Pelagianesimo

Dizionario di filosofia (2009)

pelagianesimo Complesso delle dottrine e movimento ereticale che fanno capo al monaco bretone Pelagio (n. in Inghilterra 354 ca


m. forse presso Alessandria 427 ca.). La dottrina di Pelagio è improntata a un moralismo ascetico-stoico: l’uomo può, con le proprie forze morali, osservare i comandamenti di Dio e salvarsi; la grazia gli è data soltanto per facilitare l’azione. La grazia poi non è un dono interiore che illumina, trasforma e rafforza l’uomo, ma è solo fatto esterno che opera a modo di esempio; tale il Vecchio Testamento, il Nuovo, la vita e l’insegnamento di Gesù. Ne consegue la negazione del peccato originale e della necessità del battesimo e della penitenza. Il p. rappresenta, dopo il donatismo, una delle grandi eresie sorte nella Chiesa occidentale. Dopo la condanna del Concilio di Cartagine (411), esso fu combattuto soprattutto da Agostino che, in questa polemica, viene chiarendo la sua dottrina della grazia e del libero arbitrio, orientata nel senso profondamente pessimistico dell’Ambrosiastro. Ma in Oriente Pelagio, facendo leva su certi aspetti platonici e ottimistici della teologia orientale, riuscì a raggiungere il sacerdozio, sfuggire condanne, essere assolto da accuse (Diospoli 415); allora i sinodi di Cartagine e Milevi (416) insorsero rinnovando le condanne, e ottenendo conferma dal papa Innocenzo I (417). Ma sulla base di una generica accettazione della grazia da parte di Pelagio e Celestio, il greco papa Zosimo si mostrò loro benevolo: allora Agostino intervenne nuovamente (418) e un concilio a Cartagine ne rinnovò la condanna. Nello stesso anno Zosimo accettò i deliberati del sinodo, e con una lettera domandò ai vescovi, soprattutto orientali, la condanna dell’eresia. L’imperatore Onorio bandì dall’Italia i pelagiani. Più tardi anche nell’Oriente Teodosio II espulse i pelagiani da Costantinopoli e il Concilio ecumenico di Efeso (431) rinnovò le condanne dei concili occidentali. Ma la controversia dottrinale continuava: Giuliano di Eclano attaccò Agostino sulla dottrina del peccato originale e della concupiscenza; dal 419 alla morte (430) Agostino rispose con numerosi scritti ma non condusse mai a termine una più vasta opera contro Giuliano, mentre altri ancora attaccarono Agostino: dopo i monaci di Adrumeto (426-427) insorsero quelli di Marsiglia e Lérins. Rivendicando alla libertà dell’uomo un proprio e autonomo valore, essi ritenevano che l’initium fidei, il primo desiderio di salvezza, potesse venire dall’uomo senza l’aiuto di Dio, e che la perseveranza finale non fosse un nuovo dono gratuito (semipelagianismo); Agostino si difese (428-429) e altri in Gallia intervennero. La dottrina dei monaci marsigliesi continuò a opera di Vincenzo di Lérins (434), Arnobio il Giovane (450 ca.), Fausto di Riez (474-475), mentre in Africa la dottrina di Agostino fu autorevolmente sostenuta dal vescovo Fulgenzio di Ruspe. In Gallia furono più numerosi i sostenitori del semipelagianismo. Finalmente il Concilio radunato a Orange (529) formulò in 25 canoni la dottrina cattolica sulla grazia contro pelagiani e semipelagiani: ferma l’impossibilità per l’uomo di meritare la grazia, e la necessità assoluta di questa anche per l’inizio della fede e la perseveranza nelle buone opere, affermato il libero arbitrio, anche se non è più sufficiente perché l’uomo possa sollevarsi da solo a Dio e al bene, fu condannata una predestinazione incondizionata e una predestinazione al male. Papa Bonifacio I (530) approvò le definizioni del Concilio. La controversia finì per allora, ma i suoi motivi tornarono nelle polemiche protestanti, baiane e gianseniste.

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