PARALLELOGRAMMO

Enciclopedia Italiana (1935)

PARALLELOGRAMMO (παραλληλόγραμμα, da πράλληλος e γραμμή "linea")


Si designa con questo nome ogni quadrilatero, in cui i lati opposti siano paralleli. Gode delle seguenti proprietà: 1. ogni lato è uguale al suo opposto; 2. ogni angolo è uguale al suo opposto; 3. ciascuna diagonale divide il parallelogrammo in due triangoli uguali; 4. le due diagonali si dividono scambievolmente per metà.

Di queste proprietà le prime tre si trovano in Euclide (Elementi, I, prop. 34), l'ultima in Archimede ('Επιπ. ἰσορρ., II, ediz. Heiberg, 21, p. 190); e tutte e quattro sono invertibili, sicché forniscono altrettanti criterî, che caratterizzano fra i quadrangoli (non intrecciati) i parallelogrammi. Va pure ricordato quest'altro criterio, con cui Euclide dimostra l'esistenza dei parallelogrammi (Elementi, I, prop. 33): Un quadrangolo (non intrecciato) è un parallelogrammo, se ha due lati opposti paralleli ed uguali. E per la teoria della equivalenza (o uguaglianza di superficie) dei poligoni è fondamentale il teorema seguente (Elementi, I, prop. 31): Due parallelogrammi, posti sulla stessa base e fra le stesse due parallele, sono equivalenti.

Se in un parallelogrammo un angolo è retto, sono tali anche gli altri tre, e il parallelogrammo si chiama rettangolo. In tal caso esso è individuato da due suoi lati consecutivi e le lunghezze di questi due lati si chiamano dimensioni del rettangolo. Se in un parallelogrammo sono uguali due lati consecutivi, tutti e quattro i lati sono uguali e il parallelogrammo si chiama rombo o losanga. Quando si verificano insieme le caratteristiche del rettangolo e del rombo, il parallelogrammo è un quadrato.

Secondo la testimonianza di Proclo, il vocabolo οαραλληλόγραμμον fu foggiato da Euclide, il quale per altro nei suoi Elementi non ne fa oggetio di alcuna definizione, ma lo usa - nello stesso senso che esso conserva tuttora - a partire dalla prop. 34 del I Libro. Invece nella def. 22 chiama romboide (ῥομβοειδές) ogni quadrilatero (non intrecciato) che abbia uguali i lati e gli angoli opposti, ma non sia né equiangolo, né equilatero (cioè ogni parallelogrammo che non sia né un rettangolo, né un rombo).

Le proprietà dei parallelogrammi erano già note, almeno in parte, ai pitagorici e forse già prima agli Egiziani; ma l'inversione di tali proprietà e la formulazione dei conseguenti criterî si ebbero soltanto nel Seicento, specialmente per opera di C. Clavio e di A. Borelli.

L'area di un parallelogrammo è data dal prodotto delle lunghezze della base e dell'altezza (distanza fra la base e la retta del lato opposto) od anche dal prodotto delle lunghezze di due lati consecutivi per il seno dell'angolo compreso. In particolare l'area di un rettangolo è data dal prodotto delle due dimensioni. In un qualsiasi parallelogrammo la somma dei quadrati delle lunghezze delle due diagonali è uguale alla somma dei quadrati dei quattro lati (T.-F. de Lagny, 1706).

Fra i parallelogrammi si dicono razionali o di Erone quelli, nei quali i lati, le diagonali e l'area sono misurati da numeri razionali. Della equazione indeterminata, in cui si traduce il problema di trovare tutti questi parallelogrammi, si occuparono P. Fermat, L. Euler, C. G. J. Jacobi. Quest'ultimo mostrò che un tale problema non si può risolvere, se non ricorrendo alle funzioni ellittiche, ed E. Häntzschel (in Sitzungsberichte Berl. math. Gesellschaft, XIII, 1914) pervenne, col metodo del Jacobi, ad alcune soluzioni, da cui se ne deducono infinite altre (catene del Fermat).

In meccanica si dice principio del parallelogrammo delle forze quello, per cui il sistema di due forze, applicate ad un medesimo punto materiale, equivale - staticamente e, quindi, anche dinamicamente (D'Alembert) - a un'unica forza, rappresentata dalla diagonale del parallelogrammo contenuto dai due segmenti orientati, che rappresentano le due forze considerate. In linea storica a questo principio si giunse dapprima per via induttiva, traverso casi particolari; così S. Stevin lo rilevò nel caso di due forze fra loro perpendicolari. Più tardi - cioè dopo che il Galilei e il Newton ebbero posto le basi della dinamica - P. Varignon lo riattaccò alla composizione dei movimenti; ma questa deduzione di un principio di natura essenzialmente statica da considerazioni di . carattere cinematico sollevò obiezioni, per esempio da parte di. G. Bernoulli; e D. Bernoulli cercò di stabilire direttamente la composizione delle forze in base all'ipotesi astratta dell'esistenza della risultante e a convenienti principî di simmetria. Questo procedimento fu poi perfezionato dal D'Alembert, da G. de Foncenex, da S. D. Poisson, e ripreso, con sviluppi interessanti, da G. Battaglini, A. Genocchi, G. Darboux, F. Siacci, J. Andrade.

Per il cosiddetto parallelogrammo del Watt, v. guida.

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