PASTA ALIMENTARE

Enciclopedia Italiana (1935)

PASTA ALIMENTARE (fr. pâtes d'Italie, macaroni; sp. pastas alimenticias; ted. Teigwaren; ingl. macaroni, vermicelli)

Carlo Rodanò

Pasta non fermentata, di semolino o anche di farina di frumento, che viene ridotta in fili, tubetti, nastri o in piccoli pezzi di diverse forme e poi essiccata, per cuocerla in acqua bollente oppure in brodo al momento di consumarla. La pasta comune è prodotta industrialmente nei pastifici con macchine speciali. Si preparano invece prevalentemente a mano quelle paste nella cui composizione, insieme al semolino o farina, entrano uova, verdure tritate, ecc., e i cappelletti, i tortellini, i ravioli, ecc., nei quali la pasta propriamente detta chiude ripieni complessi, fatti principalmente di carne tritata, oppure di verdura, ricotta, ecc.

Cenno storico. - Le paste alimentari, non solo di farina di frumento, ma anche di farine di fagiuoli e di riso, sono state preparate da tempo antichissimo nella Cina, dove se ne fa largo consumo. Non si sa bene quando si sia cominciato a prepararle in Italia: quel che comunemente si narra circa l'invenzione dei maccheroni e l'etimologia di questo nome è evidente favola moderna. Nel sec. XIV dovevano essere già ben note, se il Boccaccio fa raccontare da Maso del Saggio a Calandrino che nel paese di Bengodi "eravi una montagna tutta di formaggio parmigiano grattugiato, sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa facevan che far maccheroni e raviuoli e cuocerli in brodo di capponi" (Decameron, novella 3ª della giornata 8ª). Ma per molti secoli si usò soltanto la pasta a mano, di preparazione troppo laboriosa per diventare di uso comune.

A Napoli, intorno al 1800, si cominciò a eseguire la formatura meccanicamente, e perciò su scala relativamente grande, con i torchi a vite. Questi allora erano di disegno rozzo e costruiti in legno, tranne la campana, che era di rame, e pochi altri pezzi metallici; ve ne erano ad asse verticale, mossi a braccia per mezzo di stanghe, e ad asse orizzontale, alcuni dei quali mossi da grandi ruote sulle quali si arrampicavano gli operai. Verso il 1830, pure a Napoli, fu introdotta la gramola a stanga. Con queste macchine, che presto furono adottate anche nella Liguria e in Sicilia, quella della fabbricazione della pasta divenne un'industria di tipo moderno perché, sebbene l'organizzazione dei piccoli pastifici conservasse carattere artigiano, i loro metodi di fabbricazione offrivano fino da allora un esempio di quella che poi fu detta lavorazione in massa.

Mentre il consumo della pasta si diffondeva, le macchine che servivano a produrla venivano a poco a poco perfezionate. Il pastificio Buitoni di Sansepolcro, fondato nel 1827, risulta il pastificio meccanico più antico d'Italia e quindi del mondo. R. Rovetta riferisce di aver veduto a Vasto due torchi accoppiati, di costruzione relativamente buona, che a detta dei proprietarî risalivano al 1830-40. Verso il 1870 la ditta C. e T. Pattison di Napoli costruì i primi torchi idraulici e press'a poco nella stessa epoca furono introdotte le gramole di tipo moderno e le impastatrici meccaniche. Il primo apparecchio per l'essiccazione artificiale fu la giostra, adottata nel Friuli. Dal 1875 in poi l'essiccazione artificiale formò oggetto di numerosi brevetti. Nel 1889 F. De Cecco fece un impianto di essiccazione per mezzo dell'aria calda nel proprio pastificio di Fara S. Martino (prov. di Chieti); nel 1896 l'italiano G. Aloatti ne fece un altro nel pastificio Yberty di Clermont-Ferrand; infine, nel 1898 V. Tommasini prese il suo primo brevetto. Dopo il 1900 gl'impianti di essiccazione artificiale furono perfezionati e si diffusero largamente.

A poco a poco, accanto ai piccoli pastifici erano sorti grandi stabilimenti, il cui sviluppo non si arrestò neanche quando le reti di distribuzione di energia elettrica misero a disposizione della piccola industria una forza motrice a buon mercato.

La pasta divenne così una vivanda economica che - analogamente a quelle in scatola - ha bisogno soltanto di una facile e breve cottura per essere portata in tavola. Per gl'Italiani del Mezzogiorno, della Liguria e di qualche altra regione italiana, essa già nel sec. XIX aveva finito per costituire la pietanza principale di uno dei due pasti della giornata; sebbene per molto tempo i contadini meridionali la considerassero quasi come un cibo di lusso, appunto perché si trattava di un prodotto industriale che doveva essere comprato a contanti. Nella maggior parte dell'Italia settentrionale il suo consumo non si diffuse che negli ultimi decennî del secolo. Ormai esso è generale fra le classi meno agiate di tutta Italia; si va riducendo invece fra le classi ricche.

