PARALLASSE

Enciclopedia Italiana (1935)

PARALLASSE (da παράλλαξις "deviazione")

Gino CECCHINI
Giovanni F. CECCHINI

1. Di un punto S si dice, in generale, parallasse, rispetto ad un osservatore O e ad un punto di riferimento A, l'angolo fra le due direzioni secondo le quali esso è visto dall'osservatore O e da A; e corrisponde all'angolo OSA sotto il quale, da S, è vista la distanza OA (v. la figura alla colonna seguente).

In astronomia si distingue la parallasse diurna o geocentrica dalla parallasse annua o eliocentrica, secondo che il punto fondamentale A è il centro della Terra o il centro del Sole.

La parallasse diurna Pdi dipende dalla distanza D dell'astro dal centro della Terra (supposta sferica e di raggio r) e dalla sua distanza zenitale z (angolo fra la verticale del luogo d'osservazione e la direzione dell'astro), secondo la formula

Il suo valore massimo P0, dato da

si chiama parallasse orizzontale dell'astro, e, con grande approssimazione, risulta Pd = P0 sen z. La parallasse orizzontale corrisponde semplicemente all'angolo massimo sotto il quale è visto, dall'astro, il raggio terrestre: essa è sensibile per tutti i corpi del sistema solare e, particolarmente, per la Luna (57′), ma è praticamente nulla per tutte le stelle. Per la Luna occorre anche tenere conto della sferoidicità della Terra e si avrà non solo un effetto parallattico sulla sua distanza ma anche un'apprezzabile variazione dell'azimut. All'equatore, la distanza r di un luogo dal centro dello sferoide terrestre ha un valore massimo, re, il quale, introdotto nella formula (1) al posto di r, conduce alla definizione della parallasse orizzontale equatoriale Pn in base alla relazione sen Pe = re/D. La distanza D dell'astro è data, in km., con grande approssimazione, da

Le effemeridi astronomiche dànno sempre le posizioni geocentriche degli astri, cioè, le loro coordinate sulla sfera celeste, quali risulterebbero ad un osservatore posto nel centro della Terra: occorre quindi sapere derivare queste posizioni da quelle osservate nei differenti luoghi terrestri e viceversa, tenendo conto dell'effetto della parallasse diurna (stelle escluse) su ciascuna coordinata.

La determinazione delle parallassi equatoriali è d'importanza fondamentale in astronomia, perchè conduce alla conoscenza della distanza degli astri dalla Terra (e, quindi, delle dimensioni delle loro orbite), della loro grandezza, massa e velocità; particolare interesse ha, inoltre, la parallasse del Sole, riferita alla distanza media Terra-Sole, che è assunta come unità in tutte le misure celesti.

Per le stelle, si considera, invece, la parallasse annua o eliocentrica, che è il valore massimo dell'angolo fra le due direzioni secondo le quali una stella è vista dal centro del Sole e dal centro della Terra; e corrisponde, perciò, all'angolo sotto il quale, dalla stella, è visto perpendicolarmente il raggio (medio) dell'orbita terrestre. La relazione (2) è evidentemente valida per le stelle, pur di intendere per re il raggio medio dell'orbita terrestre (km. 149.450.000) e per Pe la parallasse annua, in secondi d'arco. Non è conosciuta alcuna stella la cui parallasse annua sia maggiore od eguale a 1″: la massima parallasse (0″,78) è della stella Proxima del Centauro, a noi più vicina.

2. La prima determinazione della parallasse equatoriale della Luna, è dovuta a Ipparco. Egli si valse della semplice relazione o = s + l d, fra il raggio angolare o dell'ombra terrestre sulla Luna eclissata, il raggio angolare d del disco solare e le parallassi orizzontali s ed l del Sole e della Luna. Ottenuti, dalle misure allora possibili, o = 40′ e d = 15′ e ritenuto, erroneamente, l = 19 s, poté ricavare s = circa 3′ e l = 57′, cioè un ottimo risultato, per la scarsa influenza dell'errore di stima di s, parallasse solare.

Concettualmente, ogni metodo geometrico di determinazione di parallasse è fondato sulla risoluzione trigonometrica del triangolo OAS (v. figura), del quale sono misurati o calcolati gli angoli AOS, OAS e la base OA. Il metodo più semplice, usato fino dal sec. XVIII, consiste nel misurare simultaneamente, in due luoghi lontanissimi e posti all'incirca sullo stesso meridiano, le distanze zenitali della Luna. Allora, nel quadrilatero avente per vertici i due luoghi, il centro della Terra e quello della Luna, risultano noti gli angoli ai due luoghi, l'angolo al centro della Terra e i due raggi terrestri: ogni altro elemento può essere quindi calcolato facilmente e, in particolare, la distanza della Luna dal centro della Terra e, in base alla (2), la sua parallasse equatoriale all'istante dell'osservazione. L'eccentricità dell'orbita lunare determina sensibili variazioni di queste due quantità, ma è possibile ricondursi alla parallasse equatoriale corrispondente alla distanza medita della Luna.

