DE FILIPPO, Peppino

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 33 (1987)

DE FILIPPO, Peppino (Giuseppe)

Sisto Sallusti

Fratello di Titina e di Edoardo, nacque a Napoli il 24 ag. 1903 da Edoardo (Eduardo) Scarpetta che lo ebbe da una relazione extraconiugale con la nipote Luisa De Filippo. Fu tenuto a balia presso una contadina di Caivano, dove rimase circa cinque anni, poi fu ricondotto a Napoli "rosso e tondo come una mela, pieno di salute". Secondo i suoi ricordi, il battesimo del palcoscenico avvenne nel febbraio 1909 in una commedia di V. Di Napoli Vita rappresentata dalla compagnia dialettale napoletana di Eduardo Scarpetta.

Il bambino, accompagnato dalla madre che assisteva o partecipava agli spettacoli scarpettiani, si mescolava agli attori per gioco, assimilando prontamente il mestiere. Scriverà il D. in età matura: "Eduardo Scarpetta fu per mia madre una corda messale al collo dal destino e pronta a strozzarla al minimo segno di fuga. Di temperamento calmo, quieto e di sentimenti semplici, mia madre fu facilissima preda di quell'uomo fatto davvero di pochi scrupoli" e ammetterà "che in rispetto a certe leggi del suo paese e a dispetto delle buone regole di umana pietà, dovette sempre vergognarsi del suo stato civile". Lo "zio" (così doveva chiamarlo) si degnava di lasciare villa Santarella soltanto per trattenersi con Luisa e badava poco al D., il cui affetto si concentrava sulla madre, non senza, sulle prime, una sensazione di rimpianto per la balia e per il suo piccolo mondo paesano.

Fu poi la volta dell'insegnamento del pianoforte voluto dal padre in previsione di un eventuale impiego nelle orchestrine ambulanti e al quale si adattò malvolentieri. Messo nel collegio Chierchia nel 1911 su decisione dello Scarpetta, vi rimase due anni completandovi il ciclo elementare e il primo anno della scuola tecnica e distinguendosi per lo scarso profitto e l'insofferenza alla disciplina. Nel 1915 fu accolto stabilmente nella compagnia di Vincenzo Scarpetta, ove alternò l'interpretazione di parti minime con l'attività del buttafuori. Nel 1920 venne scritturato come generico nella compagnia di prosa del Molinari del teatro Nuovo, nella quale si sentì più libero per la mentalità aperta e conciliante dei colleghi e per l'ampia scelta del repertorio (vi figuravano testi di S. Di Giacomo, F. Russo, L. Bovio, E. Murolo). Successivamente il D. si scritturò, pure come generico, nella formazione dialettale di Francesco Corbinci, debuttando al teatro Cavour con sfortuna, ma riabilitandosi con Il romanzo di un farmacista povero, riduzione dal francese di E. Scarpetta: la parte del servitore, ignorante e baldanzoso, ebbe un caloroso successo di pubblico e lo inorgoglì (qui conobbe Adele Carloni, attrice giovane, e la corteggiò, ma senza legarsi a lei). Sempre col ruolo di generico fu attivo presso la compagnia di riviste Amodio, avendo debuttato con Tutto color di rosa... ! di Giulio Trevisani; sostenne una breve stagione teatrale in Sicilia con la compagnia di operette di Peppino Villani al principio del 1923, poi fu lontano dalle scene perché in servizio di leva dal marzo 1923 al febbraio 1925.