Nella Svizzera, l'industria delle paste alimentari risale al 1830, ma si sviluppò dopo il 1870. Anche in Francia e nella Spagna essa è relativamente antica e già prima della guerra mondiale alimentava una notevole esportazione. A poco a poco, aiutata dalla domanda degli emigrati italiani, essa si sviluppò in Germania, in Inghilterra, e in molti altri paesi, e specialmente negli Stati Uniti.

Classificazione e formati. - Le paste alimentari vengono classificate secondo la composizione e il formato. Si distinguono così le paste comuni, prodotte meccanicamente e fatte soltanto di semolino (o di farina) impastato con acqua, le paste glutinate, le paste all'uovo, i tortellini, i ravioli, ecc. La distinzione fra paste comuni e paste speciali non è netta: secondo alcuni, queste ultime comprendono soltanto le paste nella cui composizione entrano ingredienti diversi dal semolino e dalla farina; secondo altri, anche certe paste di solo semolino o farina, ma di formati non ordinarî, o anche di formati ordinarî, ma di lavorazione particolarmente curata.

I formati delle paste sono numerosissimi: quelli correnti sono una cinquantina ma, secondo R. Rovetta, complessivamente se ne contano forse più di 600. I formati delle paste tagliate sono di gran lunga più numerosi di quelli delle paste lunghe. Parecchi di questi formati sono indicati con nomi diversi da regione a regione d'Italia.

Le paste comuni si dividono in lunghe e tagliate. Le paste lunghe (lungh. m. 1,00-1,70, ma ripiegate a metà: fig. 1) possono avere forma di tubo (diam. esterno 2-7 mm., spessore 1-2 mm.), come gli ziti, i maccheroni, ecc.; oppure di filo (diam.1-2 mm.), come gli spaghetti, i vermicelli, i capellini; di nastri lisci (largh. 2-8 mm.), come le fettucce, le tagliatelle, le linguine; di nastri ondulati da una parte (larghezza fino a 20 mm.), come le lasagne, e anche da tutte e due le parti, come le ricce; di tubi avvolti a elica, come i fusilli. Taluni formati di paste lunghe (capellini, fidelini, fettucce, ecc.) talvolta sono avvolti a matassa.

Le paste tagliate (fig. 2) possono avere forma di tubi lisci o rigati (diam. esterno 2-18 mm., spessore1-2 mm.) tagliati normalmente all'asse e di lunghezza diversa (2-35 mm.), come i ditali, i rigatoni, ecc.; oppure di conchiglie, di anelli, di stelle, di rombi, di crocette, di lettere dell'alfabeto, ecc. Talvolta i tubi sono tagliati obliquamente all'asse, come i maltagliati, le penne, ecc.; in altri casi si fanno di sezione diversa dalla circolare.

Fra le paste di formato diverso c'è una forte differenza di gusto, anche quando sono fabbricate con la stessa pasta dallo stesso pastificio; sicché ciascun consumatore abituale preferisce determinati formati. Tale differenza si spiega principalmente col fatto che, da formato a formato, varia fortemente il rapporto fra la superficie e il peso della pasta e, per conseguenza, anche la distribuzione del condimento. Però, anche quando la pasta non è condita, gli esperti notano sensibili differenze di gusto, le quali si possono spiegare tenendo presente che a un diverso grado di cottura corrisponde un sapore diverso e che la pasta più vicina alla superficie è cotta più di quella interna. Può anche darsi che il sapore degli strati superficiali della pasta sia modificato da fermentazioni incipienti, ecc.

Le paste glutinate sono quelle il cui tenore in glutine è stato elevato mediante aggiunta di questa sostanza. Si producono generalmente nei formati più piccoli di paste tagliate; ma anche come paste lunghe, soprattutto per applicazioni dieto-terapeutiche (diabete, gotta).

Le paste all'uovo (fig. 3) sono prodotte soltanto in quei formati che si possono ricavare da una sfoglia, sia tagliandola, come le tagliatelle, le fettuccine, ecc., sia tagliandola e piegandola, come le farfalle, sia tagliandola e stampandola.

Caratteri della pasta. - La pasta di buona qualità contiene il 12-13% di umidità; è dura e fragile, con frattura quasi vetrosa; ha odore e sapore gradevole, non acido, e colore uniforme. Il suo colore naturale è il paglierino-chiaro; solo quando è colorata artificialmente è giallo-chiara. La pasta di farina, della qualità inferiore detta nostrana, è relativamente scura.

Fabbricazione industriale. - Il processo di lavorazione che si compie nel pastificio comprende quattro fasi: 1. impastamento; 2. gramolatura e raffinazione; 3. formatura; 4. essiccazione.

Materie prime. - Le buone paste dell'Italia meridionale sono fabbricate soltanto con semolino di grano duro. Però, mentre un tempo, insieme con i grani duri di produzione locale, si usava il Taganrog russo e questo entrava per una forte percentuale nelle migliori paste (fino al 50% in quelle di Termini Imerese), dopo la guerra mondiale si è data la preferenza ai grani duri e semiduri nazionali - compreso fra i primi il Taganrog coltivato in Italia - e al grano duro russo si sono sostituiti quelli dell'America Settentrionale (Hard Winter, Durum, Manitoba). Nell'Italia settentrionale e nella Svizzera si usano generalmente miscele del 40-20% di grano duro col 60-80% di granito di grano tenero; qualche pastificio dell'Italia centrale e della settentrionale, però, produce anche pasta di solo semolino di grano duro. Le paste a buon mercato sono fatte di sola farina, di grano duro nell'Italia meridionale, di grano tenero nella settentrionale. Alcune contengono il 5-10% di semolino di granturco bianco, ma questa miscela, per legge, deve essere resa nota al consumatore mediante scritte ben visibili.

