PARCO

Enciclopedia Italiana - IX Appendice (2015)

PARCO.

Francesca Ghedini
Paola Gregory

– Archeologia. Caratteristiche dei parchi archeologici odierni. Bibliografia. Architettura. Il parco come spazio di rigenerazione urbana. I nuovi parchi. Bibliografia

Archeologia di Francesca Ghedini. – Caratteristiche dei parchi archeologici odierni. – «Il parco archeologico è un ambito territoriale caratterizzato da importanti testimonianze archeologiche e dalla compresenza di valori storici, culturali, paesaggistici e ambientali, oggetto di valorizzazione ai sensi degli articoli 6 e 111 del decreto legislativo 42/2004, sulla base di un progetto scientifico e gestionale». È questa la definizione di parco archeologico contenuta nelle Linee guida per la costituzione e la valorizzazione dei parchi archeologici, emanate con d.m. del 18 aprile 2012 e pubblicate nel Suppl. ordinario 165 della Gazzetta Ufficiale nr. 179; tale definizione riprende e amplia quella proposta nell’art. 101, co. e del Codice Urbani («un parco archeologico è un ambito territoriale caratterizzato da importanti evidenze archeologiche e dalla compresenza di valori storici, paesaggistici e ambientali, attrezzato come museo all’aperto»), che già aveva individuato come componenti imprescindibili del p. l’archeologia, il paesaggio storico, la comunicazione. Tali aspetti, pur necessari, non sono però sufficienti per definire contenuti e limiti di una struttura caratterizzata da una forte complessità, dovuta all’ampiezza del territorio interessato, al possibile conflitto con lo sviluppo urbanistico e al sovrapporsi di competenze fra Stato e Regioni e fra enti pubblici e soggetti privati, detentori a vario titolo delle proprietà e delle responsabilità di programmazione e gestione.

Area archeologica di Egnazia

Nella nuova definizione, che tiene conto anche di alcune normative regionali, inserite in provvedimenti sul paesaggio o sulla cultura, oppure interamente dedicate alle problematiche dei p. archeologici (si veda in particolare la l. regionale 3 nov. 2000 nr. 20 emanata dalla Regione Sicilia), gli aspetti qualificanti per la costituzione di un p. archeologico sono stati individuati nel progetto scientifico, sintesi dei diversi ambiti specialistici che concorrono a definire il progetto di valorizzazione (archeologia, storia, paesaggio, ambiente), e nel piano di gestione.

L’elaborazione del progetto scientifico contribuisce alla definizione del p. sotto l’aspetto sia morfologico sia tipologico. Dal punto di vista della morfologia i p. possono essere distinti in due categorie: a perimetrazione unitaria, quando essi occupano porzioni di territorio significativamente ampie, ma circoscrivibili all’interno di un perimetro unitario; a rete, nei casi in cui il p. risulti composto da un insieme di aree archeologiche anche non contigue, le quali possono avere senso e significato autonomi (e quindi essere anche visitate separatamente), ma che, una volta inserite in un sistema unitario sulla base del progetto scientifico, possono esprimere potenzialità inattese sul piano non solo della conoscenza, ma anche della riqualificazione urbana o territoriale. In questa seconda categoria rientrano la maggior parte dei p. urbani e quelli lineari, destinati cioè a ricostruire il divenire storico di infrastrutture come strade o acquedotti, le cui emergenze monumentali e documentali non si caratterizzano per un continuum topografico.

Area archeologica di Nora

Il progetto scientifico è alla base anche della classificazione tipologica dei p., che deriva dalla documentazione di cui si dispone e dal progetto di comunicazione che si intende porre in essere. Si potranno dunque realizzare p. diacronici quando i dati monumentali consentono di illustrare le dinamiche di occupazione di un territorio nel lungo periodo; p. sincronici quando si privilegerà la fase meglio documentata e più comprensibile; p. tematici nei casi in cui si metteranno a sistema aspetti peculiari di un determinato contesto territoriale (le necropoli, le ville, i castelli ecc.).