Congedato, fu scritturato col solito ruolo e come tuttofare nella compagnia di Nicola Urcioli e debuttò al teatro Comunale di Chieti; qui sperimentò una serie di insuccessi (non piacque nemmeno Nu turco napolitano, riduzione dal francese di E. Scarpetta) per il mancato affiatamento degli attori ma soprattutto per la carenza di comunicativa del primo attore; a Falconara il pubblico applaudì Le due orfanelle, riduzione dal francese di Achille Consalvi e il "recital canoro" che lo seguì (il D. "strimpellava" il pianoforte). Nel novembre 1925, in un periodo di forzata inattività, fu testimone imperturbabile della malattia e della morte del padre, lasciandone una descrizione minuziosa e impietosa ("Don Eduardo... se ne morì nella completa indifferenza di quasi tutti i suoi familiari"). Il D. entrò quindi nella compagnia napoletana di prosa di Salvatore De Muto, da lui caldamente stimato. La rappresentazione più festeggiata, l'8 sett. 1926 al teatro Ercolano di Resina, fu costituita dalla farsa Il suicidio di Pulcinella di Antonio Petito, in cui si doveva recitare anche a soggetto: per il D. la parte di Nicolino fu l'occasione per sperimentare a fondo le proprie capacità di mimo e di improvvisatore.

Ai primi del 1927 subentrò al fratello nella compagnia di V. Scarpetta e si esibì al teatro Manzoni di Roma. il cui pubblico lo gradì; al teatro dei Fiorentini di Napoli il D. ed Eduardo, riconciliati dopo i malintesi seguiti all'allontanamento spontaneo di quest'ultimo (tornato "all'ovile" dopo il fallito debutto con la compagnia Carini-Glek), recitarono ne La rivista che... non piacerà di Michele Galdieri (24 luglio 1927): "un consenso di pubblico e di critica eccezionale". Il 10 ott. 1929 il D. sposò a Napoli la Carloni: ne nascerà un figlio l'anno successivo, Luigi, che seguirà le orme paterne. I due fratelli, scritturati nel 1930 nella compagnia di prosa Mofinari del teatro Nuovo convinsero il capocomico ad inserire nello spettacolo, come ditta a parte, un gruppo di otto attori, guidati da loro, che assunse il nome di Ribalta gaia. Il successo ottenuto dallo spettacolo di rivista Pulcinella principe in sogno, illusioni colorate di Kokasse e Tricot (pseudonimi di Mario Mangini e di Eduardo) ricavate dai versi di Ugo Ricci (teatro Olympia, 1° luglio 1930, cinque parti diverse tra cui quella di Pulcinella), fu superato dal consenso tributato all'atto unico Sik-Sik, l'artefice magico di Tricot (il D. vi interpretava la parte del "compare" di lavoro). Poiché l'impresario Aulicino desiderava impegnarli per gli spettacoli misti dell'inverno 1930-31, i due fratelli lo convinsero ad inserire un programma scritto interamente dal D. sulla misura delle sue ormai consolidate capacità d'interprete e composto dalle farse Tutti uniti canteremo e Don Rafele 'o trumbone; il 4 apr. 1931, in apertura delle recite della compagnia diretta da Eduardo sempre presso il teatro Nuovo, lo spettacolo ebbe successo (nonostante qualche prova precedente, il D. considerò tale data quella del suo vero debutto come autore; l'attore riscosse consensi soprattutto come Nicola nel secondo lavoro). A metà estate di quell'anno, con la medesima ditta Ribalta gaia venne costituito un nuovo gruppo di attori previo accordo con Titina e col marito Pietro Carloni; il 20 luglio al teatro Palazzo di Montecatini, davanti a un pubblico freddo e distante, si ebbe un insuccesso: in programma Il chiavino di Carlo Mauro (parte del marito), Un po' di lirica ci vuole... ! (parte del maestro) e Don Rafele 'o trumbone (parte di Nicola). Al teatro Puccini di Milano, con queste farse, non piacque neanche Sik-Sik, l'artefice magico, ma il successo, inaspettato, arrivò al teatro Excelsior.

Alla fine di dicembre i due fratelli sottoscrissero un breve impegno per avanspettacolo della durata di una sola settimana, come prova, con la direzione del cinema-teatro Kursaal di Napoli: riuniti nel cosiddetto Teatro umoristico, debuttarono la sera del 25 dicembre con le scene umoristiche di Tricot Natale in casa Cupiello (ilD. vi sosteneva la parte di Nennillo). Per impegno contrattuale dovevano mettere in scena una novità in un atto ogni settimana, in coincidenza col cambiamento del programma cinematografico, ordinariamente il lunedì. A quel periodo risalgono i primi dissapori con il fratello, che il D. attribuirà al difficile carattere di Eduardo.