In Germania e in Austria si usano miscele del 10% di semolino di grano duro col 90% di granito di grano tenero; nella Francia meridionale si preferisce una miscela del 75% di semolino di grano duro algerino con il 25% di granito di grano tenero. Qualche fabbricante spagnolo usa il 50% di fecola di patata.

Si usano sfarinati diversi del semolino di grano duro non solo per ragioni economiche, ma anche perché alcune miscele dànno paste che si prestano meglio a essere cucinate in determinati modi. Per es., mentre per la pasta asciutta dell'Italia meridionale sono preferite le paste di semolino ricco di glutine, che resistono 20-25 minuti alla cottura, per le minestre in brodo dell'Italia settentrionale sono preferite le paste amidacee, che si spappolano un poco, e nella Francia centrale quelle che cuociono in soli 5 minuti.

Il semolino e la farina s'impastano con acqua potabile, non salata e, per quanto è possibile, esente da sali di magnesio.

Talvolta la pasta viene colorata artificialmente in giallo. Un tempo si usavano lo zafferano e la curcuma; ora si usa il giallo Naphtol S, meno costoso, e che essendo molto solubile, viene in parte eliminato con l'acqua nella quale si cuoce la pasta.

Tutto questo vale per le paste comuni; per quelle speciali v. oltre.

Ripasso degli sfarinati. - Talvolta gli sfarinati che arrivano ai pastifici contengono impurità: grumi formatisi per infiltrazione di umidità nei sacchi, fili di sacco, piccole schegge di legno, ecc. Per liberarli da queste impurità essi vengono ripassati, nei piccoli pastifici con crivelli a mano, nei grandi con macchine apposite simili alle pulitrici da grano.

Impastamento. - Si compie nell'impastatrice (fig. 4) che è simile all'impastatrice da pane, ma costruita in modo da ridurre al minimo l'aerazione della pasta e da rendere facile la pulizia.

La quantità di acqua che entra nell'impasto varia dal 18 al 30%, secondo la composizione della miscela di sfarinati.

L'impastamento si può compiere a freddo, e cioè con acqua a 15-25°, oppure a caldo e cioè con acqua a 40-100°. I due metodi presentano notevoli differenze. Entro i limiti dell'uno o dell'altro, la temperatura viene scelta in relazione alla qualità degli sfarinati e alla necessità che l'essiccazione si compia senza che si sviluppi la fermentazione: è per questa ragione che essa varia entro limiti tanto ampî. L'impasto a freddo è quello classico della Sicilia, della Liguria e degli Abruzzi; l'impasto a caldo, del Napoletano.

I principali vantaggi dell'impasto a caldo dipendono dal fatto che il glutine si rammollisce meglio, fornendo in minor tempo e con minor lavoro un pastone omogeneo, dal quale poi si ottiene una pasta di bell'aspetto, trasparente e di colore paglierino. Siccome l'impastamento e la gramolatura si compiono più rapidamente, con lo stesso macchinario si ottiene una produzione anche doppia di quella che si ha con l'impasto a freddo e si realizza un'economia nel costo di lavorazione che arriva al 50% nel caso dell'impasto ad acqua bollente. Inoltre, a temperatura superiore ai 60° vengono uccisi i tarli, che talvolta si trovano negli sfarinati provenienti da grani vecchi e avariati. A questi vantaggi si contrappone il fatto che l'impastamento a caldo crea condizioni molto più propizie per lo sviluppo della fermentazione della pasta; sicché l'essiccazione naturale richiede una cura molto maggiore e una notevole abilità. E siccome non si può evitare che la fermentazione s'inizî, la pasta ad acqua calda ha un leggerissimo sapore acido, che la distingue da quella ad acqua fredda. Quest'ultima, inoltre, resiste meglio alla cottura. Per queste ragioni, i consumatori abituati alla pasta ad acqua fredda le dimostrano una preferenza che costituisce un serio ostacolo all'introduzione del metodo ad acqua calda, il quale, però, continua a diffondersi per i vantaggi economici che offre. Nell'impasto della pasta comune non entra il sale da cucina; ma, dove le condizioni sono sfavorevoli a una buona essiccazione, talvolta vi si mescola del metabisolfito di potassio oppure altri antifermentativi, ai quali taluni aggiungono poco sale da cucina.

L'impastamento dura da 5 a 20 minuti, secondo che l'impasto è molle o duro, a caldo o a freddo. Se dura di meno, i granuli di sfarinato restano disgregati e la pasta si rompe durante la formatura (a questo inconveniente, però, si può rimediare nella gramolatura); se dura di più, la pasta, dopo essiccata, si rompe facilmente e questo difetto è irrimediabile.

