PAZZI de' MEDICI, Alessandro

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 82 (2015)

PAZZI de' MEDICI, Alessandro

Paola Cosentino

PAZZI de’ MEDICI, Alessandro. – Figlio di Guglielmo de’ Pazzi e di Bianca de’ Medici, sorella di Lorenzo il Magnifico, nacque a Firenze il 4 marzo 1483. Il padre era il fratello di Francesco de’ Pazzi, coinvolto nella celebre congiura durante la quale Giuliano de’ Medici aveva perso la vita e Lorenzo il Magnifico era stato ferito (26 aprile 1478).

Pazzi de’ Medici rimase lontano dalla vita politica di Firenze anche dopo il rientro dei Medici nel 1512: di lui poco si sa in questi anni, nonostante sia menzionato da Francesco Vettori fra i più stretti sodali del duca Medici nella Vita del duca Lorenzo (p. 107). Fra il 1515 e il 1519 frequentò la Sacra accademia medicea: lo si evince da una solenne petizione, firmata, tra gli altri, da lui stesso, e indirizzata a Leone X il 20 ottobre del 1519, in cui si chiedeva al papa di farsi mediatore per la restituzione alla città di Firenze delle ossa di Dante, sepolte a Ravenna.

Frequentò, inoltre, la scuola filosofica di Francesco Cattani da Diacceto e quella di Marcello Adriani, lettore di poetica e di oratoria presso lo Studio fiorentino. Probabile, visti i suoi interessi letterari e linguistici, la sua partecipazione al circolo degli Orti Oricellari.

Il primo intervento di carattere politico di Pazzi è il Discorso redatto nel 1522 su richiesta di Giulio de’ Medici. Il futuro Clemente VII aveva infatti promosso una riflessione sullo stato di Firenze, coinvolgendo anche Niccolò Machiavelli e Zanobi Buondelmonti. All’illustre cugino, sempre nel 1522, Pazzi aveva indirizzato pure un’orazione latina, pronunciata l’11 maggio di quello stesso anno (Alexandri Paccii Oratio pro senatu Populoque Florentino ad Julium Medicem Cardinalem Amplissimum) che celebrava le doti di Giulio quale amministratore della città toscana, capace di garantire non solo un fruttuoso accordo tra le più nobili casate fiorentine, ma anche la libertà cittadina. Emerge, dallo scritto latino, una vocazione aristocratica che viene ribadita nel Discorso: lo scrittore guarda, infatti, a Venezia come perfetto modello di Repubblica contemporanea, insistendo sul ruolo del Senato e, al contempo, ispirandosi alla dottrina aristotelica nella Politica.

Dopo la congiura contro Giulio de’ Medici, sempre nel 1522, Pazzi de’ Medici tornò a occuparsi di testi letterari: agli anni successivi appartiene, infatti, la redazione della principale tra le sue tragedie, la Dido in Cartagine, cui si accompagna, fra l’altro, la traduzione dell’Ifigenia in Tauride di Euripide e dell’Edipo principe di Sofocle (le prime due composte nel 1524, come si ricava dalla dedica a Clemente VII, datata 30 dicembre 1524, la seconda probabilmente nel 1525; un manoscritto vaticano conserva una versione volgare dell’Edipo principe con lettera dedicatoria del 30 maggio 1526 al cardinale Niccolò Ridolfi) e del Ciclope di Euripide, primo esempio di dramma satiresco in volgare, offerto a Filippo Strozzi il 4 agosto 1525.

Negli anni 1524-25, soprattutto legati alle celebri dispute sulla lingua volgare, ovvero ‘italiana’, o ‘cortigiana’, o ancora ‘fiorentina’, Pazzi è a Roma: sua è la celebre lettera, indirizzata a Francesco Vettori, datata 7 maggio 1524 (Archivio di Stato di Firenze, Carte Strozziane, Serie I, 136, cc. 15-16; poi in Tre lettere…, pp. 14 s.), in cui narra delle discussioni linguistiche che si effettuarono a Castel S. Angelo, appunto sede di un’«Academia» diretta dal «castellano» Giovanni Rucellai. Proprio in virtù del dibattito sulla lingua volgare svoltosi a Roma in quegli anni, Claudio Tolomei lo inserì fra i personaggi del suo Cesano (probabilmente scritto dopo il 1525) quale sostenitore della causa del ‘fiorentino’; oltre all’omonimo protagonista del dialogo, che sostiene le posizioni dell’autore, compaiono Gian Giorgio Trissino, Baldassarre Castiglione e Pietro Bembo. Con lo stesso ruolo Pazzi partecipò alla discussione (insieme con Trissino, Tolomei e Antonio Tebaldeo) nel Dialogo della volgar lingua di Pietro Valeriano (postumo, Venezia 1620).