Il pubblico, da parte sua, apprezzò la recitazione omogenea, accurata, mai volgare: sulla stessa Comoedia, nell'estate 1932, comparve il primo articolo a loro espressamente dedicato: la comicità del D. fu definita come più segnata e più mossa di quella di Eduardo (si aggiunga che gli "spettacolini" diventarono un avvenimento culturale cittadino: vennero ad ammirarli, tra gli altri, R. Bracco e S. Di Giacomo).Invitati dall'impresario Ardovino a svolgere una stagione regolare per l'anno inaugurale del restaurato teatro Sannazaro, i due fratelli insieme con Titina si risolsero per una formazione ad indirizzo prevalentemente antitradizionale, e si dettero a cercare i migliori attori dialettali disponibili sulla piazza. In quel periodo il concittadino Giuseppe Amato offrì ai due la possibilità di partecipare, a Roma, nel settembre, al film comico-musicale Tre uomini in frak di Mario Bonnard. Con l'anticipo percepito essi poterono affrontare le prime spese per la costituzione della compagnia e per la composizione dei bozzetti delle scene affidati a Giovanni Brancaccio. Eduardo e il D. recitavano sul set, a Roma, di giorno, provavano, sul palcoscenico, a Napoli, di sera. Finita la lavorazione del film, durata poco più di 20 giorni, i due fratelli poterono dedicarsi al debutto che avvenne la sera dell'8 ottobre, con Chi è cchiù felice 'e me... !? disillusioni di Mario Molise (pseudonimo di Eduardo) e Amori e balestre dialoghetti umoristici di Giuseppe Bertucci (pseudonimo del D.): questi interpretava nel primo lavoro la parte di Nicola, nel secondo quella di Scarrafone; il gruppo, con Eduardo direttore artistico, il D. amministratore e Titina prima attrice, conserverà la denominazione di Compagnia del "Teatro umoristico I De Filippo".

Il D. ci fornisce interessanti particolari sul lavoro comune dei due fratelli: "Per scriverla, una commedia nuova, poiché l'avevamo ben'bene discussa per tempo, ci impiegavamo quattro o cinque giorni al massimo, ma pur quando era stata tutta scritta, il lavoro non si poteva considerare terminato. V'erano le modifiche che nascevano alla prova dei fatti, cioè, alla lettura in palcoscenico o al primo giorno di prova con la partecipazione degli attori. E fino all'ultimo giorno in cui la si provava, poteva capitare che vi era ancora qualcosa da aggiungere o da omettere. Infine, neanche alla prima rappresentazione quel testo restava quello dell'ultima prova; alla luce della ribalta, durante la recita, alla prova della magica.atmosfera che proveniva dal calore del pubblico, qualche battuta e perfino qualche scena intera, potevano denunciare la necessità di dover essere rimaneggiate".

I successi continuarono rapidi: il 20 ottobre di Quaranta... ma non li dimostra, commedia scritta dal D. e da Titina (egli divertì nella parte di Bebè; qualcuno volle vedere, nella figura di don Pasquale Di Domenico un'allusione a Mussolini, ma il D. sostenne sempre di non aver avuto intenzioni satiriche), il 29 de L'ultimo bottone, riduzione dallo spagnolo del Molise, il 10 novembre di Ditegli sempre di sì pure del Molise, il 18 de La lettera di mammà, colorita commedia del Bertucci e di Mascaria (Maria Scarpetta) che può considerarsi come il primo autentico successo del D. autore, il 16 dicembre di A Coperchia è caduta una stella del Bertucci.