La parallasse della Luna può dedursi anche dall'osservazione di occultazioni di stelle; ma il metodo più preciso consiste nel determinare le dimensioni dell'orbita lunare in base alla teoria della gravitazione, conoscendo con grande esattezza la massa della Luna, il suo periodo di rivoluzione e l'accelerazione della gravità. Alla distanza media della Luna (km. 384.403), la parallasse orizzontale equatoriale risulta di 57′ 2″,7 (secondo E. Brown).

3. Le misure geometriche anzidette sono troppo incerte per un'accurata determinazione della parallasse equatoriale del Sole. I metodi, che ancora possiamo chiamare diretti, sono fondati: 1. sulle osservazioni dei passaggi di un pianeta interno (Venere o Mercurio) sul disco solare, eseguite in molti osservatorî; 2. sulla determinazione della parallasse di un pianeta (Venere, Marte) o di un asteroide (preferibilmente Eros), di cui sia ben conosciuta l'orbita, al tempo del suo massimo avvicinamento alla Terra.

Col primo metodo, dovuto a Halley, si può valutare la differenza fra la parallasse del pianeta (preferibilmente Venere) e la parallasse del Sole e, attraverso la terza legge di Keplero, la parallasse del Sole: il metodo è stato applicato nelle osservazioni fatte nel 1761, 1769, 1874 e 1882 da apposite spedizioni scientifiche, con buoni risultati, ma non comparabili con quelli oggi ottenibili con altri procedimenti.

Il secondo metodo, anche oggi vantaggiosamente utilizzato, consente di determinare il rapporto fra la parallasse del Sole e la distanza del pianeta ausiliario, la quale è calcolabile, rispetto alla distanza media TerraSole (cioè in unità astronomiche), dalla conoscenza dell'orbita: la parallasse del Sole risulta quindi immediatamente. L'osservazione del pianeta ausiliario è fondata sul confronto fra le posizioni dell'astro e quelle (note) delle stelle vicine, fatto con grandi angoli orarî di levante e di ponente, e può essere visuale o fotografica. In generale queste determinazioni sono il frutto di una vasta collaborazione; due spedizioni americane furono fatte in osservatorî boreali ed australi nel 1849 e nel 1862, sotto la direzione di J. v. Gillis, per la determinazione della parallasse di Marte, e, quindi, del Sole; ma osservazioni fotografiche di Marte sono state fatte, con ottimi risultati, anche nel 1924.

Attualmente, la preferenza è data all'asteroide Eros, che può avvicínarsi alla Terra fino ad avere, talvolta, una parallasse di 60″. Notevoli sono stati i risultati già raggiunti da A. R. Hinks, nella discussione delle osservazioni, visuali e fotografiche, fatte su questo astro nell'opposizione del 1900-o1; e risultati molto precisi si attendono dalle osservazioni fatte durante l'opposizione del 1930-31, molto favorevole, alle quali hanno preso parte i più importanti osservatorî del mondo.

Fra i metodi indiretti, ricorderemo quello gravitazionale e il metodo fondato sulla conoscenza della velocità della luce.

Il metodo gravitazionale consente di dedurre dalle perturbazioni planetarie periodiche la massa della Terra, come pianeta perturbante, rispetto alla massa del Sole, presa come unità; e poiché nell'espressione analitica di tale massa, entra la distanza media Terra-Sole, questa distanza, e quindi la parallasse del Sole, possono essere calcolate. Dallo studio delle perturbazioni di Eros, E. Noteboom ha trovato, nel 1921, per la parallasse solare il valore 8″,799. Con altro procedimento, H. S. Jones ha trovato, nel 1924, il valore 8″,805, osservando un gran numero di occultazioni lunari; l'osservazione è servita a dare il coefficiente di un termine periodico di perturbazione della longitudine della Luna, in rapporto ben conosciuto con la parallasse solare.

Il metodo fondato sulla velocità della luce (299.796 km./sec.; A. A. Michelson, 1926) richiede la conoscenza della velocità media della Terra nella sua orbita attorno al Sole; essendo poi noto il periodo di rivoluzione (anno siderale), si può calcolare subito la lunghezza dell'orbita, quindi il suo raggio (distanza media Terra-Sole) e la parallasse solare. La velocità orbitale della Terra può essere trovata per due vie: 1. dagli effetti misurabili dell'aberrazione annua della luce sulle posizioni stellari, i quali dipendono appunto dal rapporto fra la velocità orbitale e la velocità della luce; 2. dallo studio delle velocità radiali delle stelle, le quali includono, all'atto dell'osservazione, le componenti dovute alla rotazione e, principalmente, al moto orbitale terrestre, che può essere quindi calcolato.

