Papa

Dizionario di Storia (2011)

papa


Titolo (più comune e meno solenne di «pontefice») col quale viene designato il vescovo di Roma, capo della Chiesa cattolica. In Oriente, durante i primi secoli cristiani, il titolo di p. era dato indifferentemente a vescovi, patriarchi e semplici sacerdoti. Lo stesso uso si diffuse anche in Occidente, dove però era attribuito unicamente a vescovi. Dal sec. 4° (iscrizione del papa Marcellino, m. 304), il termine divenne sempre più proprio del vescovo di Roma. In Oriente tuttavia, e in qualche provincia dell’Italia meridionale di lingua greca, l’appellativo continuò a essere rivolto, col significato di «padre», anche a semplici sacerdoti. Nella dottrina cattolica il p. è successore dell’apostolo Pietro nel governo della diocesi di Roma e della Chiesa universale, e vicario di Cristo in terra (Concilio vaticano I, sess. IV c. 3). Hanno diritto a eleggere il p. soltanto i cardinali (i quali però, in base al motuproprio di Paolo VI Ingravescentem aetatem del 21 nov. 1970, perdono tale diritto al compimento dell’ottantesimo anno di età) e tra essi solo quelli presenti in conclave. Chiunque può essere eletto p., anche un semplice sacerdote, anche un laico; la consuetudine però vuole che l’eletto sia scelto tra i cardinali. Per una valida elezione è necessario che sul nome del designato si concentri la maggioranza di due terzi più uno dei voti. Sempre per la validità è necessaria la libera accettazione dell’eletto; con essa la nomina è compiuta e l’eletto entra automaticamente in possesso della pienezza dei poteri; la successiva incoronazione è soltanto una solenne cerimonia esteriore. Le varie fasi dell’elezione devono svolgersi nel massimo segreto. La nomina del p. non è mai un conferimento della carica da parte degli elettori, ma soltanto una designazione della persona, la quale riceve immediatamente da Dio la pienezza dei poteri. Il p., una volta legittimamente eletto, non può essere mai deposto da altri; egli però può liberamente deporre la carica mediante abdicazione. La successione dei p. è stata nella storia regolata da discipline diverse: nel sec. 3° il vescovo di Roma, come ogni altro vescovo, era eletto per designazione del clero e del popolo e poi ratificato dai vescovi della provincia; il sistema permetteva le più aperte ingerenze politiche, soprattutto da parte degli imperatori, che cercavano di imporre propri candidati; Giustiniano sottopose l’elezione del p. all’approvazione imperiale. Tale uso restò fino a Gregorio III (731); in seguito il diritto d’elezione del p. fu esercitato dal clero e dal popolo di Roma, ma sempre sotto la pressione e il controllo del potere politico imperiale e delle varie casate gentilizie romane. L’evento più famoso e più gravido di conseguenze, in questa situazione di incertezza della procedura di elezione del pontefice romano, fu quello del Concilio di Sutri (1046), durante il quale l’imperatore Enrico III di Franconia indusse Gregorio VI ad autodeporsi, dopo che fu riconosciuto dallo stesso p. il carattere simoniaco della sua elezione e dopo che fu provata, per lo stesso motivo, l’invalidità dell’elezione di Benedetto IX. Si giunse così al famoso decreto di elezione del 1059, con il quale Niccolò II, sanzionando la procedura della sua stessa contrastata elezione, limitava al collegio dei cardinali (in primo luogo i cardinali vescovi) la designazione del p., facendo salvi i diritti dell’honor dell’imperatore: una formula vaga e suscettibile di provocare aspre controversie sulla portata dei suoi effettivi contenuti, giuridici e procedurali, nel corso della lotta delle investiture. Verificatasi, in seguito, un’altra difficoltà, nel caso di elezioni non unanimi (scisma del 1130), si discusse sulla validità della designazione della senior pars, prevalente sulla maior pars, fino a quando Alessandro III, assumendo come paradigmatica la proporzione dei votanti a lui favorevoli nel 1159, sancì (1179) che per l’elezione valida occorressero i due terzi dei voti validi. La disciplina dell’elezione papale fu ulteriormente definita da Gregorio X, il quale fece decretare al Concilio di Lione (1274) che l’elezione del p. si dovesse svolgere entro dieci giorni e che nessun estraneo potesse nel frattempo comunicare con i cardinali: nacque così il conclave, che è alla base del sistema vigente, con le modificazioni apportate dalle successive costituzioni di Giulio II (1505), Gregorio XV (1621), Pio X (1904), Pio XII (1945), dalle disposizioni di Giovanni XXIII (1962) e infine dalla costituzione Romano pontifici eligendo di Paolo VI (1975), attualmente in vigore. Le norme vigenti prevedono che i cardinali elettori presenti a Roma debbano attendere gli assenti fino a un massimo di 20 giorni; poi tutti sono tenuti a entrare in conclave; il numero dei cardinali elettori non deve superare i 120. Per l’elezione del p. sono previste: un’elezione per acclamazione (o per ispirazione), o un’elezione per compromesso (quando in circostanze particolari i cardinali elettori affidano a un gruppo di loro il compito di eleggere, al posto di tutti, il p.), o un’elezione per scrutinio (che è il modo ordinario). Per l’elezione valida del p. sono necessari attualmente due terzi dei voti più uno; ma dopo una determinata serie di scrutini è prevista la possibilità che i cardinali, all’unanimità, decidano di procedere all’elezione o per compromesso, o per maggioranza assoluta dei voti più uno, o per ballottaggio fra i due che abbiano avuto nello scrutinio immediatamente precedente il maggior numero di suffragi. Per tutelare il segreto, alle schede che poi saranno bruciate vanno uniti tutti gli appunti o scritti inerenti ai singoli scrutini; è vietata l’introduzione nel conclave di apparecchi telegrafici, telefonici, radio, macchine fotografiche e cinematografiche.

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