R. Simoni ne consacrerà la fama, recensendo i tre fratelli, per la prima volta, sul Corriere della sera (16 marzo 1934), a proposito di una ripresa di Chi è più felice di me ? e Don Raffaele il trombone (teatro Odeon di Milano): dopo averne richiamato l'ascendenza sancarliniana, il critico scopriva nel D. "una semplicità calma e attenta, entro la quale si muove, e lo si vede dagli sguardi e dalle increspazioni del viso, una successione di inquietudini sbalordite".

Questi, però, non era tranquillo: secondo lui Eduardo pretendeva di disporre a suo modo dei lavori teatrali nati da una intesa comune e mal sopportava la sua personalità e il suo successo. M. Camerini li diresse nel film Il cappello a tre punte e la critica accolse positivamente la prestazione del D. che vi figurava come Luca (1935). Titina e Peppino scrissero ancora... Ma c'è papà! che al politeama napoletano, il 17 ott. 1935, s'impose al pubblico (frequenti applausi a scena aperta) e alla critica. Il 26 ottobre, sempre allo stesso teatro, fu la volta di Liolà, riduzione in napoletano del D. da L. Pirandello, una delle tappe più significative nell'itinerario della compagnia: egli stesso, che fu il protagonista, seppe temperare la sua esuberante comicità "nei toni spavaldi e canori" di Liolà in un'atmosfera carica di colori, suoni e profumi che inebriarono gli spettatori mai stanchi di applaudire a scena aperta e a sipario calato. Il 14 febbr. 1936 al teatro dei Fiorentini andò in scena, subito dopo l'atto unico di Dino Falconi Oie Marì oie Marì, versione in napoletano del D., Il berretto a sonagli di L. Pirandello, versione in napoletano di Eduardo (il D., nonostante si ritenesse sacrificato nella parte del commissario Spanò che lo costringeva a fare la "statua" durante il monologo di Ciampa del II atto, fu applaudito calorosamente). Nel dicembre, presso il teatro Quirino di Roma si effettuavano le letture del copione L'abito nuovo su scenario di L. Pirandello, dialogato e concertato da Eduardo, quando il drammaturgo siciliano venne improvvisamente a mancare; il testo fu congelato fino al 1° apr. 1937, giorno in cui fu rappresentato al teatro Manzoni di Milano, senza troppa convinzione da parte del D. che vi ricopriva una parte di fianco, quella di Concettino. Raffaello Matàrazzo lo diresse, accanto a Titina, nel film Sono stato io! dalla commedia di Paola Riccora Sarà stato Giovannino, già portata al successo dall'attore (1937, parte di Caflo, "disegnata con saporita gagliofferia". Il 31 marzo 1938 andò in scena, al teatro Mercadante di Napoli, Un povero ragazzo, da lui scritto e interpretato come Andrea; dopo la fortunosa lavorazione de L'amor mio non muore di Giuseppe Amato, film superficiale uscito nel 1938, ad ottenere un vero successo il D. dovette attendere l'8 maggio 1940, quando al Quirino di Roma rivestì la parte di Vincenzino Esposito in A che servono questi quattrini? di Armando Curcio, Eduardo e il D. stesso. Durante il corso delle repliche della commedia si accesero però tra lui e il fratello forti contrasti sul modo di interpretarla. L'amarezza per questo episodio gli era attenuata dall'affetto nutrito per la giovane e bella attrice Lidia Maresca (in arte Lidia Martora) da lui conosciuta in occasione del suo debutto, nel 1938, al teatro Piccinni di Bari, in una ripresa di A Coperchia è caduta una stella: fu una relazione intensa e duratura che segnò l'incrinatura e la fine dei rapporti con la moglie e che fu motivo di dissapore con la sorella che, difatti, era uscita dalla compagnia nel 1939. Un successo entusiastico lo riscosse nella sua commedia Non è vero... ma ci credo !, andata in scena al teatro Argentina di Roma il 10 febbr. 1941 (parte di Alberto Santamaria) e nella trasposizione cinematografica di A che servono questi quattrini? la parte di Esodo Pratelli (1942) che lo vide, come sulla scena, attore impeccabile; gli anni di guerra gli riservarono anche talune delusioni, come l'esito di critica dei due film di C. L. Bragaglia Casanova farebbe così e Non ti pago! (1942), in cui il regista non volle o non seppe valorizzare il gioco dei gesti e delle battute, e, impensatamente, del film di M. Bonnard Campo de'fiori (1943), ma, soprattutto, l'insuccesso della farsa tragica di U. Betti Il diluvio al teatro Argentina di Roma, il 28 genn. 1943, in cui il pubblico rimase in assoluto silenzio ad ogni calare di sipario. Eduardo, poi, lo diresse in Ti conosco, mascherina in cui nella parte di Celestino, sin dall'affollatissima "prinia" romana del 19 febbr. 1944, ottenne il consenso del pubblico.

