PAVIMENTO

Enciclopedia Italiana (1935)

PAVIMENTO (dal lat. pavimentum; fr. plancher, pavé; sp. piso, pavimento; ted. Fussboden; ingl. floor, pavement)

Luigi Crema

Si chiama pavimento qualunque rivestimento stabile fatto sul suolo allo scopo di ottenere una superficie piana e resistente all'usura.

Il pavimento più antico e primitivo è dato da uno strato di terra battuta; sistema che vige ancora ad es. nelle abitazioni modeste dell'oriente.

Questo sistema si è trovato applicato nelle abitazioni dell'antico Egitto, in cui doveva farsi largo uso di stuoie e tappeti. Nei palazzi, che non erano destinati ad avere lunga durata, e nei quali si entrava a piedi nudi, sul suolo battuto, ricoperto talvolta di mattoni crudi, si stendeva uno spesso strato di stucco; su questo, come sulle pareti, erano dipinti a vivi colori animali, piante, ecc. (palazzo di Amenhótpe III a Medinet Habu, palazzo di Amenhótpe IV a Tell el-Amārna). I templi invece, da quando furono edificati in modo da avere una durata indefinita, ebbero pavimenti formati con grandi lastre di pietra, poste sul suolo spianato e legate con cemento. Questi pavimenti, a partire dalla quarta dinastia, si estendono a tutti gli ambienti, anzi formano una superficie continua che sostiene anche muri, pilastri e colonne. In corrispondenza di queste le lastre sono appena sgrossate, mentre sono accuratamente levigate per il resto. Nei templi più antichi, in corrispondenza dei pilastri, vi è un incavo; sotto le colonne, invece, dalle lastre di sostegno sporge come una base cilindrica; questa disposizione non è però costante. Lo stesso tipo di pavimento si trova nelle tombe. La forma e le dimensioni delle lastre sono molto variabili; esse sono dapprima molto irregolari, sebbene a giunti dritti e precisi; solo a partire dall'epoca tolemaica si hanno grandi lastre rettangolari, però sempre di forma non perfetta.

I materiali sono, come per le altre parti degli edifici, il granito, il calcare, l'arenaria, oppure pietre più dure, come il basalto, o più pregiate, come l'alabastro. Nelle parti più sacre dei templi le lastre potevano essere rivestite di una lamina d'argento o d'oro: così in un punto della sala ipostila di Karnak.

Nei palazzi caldeo-assiri il suolo era per lo più coperto d'argilla battuta, che del resto doveva rimaner nascosta sotto le stuoie e i tappeti, come ancora oggi in Oriente; ma abbastanza spesso vi era spalmato sopra uno strato di bitume su cui poggiava un pavimento in quadri di terracotta. Si hanno esempî di due di tali pavimenti sovrapposti, separati da un letto di sabbia. Talvolta lastre di alabastro sostituivano la terracotta. Di alabastro erano pure le soglie, scolpite con motivi ornamentali o iscrizioni.

Nei palazzi persiani vi erano pavimenti in lastre di pietra comune (Persepoli) o in marmi colorati (Susa). Maggiore ricchezza dovettero avere i pavimenti nell'architettura fenicia. Nella parte più sacra del tempio di Gerusalemme il sancta sanctorum, secondo il testo biblico (III [I], Re, VI, 30), anche il suolo era ricoperto d'oro.

Nell'architettura minoica, in Creta, si vedono in uso tre tipi di pavimento: 1. di argilla rivestita di stucco dipinto o, più spesso, mescolata a stucco e a piccole pietre; 2. di lastre poligonali di pietre variegate, con gli interstizî riempiti di stucco bianco o rosso; pavimento che per il suo effetto brillante ha ricevuto impropriamente il nome di "musaico"; 3. di lastre rettangolari di gesso, ricoperte quasi sempre di un sottile strato di stucco che nascondeva alcune commessure, mentre le altre, tenute larghe più di un centimetro e ripiene di stucco rosso, formavano disegni geometrici (rettangoli inscritti l'uno dentro l'altro, ecc.). Talvolta queste lastre avevano una disposizione irregolare e il rivestimento di stucco nascondeva completamente le commessure e riceveva una decorazione dipinta di carattere geometrico molto semplice.

