Percorsi introduttivi - Presagi scientifici di un cinema venturo

Enciclopedia del Cinema (2003)

Percorsi introduttivi - Presagi scientifici di un cinema venturo

Carlo Alberto Zotti Minici

Presagi scientifici di un cinema venturo 

Gli studi più recenti hanno proposto una ridefinizione del termine pre-cinema con il suo inserimento all'interno delle pratiche spettacolari e soprattutto della ricerca scientifica, conferendo un rilievo particolare alle loro connessioni. Non esiste "una sola retta, o prospettiva lineare, che unisca la storia del cinema con quella della sua lunga incubazione e preparazione anteriore. Tutto ciò che ha preceduto il verificarsi delle condizioni per l'avvento della storia del cinema è storia di molte storie confluenti, parallele, comunicanti e divergenti" (G.P. Brunetta, Il viaggio dell'icononauta, 1997, p. 494).

La storiografia sulle origini del cinema (in particolare gli studi di Michel Coissac, Georges Sadoul e Jean Mitry) ha colto solo in parte l'ampiezza del problema. A partire dal Seicento, si trovano descrizioni di camere oscure di vario tipo, tutte basate sul semplice principio di un raggio di luce che, attraversando un piccolo foro, ricreava all'interno di uno spazio buio le immagini esterne. Tale fenomeno, per quanto già conosciuto fin dall'antichità e descritto nelle opere di autori medievali come John Peckham (1240 ca.-1292) o Ibn al-Hayṯam (detto Alhazen, 965 ca.-1039 ca.), assume particolare rilievo da Leonardo da Vinci (1452-1519) in poi per il suo valore di metafora della visione, ricondotta alla problematica della formazione d'immagini mediante dispositivi ottici. "La sperienza, che mostra come li obbietti mandino le loro spezie ovver similitudini intersegate dentro all'ochio nello omore albugino, si dimostra quando per alcuno picolo spiraculo rotondo penetreranno le spezie delli obbietti alluminati in abitazione forte oscura. Allora tu riceverai tali spezie in una carta bianca posta dentro a tale abitazione alquanto vicina a esso spiraculo. E vedrai tutti li predetti obbietti in essa carta colle lor proprie figure e colori; ma saran minori e sieno soto sopra, per causa della detta intersegazione. Li quali simulacri, se nasceranno dal loco alluminato dal sole, parran proprio dipinti in essa carta, la qual vuol essere sottilissima e veduta da riverscio" (Codice D, foglio 8 recto A, 1485-1490). La descrizione è fondamentale per comprendere il momento in cui inizia a porsi il problema di una visione 'attrezzata', che modifica radicalmente la visione naturale impiegata dalla scienza antica. In seguito alle ricerche di Leonardo, lenti e specchi venivano combinati variamente all'interno di camere oscure, lanterne magiche, microscopi, telescopi e innumerevoli altri strumenti ottici, per ottenere figure ingrandite, rimpicciolite, moltiplicate. Proiezioni anamorfiche e specchi avevano dominato la letteratura scientifica e continuarono per tutto il Settecento a mantenere un posto d'onore nei trattati e negli avvisi pubblicitari dei costruttori, divenendo i divertimenti ottici più semplici e consueti.La spettacolarizzazione delle pratiche dimostrative dello sperimentalismo settecentesco, il diffondersi dell'interesse per la scienza e per i suoi strumenti anche al di fuori della ristretta cerchia degli specialisti, la conquista di nuovi 'pubblici' e nuovi 'palcoscenici', il proliferare di una letteratura scientifica rivolta al crescente numero di collezionisti e amatori, spiegano i clamorosi sviluppi ottocenteschi in ambito ottico-spettacolare. Lo scientismo settecentesco ricercava l'effetto visivamente sorprendente attraverso l'applicazione delle argomentazioni fisiche, prospettiche, ottiche e matematiche sviluppatesi nel Rinascimento. A partire dal Seicento e, in modo più incisivo, dal Settecento, l'ideazione e la costruzione di immagini in funzione spettacolare, grazie alle inedite possibilità di osservazione aperte dagli strumenti ottici, diedero vita a un patrimonio visivo collettivo completamente nuovo, in cui prevaleva la ricerca della meraviglia, come nelle suggestive descrizioni delle osservazioni microscopiche rintracciabili nei testi scientifici settecenteschi. Il telescopio e il