Determinante per la realizzazione di un p. è l’elaborazione del piano delle tutele, in cui vengono ricogniti i vincoli insistenti sui monumenti e sulle aree identificate come destinate alla pubblica fruizione, e valutata la compatibilità delle azioni previste per la valorizzazione (parcheggi, biglietterie, creazioni di itinerari e di punti di sosta, di spazi museali e di laboratori); il p. infatti deve essere strumento di salvaguardia (dei monumenti e dei paesaggi) e di riqualificazione territoriale, e di conseguenza ogni azione dovrà essere ispirata al rispetto del contesto paesistico e al minimo consumo del suolo.

Momento fondamentale nella costruzione di un p. archeologico è l’elaborazione di un piano della comunicazione capace di costruire un racconto sulla storia del comprensorio, dei suoi monumenti e degli eventuali tematismi selezionati in base alla documentazione raccolta. Particolare attenzione dovrà essere prestata ai modi della comunicazione, che dovranno adattarsi alla tipologia del p. ed essere concordati con gli esperti del settore per quanto riguarda non solo i contenuti ma anche aspetti apparentemente meno sostanziali, come la localizzazione dei pannelli, la grafica, i colori e così via. Gli strumenti della comunicazione saranno commisurati alle esigenze dei possibili destinatari: dai tradizionali sussidi cartacei (pianta del p. con gli itinerari, guide a stampa ecc.) alle audioguide, ai dispositivi mobili, dove sarà possibile giocare con la realtà aumentata e con la ricontestualizzazione degli oggetti rinvenuti nel sito (p. virtuali). Ogni p. dovrebbe poi dotarsi di un sito web in cui, accanto alle informazioni culturali (storia del territorio; illustrazione dei monumenti; bibliografia ecc.), dovranno essere indicati le modalità di accesso, gli orari di apertura, la durata della visita, la presenza di operatori dedicati, i servizi offerti al visitatore, gli eventi programmati ecc.; sarebbe utile anche un collegamento alle aziende turistiche del territorio per informazioni sulla recettività.

L’ultimo ma ineludibile punto per la realizzazione di un p. riguarda la gestione: si tratta di un punto cruciale anche nella prospettiva di pianificare gli investimenti a sostegno del p. da parte di enti pubblici o privati. Ai sensi del Codice, la gestione può essere diretta, a opera di funzionari del ministero (art. 102) o indiretta a opera di soggetti esterni (art. 115, co. 3). Nel caso di gestione indiretta l’ente parco dovrà dotarsi di un atto istitutivo e/o di uno statuto o regolamento, in cui devono essere chiaramente indicati i soggetti partecipanti, la consistenza patrimoniale (aree archeologiche, edifici o monumenti insistenti all’interno del perimetro del p. e così via) e i vincoli gravanti sui beni conferiti. Tali documenti dovranno essere accompagnati dal piano di gestione, in cui saranno illustrati l’organigramma, con i profili professionali necessari al funzionamento, e il piano economico-finanziario (costi e risorse disponibili). Per il funzionamento di un organismo così complesso sono necessarie competenze diverse (scientifiche, amministrative, manageriali) che dovranno collaborare e concorrere all’elaborazione del piano di sviluppo, ma l’atto di indirizzo dovrà essere riservato a un esperto, o a un comitato scientifico composto da esperti con documentate esperienze nel campo della conoscenza della storia e dell’archeologia del territorio.

Il modello previsto dalle Linee guida non è di facile realizzazione, ma risponde all’esigenza di rendere funzionale e attrattivo un istituto quale il p. archeologico che, se ben organizzato e gestito, potrebbe fortemente contribuire alla salvaguardia del nostro martoriato territorio e alla risoluzione di situazioni non più tollerabili quale quella che riguarda, per es., l’Appia antica che, nonostante gli sforzi appassionati di studiosi e funzionari, versa ancora in uno stato di confusione normativa con inevitabili conflitti di competenza che ricadono negativamente sul patrimonio archeologico.

