INNOCENZO VII, papa

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 62 (2004)

INNOCENZO VII, papa

Amedeo De Vincentiis

Cosmato (Cosimo, Cosma) Migliorati nacque a Sulmona nel 1336 da una famiglia nobile, di tradizioni militari ma con interessi anche in campo mercantile. Entrato nel clero secolare, tra i suoi primi incarichi vi fu quello di rettore della chiesa di S. Maria Annunziata di Sulmona. Dal 1370 al 1381 partecipò con questo titolo ad alcune transazioni economiche locali, durante il vescovato di Andrea Capograssi.

Dal 1373 Cosmato appare nei documenti anche con il titolo di arciprete della città. Nel gennaio 1383 si trova designato come decretorum doctor, dunque come laureato in diritto canonico, probabilmente a Roma. Nello stesso periodo ricoprì la carica di preposito di Valva, cioè capo dei due capitoli di S. Panfilo e di S. Pelino che costituivano la diocesi valvense. Sempre nel 1383 Cosmato si recò a Firenze, in missione per conto di papa Urbano VI. La sua ascesa in Curia fu da allora continua: Urbano VI lo nominò prima chierico di Camera e quindi collettore delle rendite camerali del Regno d'Inghilterra; successivamente Cosmato ricoprì la carica di tesoriere e di vicecamerlengo.

In seguito alla destituzione dell'arcivescovo Pileo da Prata, dopo che questi era confluito nel Collegio dei cardinali dell'antipapa Clemente VII, Cosmato fu nominato da Urbano VI arcivescovo di Ravenna, il 4 nov. 1387. Il 19 giugno 1389 venne trasferito alla sede vescovile di Bologna, ritenendo ancora in administratione quella di Ravenna. Il 18 dicembre dello stesso anno il nuovo pontefice Bonifacio IX lo creò cardinale di S. Croce in Gerusalemme. Cosmato dovette quindi rinunciare alla sede vescovile di Bologna ma conservò ancora provvisoriamente quella di Ravenna fino al 15 nov. 1400, quando la rassegnò in favore del nipote Giovanni di Nicola Migliorati. Sotto il pontificato di Bonifacio IX, Cosmato ricoprì incarichi di rilievo sia a Roma, dove divenne camerlengo della città, sia in Italia. Nel 1390 fu nominato legato apostolico in Lombardia e Toscana, con il delicato compito di trattare la pacificazione tra Galeazzo Visconti e i Comuni di Bologna e Firenze.

Il 1° ott. 1404 Bonifacio IX morì: il 12 dello stesso mese il Collegio cardinalizio si riunì in conclave, sotto le pressioni dei Romani in agitazione. Al conclave, oltre allo stesso Migliorati, parteciparono altri otto cardinali: Angelo Acciaiuoli, Francesco Carbone, Enrico Minutuli, Antonio Caetani, Angelo di Sommariva, Cristoforo Marroni, Rinaldo Brancaccio, Landolfo Marramaldo. Ciascun papabile, prima di entrare in conclave, aveva giurato che, in caso di elezione, avrebbe perseguito con ogni mezzo l'estinzione dello scisma, anche con l'abdicazione se necessario, e avrebbe convocato al più presto un concilio ecumenico. Rapidamente, il 17 ott. 1404, Cosmato Migliorati venne eletto papa e, quindi, consacrato con il nome di Innocenzo VII. Ma già due giorni dopo Ladislao d'Angiò Durazzo, re di Napoli, si trovava alle porte dell'Urbe.

La città era da tempo nelle mire della politica espansionistica del sovrano, il quale aveva intensificato la sua azione approfittando della morte del rivale Gian Galeazzo Visconti, avvenuta nel 1402. Immediatamente dopo l'elezione, la presenza del sovrano costituì per I. VII un mezzo utile per ristabilire una relativa concordia cittadina. Roma era infatti lacerata dalla contrapposizione tra il partito dei Colonna e dei Savelli e quello degli Orsini, rianimatosi alla morte di Bonifacio IX. Ladislao venne nominato dal pontefice supremo pacificatore tra le parti. Il sovrano, inoltre, ebbe un ruolo fondamentale nella regolamentazione dei rapporti tra il nuovo papa e il Comune di Roma. Sotto la sua egida fu approvata una nuova serie di accordi, ratificati in Vaticano il 27 ottobre. Secondo i nuovi patti, il papa avrebbe nominato il senatore della città, ma sarebbe spettato ai Consigli eleggere i sette governatori della Camera dell'Urbe, in carica per due mesi; l'operato di tutti i magistrati cittadini sarebbe stato esaminato da due sindaci, uno di nomina papale, l'altro scelto dai governatori; la Curia pontificia e la Città Leonina non sarebbero state sottoposte alla giustizia ordinaria dei tribunali cittadini; il pontefice e tutti i cardinali avrebbero goduto di piena immunità fiscale; nessun barone avrebbe potuto prestare servizio armato per il Popolo romano con più di cinque lance e, a eccezione di ponte Milvio e della Città Leonina, la guardia di tutti i ponti e di tutte le porte della città sarebbe spettata ai Romani; il pontefice avrebbe indetto un'amnistia per tutte le pendenze giudiziarie; i Romani avrebbero respinto categoricamente qualsiasi appello o messaggio proveniente dall'antipapa; Ladislao avrebbe mantenuto un ruolo di arbitro in qualsiasi ulteriore controversia tra il Comune e il pontefice; il Popolo romano non avrebbe esercitato alcuna attività legislativa autonoma; il pontefice avrebbe nominato un giudice di appello di seconda istanza, chiamato capitano del Popolo; al Campidoglio, infine, sarebbe stata restituita la funzione di palazzo comunale e di tribunale cittadino. Come compenso per l'opera di mediazione e ristabilimento di una certa autorità pontificia sulla città, Ladislao ottenne per cinque anni il rettorato della provincia di Campagna e Marittima, che il sovrano affidò a Perretto De Andreis, conte di Troia. Il controllo di quelle zone risultava particolarmente importante nella strategia difensiva di Ladislao, che temeva la coalizione tra l'antipapa, Benedetto XIII, e il suo rivale pretendente al Regno, Luigi II d'Angiò.