Frattanto, dopo la morte della madre (21 giugno) e un'ultima risolutiva lite accaduta nel novembre, maturò la definitiva separazione artistica tra il D. ed Eduardo, concordata per il 10 dic. 1944, giorno in cui cessava il contratto con il cinema-teatro Diana a Napoli. Al D. venne incontro l'impresario Remigio Paone, che gli consentì di partecipare alla seconda edizione di Imputati... alziamoci!, rivista di Michele Galdieri (teatro Quattro Fontane di Roma, 23 dic. 1944), e di tenere banco nel fortunato quadro Lungo pranzo di Natale. Separatosi definitivamente dalla Carloni, egli portò poi a maturazione l'idea di un suo teatro, non del tutto alieno da intenzioni antagonistiche nei confronti del fratello.

Così racconterà: "... un genere teatrale assolutamente dialettale mi pareva sempre più superato e limitato. Superato in quanto al linguaggio e limitato in quanto al suo spazio vitale. Cominciai, allora, a pensare ad una forma di teatro capace di esprimersi mediante un linguaggio moderno come quello di tutti i giorni, con tutti i caratteri e le abitudini della società italiana particolarmente del dopoguerra su base tradizionalmente comica nella quale, quà e là, come lo sfarfallio di una luce riflessa, fossero affiorati i piccoli e grandi drammi della vita quotidiana del nostro Paese". Si associò pertanto ad attori che sapessero affrontare un teatro in lingua con una duttilità espressiva che trascolorasse, all'occorrenza, negli accenti dei vari dialetti: un linguaggio caratterizzato da impurità ed inflessioni, ma caldo e festoso.

La nuova gestione capocomicale ebbe inizio a Milano: la Compagnia del Teatro italiano debuttò al teatro Olimpia il 24 ag. 1945 con I casi sono due ! di A. Curcio, commedia adattata al nuovo stile. La critica registrò le buone intenzioni dell'iniziativa, ma vi ravvisò soltanto una dissimulata continuazione dei teatro dialettale. Un successo incontrastato fu ottenuto, comunque, con Quelle giornate, commedia scritta in collaborazione dal D. e Mascaria (teatro Valle di Roma, 24 apr. 1946): il personaggio di Ernesto Sambuchino, l'italiano medio voltagabbana, costretto dagli eventi a trovarsi a contatto di gomito, in una pensione romana, con sfollati provenienti da diverse città italiane, rimase a lungo nelle citazioni di costume e segnò l'inizio della ritrovata fortuna del D. autore e attore. Il 25 ottobre fu Goffredo Cortone in Caro nome!, pure del D. e Mascaria, sempre al teatro Valle. La rappresentazione di Quel bandito sono io! del D. (teatro Mercadante di Napoli, 21 ott. 1947, doppia parte di Desiderio Pellegrino e di Alberto Siracusa), fu costellata da scroscianti risate sino al finale serio e moraleggiante accolto, però, con qualche fischio, che costrinse l'autore a ripresentare la commedia "riveduta e corretta" alla terza sera di recite, per poter godere del consenso indiscusso della platea.

