MALIPIERO, Pasquale

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 68 (2007)

MALIPIERO, Pasquale

Franco Rossi

Figlio di Francesco di Fantino, del ramo di S. Severo, nacque a Venezia verso il 1392.

Negli Arbori, M. Barbaro gli attribuisce cinque fratelli (Girolamo, Domenico, Fantino, Bernardo e Giorgio), ma ignora il nome della madre. Il padre, nato nel 1362, nel dicembre del 1400 fu uno dei 41 elettori del doge Michele Steno.

Nel 1414 sposò Giovanna Dandolo di Antonio, appartenente al ramo della Giudecca, ed ebbe almeno tre figli maschi, Lorenzo, Antonio e Polo, ammessi anzitempo in Maggior Consiglio per aver estratto la balla d'oro rispettivamente nel 1438, nel 1439 e nel 1445.

L'unico a sposarsi fu Polo, nel 1448, con Perina Ruzzieri, figlia di Francesco, che gli diede un figlio maschio, Carlo, con il quale il ramo si estinse. Il M. ebbe anche una figlia, Maddalena, andata sposa nel 1434 a Giacomo Gabriel di Zaccaria.

Nulla si sa intorno alla giovinezza e agli studi del M.; tuttavia, com'era consuetudine per i giovani esponenti del patriziato veneziano, è assai probabile che si sia formato sia sugli studi sia applicandosi ai commerci marittimi, che poi lasciò alle cure dei fratelli, in modo da poter riservare ogni energia alla vita pubblica. Modeste, in ogni caso, le fortune economiche della famiglia.

La prima notizia attendibile relativa alla sua carriera politica riguarda l'elezione a sindico e provveditore in Albania, Dalmazia e Istria del 28 febbr. 1429.

La missione nei domini adriatici d'Oltremare, di carattere ispettivo, era stata disposta il 5 febbraio dal Senato, allarmato per i sospetti di gravi irregolarità finanziarie che ricadevano su alcuni rappresentanti veneziani nei domini adriatici e soprattutto per le notizie di ripetute malversazioni a danno degli abitanti di quelle regioni di cui si erano resi colpevoli alcuni rettori. Il M. e il collega Paolo Vallaresso, partiti verso metà aprile, fecero ritorno a Venezia per la fine di ottobre, dopo aver verificato che molte delle accuse erano fondate.

Ammessi in Senato il 3 nov. 1429 a dar conto delle indagini espletate, si facevano promotori di una "parte" finalizzata a far condannare Alessandro Zorzi, già conte a Zara, colpevole di non aver pienamente rispettato il suo mandato. Il 27 genn. 1430, sempre in Senato, i due proponevano una severa punizione a carico di Andrea Minio, già bailo e capitanio di Durazzo, ritenuto responsabile di ripetuti episodi di violenza carnale perpetrati nel corso del suo reggimento a danno di giovani donne del posto.

Il M. e il Vallaresso tornarono a Zara nel maggio 1430, incaricati questa volta di sottoporre a generale revisione i conti della Camera fiscale di quella città. I due dispiegarono un impegno e una capacità non comuni, tali da consentire la scoperta di gravissime irregolarità contabili.

Le informazioni sul cursus honorum del M. si fanno più numerose e più attendibili a partire dal settembre del 1435, quando fu eletto console a Trani. Al 21 febbr. 1437, quando fu eletto ambasciatore a Genova, risale la prima vera e propria missione diplomatica del M., destinata a protrarsi almeno fino a tutto dicembre. Il 17 di quel mese, infatti, il M., a causa di affari che richiedevano la sua presenza tra le mura domestiche, chiedeva al Senato di rientrare in patria. La missione fu ripresa nella primavera del 1438 e prolungata fino ai primi di dicembre.