microscopio, dilatando le possibilità percettive dell'uomo, determinarono l'allargamento dei suoi orizzonti visivi, mentali, etici ed estetici, aprendo al suo sguardo nuove dimensioni e mondi mai immaginati. L'osservazione si appropriava di nuove dimensioni, nuovi esseri, nuovi paesaggi, individuando inediti oggetti di meraviglia, di studio e di speculazione, che spinsero l'uomo a praticare nuovi spazi fisici e mentali.Giovanni Rucellai (1475-1525) in Le api, poemetto dedicato a Gian Giorgio Trissino e pubblicato postumo, per volere di questi, nel 1539, più noto agli studiosi di zoologia che agli storici dell'ottica, propone la descrizione di una primissima osservazione microscopica: l'anatomia di un'ape esaminata con uno specchio concavo, adoperato come un microscopio semplice. Il grande umanista fiorentino celebra il carattere meraviglioso e sorprendente delle immagini ingrandite dallo specchio, in grado di trasformare prodigiosamente un infante in colosso e un'ape in drago: "[...] E parrebbe incredibil, s'io narrassi / alcuni lor membretti come stanno / che son quasi invisibili ai nostr'occhi [...] / [...] Dunque se vuoi saper questo tal modo, / prendi un bel specchio lucido e scavato, / in cui la picciol forma d'un fanciullo / ch'ussito sia pur or del matern'alvo, / ti sembri nella vista un gran colosso, / simile a quel del Sol che stava in Rodi [...] / [...] Così vedrai multiplicar la imago / dal concavo riflesso del metallo, / in guisa tal, che l'ape sembra un drago / od altra bestia che la Libia mena [...]". Numerose descrizioni scientifiche o poetiche contenevano con significativa frequenza immagini analoghe, scaturite dagli effetti amplificanti e deformanti di lenti e specchi, nelle quali l'accento era spesso posto sulla perdita di identità dell'oggetto che, in virtù dell'ingrandimento, finiva per apparire qualcosa di assolutamente diverso.Come emerge dalle suggestive parole di un autorevole protagonista della divulgazione scientifica settecentesca, Francesco Algarotti (1712-1764), che celebra gli straordinari poteri del microscopio, definendolo bussola de' Filosofi in quanto causa di un profondo mutamento di prospettive anche intellettuali e morali, il meraviglioso universo dell'infinitamente piccolo sembrava imporsi per fascino e suggestione su quello dell'infinitamente grande: "I Telescopi, collo scoprire le cavità e le prominenze, o vogliam dire le valli e le montagne, che son ne' Pianeti, le diverse stagioni, ch'essi anno, le loro rivoluzioni intorno a se medesimi, che è quanto il dire la notte, il dì, le Lune onde alcuni sono illuminati in tempo di notte; in somma coll'averceli rappresentati affatto simili alla nostra Terra, c'hanno somministrato di che popolare que' vasti ed immensi corpi, ch'erano deserti altre volte, e trascurati in un angolo dell'Universo, e a solo fine di rallegrarci l'occhio si credeano fatti. Ma i Microscopi c'anno realmente fatto vedere un'infinità di viventi, che noi non conoscevamo prima, e questi in cose, che non si credevano gran fatto acconcie ad esserne popolate, lasciando da parte tante scoperte, delle quali siam loro debitori nella Storia naturale, e nell'Anatomia. Le infusioni aromatiche, una goccia d'aceto, sono popolati d'una quantità così prodigiosa di piccoli animaletti, che l'Elvezia e la Cina sono deserti e solitudini al paragone..." (1737, pp. 108-09). Dietro alla predilezione per l'infinitamente piccolo si percepisce anche il fatto che gli strumenti ottici deputati alla sua analisi erano più accessibili al grande pubblico. Algarotti evoca i fantastici panorami stellari nascosti nell'occhio di un insetto, saltando con un singolare effetto di straniamento dalla dimensione microscopica a quella telescopica: "Se l'occhio di una mosca, che pare una picciola prominenza quasi che informe, si guarda col Microscopio, egli apparisce non esser che un composto di migliaia e migliaia di piccioli occhi, come alcune stelle nebulose nel Cielo, si vedon col cannocchiale un formicaio di migliaia di picciole stelle. In alcuni insetti se ne sono contati persino a trentaquattro e più mila, ognuno de' quali, nell'estrema sua picciolezza, un cristallino così perfetto, come il nostro, aveva" (pp. 109-10).

