INNOCENZO VI, papa

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 62 (2004)

INNOCENZO VI, papa

Pierre Gasnault

Étienne Aubert, figlio di Adhémar, appartenente alla piccola nobiltà di Pompadour, nacque nel villaggio di Monts, parrocchia di Beyssac (Corrèze), negli ultimi decenni del XIII secolo, forse nel 1282. Compì gli studi di diritto civile a Tolosa ottenendovi la licenza nel 1321 e il dottorato, probabilmente nel 1329 o 1330.

Entrato nell'amministrazione reale, fu nominato giudice ordinario nel 1321, luogotenente del siniscalco di Tolosa e guardasigilli del siniscalcato. Nel 1328-29 esercitò nuovamente questa funzione e nel 1330 divenne giudice di questo siniscalcato: in questa veste è menzionato nel 1334. Nel 1335 re Filippo VI lo chiamò a corte e lo incaricò di numerose ambascerie presso papa Benedetto XII (nel 1337, 1338 e 1341).

Deteneva già numerosi benefici minori, canonicati e arcidiaconati quando, il 13 genn. 1338, fu eletto vescovo di Noyon; l'11 ott. 1340 venne trasferito alla sede di Clermont. Clemente VI, anch'egli di origine limosina, appena eletto lo chiamò ad Avignone e lo nominò cardinale del titolo dei Ss. Giovanni e Paolo il 20 sett. 1342, in occasione della sua prima promozione cardinalizia. Nel 1348 fu nominato gran penitenziere e il 13 febbr. 1352 cardinale vescovo di Ostia.

Dopo la morte di Clemente VI, avvenuta il 6 dicembre di quell'anno, Étienne Aubert fu eletto papa il 18 dicembre; il conclave, durato due giorni, fu segnato da due avvenimenti: la candidatura di Jean Birel, priore generale dei certosini, sostenuta da molti e caduta in seguito alla richiesta del cardinale Élie Talleyrand di Périgord, e l'accordo concluso fra i cardinali, con riserve più o meno forti, allo scopo di limitare a loro vantaggio i poteri del pontefice. L'eletto, che assunse il nome di Innocenzo VI, fu incoronato il 30 dicembre; il 6 luglio 1353 annullò quest'accordo perché contrario alle decretali di Gregorio X e di Clemente V che proibivano ai cardinali, in occasione del conclave, di occuparsi di questioni non attinenti all'elezione pontificia.

Nondimeno il papa governò la Chiesa cercando il consiglio dei cardinali che facevano parte della sua cerchia: già anziano e di salute cagionevole, non sempre fu in condizione di imporre le proprie opinioni alle diverse fazioni che coesistevano nella corte e talvolta mancò di lungimiranza nella scelta dei suoi emissari. Tuttavia, a sua giustificazione, è opportuno precisare che troppo spesso si scontrò con l'evidente cattiva volontà dei suoi interlocutori e corrispondenti, in un'epoca in cui le sanzioni spirituali inflitte dalla Chiesa avevano ormai perso di efficacia.

Agli occhi dei suoi contemporanei I. VI fu un papa riformatore, che ridimensionò il tenore di vita del Papato e pose un freno all'eccessiva liberalità dimostrata da Clemente VI in materia di benefici. Il nuovo pontefice richiese ai postulanti garanzie di istruzione e di merito, e in più li obbligò alla residenza nella sede del loro titolo. Inoltre, si preoccupò di assicurare ai chierici una formazione adeguata: in questa prospettiva, il 1° sett. 1359, fondò nell'ambito dell'Università di Tolosa, nella dimora che possedeva in questa città, il collegio di St-Martial per venti chierici poveri, dieci studenti di diritto civile e dieci di diritto canonico, a condizione che la metà di loro fosse originaria delle diocesi di Limoges e di Tolosa. Lo stesso collegio ricevette in seguito, dopo la morte di I. VI, da papa Urbano V, tutti i libri di diritto posseduti dal defunto pontefice. Il 1° luglio 1360, allorché Bologna passò di nuovo sotto il controllo del Papato, I. VI vi fondò la facoltà di teologia.