Il 5 novembre Ladislao d'Angiò Durazzo lasciò Roma alla volta di Napoli. Poco dopo scoppiarono nuovi conflitti tra i Romani e il pontefice. Questi, inoltre, rifiutò la proposta francese di incontrare l'antipapa Benedetto XIII in un luogo neutro, subordinandola alla preliminare abdicazione del rivale. Contestualmente, I. VII iniziò l'organizzazione di un concilio con lo scopo esplicito di condannare ulteriormente l'antipapa. All'inizio del 1405 cominciarono a giungere voci della spedizione che Benedetto XIII aveva intrapreso verso l'Italia, con l'appoggio militare di Luigi II d'Angiò, contro il papa romano e il sovrano di Napoli. Sotto tale minaccia, la tensione interna all'Urbe aumentò fino a sfociare in uno scontro aperto. I magistrati comunali presero alcune iniziative che, secondo il pontefice, travalicavano la loro legittima autonomia decisionale. In un primo momento il papa inviò come mediatore il priore del convento dei gioanniti dell'Aventino. Questi, inaspettatamente, venne fatto decapitare da Giovanni e Niccolò Colonna in Campidoglio. Il 16 agosto, inoltre, il Comune inviò in Vaticano una delegazione di quattordici cittadini per reclamare la custodia di ponte Milvio. Ludovico Migliorati, nipote del pontefice, ne fece catturare undici che furono condotti all'ospedale di S. Spirito in Sassia ove furono trucidati. La reazione dei Romani fu violentissima: gli insorti incendiarono case di cardinali e minacciarono Castel Sant'Angelo e la Città Leonina. Precipitosamente, il pontefice e la Curia ripararono a Viterbo. Cittadini guidati dai Colonna irruppero quindi in Vaticano, abbatterono gli stemmi del pontefice, saccheggiarono gli appartamenti papali e incendiarono parte degli archivi.

Approfittando della debolezza del pontefice, Ladislao progettò di radicare più in profondità la propria autorità a Roma. Probabilmente in accordo con il Colonna, il sovrano inviò armati guidati dal conte di Troia, da Riccardo de Sanguineis e da Gentile da Morano. Al partito filodurazzesco, sostenuto da Giovanni Colonna, nuovamente si oppose quello capeggiato da Paolo Orsini. Dopo vari scontri nella città, quest'ultimo ebbe il sopravvento. Appena ottenuto il controllo militare della città, l'Orsini si rivolse al pontefice per consegnargliene la signoria. Tuttavia le resistenze del partito avverso ebbero ancora efficacia in questa fase. Se infatti il papa nominò senatore il pistoiese Francesco dei Panciatichi, che prese possesso della carica nel novembre 1405, solo il gennaio seguente un Parlamento cittadino deliberò solennemente la dedizione della città al pontefice. E solo il 13 marzo successivo I. VII fece il suo solenne ingresso in Vaticano. Una volta ristabilitosi in città, il papa dichiarò in un pubblico concistoro il 18 giugno 1406 la deposizione di Ladislao, colpevole di spergiuro, tradimento e cospirazione. Scomunicatolo, infine, fece pubblicare le relative bolle in S. Pietro, il 24 giugno seguente; la condanna lasciava però al sovrano la possibilità di giustificarsi entro quarantacinque giorni dalla promulgazione. La pacificazione venne incoraggiata dallo stesso pontefice, che inviò come mediatori a Napoli il nipote Ludovico e Paolo Orsini; i due rientrarono a Roma in agosto con ampie assicurazioni di devozione e fedeltà da parte del re. Il 13 agosto I. VII ratificò la nuova pacificazione con una serie di patti, validi retroattivamente dal 28 luglio: riaffermata l'obbedienza del sovrano al pontefice, Ladislao venne nominato difensore, conservatore e gonfaloniere della Chiesa.

Le travagliate vicende politiche del suo breve pontificato non impedirono a I. VII di avviare una prestigiosa politica di mecenatismo culturale. Il 1° sett. 1406 emanò infatti la bolla Ad exaltationem Romanae Urbis allo scopo di potenziare l'Università romana, incrementando la facoltà delle arti e creando nuove cattedre. Nel documento, redatto dall'umanista Leonardo Bruni, venne espresso il progetto di legare organicamente lo Studio universitario, la città e il recupero della cultura classica, in modo da rappresentare una prestigiosa attrattiva per studenti di ogni nazione. Lo sforzo compiuto dal papa di creare un centro di vivace elaborazione intellettuale ebbe parziale, eppure significativa, realizzazione. Nel giro di un biennio, infatti, alcuni dei maggiori uomini di cultura di quel tempo finirono al suo servizio: tra questi Leonardo Bruni, Francesco da Fiano, Antonio Loschi, Cencio Rustici, Pier Paolo Vergerio, Bartolomeo da Montepulciano. La morte del pontefice interruppe la formazione di una possibile egemonia romana nello sviluppo della cultura umanistica.

I. VII morì a Roma il 6 nov. 1406.

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