Bibliografia: R. Francovich, A. Zifferero, Musei e parchi archeologici, Firenze 1999; Antichi sotto il cielo del mondo. La gestione dei parchi archeologici. Problemi e tendenze, Atti del Colloquio internazionale, Impruneta 2007, Firenze 2008; Tra cultura e ambiente. Verso un bilancio sociale per la Parchi Val di Cornia SpA, a cura di T. Luzzati, L. Sbrilli, Milano 2009; Vivere nei luoghi del passato. Tutela valorizzazione e fruizione delle aree e dei parchi archeologici, Atti del Convegno, Serravalle Scrivia 2004, a cura di M. Venturino Gambari, Genova 2009; Aree archeologiche e centri storici. Costituzione dei parchi archeologici e processi di trasformazione urbana, a cura di G.P. Treccani, Milano 2010; F. Ghedini, I parchi archeologici in Italia. Nuove prospettive, in Una finestra virtuale sul futuro dei beni culturali, a cura di F. Velani, Lucca 2011, pp. 119-24; Primo colloquio sulla valorizzazione. Esperienza, partecipazione gestione, a cura di E. Sciacchitano, Roma 2012; S. Settis, Il paesaggio come bene comune, Napoli 2013; Patrimoni culturali e paesaggi di Puglia e d’Italia tra conservazione e innovazione, Atti delle Giornate di studi, Foggia 2013, a cura di G. Volpe, Bari 2014; F. Ghedini, Linee guida perla costituzione e valorizzazione dei parchi archeologici, «Lanx», 2015, pp. 194-203.

Architettura di Paola Gregory. – Il parco come spazio di rigenerazione urbana. – All’interno della riscoperta del paesaggio quale luogo centrale – negli ultimi decenni – di una riflessione critica e progettuale in grado di correlare, con ottiche dinamiche e inclusive, le ‘forme del territorio’ alle complesse interazioni fra uomo e ambiente, sempre più il p., quale intelaiatura flessibile e relazionale, ha acquisito un ruolo privilegiato nella riqualificazione in senso lato dell’ambiente, fornendo risposte adeguate ai crescenti problemi di carattere ecologico-ambientale, agli effetti di riconversione delle aree dimesse (fronti marittimi, nuclei industriali, stazioni ferroviarie ecc.) e ai fenomeni di espansione del territorio urbanizzato, con la formazione dei contesti discontinui delle periferie e delle città diffuse.

Non più perciò ‘luogo di separatezza’, come nella tradizione del ‘giardino edenico’, spazio mentale e reale sottratto alla storia e al tempo; né luogo naturalizzato in antinomia all’artificiosità della città, espressione dell’istanza estetica di risarcimento nei confronti della violazione degli equilibri operata dall’industrialismo; ma neppure, secondo l’ideologia della città moderna, spazio di separazione, luogo del ‘negativo’ rispetto al costruito, sottratto pertanto a una propria autonomia configurativa. Piuttosto ‘spazio critico’ dove sondare nuovi terreni di ricerca, in cui artificio e natura appaiono condizioni simultanee e concorrenti nella creazione di nuovi scenari, secondo una concezione dialogica dello spazio abitato che ricomprenda integralmente le sue ragioni costitutive. Il p. diviene pertanto dispositivo fisico (e simbolico) in grado, di volta in volta, di ricucire i tessuti funzionalmente e morfologicamente disomogenei delle periferie, di riconvertire le aree dismesse a nuovi ruoli urbani e sociali, di riqualificare i quartieri di edilizia pubblica, di conferire qualità e valore ai nuovi interventi. Nelle sue propaggini estreme assume il ruolo di interrelazione con il territorio, tanto nell’individuazione e creazione di riserve di naturalità da tutelare e preservare, quanto nella riorganizzazione dei margini urbani, in bilico tra una saldatura alla compattezza del loro nucleo e uno stato labile, di frangia semiagricola.

Fattore fondamentale di rigenerazione urbana e territoriale, il p. contemporaneo rispecchia l’esigenza di un processo di riscrittura dell’artificiale capace di adattarsi ai nuovi bisogni urbani e alle mutate istanze sociali e cultura li, con un notevole ‘soprassenso’ estetico e funzionale, dove, accanto alla ripresa della ricerca compositiva sui caratteri del verde e del p. nella definizione della qualità ambientale e dell’immagine urbana, si rappresentano altri temi propri dell’epoca postindustriale: in particolare, la coesistenza di funzioni ed esperienze diverse che restituiscano la complessità della cultura urbana stessa; il senso di precarietà, vulnerabilità e immaterialità che il p. trasmette quale sostrato mobile e mutante e, dunque, la non distinguibilità, da questo momento in poi, fra permanente ed effimero, naturale e artificiale, immaginario e reale, prossimità e lontananza; la chiara consapevolezza ecosistemica, negli ambienti costruiti e/o antropizzati, delle infinite interrelazioni messe in gioco dai processi naturali/culturali. Aspetti, questi, che ben evidenziano il progressivo ampliamento di tematiche e problematiche che la progettazione dei p. – e più in generale della landscape architecture, nelle sue diverse declinazioni (landscape urbanism, green urbanism, landscape ecology, environmental art, v. environment, agriurbanesimo ecc.) – deve oggi affrontare, in una dilatazione di significati, prospettive e visioni capaci di includere la diversità delle componenti biotiche e abiotiche, la pluralità dei processi, l’interscalarità e l’interconnessione messa in opera dall’azione del progetto.