Il papa appoggiò progetti di riforma in numerosi ordini, in particolare quelli del grande maestro dei frati predicatori, Simone di Langres, che intendeva in tal modo contrastare l'insubordinazione di certi suoi religiosi. Represse inoltre gli eccessi dei fraticelli con la prigione, dove rinchiuse il visionario Giovanni di Roccatagliata (Jean de Roquetaillade), e ricorse anche al rogo. Riuscì a far accettare riforme disciplinari giustificate e moderate agli ospedalieri, ma fallì nel tentativo di trasferire l'Ordine da Rodi in Asia Minore o in Acaia, e soprattutto, nell'opposizione ai grandi maestri, commise l'errore di appoggiarsi all'ambizioso Juan Fernández de Heredia, castellano di Amposte (priorato di Aragona), il quale si dimostrò assai più attento agli interessi del suo sovrano che a quelli della Congregazione.

I. VI si pose come obiettivo politico prioritario il ristabilimento dell'autorità pontificia a Roma e nei possedimenti della Chiesa in Italia. Al fine di conseguire lo scopo, si rivelò felice la scelta del cardinale castigliano Egidio de Albornoz, forse conosciuto all'epoca dei suoi studi a Tolosa.

Nel giugno 1353 Albornoz fu nominato legato in Italia con ampi poteri. Grazie alle armi e ai negoziati l'incaricato del pontefice ottenne rapidamente dei successi e a Roma subentrò alla morte di Cola di Rienzo (8 ott. 1354) un'era di relativa pace. Dopo una difficile campagna militare Albornoz costrinse Giovanni di Vico a sottoscrivere il trattato di Montefiascone, il 5 giugno 1354, con il quale veniva ristabilita la sovranità della Chiesa sul Patrimonio di S. Pietro, lasciando a Giovanni unicamente il vicariato di Corneto, dietro pagamento di un censo annuale. Seguì la pacificazione del Ducato di Spoleto ottenuta senza particolare sforzo. Nel 1355 fu la volta della Marca anconetana: con il trattato del 7 luglio Galeotto Malatesta, fatto prigioniero nel mese di aprile a Paterno presso Ancona, restituiva alla Chiesa i territori da lui usurpati. In compenso, gli fu revocata la scomunica che lo aveva colpito e ricevette il vicariato di Rimini, Pesaro, Urbino e Fossombrone, con l'obbligo di pagare un censo e fornire un contingente armato. La lotta contro Francesco Ordelaffi, signore di Cesena e Forlì, fu più lunga: le truppe pontificie entrarono a Cesena il 23 giugno 1357, dopo un difficile assedio, ma Ordelaffi continuò a resistere a Forlì. Albornoz fu però vittima degli intrighi orditi presso I. VI da Bernabò Visconti, signore di Milano, che sperava di essere reintegrato nel vicariato di Bologna, all'epoca detenuto da Giovanni di Oleggio. Il papa si lasciò ingannare e nell'autunno 1357, dopo aver cambiato più volte opinione, richiamò Albornoz ad Avignone e lo sostituì con l'abate di Cluny, Androin de la Roche (Androino della Rocca). Questi, impreparato a un simile compito, non seppe fronteggiare la complessa situazione e nell'arco di pochi mesi le conquiste di Albornoz apparvero gravemente compromesse. Nel settembre 1358 I. VI decise saggiamente di affidare nuovamente ad Albornoz l'incarico di legato in Italia. Nel luglio 1359 il cardinale ottenne la capitolazione di Forlì e la sottomissione di Ordelaffi; abili manovre gli permisero di entrare a Bologna nel marzo 1360, dove riuscì a tenere saldamente le sue posizioni, nonostante le mire di Bernabò Visconti. Albornoz ebbe l'abilità di nominare uomini competenti e fidati perché amministrassero i territori riconquistati e pacificati; inoltre, nel 1357, promulgò nel parlamento di Fano un codice legislativo, noto con il nome di Costituzioni egidiane, che rimase in vigore negli Stati della Chiesa fino al 1816. Alla morte di I. VI la sua missione era compiuta nella sostanzialmente e si poteva prospettare un ritorno del Papato a Roma.