Nell'interessante variante settecentesca del microscopio solare o da proiezione (a metà strada tra microscopio e lanterna magica), la dimensione spettacolare divenne eclatante: lo strumento, infatti, proiettava all'interno di una camera oscura l'immagine molto ingrandita di insetti o altri piccoli animali, per mezzo della luce solare raccolta e amplificata da uno specchio che poteva essere variamente inclinato, di un microscopio e di una lente convergente. Piccoli strumenti ottici settecenteschi, che avevano carattere di puri e semplici divertissements, legati allo spirito ludico e galante del secolo, quali i polemoscopi, le camere oscure da tasca, gli zogroscopi, i poliscopi, attestano la crescente 'curiosità' visiva che lo strumento provocava e che sarebbe giunta nel secolo successivo a forme di vera e propria 'iconolatria'.

L'associazione tra scienza e spettacolo tipica della fisica sperimentale settecentesca è un punto di partenza obbligato per comprendere gli sviluppi dell'Ottocento, che vide un allargamento di modalità, ambiti e fruitori. La dimensione visiva era un aspetto fondamentale dello spirito divulgativo dell'età dei lumi: i fenomeni di spettacolarizzazione passavano di necessità attraverso quel canale di comunicazione privilegiato che è lo sguardo. In Nouvelles récréations physiques et mathématiques del 1770, uno dei trattati scientifici più significativi per ricchezza e chiarezza espositiva, nel descrivere alcuni suggestivi effetti catottrici di 'spostamento' delle immagini, Edme Gilles Guyot (1706-1786) osserva: "Di tutti i nostri sensi quello della vista è certamente il più soggetto alle illusioni; tutti gli autori che si sono occupati d'ottica ne forniscono un grandissimo numero di esempi, e si sono tutti sforzati di scoprire le cause e gli effetti, affinché, non più indotti in errore osservando e esaminando con attenzione tutti questi diversi fenomeni, noi possiamo discernere l'apparenza dalla realtà..." (vol. 2°, p. 199).