Oggi le opere di riqualificazione, recupero, riciclaggio, rigenerazione dell’esistente – temi centrali di molte delle trasformazioni urbane e paesaggistiche conseguenti all’implosione delle città occidentali e alla nuova attenzione ecologica – affidano al progetto di landscape la possibilità di mutuare le ragioni antroposociali con quelle della sostenibilità degli interventi, che, in senso allargato, comportano scelte adattive complesse in grado di riportare l’ambiente (nelle sue caratteristiche storico-culturali e fisico-biologiche) a una maggiore biodiversità e ricchezza. È questo uno dei caratteri essenziali di molti dei p. contemporanei, la cui funzione principale diviene quella di connettere, risanare, valorizzare brani di natura (manipolata, abbandonata, desertificata) e/o brani di città (compatta, diffusa, frammentata) fornendo, attraverso un’articolata gamma di declinazioni dello stesso tema, l’infrastruttura principale per la riconversione e lo sviluppo futuro.

I nuovi parchi. – Emblematico, da questo punto di vista, è il caso del parco olimpico di Londra, inteso non solo come esito del progetto per le Olimpiadi del 2012, ma anche, e soprattutto, come matrice di rigenerazione per la periferia Est della città, di cui coinvolge un centinaio di ettari di suoli degradati. Rappresentando uno dei progetti più ambiziosi del Regno Unito per i prossimi 25 anni, il parco olimpico pone come suo principio guida cinque tematiche essenziali della sostenibilità: cambiamento climatico; rifiuti; biodiversità; salute; inclusione sociale. Rispetto alla città di Barcellona – che in passato aveva sfruttato l’occasione delle Olimpiadi (1992), così come l’evento del Forum universale delle culture (2004), per estendere il plan Cerdà verso il mare, integrando aree industriali dismesse nel tessuto della città e creando nuovi poli di sviluppo urbano – a Londra i concetti legati all’urbanistica ecologica diventano ancor più centrali: le aree verdi e il fiume Lea, che attraversa la zona, costituiscono la spina dorsale fra le attrezzature dei giochi, riconnettendo l’ex sito industriale al fiume e all’ambiente naturale e mettendo in comunicazione quartieri, mezzi di trasporto e nuove infrastrutture in un continuum indiviso fra artificio e natura. Non a caso il piano generale per la componente paesaggistica è firmato dallo studio americano Hargreaves Associates (con i partner locali LDA Design), uno dei capisaldi del landscape contemporaneo, da sempre attento alle interrelazioni fra ambiente naturale e culturale, come dimostrano gli interventi più recenti – fra gli altri, il Miami Beach south park (2009), la riqualificazione dell’area di Brightwater (impianto di trattamento delle acque reflue, 2011) a Seattle, il Belo Garden (2012) nel centro di Dallas, il Cumberland Park (2012) a Nashville, parte del più ampio piano di rivitalizzazione del lungofiume, così come i riverfronts di Chattanooga (21st Century Waterfront park, 2007) e di New Orleans con l’apertura recente del Crescent Park (2015) – in grado di costituire l’intelaiatura di un sistema relazionale aperto alle esigenze urbane e al sistema ecologico, in cui prevalgano principi di metamorfosi ed evoluzione temporale.