Il pontificato di I. VI coincise, con uno scarto di alcuni mesi, con il regno di Luigi di Taranto, secondo marito di Giovanna I d'Angiò, regina di Napoli.

Il papa mostrò, il più delle volte, un atteggiamento critico nei suoi confronti, schierandosi contro Luigi con i cugini di questo, i Durazzo, appoggiati alla corte pontificia dal loro zio materno, il cardinale Talleyrand di Périgord. Inoltre, pronunciò a varie riprese severe sentenze canoniche nei riguardi dei sovrani napoletani a causa del mancato pagamento del censo dovuto alla S. Sede, per il quale essi dovettero rassegnarsi a versare cospicui acconti. Nondimeno il papa espresse soddisfazione dopo aver appreso dei successi ottenuti da Luigi nella riconquista parziale della Sicilia, e ne prese le difese allorché la Contea di Provenza, che apparteneva ai sovrani, fu invasa e saccheggiata nel 1357 da bande di mercenari al soldo di Arnaldo di Cervole detto l'Arciprete.

Il conflitto secolare fra il Papato e l'Impero sotto il pontificato di I. VI poté ricomporsi pacificamente senza vincitori né vinti. Alla fine del 1354 il papa autorizzò il re dei Romani, Carlo IV di Lussemburgo, a scendere nella penisola per farsi incoronare re d'Italia a Milano e imperatore a Roma, ricordandogli il giuramento prestato nel giorno della sua elezione a re dei Romani, nel 1346: in particolare, l'impegno di annullare le sentenze pronunciate da suo nonno Enrico VII contro il re di Napoli, Roberto d'Angiò, e i suoi sostenitori. Il 5 apr. 1355 il cardinale Pierre Bertrand de Colombiers, delegato dal papa, procedette all'incoronazione imperiale nella basilica di S. Pietro. Quando, con la bolla d'oro del 1356, promulgata alla Dieta di Norimberga, Carlo IV definì le regole relative alla designazione imperiale da parte di sette grandi elettori e all'istituzione di vicari imperiali durante la vacanza dell'Impero, omettendo il potere d'approvazione e di conferma dell'elezione esercitato fino a quel momento dal Papato, I. VI, che all'epoca auspicava l'appoggio e l'intervento di Carlo IV contro le grandi compagnie e nella regolazione del conflitto franco-inglese, subì queste decisioni senza opporsi. Nel 1359, tuttavia, l'imperatore ricevette dal papa una risposta dilatoria alla sua richiesta di modifica delle costituzioni Romani principes e Pastoralis cura di Clemente V, in cui si affermava la superiorità della Chiesa sull'Impero.

Come già Clemente VI, anche I. VI intervenne con la sua mediazione nel conflitto armato che opponeva il re d'Aragona e Venezia a Genova. Nel 1355 Venezia concluse una pace separata con Genova, nel Natale dello stesso anno il sovrano aragonese, Pietro IV il Cerimonioso, si recò ad Avignone e prestò giuramento alla S. Sede per la Sardegna, ma le trattative di pace con Genova si trascinavano: agli sforzi del pontefice si aggiunse l'arbitrato di Giovanni II Paleologo, marchese di Monferrato. Ma le sentenze emesse, che avvantaggiavano i Genovesi, scontentarono Pietro IV, e alla morte di I. VI le ostilità erano sul punto di riaccendersi.

Il ristabilimento della pace tra Francia e Inghilterra fu uno dei desideri prioritari del papa. Alla guerra franco-inglese si aggiungeva la discordia, sempre rinnovata, tra i re di Francia e di Navarra, Giovanni II e Carlo il Malvagio, nonché la perdurante prigionia del duca di Bretagna, Carlo, ostaggio degli Inglesi.