Il ruolo determinante dell'ottica nello sperimentalismo spettacolare settecentesco si percepisce dall'ampiezza dello spazio a essa dedicato dalla trattatistica, oltre che dalle stesse modalità di divulgazione scientifica. Nel corso del 18° sec. gli scienziati-dimostratori erano infatti uomini di spettacolo, capaci di avvincere e persuadere il pubblico avvalendosi, oltre che delle necessarie doti individuali di fascino e 'presenza scenica', di esperimenti fortemente suggestivi sul piano visivo. Questi personaggi conducevano le esperienze di ottica con un vasto armamentario di lenti, specchi, prismi, microscopi, telescopi, camere oscure, scatole ottiche e lanterne magiche, riscuotendo la curiosità e l'entusiasmo degli spettatori. Lo sguardo del pubblico si dilatò progressivamente fino a trasformarsi da curiosità illuminista in onnivoro voyeurismo ottocentesco, tanto pervasivo da strutturarsi in svariate modalità, al confine tra scienza e gioco, ma con un deciso prevalere degli aspetti più ludici; una vasta manualistica tecnica supportava la diffusione di questi strumenti, divulgandone l'uso agli innumerevoli scienziati autodidatti.Facendo fronte a una domanda sempre più ampia e diversificata, l'editoria ottocentesca pubblicò a getto continuo testi per il grande pubblico, basati sulla schematizzazione di materie codificate dalla trattatistica settecentesca, talvolta condotta su precedenti riduzioni (per citare solo un esempio, si veda la fortunata traduzione Recreations in mathematics and natural philosophy, 1803, di Charles Hutton, dal testo del 1694 di J. Ozanam). Ma già tra Seicento e Settecento da una produzione letteraria scientifica e specialistica, legata a una concezione chiusa e sacrale della conoscenza come tesoro di pochi e privilegio da custodire gelosamente, si era passati a testi basati su un'idea del sapere che prendeva forma proprio dalla rivoluzione scientifica seicentesca e si rivelava patrimonio di molti, utile e trasmissibile, comunicabile, concepito per il beneficio dell'intera collettività, frutto del collettivo e non più prerogativa esclusiva di un ristrettissimo numero di cervelli, che conducevano le loro ricerche in tutta segretezza. Le accademie e le società scientifiche che proliferarono in Europa nei primi decenni del Seicento furono il campo d'applicazione di questa nuova idea del sapere (P. Rossi, I filosofi e le macchine, 1962, pp. 68-103). La concezione di "istruzione dilettevole" era legata allo spirito illuminista e alla convinzione che la conoscenza potesse essere fonte di diletto e di "ricreazione", fondamento di tutta la trattatistica del secolo: il sapere era inteso come utilità e progresso, ma anche svago e piacere dello spirito.

Dall'inizio del Settecento nell'ambiente accademico venne introdotto il nuovo metodo sperimentale con i corsi di 'filosofia naturale' dei primi dimostratori inglesi discepoli di Isaac Newton (1642-1727), da John Keill (1671-1721) a Francis Hauksbee (1666-1713?) a John Théophile Desaguliers (1683-1744). In Francia l'abate Jean-Antoine Nollet (1700-1770), che seguiva il cammino intrapreso dai divulgatori e volgarizzatori olandesi quali Willem Jacob Storm 's Gravesande (1688-1742) e Pieter o Petrus van Musschenbroeck (1692-1761), rese popolare il metodo. La prima cattedra di fisica sperimentale a Parigi, voluta da Luigi XV al Collège de Navarre, fu assegnata a J.-A. Nollet nel 1735. Dal 1743 furono pubblicate le sue Leçons de physique expérimentale in sei volumi, opera che non solo si distingueva da quelle fino ad allora apparse per organicità e completezza teorica e metodologica e per la ricchezza di esperienze originali, ma che segnava una tappa fondamentale sulla via indicata del passaggio alla grande divulgazione ottocentesca. Le Leçons erano infatti informate da un dichiarato intento didattico, che trovava conferma nella pubblicazione, di quasi trent'anni successiva, dell'Art des expériences (1770), primo manuale concepito specificamente per gli amatori, come guida alla costruzione degli strumenti.Anche Joseph-Aignan Sigaud de la Fond (1740-1810), altro grande divulgatore francese, allievo e successore di Nollet al Collège de Navarre, dando alle stampe nel 1775 l'opera Description et usage d'un cabinet de physique expérimentale si rivolgeva esplicitamente agli amatori: "Non si può dunque incoraggiare abbastanza quegli Amatori che si moltiplicano ogni giorno, e che, applicandosi con zelo allo studio dei fatti, cercano di procurarsi i migliori apparecchi relativi ai loro interessi e al genere di lavoro che intendono seguire. Non si può dunque che attendersi molto da questo gusto generale, che si estende fino alle nostre Province più lontane, da questa nobile emulazione, che supera le difficoltà che vi si oppongono e che impegna attualmente quasi tutti i Professori di Fisica nel procurarsi macchine eccellenti e nell'allestire dei gabinetti" (p. XV).