All’interno di un contesto romano-fiorentino che aveva assistito alla rinascita del genere tragico e, di conseguenza, agli esperimenti metrico-linguistici di Trissino, Pazzi venne soprattutto ricordato per l’invenzione di un nuovo verso ipermetro, il dodecasillabo sciolto, ritenuto più simile a quello delli «antiqui tragici greci et latini», essendo più «proportionato et più apto a i colloqui» (Le tragedie metriche di Alessandro Pazzi de’ Medici, p. 50), utilizzato per la sua tragedia più nota, la già menzionata Dido in Cartagine che, insieme con il dramma satiresco Il Ciclope, vide la luce solo alla fine del XIX secolo grazie alle cure di Angelo Solerti. Inediti rimasero gli altri drammi, sempre redatti in dodecasillabi sciolti, ovvero l’Ifigenia in Tauride e l’Edipo re.

Inviato a Venezia in qualità di ambasciatore per conto della Repubblica fiorentina – ma con l’approvazione di Clemente VII – Pazzi de’ Medici entrò in contatto con celebri eruditi quali Niccolò Leonico Tomeo e Gaspare Contarini. Probabilmente in quegli anni ultimò la sua traduzione latina della Poetica di Aristotele (Venezia, per i tipi degli eredi di Aldo Manuzio e Andrea Torresani, 1536), dedicata a Leonico, pure autore di un epigramma inserito nel manoscritto delle tragedie latine (la lettera è del 5 ottobre 1527).

Nel libro dei creditori e debitori di Paolo di Pandolfo Libri, conservato presso la Biblioteca Marucelliana, è registrato un prestito di 15 fiorini fatto dall’ambasciatore Pazzi a Donato Giannotti (datato 8 febbraio 1526, more fiorentino) in occasione del viaggio verso la città veneta. Donato era stato chiamato proprio da Pazzi ad aiutarlo in quel suo importante incarico. Dalle lettere si evince che i due partirono da Firenze l’8 febbraio e giunsero in laguna il 14 dello stesso mese, dopo una sosta forzata a Ravenna. A Venezia Pazzi fu ricevuto dal Collegio il 17 febbraio (l’oratore pronunciò un discorso per conto della Repubblica, sostenendo che i fiorentini «voleno star unitissimi con questa liga [Lega di Cognac] et defendersi» (M. Sanudo, Diarii, XLIV, p. 90). Il 29 aprile, scrive sempre Sanudo, Pazzi dette notizia della sollevazione di Firenze, il ‘tumulto del venerdì’, risalente a tre giorni prima, sollevazione poi rientrata grazie al gonfaloniere Luigi Guicciardini e alle truppe della Lega.

Le lettere scritte da Pazzi agli Otto e al cardinale di Cortona riguardano la guerra in corso, fra la Lega di Cognac e Carlo V, e alcuni affari interni della politica fiorentina (Pazzi fece da tramite tra il papa e il doge Andrea Gritti per l’arresto di Baldassarre Carducci, fiorentino in esilio a Venezia dal 1512: M. Sanudo, Diarii, XLV, p. 170): suo compito era quello di scongiurare il passaggio delle truppe imperiali in Toscana. Vi sono inoltre documenti attestanti il permesso concesso all’ambasciatore Pazzi, alla sua famiglia e al suo segretario particolare, di visitare il tesoro di S. Marco (Archivio di Stato di Venezia, Collegio, Notariato, 8 aprile, 27 giugno e 2 novembre 1527).

Il 25 dicembre dello stesso anno Marco Foscari, oratore veneziano a Firenze, scrisse che la restaurata Repubblica, governata da Niccolò Capponi, aveva provveduto a scegliere un nuovo ambasciatore, ovvero Bartolomeo Gualterotti, che partì dalla città toscana l’11 marzo del 1528. Pazzi avrebbe lasciato Venezia di lì a un mese: il 18 aprile «tolse licentia di repatriar» (M. Sanudo, Diarii, LVII, p. 253) per tornare a Firenze il giorno dopo.