Rientrato in patria alla fine di gennaio 1439, il 3 febbraio il M. fu eletto tra i 5 Savi a conzar la terra, incarico che rivestì fino al momento di partire per Firenze come ambasciatore alla corte di papa Eugenio IV - il veneziano Gabriele Condulmer - in occasione del concilio. La nomina non gli consentì, pertanto, di accedere al Senato, dove pure era stato eletto il 20 settembre dello stesso anno. Il 3 maggio 1440 il M. fu nominato oratore presso Francesco Sforza, comandante in capo degli eserciti della Repubblica in Lombardia e contestualmente investito delle funzioni di provveditore dell'Esercito, particolare figura di plenipotenziario che il governo veneziano inviava, soprattutto con funzioni di controllo politico, presso i condottieri che costituivano il braccio armato della Serenissima. In questa veste il M. tra giugno e ottobre del 1440 trattò con i rappresentanti delle Comunità del Bresciano e del Bergamasco le condizioni della loro sottomissione a Venezia, concedendo, confermando o revocando privilegi e immunità.

Nel corso degli anni tra il M. e Sforza si instaurò un rapporto di stima e rispetto, destinato a perdurare anche quando il condottiero e lo Stato marciano intrapresero quegli antitetici percorsi che sarebbero sfociati nella contrapposizione e nella guerra a tutto campo.

Eletto podestà di Verona il 25 nov. 1440, rifiutò l'incarico preferendo, il 6 dicembre, optare per la podestaria di Padova, che egli assunse verso la metà di marzo 1441. Chiusa l'esperienza padovana a metà del 1442, il 12 agosto il M. fu eletto in Senato, il 9 settembre in Consiglio dei dieci e il 30 settembre savio di Terraferma per il semestre successivo. Il 27 genn. 1443 fu quindi chiamato a far parte del Minor Consiglio, incarico che conservò almeno fino a tutto il mese di settembre, quando fu eletto, il 5 settembre, ambasciatore alla Comunità di Bologna, dove rimase fino all'aprile 1444. Il 31 dicembre fu eletto per la prima volta savio del Consiglio. Per poter restare a Venezia nel 1445 il M. rifiutò una prima volta l'elezione ad ambasciatore a Milano e una seconda volta quella ad ambasciatore a Bologna, giustificandosi con le sue non buone condizioni di salute. Del pari rifiutò un ulteriore incarico a rappresentare la Repubblica presso il duca di Milano, mentre accettò, il 12 giugno 1445, la nomina ad avogadore di Comun.

In quella veste fu chiamato più volte a far parte del Collegio istruttore del Consiglio dei dieci, ottenendo spesso licenza di portare armi di difesa personale a causa della delicatezza dei casi trattati in quel tribunale e delle possibili conseguenze delle dure sentenze emesse.

Il M. non rifiutò invece la prestigiosa ambasceria a papa Eugenio IV, che gli era stata conferita il 18 dic. 1445, visto che il 21 dicembre il Senato provvide a garantirgli la conservazione dell'ufficio in Avogaria una volta rientrato in sede; il che non avvenne prima della fine del mese di maggio del 1446. Il 3 maggio, mentre si trovava ancora a Roma, il M. fu eletto luogotenente della Patria del Friuli.

Tra rappresentanze diplomatiche a Genova, a Firenze, a Roma, missioni di elevata responsabilità politica e militare attraverso i campi di battaglia della Lombardia, in reggimenti di Terraferma, Consigli e uffici in patria, il M. aveva maturato in poco meno di un ventennio un'esperienza di primissimo ordine; è dunque da ritenere scontata e quasi doverosa l'elezione, avvenuta l'11 nov. 1446, a procuratore di S. Marco de ultra, carica di prestigio anche se di scarsa rilevanza politica.

Alla fine del 1446 il M. fu nuovamente accreditato presso Francesco Sforza. Il Senato, infatti, aveva confidato sul rapporto di amicizia e di stima tra i due nel tentativo di convincere Sforza a rimanere al servizio della Repubblica e a non prestare ascolto al duca di Milano, Filippo Maria Visconti, che voleva portarlo dalla sua parte per scongiurare l'occupazione della Lombardia da parte delle truppe veneziane, ormai accampate alle porte di Milano. Nonostante si fosse trattenuto presso Sforza per quasi due mesi, il M. tornò a Venezia senza aver conseguito alcun risultato. Morto a Roma il 23 febbr. 1447 Eugenio IV, il M. fece parte, ai primi di marzo, della delegazione veneziana incaricata di congratularsi con il successore, Niccolò V. Al ritorno in patria il M. fu eletto tra i Quaranta di zonta al Senato, ma ancora una volta non rimase a lungo a Venezia: il 10 luglio fu eletto ambasciatore pro pratica pacis a Ferrara e incaricato di raggiungere un accordo con gli emissari del duca di Milano al fine di consolidare senza costi eccessivi le conquiste veneziane in Lombardia e di evitare al tempo stesso lo scontro con le truppe di Francesco Sforza, passato ormai al servizio del nemico.