Gramolatura. - Quest'operazione serve a completare l'impastamento; con essa si esercita sul pastone una pressione che fa unire fra loro i granuli di semolino o di farina e, così, lo rende più omogeneo. Un tempo si compiva con la gramola a stanga formata da una tavola di legno, ben levigata, sulla quale si collocava il pastone che poi si comprimeva ripetutamente con la stanga, voltandolo e rivoltandolo. La stanga era anch'essa di legno e, aveva sezione triangolare, col vertice in basso; una delle sue estremità poteva girare intorno a un fulcro fisso e, a poca distanza da questo, essa era sospesa, per mezzo di corde, all'estremità di un palo elastico fissato al muro. Gli operai si disponevano sulla stanga e le imprimevano il moto, alzandosi e abbassandosi, aiutati dall'elasticità della sospensione.

Fra le gramole moderne, la gramola a coltelli è quella che riproduce più fedelmente il modo di funzionare della gramola a stanga. Essa è costituita da una tavola circolare, di legno, che ruota intorno al proprio asse, e da coltelli in legno, disposti secondo uno dei diametri, i quali si abbassano e si alzano, comprimendo il pastone steso sopra la tavola. Mentre i coltelli sono alzati, la tavola si sposta di un certo angolo, rimanendo ferma quando essi si abbassano. Ogni tanto si solleva il lembo periferico del pastone e lo si rivolta verso il centro della tavola, finché esso è stato ben lavorato in tutti i suoi punti.

La gramola a banco scorrevole è costituita da una tavola di legno oppure metallica, sulla quale si colloca il pastone e che si muove di moto alternativo, mentre un rullo scanalato, disposto superiormente e trasversalmente a essa, esercita sul pastone una pressione intermittente, simile a quella che si ha nella gramola a stanga.

La gramola a rulli conici (fig. 5) è costituita da una vasca circolare, che ruota continuamente intorno al proprio asse, e da due rulli conici, scanalati e folli, che ruotano su supporti fissati all'incastellatura. Questi rulli possono essere spostati verticalmente: il movimento è comandato a mano, per mezzo di volantini. In certe macchine i due portarulli sono solidali; in altre, l'uno può essere spostato indipendentemente dall'altro sicché è possibile mantenere una pressione costante su un pastone di spessore disuguale. A mano a mano che la gramolatura procede, si abbassano i rulli sul pastone, finché esso è ridotto a un anello piatto: allora lo si taglia a settori e se ne rivolta la parte centrale verso la periferia. In molte macchine quest'operazione si compie automaticamente, per mezzo del voltapasta (fig. 7) che ha la forma di un vomere ed è fissato ai portarulli, oppure all'incastellatura.

La gramola a molazza (fig. 6) è costituita da una vasca rotante, come quella della gramola a rulli, e da una molazza cilindrica, che esercita la pressione sul pastone. A differenza di tutte le altre gramole, in questa il pastone subisce una pressione continua, perché la molazza non è scanalata. Inoltre, tutti i punti della molazza situati lungo una generatrice si muovono con la stessa velocità, mentre i corrispondenti punti della vasca si muovono con velocità crescente dal centro verso la periferia; perciò la pasta subisce uno stiramento, che la rende biancastra e di rapida cottura.

La gramola maggiormente usata è quella a rulli. La gramola a coltelli è usata specialmente nel Napoletano e con ottimi risultati, per impasti a caldo; la gramola a molazza si usa in Liguria e in qualche zona del Veneto, ma tende a scomparire; la gramola a banco scorrevole è usata raramente, soprattutto per piccole produzioni.

La gramolatura si compie in 10-15 minuti. Il pastone dev'essere rivoltato spesso anche perché, raffreddandosi - specialmente se è stato impastato a caldo - non formi croste superficiali. Se l'operazione è condotta male si ottiene una pasta che facilmente si rompe. In certi casi le gramole sono riscaldate durante la lavorazione.

Raffinazione. - Quest'operazione (che nella lavorazione della pasta comune generalmente non si esegue) consiste nel laminare il pastone, dopo la gramolatura, attraverso due rulli lisci, in modo da renderlo più omogeneo e da ottenere pasta dalla superficie ben liscia. La raffinatrice o laminatoio serve anche per tirare quei fogli sottili di pasta, dai quali poi si ritagliano le paste speciali. Essa è costituita (fig. 7) da un'incastellatura che porta i due rulli metallici, rotanti, montati l'uno al disopra dell'altro, e due tavole scorrevoli, sulle quali poggia la pasta che viene tirata fra i due rulli. Questi possono essere spostati verticalmente e vengono avvicinati man mano che la laminazione procede. Quando si devono tirare fogli molto sottili, i rulli sono muniti di coltelli raschiatori, che impediscono alla pasta di aderirvi. In alcune rallinatrici la tavola è una sola e la pasta, dopo essere stata laminata fra i cilindri, viene riportata davanti a essi da una tela continua.

