaricò Lorenzo di Portogallo (che conosciamo soltanto tramite la missiva del papa) e Giovanni da Pian del Carpine. Questi, inviato nel cuore dell'Asia, partì da Lione il 16 apr. 1245 dove ritornò due anni dopo. I. IV affidò altre missioni agli ordini mendicanti. Il ministro generale dei francescani, Giovanni da Parma, fu incaricato di recarsi nel 1249 alla corte di Giovanni III Duca Vatatze, imperatore bizantino di Nicea, per convincerlo a ritirare il suo sostegno a Federico II, di cui era genero, e per sondare la possibilità di aprire negoziati di pace e di unione. Nel quadro di un'azione diplomatica e missionaria di grande impegno, I. IV inviò nel Maghreb uno dei suoi principali consiglieri, il francescano spagnolo Lope Fernandez de Ayn. Munito di poteri plenipotenziari, questi doveva tentare di negoziare con il califfo la concessione della libertà di culto e l'attribuzione di un certo numero di luoghi per facilitare ai cristiani, in caso di conflitto e di pericolo, l'organizzazione del ritorno nel loro paese d'origine.

Nel 1215 il IV concilio Lateranense aveva sanzionato ufficialmente la concessione di un'indulgenza plenaria ai crociati, non senza esprimere il timore per i pericoli che il ricorso eccessivo alle indulgenze avrebbe comportato nelle pratiche penitenziali. I. IV concesse invece l'indulgenza plenaria alle vedove e ai procuratori dei crociati. Nel 1249 volle che dieci giovani studenti si recassero a Parigi per apprendere l'arabo e altre lingue orientali.

Dopo Gregorio IX anche I. IV fu indotto a intervenire, non di propria iniziativa ma su domanda del cancelliere e dei dottori reggenti dell'Università di Parigi, nella questione del Talmud che era esplosa con rara violenza verso la metà degli anni Trenta, in seno allo Studium.

Secondo I. IV, il Talmud conteneva "affabulazioni inestricabili e manifeste" relative a Maria ed espressioni blasfeme nei confronti del "vero Dio e Cristo", ed era perciò condannabile. Il papa intimò al cardinale legato Odone di Châteauroux che, dopo un esame da parte sua, il Talmud avrebbe dovuto essere tollerato nelle parti che non contenevano ingiurie alla fede cristiana. Il cardinale legato capovolse però la posizione del papa affermando che questi libri "erano così pieni di affermazioni controverse da non poter essere tollerati senza pericolo per la fede cristiana", e decise di non restituire questi "libri intollerabili" ai rabbini ma di condannarli ufficialmente. I. IV non prese alcuna decisione per estendere l'inchiesta al di là di Parigi e non fece appello a nessun altro sovrano, al di fuori di Luigi IX.

Il viaggio di ritorno di papa Fieschi da Lione a Roma (1251) si trasformò in un trionfo, che Salimbene racconta in modo assai suggestivo; in particolare nel corso della sua permanenza a Genova I. IV assistette, insieme con molti prelati, alle sfarzose nozze di un suo nipote.

Verso la metà del secolo, allorché esplose il conflitto tra i maestri secolari e mendicanti (1253-59), il papa, dopo qualche esitazione, finì per prendere posizione a favore di questi ultimi. Il prestigio dei frati in seno alle scuole parigine e le loro posizioni teologiche ottenevano così un riconoscimento ufficiale del massimo livello. Nel mese di aprile 1253 i maestri secolari avevano deciso di non accettare più nessuno nella loro corporazione che non avesse dapprima prestato giuramento ai loro Statuti. Questa misura mirava a eliminare i maestri domenicani e francescani. Il 1° luglio 1253 il papa, operando un voltafaccia spettacolare, ordinò ai maestri secolari di accettare i maestri degli ordini mendicanti. Nel 1254, però, I. IV, desiderando "governare in modo che nessun critico curioso trovasse nulla da ridire", si dichiarò favorevole alle richieste dei secolari di dare assistenza finanziaria a Guglielmo di Saint-Amour e di imporre restrizioni agli ordini mendicanti.

I. IV fu uno dei più insigni papi giuristi del Medioevo centrale. Al momento della sua elezione, Sinibaldo stava componendo il suo capolavoro, il commento alle decretali di Gregorio IX, l'Apparatus in quinque libros decretalium, un'opera difficile, persino per i contemporanei (prima edizione Strasburgo 1478, Venezia 1481, 1491, 1495: cfr. L. Hain, Repertorium bibliographicum, 9191-9194, Venezia 1578; cfr. anche M. Bertram, Angebliche Originale des Dekretalenapparats Innocenz' IV., in Proceedings of the Sixth International Congress of Medieval canon law, Città del Vaticano 1985, pp. 41-47). La sua legislazione pontificia comprende tre collezioni di decretali. Le due prime avrebbero dovuto essere aggiunte al Liber extra, ma il papa preferì inviare allo Studium di Bologna un elenco definitivo e separato delle sue decretali ufficiali, che furono chiamate Novellae e conobbero una diffusione indipendente. La maggior parte fu incorporata in seguito nel cosiddetto Liber sextus (1298). Con la costituzione Ad extirpandam (1252), I. IV considerò legittimo l'uso della tortura nei processi dell'Inquisizione contro gli eretici.

Per I. IV la formazione canonistica è un tutt'uno con il suo governo. Sinibaldo e I. IV non possono essere disgiunti, dal momento che il giurista e il papa scrivono e agiscono secondo schemi analoghi. Il papa doveva assumere un ruolo di coordinamento generale, di istanza suprema - e dunque anche giudiziaria - della società cristiana. Sinibaldo è canonista e per questo il papa è il giudice e legislatore supremo che ha ricevuto da Dio l'incarico di spiegare e armonizzare il mondo, un mondo che egli identifica, sulla scia di Innocenzo III e dei papi del periodo gregoriano, con una Cristianità potenzialmente illimitata. È una visione di Papato che si fonda sul concetto che il mondo ha bisogno di un "regimen unius personae". Proprio per questo, I. IV si servì di una nascente diplomazia per ottenere una convivenza pacifica, premessa di una Cristianità coestesa "al cono d'ombra gettato sul mondo dalla potestà papale" (Melloni).

I. IV creò due dei suoi nipoti cardinali, uno dei quali, Ottobono Fieschi, diventò papa nel 1276 (Adriano V). Per cinquant'anni la famiglia genovese dei Fieschi fu presente senza interruzione nella Curia romana e fu dunque per l'intero Duecento la famiglia non romana meglio rappresentata in Curia.

Malgrado il suo lungo soggiorno a Lione (1245-51), I. IV lasciò una traccia importante nella storia edilizia vaticana. A nord della basilica vaticana Innocenzo III aveva fatto costruire soltanto edifici amministrativi. I. IV accentuò ancora la volontà del Papato di scegliere la collina del Vaticano come residenza pontificia, costruendo nei pressi della basilica di S. Pietro un palazzo e una torre e comprando dei vigneti.

I. IV morì a Napoli il 7 dic. 1254 e fu sepolto nell'antica cattedrale partenopea, distrutta nel 1294. All'inizio del XIV secolo l'arcivescovo Umberto d'Ormont (1308-20) fece trasferire la tomba nella nuova cattedrale. La tomba attuale è quasi interamente opera del Cinquecento, come anche il gisant.

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