Olympic Park

Aspetti questi che si ritrovano in molti dei p. recenti, dove riserve di naturalità (con la presenza di acque, boschi, friches ecc.) – o anche ricostruzioni artificiali di una naturalità perduta – consentono di generare/rigenerare quel ‘terzo paesaggio’ che, definito da Gilles Clément – uno dei massimi protagonisti del ‘giardinaggio’ contemporaneo – dall’insieme degli spazi abbandonati sia rurali sia urbani, acquista una valenza particolare a garanzia della biodiversità terrestre. Ne sono esempi, fra gli altri: i p. urbani lungo la Garonna a Bordeaux, riqualificazioni della riva sinistra (2009), a firma di Michel Corajoud, e della riva destra (2004-in corso) su progetto di Michel Desvigne, autore, fra l’altro, del ‘giardino effimero’ all’Île Seguin (2010) di Parigi, un tempo sede delle fabbriche Renault e oggi terreno di ampie riconversioni; Landschaftspark (2006) a Monaco di Latitude Nord, inscritto nel nuovo tessuto urbano costruito sull’antico aeroporto, secondo i principi dell’Agenda 21; il p. metropolitano di Saragozza, aperto in occasione dell’Esposizione internazionale del 2008 sul tema dell’acqua e dello sviluppo sostenibile; il p. portuale (2009) di Le Havre di Obras architectes e il p. delle isole (2013) a Drocourt, su una zona mineraria dismessa nel Nord-Ovest della Francia, dello studio Ilex paysages & urbanisme; il parco naturale Vall d’en Joan landfill site (2010) a Garraf (Barcellona) di Batlle i Roig, riqualificazione della ex discarica a cielo aperto della città; l’Orange County great park a Irvine (concluso per la prima fase nel 2012) su un’area occupata in precedenza da una base aerea, che include al suo interno un canyon alimentato da corsi d’acqua sotterranei, un habitat per la biodiversità e un parco memoriale, opera di Ken Smith, firmatario anche del Triangle Park (2006) e, per il progetto di paesaggio, dell’East River waterfront (2011, in corso), entrambi a New York.

Innumerevoli sono le sistemazioni realizzate o in corso di realizzazione in molte città occidentali (basti pensare ai waterfronts di Parigi, Lione, Amsterdam, Lisbona, Londra, Berlino, Stoccolma, Chicago, San Francisco, New York, fra gli altri), che mettono in rete ‘sostanze’ diverse, come – fra i p. urbani più conosciuti – l’Olympic sculpture park (2006) a Seattle di Weiss/Manfredi, il Lurie Garden (2004) a Chicago, parte del Millennium Park, di Kathryn Gustafson, e, dello studio Gustafson Porter, il p. centrale (2011, in corso) di Valencia e inoltre il p. City Life (2011-in corso) a Milano, all’interno del progetto di riqualificazione del quartiere storico della Fiera campionaria; il p. postin dustriale Dora (2011-in corso) a Torino realizzato, su progetto di Latz+Partner, sulle aree dei grandi stabilimenti produttivi della Fiat e della Michelin. Altrettante occasioni per far coincidere aspetti ecologici con un ampio sistema di relazioni urbane, allo scopo di fornire, attraverso complesse interazioni fra architettura, pianificazione, ingegneria e arte, il supporto adeguato e flessibile a nuove ‘specie ibride’ che strutturano intere parti di città. Ne sono ancora esempi rappresentativi, accanto ai progetti paesaggistici di Martha Schwartz – come quelli per il lungomare di Abū Dhābi (2010, in corso) o per lo Yongsan international business district (2012, in corso) a Seoul – e di Peter Walker – autore del Barangaroo point reserve (2012, in corso) a Sydney, trasformazione di uno dei più antichi siti industriali della città in un p. portuale, nonché con Michael Arad, del National 9/11 memorial sul sito del World trade center a New York – sempre sviluppati su proficue intersezioni fra natura e arte, i p. dello studio olandese West 8, fondato da Adriaan Geuze, da sempre interessato a un approccio multidisciplinare capace di realizzare una ‘seconda natura’ rispettosa dei cicli ecologici e compatibile con le attività umane, come dimostrano, fra gli altri: Madrid Rio (2011), il p. lineare lungo il fiume Manzanares sovrapposto a un’autostrada sotterranea, Miami Beach SoundScape park (2011), Rio Cali park in Colombia (2015), Toronto central waterfront con il Queens quai inaugurato nel 2015, il piano generale per il Governors Island park, New York (2015), trasformazione – partecipata dalle comunità locali – di un’isola abbandonata in un potenziale di risorsa (ecologica e cultura le) per l’intera regione, e, in corso di realizzazione, West Kowloon cultural district park (2014), luogo di integrazione e ibridazione di arte e cultura nel parterre naturale.