Formatura. - La formatura delle paste comuni si esegue forzando il pastone a passare attraverso una trafila, in modo da ottenere, secondo la sezione dei fori di questa, fili, tubi oppure nastri, che poi vengono tagliati. L'operazione si compie in un torchio a vite, oppure in un torchio idraulico. Questi differiscono dagli altri torchi principalmente per il vaso, o campana, entro il quale un piatto o pestello, che porta una guarnizione elastica, comprime il pastone sulla trafila. I torchi sono verticali oppure orizzontali. Questi ultimi servono per la produzione di pasta tagliata e perciò, immediatamente fuori della trafila, portano un coltello rotante a una, due o tre lame, che taglia la pasta alla sua uscita. La rotazione del coltello è continua se la pasta deve avere piccola lunghezza; intermittente nedi altri casi. I maltagliati e le penne sono tagliati obliquamente con macchine speciali dette tagliapenne (fig. 7). Fuorché i più piccoli, i torchi sono dotati di due campane, girevoli intorno a una delle colonne sicché, mentre nella prima si trafila la pasta, si può caricare un nuovo pastone nella seconda campana, comprimendolo leggermente (per distribuirlo uniformemente su tutta la sezione di trafilatura) per mezzo di un piccolo pestello, detto calcapasta, montato sull'incastellatura. Le trafile generalmente sono fissate alle campane; per estrarle senza danneggiarle, si usano preferibilmente arganelli a ingranaggi, oppure idraulici. In qualche torchio, invece, la trafila viene montata sopra una traversa fissata all'incastellatura e le campane vengono portate sopra di essa dopo essere state caricate. Il torchio è provvisto di un fondo mobile che, manovrando un volantino, si dispone al disotto della campana quando vi si carica il pastone; poi, premendolo col calcapasta, si fa aderire il pastone alle pareti della campana, quanto basta perché non cada mentre la si porta nella posizione di trafilatura. In qualche torchio a trafila fissa, invece, la campana si carica dal disotto; ma questa disposizione è meno comoda. Durante la trafilatura, la tenuta fra la campana e la piattaforma che porta la trafila viene assicurata da piccoli stantuffi o da altri meccanismi che le comprimono l'una contro l'altra; a torchiatura finita, gli stessi meccanismi, oppure altri simili sollevano un poco la campana, disimpegnandola e permettendo di portarla senza grandi sforzi nella posizione di caricamento. In molti torchi sia le trafile sia le campane possono essere riscaldate con vapore oppure con acqua calda. Il riscaldamento facilita la torchiatura della pasta ed è necessario per i formati fini; però un riscaldamento eccessivo nuoce alla qualità della pasta.

Nei torchi a vite (fig. 8) il moto è trasmesso per mezzo d'ingranaggi e il pestello è spinto e tirato indietro dalla vite di pressione, sulla quale esso è folle, perché non giri con essa mentre comprime il pastone. In alcuni torchi la vite ha due - e anche tre - diverse velocità di avanzamento: la più piccola serve per gl'impasti duri e i formati difficili, la più grande per gl'impasti molli e i formati facili.

Nei torchi idraulici (detti generalmente presse idrauliche, figg. 9 e 10) l'avanzamento del pestello è comandato da uno stantuffo sul quale si esercita la pressione dell'acqua; il ritorno da contrappesi, oppure da uno stantuffo differenziale, oppure da pistoni indipendenti. L'acqua sotto pressione è fornita da pompe, direttamente oppure per mezzo di accumulatori: in quest'ultimo caso essa esercita sullo stantuffo una pressione costante. A differenza del torchio a vite, nel torchio idraulico la velocità del pestello varia automaticamente secondo la resistenza del pistone, cioè diminuisce se la resistenza cresce e viceversa.

I torchi idraulici presentano motevoli vantaggi rispetto a quelli a vite. Anzitutto, a pari capacità di campana dànno una produzione all'incirca doppia e, per conseguenza, sebbene le spese d'impianto siano maggiori, con essi il costo di lavorazione della pasta risulta più basso. Inoltre sono meno complicati. Per queste ragioni essi vanno sostituendo i torchi a vite, fuorché nei piccoli pastifici e per gl'impasti duri e per le pastine minute, che richiedono una torchiatura lentissima.

Le trafile (figg. 11 e 13) sono costruite in materiali inattaccabili dagli acidi che si formano nella fermentazione della pasta: rame, bronzo rosso, bronzo al manganese, ecc. I fori delle trafile per paste bucate portano un'anima riportata. Per paste lunghe sottili, che richiedono forti pressioni, si usano anche trafile di piccolo spessore (5-15 mm.) che si montano su appoggi d'acciaio. Si costruiscono anche trafile con fori di breve lunghezza, che verso l'interno della campana si allargano in una camera: con queste trafile la torchiatura richiede una pressione minore. Per pasta bucata di grossi formati sono state create anche trafile senz'anima riportata. In certi casi, immediatamente al disopra della trafila, all'interno della campana, si dispone un disco di tela d'acciaio, per trattenere quei grumi e quelle altre impurità che eventualmente si trovassero nel pastone. I fori della trafila ordinariamente hanno dimensioni del 10% maggiori di quelle che deve avere la pasta secca, per compensare il ritiro che si ha nell'essiccazione. Ordinariamente, la somma delle sezioni dei fori di una trafila è eguale a 1/20 di quella del pestello; per conseguenza, la velocità di uscita della pasta (che, p. es., deve essere di 10-25 mm. al secondo per un impasto semiduro a caldo) è eguale a 20 volte quella del pestello. Le trafile spesso vengono pulite a mano, con le chiavette o altri simili utensili; siccome, però, in tal modo i fori finiscono con l'essere guastati, alcuni usano apparecchi speciali detti nettaforme o lavatrafile (fig. 12) nei quali la trafila è sottoposta a getti d'acqua sotto pressione, mentre viene fatta ruotare intorno al proprio asse.