Tornato a Venezia, fu eletto provveditore dell'Esercito e sollecitato a portarsi quanto prima al campo del capitanio generale veneziano Micheletto Attendolo. Rientrato quindi a Venezia, nonostante il 31 marzo 1448 fosse stato eletto savio del Consiglio per il semestre successivo, pur conservando la titolarità dell'ufficio che esercitò saltuariamente durante i brevi periodi di permanenza in patria, si recò di nuovo presso i campi di battaglia della Lombardia, investito quale civis in Exercitu della funzione di collegamento e di raccordo tra il Senato e i vertici militari al servizio della Repubblica. Dopo la sconfitta di Caravaggio a opera dell'esercito milanese al comando dello Sforza (15 sett. 1448), il M. fu nuovamente eletto (19 settembre) provveditore dell'Esercito, con il mandato di risollevare, insieme con il collega Alvise Loredan, le sorti delle armi veneziane che sembravano volgere decisamente al peggio.

Mentre si profilava la perdita di Brescia, il M., conformemente alle richieste fatte segretamente pervenire da Sforza e in piena sintonia con le istruzioni impartitegli il 25 settembre dal Senato, prese parte ai maneggi di pace condotti dal segretario del conte, Angelo Simonetta e, mettendo a frutto le sue non comuni capacità di mediazione, convinse l'ambizioso e spregiudicato condottiero ad accordarsi con la Serenissima, che in cambio della cessione di Cremona e del passaggio di campo gli offriva la signoria di Milano. A seguito del trattato, sottoscritto a Rivoltella nella chiesa di S. Biagio (18 ott. 1448), vero e proprio capolavoro diplomatico del M., Venezia garantiva a Sforza, nuovamente alle sue dipendenze, mano libera per la conquista del territorio compreso tra il Ticino e il Sesia, mentre Milano avrebbe conservato la piena sovranità tra l'Adda e il Ticino.

Il 30 dicembre il M. fu eletto savio del Consiglio e il 26 febbraio chiamato ancora una volta a far parte di una zonta al Consiglio dei dieci. Tuttavia, neppure in quell'occasione riuscì a portare a termine il mandato, dal momento che il 21 apr. 1449 fu eletto oratore presso l'esercito e mandato in tutta fretta al campo di Francesco Sforza, insieme con Giacomo Loredan e Orsotto Giustinian.

Il compito era di persuadere Sforza a chiudere la sua guerra personale contro i Milanesi e a venire a patti con loro. Tuttavia, nonostante tutti gli sforzi messi in atto, il M. non riuscì a far desistere Sforza, al cui servizio militavano Bartolomeo Colleoni e i migliori capitani di ventura italiani del momento, dal proposito di impadronirsi manu militari del Ducato milanese. Toccò proprio al M. e a Orsotto Giustinian, investiti dal Senato con la commissione del 22 agosto del titolo di oratori della Repubblica presso Francesco Sforza, il compito di comunicare al condottiero che Venezia il 24 sett. 1449 aveva sottoscritto a Brescia la pace con Milano.

Rientrato in patria, il 31 dicembre il M. fu nuovamente eletto savio del Consiglio per il semestre successivo, ma il 17 marzo 1450 fu accreditato ambasciatore a Ferrara.

Qui, grazie alla mediazione del marchese Leonello d'Este, si dovevano aprire le trattative con il re di Napoli, Alfonso d'Aragona, che avrebbero portato alla pace di Belfiore, solennemente pubblicata il 19 luglio, e a una nuova alleanza militare veneto-napoletana in funzione antisforzesca e antifiorentina.