A Micene si hanno pavimenti di terra battuta e di ciottoli legati con malta di calce, anche in due o tre strati. A Tirinto, nel cosiddetto "megaron degli uomini" il pavimento è costituito da un doppio strato di calce con linee profondamente incavate, delimitanti dei quadrati nel cui campo si alternavano polipi o delfini contrapposti araldicamente e una decorazione a squame; il tutto era dipinto in rosso e in azzurro. Un'analoga decorazione dipinta si trova negli altri ambienti.

L'architettura greca usò specialmente pavimenti in lastre rettangolari di marmo o pietra. Queste lastre posavano su un masso di fondazione o su una serie di muretti paralleli (tempio di Apollo a Delfi); ad Egina erano rivestite di un fine strato di stucco rosso. Altro tipo di pavimento greco è il musaico a ciottoli di differenti colori, per lo più bianchi e neri, fissati su un fondo di cemento. Tale tipo fu usato fino dal sec. V a. C., specialmente nelle abitazioni. I ciottoli furono dapprima disposti per coltello, poi, in epoca tarda, per piatto. I disegni sono geometrici, oppure rappresentano figure marine o animali combattenti od opposti araldicamente: queste scene sono racchiuse da bordi a meandri, onde ecc., che divennero sempre più complicati (Asso, Mozia, Olinto, Olimpia). Non si sa con esattezza quando si cominciarono a usare i musaici a tessere squadrate, che così larga applicazione ebbero poi nei pavimenti romani: recenti ricerche ad Olinto hanno riportato in luce un musaico che non può essere posteriore alla metà del sec. IV a. C. (v. musaico). Nelle case di Delo si hanno pavimenti a tessere con bordure a intarsio.

I Romani usarono numerosi tipi di pavimento, nei quali si nota un elevato grado di perfezione tecnica e artistica.

Secondo Plinio (Nat. Hist., IX, 79) è dovuta a C. Sergio Orata l'invenzione delle suspensurae, pavimenti poggianti su pilastrini (pilae), tra i quali circolava aria calda (v. ipocausto). Essi erano costituiti da uno strato di bipedali, uno di coccio pesto e uno di calcestruzzo fino, su cui posava il rivestimento decorativo (Vitruv., VI, 10; Pallad., I, 40; Plin., Nat. Hist., XXVI, 3). Per gli altri pavimenti Vitruvio (VII, 1) prescrive che, se poggiano su un tavolato, ne siano separati per mezzo di uno strato di paglia che preservi il legno dall'azione della calce. Il massello di fondazione è costituito da calcestruzzo (ruderatio), al disopra è uno strato di opus signinum (formato da due parti di laterizio frantumato e una di calce) sul quale si mettevano in opera i diversi tipi di pavimenti. Il signinum poteva costituire esso stesso il pavimento, specialmente, per le sue qualità di impermeabilità, nelle costruzioni idrauliche (serbatoi, acquedotti); in esso potevano essere inserite tessere di calcari o di marmi, bianchi o colorati, formanti disegni geometrici. A Pompei si aggiunge talvolta al laterizio, o lo sostituisce, la pozzolana nera, e il pavimento può essere rivestito di fine stucco, ordinariamente rosso, talvolta nero, più raramente giallo. Nei pavimenti più tardi si trova il signinum rinforzato con ciottoli, che alcuni chiamano pavimentum barbaricum (Plin., ibid., XXXVI, 61). Altro tipo di pavimento cementizio è il graecanicum (Plin., ibid., XXXVI, 63), miscuglio di carbone, calce e cenere.