Se il torchio non è dotato di dispositivi per il riscalmento a vapore o ad acqua, la trafila può essere riscaldata a bagnomaria, in apparecchi detti scaldatrafile.

Per evitare le fermentazioni, la pasta non deve restare troppo nel torchio: quella ad acqua bollente, per esempio, va torchiata in non più di 20 minuti. Se la pasta è fermentata vi si osservano numerose bollicine d'aria.

Stendaggio. - All'uscita dal torchio. la pasta lunga viene disposta su canne lunghe m. 1,80-2,50, che si collocano l'una accanto all'altra su appositi stenditoi. Quest'operazione si compie a mano, oppure per mezzo di speciali apparecchi semiautomatici. La pasta tagliata, invece, viene disposta su telai. Secondo l'uso francese, la pasta - sia lunga sia tagliata - si dispone su cartoni, oppure in speciali cassette.

Macchine continue. - Le attuali macchine per la fabbricazione della pasta sono tutte a lavoro discontinuo. La loro sostituzione con macchine continue consentirebbe di realizzare notevoli vantaggi, sia igienici sia economici, con l'impianto di pastifici automatici. Finora, però, sono stati costruiti soltanto dei torchi continui, nei quali la pressione sul pastone viene esercitata per mezzo di una vite di Archimede. Per evitare le gravi difficoltà che si oppongono alla creazione di gramole continue, il Rovetta propose di sostituire la gramolatura con una doppia trafilatura, che avrebbe effetti analoghi.

Essiccazione. - La pasta, dopo uscita dal torchio, deve essere essiccata al più presto possibile, per evitare che inacidisca o ammuffisca. L'inacidimento è l'effetto della fermentazione panaria (v. pane), che talvolta si inizia durante la lavorazione (se questa è male curata, oppure si svolge troppo lentamente), ed è favorita dalle temperature al disopra dei 20°, sicché procede più rapidamente nella pasta impastata a caldo. Una volta iniziata, può essere arrestata con l'essiccazione; ma non è possibile mascherarne gli effetti. A temperature inferiori ai 16°, invece, si sviluppano facilmente le muffe.

L'essiccazione va condotta con speciali cautele, senza le quali tutte le buone qualità della pasta possono andare distrutte. Così, p. es., se la ventilazione è troppo energica o troppo prolungata, la pasta si spacca, se invece è insufficiente la pasta fermenta o ammuffisce, secondo che l'aria è calda o fredda; e se si riscalda troppo senza ventilare sufficientemente, la pasta diventa friabile e si spappola nella cottura.

L'essiccazione può essere naturale oppure artificiale. Il metodo classico di essiccazione naturale si divide in tre fasi: 1. incartamento; 2. rinvenimento; 3. essiccazione definitiva. E cioè, appena la pasta è uscita dai torchi, se ne asciuga rapidamente la superficie: tale essiccazione superficiale è detta incartamento; poi la si trasporta in un locale umido e più freddo di quello d'incartamento lasciandovela in riposo per circa 12 ore; in tal modo parte dell'umidità rimasta nell'interno viene alla superficie: è questo il rinvenimento; infine, si trasporta la pasta in altri locali chiusi, ma non umidi come quelli di rinvenimento, e la si lascia in riposo per alcuni giorni (8 in estate, fino a 20-30 in inverno) finché non la si giudica abbastanza asciutta per arrivare in perfette condizioni sui mercati cui è destinata e conservarsi fino al momento del consumo: e questa appunto è l'essiccazione definitiva.

In tutte e tre le fasi dell'essiccazione, la pasta lunga è disposta sulle canne e quella tagliata sui telai dei quali si è fatto cenno; i Napoletani, però, incartano la pasta tagliata su tende stese a terra e la fanno rinvenire in sacchi. Nel rinvenimento e nell'essiccazione definitiva, canne e telai si dispongono in diversi strati sovrapposti. In Francia e in Spagna si essicca la pasta lunga fra due cartoni che, alla loro volta, si dispongono su scaffali.