Al momento dell'elezione di I. VI, fra i due paesi era in corso una tregua. Grazie agli sforzi dispiegati dall'inviato pontificio, Guido (Guy) cardinale di Boulogne, tra grandi difficoltà e numerose lettere del papa destinate ai due sovrani e ai loro principali consiglieri, si ottenne un prolungamento della tregua e infine si giunse ai preliminari di pace firmati a Guines il 6 apr. 1354. Ma i plenipotenziari dei due paesi, dopo un incontro ad Avignone alla fine dello stesso anno, si separarono senza aver ratificato il trattato. Le ostilità ripresero nell'autunno del 1355, con una spedizione militare in Linguadoca guidata da Edoardo principe di Galles, figlio maggiore di Edoardo III, detto il Principe Nero, che gli emissari papali inviati per l'occasione non riuscirono a fermare. Le iniziative, talvolta contraddittorie, intraprese dai cardinali Talleyrand di Périgord e Niccolò Capocci, inviati presso i belligeranti nella primavera del 1356, non riuscirono a impedire una nuova campagna del Principe nero nelle province occidentali della Francia, che si concluse il 16 settembre con la disfatta e la cattura di Giovanni il Buono nella battaglia di Poitiers.

Questi eventi gettarono nello sconforto I. VI: in numerose lettere il papa rinnovò le esortazioni alla pace ai due avversari, invitando al tempo stesso i suoi inviati a coordinare la loro azione in modo più efficace. Sollecitò invano anche la mediazione dell'imperatore Carlo IV. Le trattative di pace avviate a Bordeaux, dove si trovavano Giovanni il Buono e il Principe Nero, nell'aprile 1357 approdarono alla firma di una tregua di due anni. Proseguirono poi in Inghilterra, dove era stato trasferito il re di Francia; ai primi due cardinali il papa aggiunse Pierre de la Forêt, arcivescovo di Rouen e cancelliere di Giovanni il Buono promosso di recente alla dignità cardinalizia. Un progetto di pace concluso a Londra fra Edoardo III e Giovanni il Buono il 24 marzo 1359 fu respinto dal principe Carlo, futuro Carlo V, che deteneva la reggenza del Regno di Francia. Scaduti i termini della tregua sottoscritta a Bordeaux, le ostilità ripresero in Francia nell'autunno del 1359, ma senza risultati decisivi. Due nuovi emissari del papa, Androin de la Roche e Ugo di Ginevra, persuasero i contendenti a riprendere i negoziati. Il trattato di pace firmato a Brétigny l'8 maggio 1360 fu rapidamente ratificato dai sovrani di Francia e d'Inghilterra. I. VI si rallegrò per la conclusione dell'accordo lungamente perseguito, tanto più che l'anno precedente era stato sottoscritto un altro trattato di pace fra il reggente di Francia e il re di Navarra, mentre il duca di Bretagna era tornato libero, nel 1356, con l'obbligo di pagare un ingente riscatto che il papa aiutò a raccogliere. E fino alla morte I. VI moltiplicò i suoi sforzi per il mantenimento di questa fragile pace.

I successi conseguiti avevano tuttavia anche risvolti negativi perché le truppe mercenarie, ridotte all'inazione e non più pagate, rifiutavano di disperdersi e continuavano a devastare il Regno di Francia e i suoi confini. Già nel 1357 alcune bande ammassate nel Delfinato al comando di Arnaldo di Cervole avevano invaso la Provenza, minacciando la stessa città di Avignone e il Contado Venassino. Nonostante i reiterati appelli al reggente del Regno e ai sovrani vicini, il papa non ottenne alcun aiuto e non riuscì a impedire il saccheggio: su sua disposizione, il palazzo pontificio di Avignone fu munito di macchine da guerra e fu proseguita la costruzione dei bastioni cittadini, sotto la direzione di Pierre Sicard. Sempre il pontefice sostenne finanziariamente le città del contado affinché provvedessero alla loro difesa. Dietro pagamento di un'ingente indennità, Arnaldo di Cervole acconsentì infine a ritirarsi, ma alla fine del 1360 altre truppe mercenarie occuparono Pont-Saint-Esprit, impedendo che Avignone ricevesse gli approvvigionamenti via Rodano. I. VI fece predicare la crociata contro gli invasori, ma i soccorsi, giunti in quantità insufficiente, non permisero la riconquista di Pont-Saint-Esprit e di nuovo fu necessario negoziare a peso d'oro l'evacuazione delle bande mercenarie.