Il valore più probabile che l'insieme delle migliori determinazioni assegna alla parallasse equatoriale del Sole, è 8″,803, corrispondente ad una distanza media Terra-Sole di km. 149.450.000.

4. La possibilità moderna di determinare la parallasse annua o eliocentrica delle stelle, ha dato la prova più inconfutabile del moto orbitale della Terra, e, quindi, del sistema copernicano. Come un osservatore, posto su una stella, vedrebbe la Terra descrivere un'ellisse attorno al Sole, combinata con una traslazione (composta del moto solare e del moto della stella), così un osservatore terrestre vede la stella muoversi sulla sfera celeste in un'orbita identica alla precedente, ottenuta combinando un moto uniforme col moto lungo una piccola ellisse, detta parallattica, il cui massimo raggio angolare è appunto la parallasse annua della stella, definita in precedenza.

La piccolezza dell'ellisse parallattica rese però vano ogni tentativo di misura fino al 1837-38, quando Bessel riuscì a determinare la parallasse di 61 Cygni e Struve quella di Vega e, successivamente, da altri furono indicate quelle di altre poche stelle. Ma un vero progresso si realizzò con l'applicazione della fotografia (1889) e con la possibilità di impiegare telescopî di grande apertura e di grande distanza focale; e più ancora con l'introduzione, relativamente recente, dei metodi astrofisici, ai quali è da attribuire la possibilità di grandi sviluppi.

Il metodo diretto, o trigonometrico, utilizza l'indicato spostamento apparente dei luoghi stellari e consente la separazione della componente parallattica dalla componente dovuta al moto proprio della stella. Esso dà buoni risultati per stelle distanti fino ad alcuni milioni di volte la distanza del Sole; ma quando le parallassi misurate sono inferiori a 0″,03, le misure diventano sempre più incerte e di scarso valore individuale. Le osservazioni sono molto delicate: quelle assolute, fondate sulla variazione delle coordinate stellari, dànno luogo a grandi incertezze; quelle relative, invece, che consistono nell'osservazione differenziale della posizione della stella considerata rispetto a stelle prospetticamente vicine, di minore splendore e opportunamente scelte, sono le più esatte. Tali osservazioni (fotografiche) forniscono la parallasse della stella considerata a meno della parallasse media delle stelle usate per il confronto, la quale, in genere, è solo di pochi millesimi di secondo d'arco.

Il metodo geometrico di L. Boss, applicabile solo alle stelle facenti parte di un gruppo mobile a sé (per es., il Toro, l'Orsa maggiore, le Pleiadi, il Perseo, ecc.), consente il calcolo della parallasse esatta dalla semplice conoscenza del moto proprio e della velocità radiale di ogni stella.

Il metodo dinamico, applicabile solo alle stelle doppie la cui orbita è calcolata, dà pure parallassi di prim'ordine in base alla conoscenza del periodo P (in anni), del semiasse maggiore a dell'orbita (in secondi d'arco) e alla conoscenza approssimata della massa m totale del sistema, secondo la formula p = a (P2 m)-1/3; se dell'orbita non è noto che un piccolo arco, hanno allora parallassi ipotetiche, aventi specialmente un valore statistico.

Fra i metodi astrofisici, distinguiamo il metodo spettroscopico e il metodo delle Cefeidi. Il primo è oggi di applicazione generale, ed è fondato sulla correlazione, scoperta da W. S. Adams e A Kohlschütter nel 1914, fra le intensità o i caratteri delle righe spettrali delle stelle di una medesima classe e la luminosità M (o grandezza assoluta), definita rispetto alla grandezza apparente m, e alla parallasse p, dalla relaziohe M = m 55 log p; il secondo metodo, fondato sulla legge di miss H. S. Leavitt (cne lega il periodo di alcune speciali stelle variabili, dette Cefeidi, con la loro grandezza assoluta), è applicabile unicamente a queste stelle, almeno per ora; esso ha tuttavia grande importanza perché consente di determinare la parallasse di ogni oggetto celeste (ammassi stellari, nebulose extragalattiche) in cui si trovino Cefeidi, nonostante le immense distanze, che si valutano fino a milioni di anni-luce.

Ambedue i metodi astrofisici consentono il calcolo della parallasse solo quando M ed m sono conosciute: m è data direttamente da misure fotometriche, mentre M è data, nel primo metodo, dalle caratteristiche delle righe spettrali, e, nel secondo metodo, dai periodi di variazione luminosa. Ma, in ambo i metodi, il passaggio ai valori di M è fatto in base a una correlazione prestabilita, rappresentabile con curve, le quali non possono essere tracciate esattamente se non quando, per un numero adeguato di stelle, la parallasse non è nota per altra via.

Può interessare, almeno per le stelle più brillanti e più note, l'indicazione della parallasse più probabile e la loro distanza, espressa, sia in trilioni di km. (1012 km.), sia in anni-luce (spazio percorso dalla luce in un anno). Questi dati figurano nella tabella a pag. 296.

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