Considerando gli intenti dichiarati, la struttura e il tipo di interlocutore cui queste opere intendevano rivolgersi, era facile prevedere, nel giro di pochi decenni e con l'inizio del nuovo secolo, il passaggio dalla dimensione pubblica e spettacolare della scienza, a quella privata e domestica, con la trasformazione dello spettacolo collettivo in un gioco privato, anzi in un 'giocattolo'. Gerard L'Estrange Turner, delineando puntualmente il quadro del passaggio dagli apparati dimostrativi del 18° sec. al variegato universo dei giochi e dei divertimenti infantili del secolo successivo, e particolarmente dell'età vittoriana, sottolinea come il sapere fosse assorbito consciamente o inconsciamente attraverso il gioco (Scientific instruments and experimental philosophy 1550-1850, 1990, p. 384).

I trattati settecenteschi e le trade cards dei costruttori evidenziano con chiarezza, accanto alla produzione volta a soddisfare la domanda di macchine complesse per l'impiego scientifico e professionale, l'esistenza di un vasto repertorio di strumenti d'uso più comune destinati alla dimensione ludica. La produzione ottocentesca era basata soprattutto sugli strumenti pensati nel Settecento per la fruizione individuale, per il gioco privato, cui si mescolarono gli apparecchi ottici del collezionismo più ricco e della pratica professionale, come attestato dalla loro presenza nei cataloghi e nelle descrizioni delle più importanti collezioni del tempo. Molti tipi e modelli di scatole ottiche e di camere oscure venivano proposti anche in formato tascabile così come i prismi, le anamorfosi, le lanterne magiche e altri piccoli strumenti 'inutili', del tutto svincolati da ogni impiego di tipo scientifico, puri e semplici divertissements (come i piccoli poliscopi da tasca, in legno o ottone, noti in Inghilterra con il termine di dragonfly che, grazie a una lente prismatica, consentivano la visione moltiplicata di un oggetto, con un semplice ma suggestivo effetto fantasmagorico di figure e colori).Il polemoscopio, la cui invenzione alla fine del 18° sec. viene attribuita da Mathurin-Jacques Brisson e da Jean-Étienne Montucla a Johannes Hevelius (1611-1687), risalirebbe già al 1637 e costituisce un caso ancor più curioso ed emblematico. Cannocchiale dotato di uno specchio inclinato e di una lente laterale, ideato come strumento da guerra, godette di grande fortuna per tutto il Settecento soprattutto nella sua versione portatile, quale occhiale da teatro. Nollet lo descrive dettagliatamente sottolineandone la peculiare dimensione del "vedere senza essere visti", su cui si fondava anche il noto meccanismo della camera oscura, tanto seducente e dilettevole perché poneva lo spettatore nella posizione ambigua e affascinante di un voyeur.La trattatistica settecentesca descrive una gran varietà di scatole ottiche e catottriche deputate al divertimento domestico, accomunate dallo stesso tipo di fruizione privata, per lo più individuale. Lo zogroscopio, che fece la sua comparsa dagli inizi del Settecento come elementare variante, a uso privato, dei pantoscopi o mondi novi, era uno degli strumenti più interessanti, in quanto anticipava i successivi sviluppi prefigurando l'ossessione visiva del secolo. I pantoscopi, presenti nelle piazze d'Europa, disponevano di repertori di vedute variamente animate da semplici ma suggestivi effetti di luce, osservabili dagli oculari all'interno delle magiche 'cassele'. Lo zogroscopio era un semplicissimo strumento per l'osservazione delle vedute ottiche, munito di una lente d'ingrandimento e di uno specchio riflettente posto a 45°. L'immagine risultava posizionata capovolta alla base e osservata attraverso la grande lente convessa nello specchio, dove si vedeva diritta, ingrandita e tridimensionale. Vi era qualcosa di evidentemente paradossale nell'artificio, in quanto il risultato era di scarso effetto rispetto alla visione diretta dell'immagine. La sua suggestione quindi era legata al fatto stesso di "guardare attraverso", al fascino di una visione in cui uno strumento andava a interporsi fra lo sguardo e il suo oggetto. Lo zogroscopio sembrerebbe dunque più un prodotto dell'onnivora curiosità di osservazione tipica del tempo; il guardare diventava in questo caso una pratica in larga misura svincolata dal suo oggetto, divertente in sé e per sé, in forza dell'interporsi dello strumento, che caricava questa visione mediata di un potere di suggestione superiore a quello della visione diretta, mentre la condizione psichica di chi guardava veniva a mutare per la presenza dello strumento che la rendeva più coinvolgente e densa di aspettative.