Per i pavimenti in laterizio si usarono dapprima mattoni cubici di 3 o 4 cm. di lato, poi rettangolari, di forma sempre più allungata, disposti a spina di pesce (testacea spicata), con sopra un sottile strato di calce. Si trovano anche mattonelle esagonali o a losanga, e pavimenti di mattoni quadrati, generalmente di due piedi di lato (tegulae bipedales). Ma i tipi che offrono esemplari di un reale valore artistico sono i pavimenti settili e quelli a musaico, ai quali i tipi ora descritti formano spesso substrato. I pavimenti settili (sectilia pavimenta: Vitruv., VII, 1; Sueton., Divus Julius, 46), a intarsio di marmi, dalle rozze forme del cosiddetto segmentatum (che può anche considerarsi come un signinum con inseriti grossi frammenti di pietre colorate), e dai semplici disegni geometrici, imitanti p. es. una serie di cubi a rilievo (forse lo scutulatum menzionato da Plin., Nat. Hist., XXXVI, 61) giungono agli esemplari del palazzo dei Flavi sul Palatino, superbi per ricchezza di materiali ed eleganza di disegni, o addirittura agli intarsia (Plin., Nat. Hist., XXXV, 2) che rappresentano oggetti o animali, per ritornare poi, in epoca tarda, a disegni semplici, a fasce e tondi di grande respiro, o alla schematica opposizione di lastre di marmi differenti, come nella Curia al Foro Romano.

Dai pavimenti in musaico propriamente detto, che è il tipo più diffuso di pavimento romano, alcuni distinguono con il nome di litostrati (lithostrota, dal gr. λιϑοσρωτόν; Plin., Nat. Hist., XXXVI, 60, 64) i pavimenti che contengono pezzi di calcari o marmi colorati su un fondo di tessere quadrate od oblunghe (per i varî tipi di musaico e i loro relativi sviluppi si veda alla voce musaico). Il musaico si trova anche associato all'opus sectile.

Dal sec. IV fino al XII-XIII, con un'interruzione più o meno assoluta tra il sec. VI e il IX, l'uso dei pavimenti in musaico continuò in tutto il mondo romano, e più specialmente in Italia, riservato però quasi esclusivamente alle costruzioni ufficiali (palazzi imperiali, edifici religiosi). L'esecuzione divenne sempre più grossolana, e la policromia più limitata, per migliorare nuovamente nel periodo romanico. Negli ornati predominano gl'intrecci, nelle scene figurate ai racconti biblici si mescolano miti pagani cui il simbolismo cristiano attribuisce nuovi significati. A questi si uniscono in seguito altri motivi ornamentali imitati dalle sculture decorative e dalle stoffe orientali, il labirinto, e nuovi soggetti animati (raffigurazioni allegoriche, storiche, leggendarie). Nella basilica di Henchir el-Msaadin (Furni, sec. V) i musaici pavimentali segnano le principali divisioni della chiesa. A Madaba si conserva un pavimento del sec. V o VI in cui è raffigurata la carta geografica della Palestina. La maggior parte dei musaici dell'età romanica si trova nell'Italia settentrionale (cattedrali d'Aosta e d'Ivrea, Badia di Pomposa, S. Savino a Piacenza, S. Donato a Murano, S. Marco a Venezia, ecc.). Ma anche nel Mezzogiorno si conservano esemplari di grande interesse, come i pavimenti della cattedrale d'Otranto e della chiesa abbaziale delle Tremiti.

Nell'architettura bizantina i pavimenti, particolarmente nei palazzi imperiali, ebbero la magnificenza propria delle decorazioni di quello stile. Restano descrizioni (Costantino Porfirogenito, Vita di Basilio) di un pavimento del Cenurgio con al centro un pavone in musaico da cui si allargava una decorazione a cerchi concentrici e a raggi, in marmi policromi, che terminava agli angoli con quattro aquile pure in musaico, di un pavimento del Crisotriclinio in marmi preziosi inquadrati da un bordo d'argento, e di un pavimento addirittura d'argento massiccio martellato e niellato, nella cappella di Basilio I, nel palazzo imperiale. Nel pavimento di S. Sofia di Trebisonda vi sono medaglioni di marmo bianco con figure di animali a bassorilievo.