Cominciarono allora le incomprensioni, gli equivoci e perfino le liti, seguite da minacce di duello, con una parte dei critici (un'altra parte preferì continuare a vedere soprattutto l'attore e a segnalarne la sua costante ricerca di affinamento espressivo). Così da una parte R. Carrieri insinuò, nel 1947, che la "decadenza di Peppino ebbe inizio il giorno in cui piantò Eduardo e Titina... Non sopportava il successo associato e si sentiva come defraudato", dall'altra A. Fiocco, nel 1949, asserì che era "un clown di gran classe e il più vicino allo spirito della Commedia dell'arte... Chi chiede al comico un sottofondo di idee, una elaborazione sotterranea, non vada a cercarli da Peppino, perché non li troverà".

Nel 1950 l'attendeva forse la sua più matura prova cinematografica: invitato da A. Lattuada e F. Fellini, impersonò il capocomico di una compagnia di varietà, vanesio e incorreggibilmente donnaiolo, in Luci del varietà. Iniziò così una fitta serie di film, diversi accanto a Totò, di valore discontinuo in quanto le sue colorite caratterizzazioni erano finalizzate esclusivamente al successo commerciale, ma qualcuno destinato ad essere ricordato: fu il marito tradito e irresoluto in Cameriera bella presenza offresi di G. Pastina (1951), il parente importuno e petulante ma innocuo in Signori, in carrozza! di L. Zampa (1951), il pretore nostalgico e bonario in Un giorno in pretura di Steno (1953), il grottesco e maligno protagonista in Ferdinando I, re di Napoli di G. Franciolini (1959), il padre di famiglia iti Arrangiatevi! di M. Bolognini (1959), il coprotagonista in Policarpo ufficiale di scrittura di M. Soldati per cui ricevette la Grolla d'oro nel 1959- Quanto alla novità di Emesto Grassi A me la libertà (teatro Mercadante di Napoli, 19 apr. 1951, parte dell'avvocato), Corrado Alvaro, che la vide al teatro Quirino di Roma, a polemica ormai sopita, giudicò implicitamente il D. come colui che non aveva ancora condotto razionalmente il tentativo di uscire dal confine regionale, altrimenti avrebbe potuto offrire un teatro rispecchiante la stessa formazione della società italiana nelle nostre grandi città, specialmente delle classi medie. Da allora, comunque, l'autore non parve avere più ambizioni ideologiche.

Nel 1956, con la trasmissione dei due atti unici Aria paesana e Pranziamo insieme, ebbe inizio la copiosissima attività televisiva del D., che si articolò anche attraverso cicli di farse e commedie, in parte del suo antico repertorio, le cui registrazioni giunsero fino alla vigilia della morte. Il 21 dic. 1956 al teatro Olimpia di Milano andò in scena Le metamorfosi di un venditore ambulante, farsa all'antica da un tema dell'"arte", con musiche dell'autore a partire dall'edizione del 3 dic. 1959: una data fondamentale nella biografia artistica del De Filippo.

Dal fortunato canovaccio Le metamorfosi di Pulcinella, più volte pubblicato, le cui origini potrebbero ravvivarsi in una pasquinata del 1516 ripresa sulle piazze dai commedianti dell'arte che ne rappresentarono le esilaranti e movimentate trasformazioni, il D. ricavò una commedia ambientata nel 1890 con mutamenti di nomi e costumi e con aggiunte di personaggi, quali quelli delle due cantatrici Marilena e Fragoletta, delle tre comiche (lontane parenti di quelle goldoniane), di Angiolino (discendente di Coviello e di Arlecchino) o del Marchesino. Il personaggio centrale è Peppino Sarachino (interpretato dall'autore), non più maschera, con un linguaggio non più pulcinellesco, ma con una chiara reminiscenza della fame e dei caotici banchetti della commedia dell'arte; egli si dà da fare per favorire le nozze di due giovani e, per liberare la ragazza tenuta prigioniera da un vecchio zio avaro, si trasforma successivamente in filosofo, in statua, in bambino e in mummia (lo spettacolo sarà presentato nel 1963 al teatro Sarah-Bernhardt di Parigi e il 7 apr. 1964, nel quadro del Festival mondiale dei teatro, all'Aldwych Theatre di Londra, dove il pubblico esaurirà la sala e la critica loderà particolarmente la musica e il ritmo da balletto a partire dal II atto sino al finale).