A Ferrara il M. si trattenne almeno fino all'11 luglio, quando fu eletto provveditore dell'Esercito e inviato a Crema dove avrebbe dovuto incontrare gli emissari di Francesco Sforza, pronto a intavolare nuove trattative di pace con i rappresentanti veneziani.

Di fronte alle resistenze del M. il Senato intervenne e lo minacciò di una pesantissima sanzione pecuniaria se avesse ulteriormente differito la partenza. Il soggiorno in Lombardia si protrasse almeno fino alla fine di marzo del 1451. Infatti, nonostante le reiterate richieste del M., il 28 marzo il Senato subordinò il suo rientro in patria a una fitta serie di incontri con i comandanti dell'esercito veneziano.

Il 22 luglio 1451 il M. fu eletto savio del Consiglio in una zonta straordinaria di tre membri al Collegio, del quale poté così far parte ininterrottamente per tutto quell'anno e per buona parte del successivo, intervenendo in Senato con diritto di metter "parte" ogni qual volta le ripetute missioni diplomatiche e le fatiche di provveditore dell'Esercito gli consentivano di far ritorno a Venezia. Il 20 ottobre successivo il M. fu chiamato a far parte di una zonta straordinaria al Consiglio dei dieci.

Il 10 novembre fu aggiunto alla delegazione veneziana che doveva ricevere Federico d'Asburgo (III come imperatore) e seguirlo (i soli M. e Orsotto Giustinian) nel suo itinerario che lo avrebbe portato prima a Roma, per la solenne incoronazione (19 marzo 1452), e poi a Napoli, dove lo attendeva la sposa, Eleonora figlia del re di Portogallo.

Eletto ancora una volta in zonta al Collegio il 3 luglio 1452 e in zonta al Consiglio dei dieci il 9 agosto, ai primi di settembre il M. fu chiamato a far parte della delegazione veneziana incaricata di definire con il rappresentante di Alfonso d'Aragona, Ludovico de Puig, alcuni aspetti dell'alleanza veneto-napoletana di recente stipulata.

Nominato oratore della Repubblica a Brescia il 4 ott. 1452, dovette partire alla volta della città lombarda e dare prova di tutta la sua abilità diplomatica nell'arduo compito di mettere fine alla vertenza che vedeva la Comunità locale contrapporsi alla Dominante, mentre perdurava ai confini, carica d'incognite, la presenza di Francesco Sforza, sempre intenzionato a strappare ai Veneziani le terre di Lombardia al di là dell'Adda.

Il 3 apr. 1453, per quanto savio del Consiglio per il primo semestre dell'anno, il M. fu eletto nuovamente provveditore dell'Esercito e comandato di trasferirsi al campo veneziano, dove le forze armate della Repubblica si trovavano allo sbando a causa della morte del governatore dell'Esercito, Gentile da Leonessa.

Anche in questo caso l'intervento del M. sortì gli effetti desiderati, dal momento che riuscì a convincere Iacopo Piccinino a rientrare nei ranghi dell'esercito veneziano e ad assumerne il comando, con il grado di governatore, alla testa di una compagnia personale forte di 5000 uomini, con una provisione annua di 20.000 ducati. Il M. fece ritorno a Venezia nel gennaio dell'anno successivo.

Il 6 sett. 1454 fu chiamato a far parte di una commissione di cinque savi, incaricata di riportare ordine nelle casse dello Stato, che ancora soffrivano per le conseguenze delle guerre di Lombardia. Membro della zonta al Consiglio dei dieci dal 31 ott. 1454, il 31 dicembre fu nominato savio del Consiglio per il semestre successivo.

Nel luglio 1455 il M. fu eletto nella zonta del Consiglio dei dieci istituita allo scopo di valutare la vicenda di Jacopo Foscari, figlio del doge Francesco. Tra il 1455 e il 1456, il M. ricoprì più volte alternativamente gli incarichi di savio del Consiglio e di membro della zonta del Consiglio dei dieci. In quest'ultima veste, nel giugno del 1456, quale componente del Collegio istruttorio, ebbe modo di occuparsi nuovamente di Jacopo Foscari, che aveva tentato di rientrare a Venezia dall'esilio cretese cui era stato condannato dai Dieci.