L'editoria divulgativa, che rielaborava i più illustri modelli citati e trovava nel mondo dell'infanzia un nuovo referente privilegiato, assecondò questa passione per il divertimento scientifico autodidatta che dilagò nell'Ottocento. L'associazione del gioco e dello sport divenne spesso veicolo di istruzione nelle varie branche della fisica: in Philosophy in sport made science in earnest di John Ayrton Paris (1785-1856), presidente del Royal College of Physician, apparso nel 1827 e continuamente ripubblicato nei decenni successivi, l'autore dichiarava l'intento programmatico di "instillare nelle giovani menti i basilari principi della filosofia naturale con l'aiuto dei giochi popolari e degli sport giovanili". L'ampio capitolo dedicato all'ottica descriveva tutti i giochi basati sul fenomeno della persistenza retinica, fra i quali il fenachistoscopio di Joseph-Antoine Ferdinand Plateau (1801-1883) e il taumatropio, ideato dallo stesso autore. Basata sul binomio istruzione-diletto di matrice settecentesca, la ricchissima produzione editoriale ottocentesca scientifica, a carattere divulgativo, trovò sul finire del secolo un altro testo esemplare del suo spirito e delle sue caratteristiche strutturali nel trattato di Gaston Tissandier (1843-1899) dall'emblematico titolo Les récréations scientifiques, ou l'enseignement par les jeux (1881). Nella sua breve introduzione, l'autore rimanda al trattato seicentesco di Jacques Ozanam (1640-1717), il primo a introdurre e applicare agli esperimenti scientifici il fortunato termine récréations, caro ai divulgatori della scienza del 19° secolo. Tissandier accusa l'illustre predecessore di leggerezza nell'ascrivere all'ambito della scienza finanche "i giuochi dei bussolotti e di destrezza", e nel trattare i giochi della "fisica dilettevole", che altro non sono se non "superchierie ingegnose", affermando rigorosamente scientifico il metodo degli esperimenti descritti nella sua opera, benché anch'essa si proponesse "per iscopo d'istruire divertendo" (trad. it. 1882). Secondo l'autore le esperienze d'ottica descritte avevano il pregio di poter essere realizzate con strumenti elementari, che chiunque avrebbe potuto costruirsi. Tissandier propone il catalogo dei giochi ottici più popolari del 19° sec. a partire dai più semplici: dischi e trottole cromatiche, dischi stroboscopici, tutti gli strumenti basati sul fenomeno della persistenza retinica, dal taumatropio al fenachistoscopio di Plateau, dallo zootropio al prassinoscopio-teatro di Émile Reynaud (1844-1918), fino agli specchi deformanti, ai prismi e alle anamorfosi. Viene così effettuata con didattica chiarezza una spiegazione dei fenomeni e dei congegni atti a verificarli, e inoltre offerto il resoconto di esperienze che sembravano sconfinare nel campo del puro spettacolo. L'esperimento del "decapitato parlante", realizzato con il semplice uso di due specchi posti a 45°, appare esemplare in questo senso: "Alcuni anni or sono, il decapitato parlante ottenne a Parigi ed in un gran numero di altre città un vero successo di curiosità. I visitatori guardavano in una saletta, ove essi non potevano penetrare, ed ove vedevano una tavola a tre piedi; sopra questa tavola v'era una testa umana, posata sopra un drappo nel mezzo di un vassoio. Questa testa stralunava gli occhi e parlava; essa apparteneva certamente ad un uomo il cui corpo era assolutamente dissimulato... Se si fosse gettato un sasso fra i piedi della tavola si sarebbero rotti gli specchi che riflettevano i muri di destra e di sinistra. Un incredulo si è servito un giorno di questo processo" (trad. it. 1882, pp. 171-72). Tissandier, inoltre, descrive in modo particolarmente suggestivo alcuni effetti di apparizioni prodotti dai vetri trasparenti, che rientravano nel ricco e multiforme filone ottocentesco del macabro e del fantasmatico, e risultano attestati da numerosi repertori iconografici.Lo studio dei meccanismi dell'immagine in movimento nel 19° sec. implica la necessità di seguire l'evoluzione della lanterna magica, la macchina ottica che a partire dal Seicento affascinò scienziati e tecnici impegnandoli nella messa a punto e nel perfezionamento di sempre più sofisticati modelli, congegni e modalità d'animazione. Il racconto di questi progressi tecnici e del variare e diversificarsi dei filoni iconografici è ricco e affascinante e si snoda attraverso la trattatistica scientifica, dalla "lanterna magica o taumaturgica" di Athanasius Kircher (1602-1680), nell'Ars magna lucis et umbrae (1646), fino alle dissolving views della manualistica ottocentesca.Con il suo ruolo di artificio ottico eminentemente spettacolare, la lanterna magica godette infatti nel Settecento della più alta considerazione in ambito scientifico e fu più volte materia di dissertazione accademica. Samuel Urlsperger e Georg Erich Remmelin presentarono nel 1705 a Tubinga una tesi di dottorato sulla lanterna magica, prefigurando la possibilità di un impiego didattico dello strumento per illustrare soggetti di storia naturale, storia e storia sacra, geografia e matematica (Phaenomena laternae magicae, 1705). Nel giugno del 1713, Samuel Joannes Rhanaeus presentò a Jena il Novum et curiosum laternae magicae augmentum quod dissertatione mathematica. Dopo un'introduzione storica volta ad affermare la dignità dell'argomento, facendo appello al prestigio di autorevoli scienziati e descrivendo le loro ricerche e i risultati raggiunti nel perfezionamento della lanterna magica, l'autore proponeva la prima descrizione di alcuni vetri da proiezione animati, ideati e fabbricati da lui stesso, illustrandone minutamente meccanismi ed effetti. L'analisi dei soggetti di questi primi vetri meccanici (in tutto dieci) evidenzia filoni iconografici che divennero poi caratteristici del repertorio ottocentesco dell'immagine animata.