Nel 1962, nel film Boccaccio '70, interpretò l'episodio Le tentazioni del dottor Antonio di F. Fellini, in cui dette corpo, in un'incisiva caratterizzazione, alle ubbie, ai rancori, ai desideri repressi di certi censori inveleniti che due anni prima avevano avanzato pesanti riserve sulla moralità e sul buon gusto de La dolce vita dello stesso regista.

Alcuni anni dopo, per uno spettacolo televisivo di varietà, creò un personaggio, Pappagone (da lui stesso interpretato), che ebbe una vasta popolarità (autunno-inverno 1966-67). Dopo essersi cimentato nel repertorio molieriano (protagonista de L'avaro nel 1964: e Geronte ne Le furberie di Scapino nel 1969) e goldoniano (don Marzio ne La bottega del caffè nel 1966), il D. concluse la sua attività di autore, se si esclude una successiva serie di atti unici di secondaria importanza, con Come finì don Ferdinando Ruoppolo (teatro delle Arti di Roma - alla gestione del quale, dopo averne curato l'ammodernamento, rimase legato dal giugno 1967 al giugno 1969 -, 28 febbraio 1969, parte del protagonista), sempre alla direzione della Compagnia del teatro italiano: un bozzetto di costume che annovera i momenti migliori nel surrealismo di un'apparizione spiritica congeniale alla sua vena più genuina. Dopo la morte della Maresca, avvenuta in una clinica romana il 23 apr. 1971 tre ore dopo il matrimonio "in extremis" con il D. (che aveva ottenuto il divorzio dalla Carloni qualche giorno prima), questi pubblicò, in appendice alla quarta edizione del volume di versi Paese mio dedicato al figlio ed edito per la prima volta nel 1966, Pagine per Lidia: contengono diciassette poesie "in memoriam", accorate, dimesse, arieggianti talvolta la maniera di S. Di Giacomo, testimonianze di un dolore intenso e contenuto (in particolare Aprile e Pe' sta vicino a te !). Il 25 ott. 1974, presso il teatro Mediterraneo di Napoli, curò la regia dell'opera buffa Lo frate 'nnammurato di G. B. Pergolesi nell'ambito del XVII Autunno musicale napoletano: la rappresentazione, in cui i recitativi al clavicembalo furono sostituiti da un dialogo rapido e ammodernato, risultò piacevole nonostante le ovvie riserve di carattere musicologico. Nel 1976 il D. pubblicò un libro di ricordi che suscitò commenti non sempre benevoli, Una famiglia difficile, un racconto relativo al periodo dalla nascita ai primi anni del secondo dopoguerra, prezioso non tanto per l'esattezza cronologica quanto per la spregiudicata analisi dei sentimenti e dei comportamenti dei familiari, e per le minuziose e colorite descrizioni ambientali, il quale, con i cenni contenuti nell'introduzione alle Farse e commedie e in Strette di mano (1974), in parte sotto forma di articoli già pubblicati su Il Messaggero di Roma, costituisce la sua autobiografia. Il 21 genn. 1977 dette alla televisione una struggente interpretazione del vecchio ne Il guardiano di H. Pinter, con la regia di Edino Fenoglio il quale aveva ambientato la vicenda a Milano e trasformato il "tramp" in un emigrato napoletano, cui l'attore prestò un volto corrugato e immiserito, un gestire stanco e rassegnato, segno di una totale emarginazione dalla vita. più che dalla società. Dopo aver sposato l'attrice Leila (Lelia) Mangano a Sali Vercellese il 4 giugno, riprese, nel quadro di un'attività ormai ridotta, Non è vero... ma ci credo! al teatro Mancinelli di Orvieto il 20 dic. 1977 e al teatro delle Arti di Roma dal 21 febbr. al 19 marzo 1978, accomiatandosi dal pubblico delle platee nella parte di Gervasio Savastani.