Se la cessazione dei conflitti armati fra i principi cristiani era in cima alle preoccupazioni del pontefice, lo si deve all'aspirazione che i sovrani, finalmente riconciliati, attuassero il progetto di una crociata in Terrasanta, periodicamente ventilato dall'inizio del secolo. In attesa della realizzazione, sempre rinviata, di questa speranza, I. VI non rimase comunque inattivo in Oriente, pur non ottenendo risultati di rilievo.

L'abdicazione dell'imperatore bizantino Giovanni VI Cantacuzeno, alla fine del 1354, e la morte del re di Serbia Stefano Duśan, il 10 dic. 1355, posero fine alle speranze suscitate dai loro progetti di avvicinamento, e addirittura di unione, con la Chiesa cattolica, coltivati dai due sovrani in reciproca autonomia. Il nuovo imperatore Giovanni V Paleologo tornò su questi progetti, esposti diffusamente nella sua crisobolla del 15 dic. 1355, e il papa se ne rallegrò incoraggiandolo a perseverare in questa direzione, pur subordinando la concessione di un aiuto materiale contro i Turchi all'effettiva attuazione dei propositi dell'imperatore. Giovanni V si scontrò tuttavia con l'opposizione del clero ortodosso e la sua conversione alla fede cattolica, alcuni anni più tardi, rimase una decisione esclusivamente personale.

Per difendere l'esigua comunità cristiana latina di Smirne, I. VI esercitò costanti pressioni sul re di Cipro, Ugo di Lusignano, sugli ospedalieri di Rodi e sulla Repubblica di Venezia, affinché rendessero operativa la lega che avevano costituito alcuni anni prima contro i Turchi, procurando le galere e le somme di denaro promesse. La piccola armata riunita dal suo legato, il carmelitano Pierre Thomas, dopo aver predicato la crociata ottenne nel 1359 solo successi limitati e temporanei, mentre i Turchi, che occupavano Gallipoli, nello stesso anno assediavano Costantinopoli e si impadronivano di piazzeforti in Tracia; nel 1362 presero Adrianopoli.

Per affrontare finanziariamente le operazioni militari in Italia e in Francia il papa fu costretto, a causa della difficoltà di riscossione delle imposte pontificie, ad attingere alle riserve del Tesoro pontificio dove, in seguito all'esercizio del diritto di spoliazione sui beni mobili dei prelati deceduti, si accumulavano oggetti di oreficeria e ornamenti liturgici, spesso arricchiti di perle e pietre preziose.

Nel 1361 ai disordini e alla carestia provocati dalla guerra si accompagnò, ad Avignone e nel Contado Venassino, un'epidemia di peste che in pochi mesi uccise nove cardinali, il camerlengo e il tesoriere apostolici, privando in tal modo il papa dei suoi principali consiglieri. La salute di I. VI, anziano e gravemente malato di gotta, declinò ulteriormente. Morì ad Avignone il 12 sett. 1362.

Il papa trascorreva abitualmente i mesi estivi a Villeneuve-lès-Avignon nella residenza che aveva fatto costruire quand'era cardinale: il 2 giugno 1356 vi fondò una certosa dedicata a S. Giovanni Battista, che a partire dal 1362 divenne Notre-Dame du Val-de-Bénédiction. Fu sepolto qui, dopo esequie solenni celebrate nella cattedrale di Notre-Dame-des-Doms. La tomba monumentale con la sua figura giacente è attribuita allo scalpellino Thomas de Tournon e allo scultore Barthélémy Cavailler. Dopo essere stata spostata nell'ospizio di Villeneuve nell'Ottocento, è stata nuovamente montata nel 1960 nella cappella della S. Trinità nella chiesa della certosa. La testa della figura giacente è stata rifatta.

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