A partire dal sec. IX si sviluppa il cosiddetto opus alexandrinum, in marmi e paste vetrose di differente forma e dimensione costituenti fasce che si aggirano in volute intorno a tondi o rettangoli di granito, porfido e serpentino. Già noto ai Romani che ne hanno lasciato un esempio nei musaici di Catabarbara Patricia (Hist. Aug., Alex. Sev., 25, 7), si trova già in embrione in pavimenti romani dell'alto Medioevo, ma dovette forse il suo ulteriore sviluppo all'imitazione del pavimento che, circa il 1071, l'abate Desiderio fece eseguire a Montecassino da artefici appositamente chiamati da Costantinopoli; né deve esservi estraneo l'influsso dell'arte musulmana. Comunque prese grandissima voga in Roma, dove durò fino al sec. XVI, ad opera dei marmorarî, detti Cosmati (v.; e cfr. musaico, XXIV, tav. XIV), dai quali ricevette il nome di pavimento cosmatesco, e non solo si diffuse nell'Italia meridionale e centrale, ma giunse fino in Inghilterra, dove nella chiesa di Westminster è un pavimento eseguito (1268) da maestranze romane e con materiali portati da Roma. In Sicilia le fasce marmoree non formano intrecci circolari ma linee spezzate, secondo il modo degli ornati musulmani; ciò si osserva anche nel avimento in marmo del Battistero di Pisa.

Nel resto d'Europa, per penuria di musaici e di artisti, il musaico fu presto sostituito dai pavimenti di pietra o terracotta.

In Spagna si usò per i pavimenti una specie di cemento, l'astracum di cui parla S. Isidoro nelle Etimologie, e, più tardi, un altro cemento formato con calce, frammenti di laterizio e pietruzze colorate. Vi furono inoltre pavimenti a lastre di pietra, anche di differenti colori (chiostro della cattedrale di Tarragona), e ad ammattonato combinato con azulejos (v.), tipo che ebbe il nome di almorrefa, frequente nelle chiese andaluse romanico-gotico-mudejares, in cui si rivela l'influenza dell'arte musulmana.

In Francia, nel secolo XII, si usarono incrostazioni di musaico e anche di metallo nella pietra, procedimento noto all'architettura bizantina (iscrizione bronzea nella chiesa di Iviron, Monte Athos) e diffusosi anche in Italia, dove basta citare (oltre a precedenti esempî parziali come le figure animalesche scavate nel marmo e campite a quadretti bianchi e rossi o con musaico, a Montecassino, in S. Adriano presso S. Demetrio Corone, nel Patirion presso Rossano, in S. Marco, ecc.) i pavimenti di marmo intarsiato e niellato di S. Miniato e del Battistero, a Firenze, e soprattutto il magnifico pavimento del duomo di Siena, terminato nel 1547 dal Beccafumi.

Un procedimento analogo, ma molto più economico, si diffuse tra il sec. XIII e XVI in Francia, Spagna, Inghilterra, Paesi Bassi, Germania e Norvegia, ed è quello delle piastrelle di argilla incrostata. Prima della cottura si imprimeva in esse con uno stampo un disegno e il vuoto veniva riempito con altra terra, bianca o anche verde o nera. Queste piastrelle, dette carreaux plombés, perché erano coperte con uno strato di sali di piombo che diveniva translucido con la cottura, potevano avere varie forme geometriche, che, ravvicinate, formavano dei disegni talvolta molto complicati; esse si usavano anche insieme con piastrelle monocrome. Ai motivi ornamentali, che di solito costituiscono i bordi, si associarono figure animate e anche immagini sacre, nonostante la riprovazione di S. Bernardo. Intanto si diffondevano, specialmente in Spagna e in Italia, i pavimenti di ceramica (v. maiolica). Il più antico esempio che se ne conservi in Italia è forse quello della cappella Caracciolo nella chiesa di S. Giovanni a Carbonara, a Napoli, della fine del sec. XV; della stessa epoca è il bellissimo pavimento già nel convento di S. Paolo e ora nel museo di Parma, con figurazioni mitologiche. Molto noti sono i due pavimenti bolognesi della cappella Bentivoglio in S. Giacomo Maggiore e della cappella S. Sebastiano in S. Petronio. Durante il Rinascimento si trovano anche numerosi pavimenti in laterizi rossi e gialli, combinati talvolta con piastrelle di ceramica.