Sono gli stessi principi che, su scala diversa, hanno guidato due dei p. urbani più riusciti dell’ultimo decennio, la cui risonanza internazionale si lega tanto alle modalità progettuali, tese a configurare nuove sperimentazioni sostenibili di concepire lo spazio pubblico della città, quanto al processo partecipativo sviluppatosi dal basso. Si tratta del p. lineare Superkilen (2012) a Nørrebro, Copenaghen, il quartiere più multietnico della capitale, a firma di Bjarke Ingels Group (BIG), con il gruppo dei paesaggisti tedeschi Topotek1 e il collettivo di artisti Superflex, dove l’accoglienza della diversità si è sviluppata attraverso la sistemazione di ‘oggetti urbani di affezione’ suggeriti dai residenti a formare una collezione surrealista della diversità globale, e dell’High Line di New York (aperta nella prima tranche nel 2009 e oggi in corso di completamento), il p. lineare realizzato nel cuore di Manhattan sui resti di una vecchia ferrovia, che James Corner Field Operations, insieme allo studio Diller & Scofidio+Renfro e a Piet Oudolf, ha saputo restituire alla città nel rispetto dell’apparato vegetazionale preesistente, cresciuto sulla sopraelevata dismessa, e delle plurime e diversificate fruizioni possibili. Sensibile alle ragioni di una dialogica fra natura e artificio – come dimostrano, fra gli altri, il Parco di Fresh Kills (2001, in corso) a Staten Island, che era la più grande discarica di New York, il Parco olimpico (2012) di Londra per la parte sud, riaperto al pubblico nel 2014, il p. Race Street Pier (2012) a Filadelfia, primo progetto catalizzatore del più ampio piano di recupero del Central Delaware riverfront, e il Presidio Parkland (2014, in corso) sulla Baia di San Francisco – Field Operations ha da sempre perseguito un approccio processuale di organizzazione dell’insieme, capace di ricomprendere al proprio interno il groviglio di reti spaziali, biologiche e sociali di cui il p. costituisce un’esplicita forma in divenire.

Piuttosto che cercare regole di composizione (campo chiuso), il progetto del p. contemporaneo – nelle sue diverse e sovrapposte declinazioni – sembra pertanto perseguire regole di ‘catalisi’ (campo aperto), esprimendo tanto la consapevolezza di porsi continuamente in relazione, intervenendo in un punto, con le molteplici variabili (morfologiche, biologiche, ecologiche, storiche, sociali, culturali) che caratterizzano i contesti più ampi di appartenenza, quanto di costituire una componente essenziale – un catalizzatore – per la coabitazione umana e la sopravvivenza stessa del pianeta: innestandosi in luoghi sensibili del territorio, il p. diviene supporto di forme inclusive e proliferanti per lo sviluppo futuro, in vista di un benessere ambientale e sociale che si lega alla qualità dei luoghi e alla capacità di abitarli.

Bibliografia: H. Brunon, M. Mosser, Le jardin contemporain. Renouveau, expériences et enjeux, Paris 2006; A.M. Ippolito, Il parco urbano contemporaneo. Notomia e riflessioni, Firenze 2006; P. Donadieu, Les paysagistes ou les métamorphoses du jardinier, Arles 2009; In favour of public space. Ten years of the European prize for urban public space, ed. M. Anglès, Barcelona 2010; Paesaggi fatti ad arte, a cura di A. Bertagna, Macerata 2010; P. Jodidio, Landscape. Architecture now!, Köln 2012; A.M. Ippolito, Il paesaggio urbano contemporaneo. Letture e prospettive, Milano 2013; C. van Uffelen, Green city spaces. Urban landscape architecture, Salenstein 2013; A. Pernet, Le grand paysage en projet. Histoire, critique et expérience, Genève 2014; The landscape imagination. Collected essays of James Corner 1990-2010, ed. J. Corner, A. Bick Hirsch, New York 2014; «Lotus international», 2015, 157, nr. monografico: City as nature.

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