Il 10 dic. 1456, mentre gli incarichi di governo si diradavano, il M., insieme con Michele Venier e Paolo Tron, definiti congiuntamente nobiles reputationis, fu chiamato a far parte della commissione incaricata di risolvere il problema dei debitori "di Comun", che a motivo della loro insolvenza creavano non pochi problemi alle casse dello Stato, perennemente in passivo. Il termine previsto (sei mesi) non fu rispettato, per cui il Senato fu costretto a rinnovare la commissione nei medesimi componenti per un ulteriore semestre. Quale membro della zonta dei Dieci, nell'ottobre del 1457 il M. si espresse a favore della deposizione del doge, mettendo in evidenza una sensibilità politica affatto coerente con il comportamento tenuto nel corso dei processi a carico di Jacopo Foscari e in sintonia con le misure che sembravano richiedere i superiori interessi dello Stato.

La condotta del M. è stata talvolta interpretata come un segnale di disapprovazione verso la politica di espansione territoriale favorita dal doge Foscari. Non così Cessi, e con lui M. Mallett, il quale anzi ha visto nel M., e con lui in Francesco Barbaro, in Jacopo Antonio Marcello, in Andrea Morosini, in Andrea Donà, "gli esponenti di spicco di un'intera generazione di patrizi veneziani che costituì l'autentico collante del nuovo Stato territoriale" (La conquista della Terraferma, p. 201), affermando anzi che "la potente coalizione che aveva guidato l'espansione in Terraferma nella prima metà del secolo, raggiunse l'apogeo dell'influenza negli anni Cinquanta con l'elezione a doge di Pasquale Malipiero nel 1457" (Venezia e la politica italiana, p. 250).

Deposto Francesco Foscari, il M. partecipò alla elezione del nuovo doge, trovandosi il 27 ottobre tra i 41 grandi elettori ai quali spettava la scelta finale. Al termine di una combattuta tornata elettorale, il 30 ott. 1457 il M. fu eletto doge con 25 voti a favore.

Gli incarichi affatto gravosi attraverso gli infidi campi di battaglia al di qua e al di là dell'Adda, le delicate missioni diplomatiche portate a buon esito presso le principali corti italiane, gli uffici di governo in patria e fuori, una non comune scaltrezza politica, frequentazioni politiche ma anche culturali di ottimo livello, una stretta rete di alleanze in seno al patriziato veneziano che più si era espresso a favore dell'espansione militare e politica in Terraferma, ma che ora, e proprio sulla scorta dei risultati raggiunti, o per meglio dire imposti dalla pace di Lodi, richiedeva una politica di consolidamento piuttosto che di avventurosa fuga in avanti, costituirono la dote migliore che il M. poté vantare al momento dell'elezione, efficacemente compendiata dall'epigrammatico motto "Me duce pax patriae data est", che ne accompagna il ritratto a palazzo ducale, nella sala del Maggior Consiglio.

Il M. rimase in carica per meno di cinque anni. Morì infatti il 5 maggio 1462 e fu sepolto ai Ss. Giovanni e Paolo, nell'arca di famiglia, opera di Pietro Lombardo, fatta innalzare dai figli. Di lui rimane un ritratto, attribuito a Gentile Bellini e conservato al Museum of fine arts di Boston.