Sono questi gli anni in cui Pazzi tradusse – o finì di tradurre – in latino due tragedie di Sofocle: l’Elettra e l’Edipo re. Stando almeno alla datazione della lettera dedicatoria del manoscritto offerto a Clemente VII (Venezia, 9 aprile 1527) gli esperimenti latini sarebbero successivi ai volgarizzamenti da Sofocle ed Euripide. Sulla traduzione della prima tragedia Pazzi aveva richiesto il parere di Pietro Bembo, che tuttavia gli consigliò di non pubblicare subito quel lavoro, poiché avrebbe necessitato di un abbellimento ulteriore, nonostante egli ben sapesse «quanto malagevole cosa sia il far Sofocle latino, a verso per verso, che possa piacere» (P. Bembo, Lettere, XI, pp. 411 s.). In precedenza, comunque, Pazzi aveva indirizzato al fiorentino altre missive: nella prima, datata 21 novembre 1526, Bembo gli dette notizie del figlio di lui, Giovanni; nella seconda, datata 21 febbraio 1527, si complimentò per l’ambasceria a Venezia, mentre aspettava l’invio dell’Edipo promesso. La notizia della fine dell’ambasceria veneziana si ricava, invece, da un’altra lettera di Bembo del 14 aprile 1528, in cui questi si rammaricava per l’improvvisa partenza di Pazzi.

Alcune composizioni latine di Pazzi sono conservate in un manoscritto della Biblioteca nazionale di Firenze (Magl., VII, 1039) e dedicate al giurista Alessio Lapaccini, compagno di studi di Francesco Guicciardini.

Poco si sa di Pazzi dopo il suo ritorno a Firenze: nel 1529 ebbe un contenzioso con il cardinale Innocenzo Cibo, a causa del quale avrebbe dovuto recarsi a Roma per difendere «certi beni» da lui posseduti. Dalle Consulte e Pratiche (LXXI, 4, 6 e 10 maggio 1529, rispettivamente cc. 5rv, 6r, 8r e 10r) risultano le testimonianze di una discussione relativa alla richiesta di Pazzi, che appunto voleva raggiungere la città papale. D’altro canto, una lettera del 30 settembre 1529, firmata da Francesco Guicciardini e da Pazzi stesso, e indirizzata da Spinello a Giambattista Sanga, informa che, lasciata Firenze, i due non vi fecero ritorno a breve, anche a causa dell’accusa di «rubelli» proclamata contro Roberto Acciaiuoli e Palla Rucellai, entrambi allontanatisi dalla città (Rossi, 1896, pp. 286 ss.). I maggiori esponenti dell’aristocrazia furono trattati con decisa ostilità, alla stregua di traditori del nuovo governo democratico, e Pazzi stesso subì la confisca dei beni.

Fece ritorno in patria solo dopo la riconquista medicea e l’8 ottobre fu eletto, se pur per poco tempo, membro dei centoquarantasei della Balìa.

Pazzi morì nel 1530, come attesta la lettera di Giannotti ad Antonio Michieli del 30 giugno 1533: «Io non vi posso raccomandare al Portinaro [Pier Francesco Portinari], perché, sei o otto mesi dopo l’assedio, passò di questa vita dietro Alessandro dei Pazzi huomini veramente rari per le loro qualità, talché agli amici loro, et ad ogni huomo da bene lascionno gran desiderio di loro» (Giannotti, 1974, p. 35).

Fonti e Bibl.: Firenze, Biblioteca nazionale, Ginori-Conti, 29-32: Alexandri Paccii Oratio pro senatu Populoque Florentino ad Julium Medicem Cardinalem Amplissimum. De Republica; Mss., II.IV.7: codice cartaceo autografo, cc. 135 (contiene: Dido in Cartagine, Ifigenia in Tauride, Ciclope, Edipo Principe); II.IV.8, cc. 73 (XVI secolo, contiene: Elettra e Oedipus Princeps); Magl. VII, 1039 (contiene composizioni latine); Archivio di Stato di Firenze, Carte strozziane, Serie II, 48 (registro in ordine alfabetico di Biagio Buonaccorsi); Signoria, Dieci di Balia, Otto di Pratica, Legazioni e Commissarie, Missive e Responsive, 65, cc. 252-302 (ambasceria a Venezia, mani diverse); Ravenna, Biblioteca Classense, Mss., 372 (XVI secolo, contiene: Elettra e Oedipus Princeps); 75 (contiene versi latini dedicati a Leone X e Clemente VII); Biblioteca Vaticana, Barb. Lat., 4002 (XVI secolo, contiene l’Edipo Principe).

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