Alla fine del Cinquecento, e ancor più durante tutto il periodo barocco, negli edifici monumentali si sostituirono ai tipi fin qui descritti i pavimenti di marmi colorati, a intarsio, con la ricchezza di motivi ornamentali e di figure allegoriche o araldiche, e la vivace policromia, caratteristiche dell'epoca, sostituite più tardi da più semplici disegni geometrici, le quali imitano talvolta embricazioni e forme prismatiche, e dalla bicromia del marmo bianco e del marmo nero o grigio, o anche della lavagna.

Specialmente nel Veneto presero voga il pavimento detto "alla veneziana", ottenuto con frammenti di marmi e pietre di vario colore disposti alla rinfusa in uno strato di cemento, con bordi a disegno e talvolta anche al centro motivi ornamentali, e il pavimento detto "palladiano", analogo al precedente, fatto di pezzi irregolari di lastre policrome uniti da cemento per lo più colorato in rosso con polvere di mattone, che ricorda il segmentatum romano e il cosiddetto "musaico" cretese.

Fino dal Medioevo i pavimenti di legno si trovano diffusi specialmente nei climi freddi, nei varî tipi: dai tavolati di legno comune agl'intarsî di legni preziosi, come è dimostrato più dalle rappresentazioni pittoriche che dagli esempî conservati.

Fuori del bacino del Mediterraneo furono in uso i tipi più comuni di pavimento, come i rivestimenti di cemento e le lastre lapidee, dall'architettura maya del Messico precolombiano all'architettura cinese. È da ricordare tra i pavimenti più fastosi quello della "pagoda d'argento", a Phnom-Penh (Indocina), in lastre d'argento finemente cesellate.

Nell'architettura contemporanea sono in uso quasi tutti i pavimenti di cui si è fin qui parlato, e molti nuovi tipi e materiali, che meglio soddisfano alle nuove esigenze. Oltre ad essere resistenti, i pavimenti moderni, a seconda che lo richieda la struttura o la destinazione dell'ambiente, devono offrire particolari requisiti: di afonicità quando sono su solai di cemento armato (che si può anche ottenere con speciali sottofondi, ad es. di sughero), di inattaccabilità agli acidi negli ospedali, dove si fanno lavaggi disinfettanti, ecc. Essi possono classificarsi nel modo seguente:

a) Pavimenti monolitici, maggiormente adatti per ambienti industriali o esposti all'aria aperta. Sono: il battuto di cemento; le applicazioni di asfalto; gl'impasti di coccio pesto, pomice, lapillo, sughero, segatura, legno, ecc.; il pavimento "alla veneziana", che si ottiene "seminando" frammenti lapidei in uno strato di calcestruzzo di cemento e scaglie di marmo, calcestruzzo che può costituire esso stesso un pavimento, detto "alla genovese". I pavimenti monolitici si dividono spesso in tratti di discreta ampiezza mediante listelli di marmo o di metallo che formano dei giunti elastici.

b) Pavimenti a elementi separati, che possono essere di pietre naturali o artificiali, legno o altro materiale. Le pietre naturali, riservate in genere agli edifici monumentali, sono disposte in disegni (intarsî, ecc.) o in semplici distese monocrome. Agli ammattonati e alle piastrelle di ceramica si sono sostituite in genere le mattonelle di cemento compresso, per solito quadrate o esagone; le marmette alla veneziana, monocrome o a disegni, formate con scaglie di marmi colorati le piastrelle di terracotta compressa, di colore comunemente rosso, ma anche nero o bianco, esagonali, di cm. 6 di lato, dette "marsigliesi"; le piastrelle di gres ceramico (argilla cotta ad alta temperatura), di varia qualità, fino quasi alla porcellana, e di differente forma e colore, in elementi anche molto piccoli che servono a formare musaici; e inoltre i blocchetti di gomma, sughero, calcestruzzo di segatura, asfalto, ecc. Per illuminare ambienti sottostanti si ricorre a elementi di vetro su armature di ferro o in strutture di cemento armato. I pavimenti di legno variano a seconda della qualità del materiale e della complicazione dei disegni.

Pavimenti in teli (linoleum, balatum, gomma), che vanno diffondendosi per rapidità di messa in opera, facile pulitura e grande elasticità e afonicità. Essi, a seconda del tipo, sono incollati o solo appoggiati sul sottofondo.

V. tavv. CXXXIII-CXLIV.

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