Estremamente controverse le opinioni espresse dai cronisti e dagli storici a lui coevi e così pure dai biografi e dagli studiosi più o meno recenti sul dogado del M., e prima ancora sul significato da attribuire alla sua elezione a doge, a torto o a ragione ritenuta diretta ed esplicita conseguenza della deposizione di Francesco Foscari e imputata pressoché interamente al successore. Più ombre che luci nel ritratto che ne fa Marino Sanuto il Giovane nelle sue Vite dei dogi: "Fo felixe Doxe, justo, grave e di bello aspetto e bella maniera, di statura più che mezana, di facultà mediocre; erra homo molto carnale e lassivo, et nel suo tempo poche cosse degne di memoria seguite se non le feste publiche che forno fatte sopra la piaxa di San Marcho per la sua creacion, che forno assai et belle" (II, p. 7). Particolarmente severo nella sua lapidaria concisione il giudizio espresso dall'annalista Domenico Malipiero, suo nipote: "Non fo fatto in so tempo cosa degna de memoria" (p. 651). Non così negativa invece la Cronaca savina, attenta piuttosto a mettere in luce gli indubbi meriti personali del M., descritto quale "homo in vero de grande intelletto e de sumo sapere e dotrina" (c. 225). Anche Andrea Da Mosto in tempi a noi più vicini sembra voler accreditare una immagine tutto sommato sbiadita della figura e dell'opera del M. "uomo mediocre in confronto" (a Francesco Foscari) ed "esponente del partito contrario", al quale rimprovera, quasi fosse colpa sua, quell'assoluta mancanza di episodi bellici degni di nota che ne avrebbe caratterizzato il dogado, ma soprattutto l'indole pacifica, riassunta dall'epitaffio ricordato anche dal Sanuto, che lo definì "dux pacificus". Interessati invece a ricostruire la complessiva vicenda del M. e a valutarne con distaccata lettura critica l'esatta cifra storica Cessi e Mallett, e soprattutto Concina, impegnato a definire con assoluto rigore il contesto culturale generale che ne assecondò e rese possibile l'elezione.