Una grave malattia lo costrinse prima al riposo, interrotto, nel maggio 1979, dalla registrazione di un ciclo di brevi intrattenimenti televisivi dal titolo Buona sera con... Peppino De Filippo (in onda dal 10 dic. 1979 al 6 genn. 1980), poi al ricovero nella clinica Sanatrix di Roma dove, dopo qualche settimana, spirò il 27 genn. 1980.

A giudicare il teatro del D. può giovare la presentazione delle sue Farse e commedie, in cui le paragona a pezzi di pane caldo appena uscito dal forno, da aspirare profondamente come "una boccata d'aria pura": non idee, dunque, ma sentimenti, espressi in modo genuino, semplice, mai volgare o ridondante, calati in situazioni della più ovvia quotidianità, dai meccanismi rapidi e incalzanti, con qualche venatura patetica ma quasi sempre con esiti di comicità spensierata nei primi lavori, assorta e pungente nei successivi, con l'eccezione de Le metamorfosi che segnarono un festoso ritorno alle radici del teatro napoletano. Più articolato può risultare il giudizio sul D. attore: c'è chi ha visto un interprete che inventava la commedia scena per scena, la concretava e la faceva impazzire con una serie di invenzioni burlesche che all'azione vera non erano necessarie (R. Simoni), un grande attore sempre più grande di ciò che rappresentava (S. D'Amico), un comico angoloso e aspro che dei mali della vita si serviva per far ridere (A. Fiocco), un moralista sconfitto e incattivito (G. Prosperi); attore di razza, Peppino è stato tutto questo e non lo si può immaginare senza i funambolismi della Commedia dell'arte, senza gli umori agrodolci della tradizione sancarliniana, senza il fiuto istintivo dei gusti del suo pubblico.

Bibl.: Necrol. in Il Messaggero, 28 genn. 1980. Cfr. inoltre: Il Mattino, 24-25 luglio 1927; 5 aprile, 26-27 dic. 1931; 9, 21, 30 ott., 11, 19 novembre, 17 dic. 1932; 18, 27 ott. 1935; 15 febbr. 1936; 31 marzo 1938; 26 ott. 1974; Comoedia (Milano), 15 novembre-15 dic. 1930; 15 giugno-15 luglio 1932; Scenario (Roma), ottobre 1933; febbraio 1943; 16-31 luglio 1951; Il Messaggero, 8 maggio 1940; 20 febbr. 1944; 24 sett. 1966; 6 genn. 1967; 2 marzo 1969; 24 apr. 1971; 23 febbr., 19 marzo 1978; 10 dic. 1979; 6 genn. 1980; Risorg. liber. (Roma), 24 dic. 1944; Omnibus (Milano), 2 giugno 1947; Risorg. (Napoli), 22 ott. 1947; La Fiera letter., 18 dic. 1949; Il Pomeriggio (Bologna), 8 febbr. 1951; Il Mondo, 24 nov. 1951; Corr. della sera, 22 dic. 1956; La Stampa, 9 apr. 1964; Il Tempo, 22 ag. 1974; 28 genn. 1981; Radiocorriere TV, 16-22 genn. 1977; Il Giorno (Roma), 12 febbr. 1977; E. F. Palmicri, Teatro ital. del nostro tempo, Bologna 1939, pp. 249 s.; R. Simoni, Trent'anni di cronaca drammatica, IV,Torino 1958, pp. 124 s., 357; P. De Filippo, Farse e commedie, I,Napoli 1964, pp. 7-15; F. Savio, Ma l'amore no, Milano 1975, pp. 4 s. e Passim; P. De Filippo, Una famiglia difficile, Napoli 1976, pp. 12 s. e passim; G. Antonucci, Eduardo De Filippo, Firenze 1981, pp. 19-22 e passim; Encicl. d. Spettacolo, IV,coll. 323-32; Filmlexicon degli autori e delle opere, II, coll. 142 s.

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