L'incartamento si compie all'aria aperta o, meglio ancora, al sole, evitando però le forti correnti d'aria. Per il rinvenimento si preferiscono i sotterranei, di altezza non superiore a m. 2-2,50; in ogni modo, esso si deve compiere a temperatura di almeno 15° al disotto di quella dell'incartamento. La pasta viene disposta nella parte più bassa del locale, lasciando fra di essa quanto meno spazio è possibile, in modo da rendere difficile la circolazione dell'aria. L'asciugamento definitivo si compie in camere situate nei piani superiori del pastificio, provviste di finestre dalle quali può entrare l'aria esterna e alte m. 4, se la pasta è disposta in due strati, m. 4,60 se in tre strati e così via. La pasta viene disposta nella parte più alta della camera, riparandola con tende in modo da evitare che le correnti d'aria la colpiscano direttamente; quella di formato sottile e quella a impasto molle si colloca verso il centro. È preferibile che l'aria sia umida nei primi giorni, asciutta negli ultimi: i Napoletani sfruttano a questo scopo i cambiamenti nell'umidità dell'aria,che si hanno quando cambia il vento: p. es., tengono aperte le finestre durante le ore nelle quali spira la tramontana e le chiudono quando il vento volge allo scirocco.

L'essiccazione col metodo sopra descritto richiede ampî piazzali e grandi fabbricati. In alcune piazze dell'Italia meridionale esistono ancora piccoli pastifici che eseguono soltanto l'incartamento, su canne stese sulla porta, e mettono in commercio pasta fresca il cui uso, però, tende a scomparire. Molti pastifici dell'Italia settentrionale e dell'estero non seguono il metodo classico, ma sottopongono la pasta a un'essiccazione continua, senza rinvenimento, ottenendo una pasta fragile e che si spappola nella cottura.

Il più antico apparecchio per l'essiccazione artificiale, la giostra, non serviva che ad accelerare l'asciugamento, per mezzo del moto relativo dell'aria ferma rispetto alla pasta. Consisteva in una gabbia a pianta poligonale, in ferro e legno, che girava intorno al proprio asse e sulla quale si disponevano le canne o i telai carichi di pasta. Talvolta l'ambiente veniva riscaldato.

Il sistema Tommasini, il più vecchio fra i moderni, riprodusse il metodo classico, accelerandone la prima e l'ultima fase per mezzo dell'agitazione dell'aria. Secondo questo sistema, l'incartamento si compie alla temperatura di 30-35° (e anche a temperatura inferiore, se l'aria è asciutta) in cassoni (fig. 14) entro i quali la pasta lunga viene disposta su canne, quella tagliata entro cassetti: esso dura da 1/2 a 1 ora secondo i formati della pasta e l'umidità dell'aria. Nelle camere di essiccazione definitiva (fig. 15) la ventilazione è regolata in modo che ogni 4-6 ore si alternano delle fasi di leggiero incartamento e di leggiero rinvenimento. Per la pasta tagliata talvolta si usano cassoni simili a quelli che servono per l'incartamento. L'essiccazione definitiva della pasta lunga dura 3-6 giorni; per la pasta tagliata possono bastare 24 ore. L'aria è agitata da agitatori elicoidali. Col sistema Tommasini occorrono locali meno ampî che non col metodo classico, ma non è minore il dispendio di mano d'opera per trasportare la pasta dai cassoni d'incartamento alle camere di rinvenimento e da questi alle camere (o ai cassoni) di essiccazione definitiva.

Per eliminare questi trasporti, R. Rovetta nel 1903 e G. Falchi fra il 1907 e il 1912 brevettarono metodi che avevano in comune il principio di eseguire le diverse fasi dell'essiccazione in un ambiente chiuso, nel quale le condizioni dell'aria venivano convenientemente modificate man mano che l'essiccazione procedeva. Il Falchi sottoponeva la pasta a una serie di brevi incartamenti alternati a brevi rinvenimenti (evitando la formazione di una crosta dura) con lo spostare la direzione della corrente d'aria in modo che la pasta per un certo periodo fosse soggetta all'azione della corrente e per un altro si trovasse in aria ferma. Nei primi apparecchi Falchi il ventilatore era fisso e la pasta, disposta su carrelli, si muoveva traversando ripetutamente la corrente d'aria; negli ultimi, invece, il ventilatore ruotava e la pasta rimaneva ferma. Nel sistema TR di R. Rovetta lo spostamento della corrente d'aria era realizzato facendo muovere il ventilatore su guide longitudinali disposte nelle camere di essiccazione.

La figura 16 mostra un cassone-armadio a celle con ventilatore centrale: le celle sono alternativamente aperte e chiuse alla corrente, come nel sistema Falchi.

Invece l'essiccatoio automatico Marelli per pasta tagliata è un essiccatoio a tele continue, nel quale la pasta fresca viene caricata dall'alto, per mezzo di una tramoggia, e, trasportata dalle tele, scende allo scarico, rimescolandosi, mentre una corrente d'aria a 35° circola in senso opposto, lambendolo. È specialmente adatto per grandi produzioni.

In Francia, le paste tagliate dei formati più piccoli si asciugano in poche ore, in macchine simili a buratti da farina, riscaldate internamente per mezzo di tubi nei quali circola vapore e munite di un tubo per l'aspirazione dell'aria carica di umidità. Il rimescolamento della pasta che si compie nelle macchine di questo tipo fa sì ehe se ne eliminino le sbavature e la sua superficie riesca levigata o, come si dice, brillata. Taluni pastifici usano macchine simili, ma prive dei tubi di riscaldamento, per brillare la pasta dei formati fini dopo averla essiccata.