Indubbiamente è nuociuto al M. il confronto con il suo predecessore, che per molti versi è improponibile. Si imputa al M. l'aver rivestito le insegne dogali in un periodo contraddistinto più dalla pace che dalla guerra, ma in lui non è possibile cogliere i segni di una inclinazione politica dissonante rispetto ai disegni espansivi lucidamente e tenacemente tracciati e perseguiti dalla componente del patriziato veneziano più favorevole all'allargamento delle dimensioni territoriali della Repubblica in Terraferma a danno dei riottosi e inaffidabili confinanti. Di questa frazione della classe dirigente lagunare, della quale il M. è stato esponente di primo piano, Francesco Foscari poteva semmai dirsi l'elemento più rappresentativo ma non certamente l'ispiratore e l'interprete assoluto, tenuto conto del carattere collettivo e non monocratico dei processi decisionali che maturavano a Palazzo ducale. Anzi, come ha dimostrato Concina, l'attenzione e le cure dimostrate dal M. nella riorganizzazione, anche estetica, della Casa dell'Arsenal, primo e imprescindibile fondamento della stessa sopravvivenza dello Stato marciano, di cui si può cogliere una traccia oltremodo visibile nella porta Magna, il grande portale di impronta palesemente classica, fanno giustizia del giudizio sbrigativamente e acriticamente emesso a carico del Malipiero.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, G. Giomo, Indice per nome di donna dei matrimoni dei patrizi veneti, I, p. 357; Misc. codd., I, St. veneta, 20: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de' patritii veneti, IV, cc. 383, 385, 407; 74: P. Gradenigo, Memorie istorico-cronologiche spettanti ad ambasciatori della Serenissima Repubblica di Venezia spediti a vari principi, cc. 15v, 264v, 292r, 310v, 356r; III, Codici Soranzo, 33: G.A. Cappellari Vivaro, Famiglie venete, III, pp. 277 s.; Avogaria di Comun, Balla d'oro, reg. 163/2, c. 323; Matrimoni di nobili veneti, reg. 106/1, c. 93r; Cronaca matrimoni, reg. 107/2, c. 178v; Collegio, Notatorio, reg. 16, c. 151r; Commemoriali, regg. XIII, cc. 51r, 57r, 64v-65r, 68v, 71r, 76v, 79v, 85v, 92r, 96r, 97-98, 138v, 168r, 185v; XIV, cc. 20v-21r, 25v, 39v, 62r, 103r, 168v; Consiglio dei dieci, Deliberazioni miste, regg. 13, cc. 15v-16r, 20v, 117v; 14, cc. 79v, 123r; 15, cc. 24v, 94v-95v, 96v, 100v, 102r, 138r, 139r; Maggior Consiglio, Deliberazioni, Liber Ursa, cc. 143v, 144v, 146r, 156r; Liber Regina, cc. 16v, 17; Quattro ministeriali di Palazzo, reg. 38, c. 108: Richiesta del breviario delle ultime volontà del doge Malipiero; Segretario alle voci, Misti, reg. 4, cc. 15r, 21r, 56v, 57v, 62v, 99, 107v-108r, 118r, 143v, 145, 146v, 148-149; Senato, Deliberazioni miste, regg. 57, cc. 73v, 89r-91r, 165v, 185r, 212r, 220v, 235v, 236r; 59, cc. 129r, 130r; 60, cc. 70v, 211r; Senato, Deliberazioni segrete, regg. 14, cc. 19v, 26v, 40v-41v, 45r, 52r, 65, 81, 98r, 103r-104r, 107r, 115r, 121v, 127r, 138, 153r, 154r, 163r, 168r, 179v, 223r; 15, cc. 22r, 26, 27v, 29v, 30v-31v, 32v, 34v, 35v, 37v-38r, 39r, 42r, 43r, 45v, 49r, 51v-52r, 56v, 144r, 145v, 146v-147r, 148v, 149v-152v, 153v, 155, 156v-157r, 158r; 16, cc. 1r-2v, 36v, 43v-44r, 52, 59v-60r, 69r, 77v-78r, 86r, 138v-139r, 141r, 146r, 148v, 184r; 17, cc. 9v, 19v, 90r, 95, 98v-99r, 101v-103r, 104v-105v, 106v-107r, 118v, 148r, 150v-151v, 154v-155r, 159r, 179v, 185r-187v, 191, 196, 213, 223v-224r; 18, cc. 2v-3r, 4, 5v, 10r-11v, 12v, 13v, 23, 27r, 30v, 31v, 34, 36v, 40v, 41, 46v, 48r, 54v, 58r, 68r, 69r-70r, 71v-72r, 73r, 75, 77r, 78v-79r, 80r-81r, 83r, 85r-86r, 90, 112r-113v, 118, 124, 125r, 127r, 134v, 140v, 141v, 153r, 155v, 156v, 158v-159r, 162r, 163r, 165r, 169v, 172r-173r, 174v, 175v, 177r, 181, 184v-185r, 186v-187r, 188, 192, 193r-194v, 196, 197v, 198v, 201r, 204r, 208r; 19, cc. 13v, 15r, 20, 26r, 29r, 34v, 70v, 71v, 73v, 76r, 78v-79v, 81r-82r, 84v, 85r, 87v, 88v, 89r, 90v, 91, 92r, 95r, 97r-98v, 99v-100r, 105v, 111r, 113v-114r, 115r-116r, 127, 139v-140r, 142r, 147r, 148r, 150r, 152r, 153r, 154, 155v, 156r, 157r, 158, 160, 161v, 165, 167v, 182r, 186r, 188r, 190r, 191r, 192, 198v; 20, cc. 6r, 9r, 10r, 11v, 15, 21r, 33r, 34r, 39r, 54r, 55r, 56v-57r, 58, 63r, 59r, 61v, 65v-66r, 82, 84r, 87v, 92r, 95, 96v-97r, 107r, 126v; Senato, deliberazioni, Terra, regg. 1, cc. 13r, 77v, 78v, 82v, 83v, 85r, 86r, 92v, 93v, 94r, 98r, 99v, 101r, 104v, 145v, 148v, 156v, 176r; 2, cc. 40r, 63r, 73v, 75v, 79r, 82, 85v, 98v, 100r, 101v, 103r, 106v, 112v, 116v, 126v, 129, 133r, 135r, 147r, 178v, 201, 207v; 3, cc. 2v-3r, 6v, 8v, 10r, 15v, 16v, 28r, 30v, 31v, 32, 34r, 38r, 39, 51v, 54v, 57v, 61v-62r, 65r, 68v, 91v, 96v, 99r, 100r, 103r, 104r, 106, 110v, 117r, 119r, 141r, 142, 145r, 146v; 4, cc. 1r, 2v, 6v-7r, 8r; Venezia, Biblioteca naz. 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Del Torre, Carriera politica e benefici ecclesiastici in una famiglia veneziana del primo '500: Zaccaria e Lorenzo Gabriel, in Per Marino Berengo. Studi degli allievi, a cura di L. Antonelli - C. Capra - M. Infelise, Milano 2000, p. 167.

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