Rientra nell'essiccazione la preventilazione, la quale consiste nel mandare sulla pasta che esce dal torchio, per mezzo di un ventilatore, una corrente d'aria presa dall'ambiente stesso e perciò non troppo secca. Così si ottiene un leggiero incartamento, grazie al quale la pasta conserva meglio la propria forma nelle successive operazioni di essiccazione.

Per rendere la fabbricazione della pasta completamente indipendente dalle condizioni atmosferiche esterne, è stato proposto di far circolare nei pastifici aria della quale si mantengono costanti la temperatura e il grado di umidità per mezzo di appositi impianti di condizionamento.

Fabbricazione della pasta glutinata. - Questa pasta si prepara aggiungendo al semolino di grano duro del glutine o aleurone (v.), il quale si estrae dal semolino lavandolo con acqua fredda, che trascina con sé l'amido che accompagna il glutine. L'operazione si compie in vasche munite di agitatori. L'amido si ricupera per decantazione dall'acqua che esce da questi apparecchi.

Per legge le paste glutinate devono contenere il 25% di glutine. Per la fabbricazione di alcune pastine glutinate (ad es., di quelle ottenute col sistema Buitoni) si trae partito da tutto il complesso proteico del frumento e quindi anche dai materiali, di alto valore biologico e alimentare, costituenti il "germe" di esso.

Fabbricazione delle paste iperglutinate e iperproteiche. - Questi tipi di pasta, esclusivamente fabbricati per l'alimentazione dei diabetici, contengono rispettivamente il 35 e il 50% di proteine. Si ottengono aggiungendo glutine e nel caso della pasta iperproteica anche altre proteine vegetali.

Fabbricazione della pasta alla verdura. - Si fa aggiungendo alla pasta all'uovo verdure (barbabietole, spinaci, ecc.), trattate con procedimenti speciali.

Fabbricazione della pasta integrale. - Questo tipo di pasta si fabbrica utilizzando semolini "integrali" provenienti da molitura speciale, pet la quale si ottiene la rottura delle membrane cellulari dell'assise proteica della cariosside del frumento.

Fabbricazione delle paste all'uovo. - Le paste all'uovo sono fabbricate con miscele dei migliori sfarinati, ai quali si aggiungono sostanze coloranti e uova da pasticceria in proporzioni variabili (p. es., un tuorlo d'uovo per ogni chilogrammo di sfarinati). La loro lavorazione segue, più che quella della pasta comune, i metodi di lavorazione della pasta casalinga; però, ad eccezione delle più piccole fabbriche, ormai la si compie in gran parte a macchina. Dopo l'impastamento e la gramolatura, si lamina il pastone o, come si dice, lo si tira a sfoglia in una raffinatrice. La sfoglia poi si taglia, si piega e si stampa con speciali utensili oppure con macchine speciali (figg. 17, 18, 19, 20, 21 e 22). I formati che si ottengono sono illustrati alla fig. 3.

Produzione e commercio. - L'industria della pasta alimentare è molto sviluppata in Italia. Il censimento del 1927 rilevò 2757 pastifici, che impiegavano 22.991 persone. Insieme con i piccoli, esistono molti grandi pastifici, con produzione giornaliera di 100-300 quintali. Si calcola che i capitali investiti nell'industria sommino a 400 milioni di lire. I maggiori centri di produzione di pasta comune sono quelli del Napoletano (Torre Annunziata, Gragnano, Salerno, ecc.), ma anche le altre regioni, il Lazio, la Toscana, la Lombardia posseggono centri importanti: in Toscana, a Sansepolcro si trova il maggiore centro di fabbricazione di paste speciali, particolarmente di paste e pastine glutinate. Si calcola che la produzione italiana sia di 8 milioni di quintali all'anno, formata per due terzi da paste comuni e, fra queste, principalmente da paste di prima qualità. La produzione delle paste speciali si è sviluppata notevolmente dopo la guerra mondiale.

L'esportazione, che nel 1913 fu di 710.000 q., dei quali 450.000 negli Stati Uniti, si è fortemente ridotta in seguito allo sviluppo dell'industria nei mercati di consumo. Nel triennio 1931-33 è stata in media di 111.564 q. di cui un terzo circa diviso fra la Gran Bretagna e la Svizzera.

Fino all'inizio della guerra mondiale, l'industria nordamericana delle paste alimentari ebbe un carattere prevalentemente casalingo; ma da allora a causa della difficoltà degli approvvigionamenti con l'estero essa si stabilì su basi industriali sviluppandosi rapidamente fino all'inizio della crisi. Nel 1931 si contavano negli Stati Uniti più di 300 stabilimenti addetti alla produzione di paste alimentari, raggruppati specialmente negli stati di New York, California e Illinois. Le importazioni degli Stati Uniti hanno subito una progressiva contrazione, fino a lasciarsi leggermente superare dalle esportazioni negli ultimi anni. I prodotti importati provengono quasi totalmente dall'Italia; quelli esportati si dirigono al Canada e agli stati dell'America Centrale.

Bibl.: R. Rovetta, Industria del pastificio, 3ª ed., Milano 1929.