Nello stesso corso di fisica che W.J.S.'s Gravesande pubblicò a Leida nel 1720-21, venne riconosciuto alla lanterna magica il ruolo di protagonista tra le molte macchine catadiottriche impiegate "per mostrare utili e ameni spettacoli". Il trattato è di fondamentale importanza in quanto offre la più accurata descrizione tecnica della struttura e dell'uso dello strumento a quella data: descrizione seguita e ripresa da autori successivi senza particolari modifiche. Riguardo ai vetri, l'autore rileva che "i soggetti devono essere rappresentati su un vetro piano e dipinti con colori delicati" (col. I, p. 873), possono essere formati da dischi di vetro rotondi, con un diametro di cinque pollici, fissati a tre a tre in telai di legno; oppure si dipingono le figure in successione su bande di vetro, anch'esse inserite in telai di legno.

Alla fine del Settecento le tecniche di animazione dell'immagine e i relativi repertori per la lanterna magica vennero diffusi in Europa attraverso l'opera divulgativa di E.G. Guyot, che testimoniava i diversi livelli qualitativi già esistenti nella produzione delle immagini per lanterna magica: da una parte quello più comune dei vetri destinati all'uso popolare, impiegati nelle piazze dai numerosi lanternisti ambulanti, dall'altra quello più sofisticato delle immagini riservate al collezionismo e dunque al divertimento domestico di un pubblico colto e raffinato. Il filone ludico affiancava quello fantastico: una sezione del trattato di 's Gravesande, infatti, era dedicata alle proiezioni sul fumo e alle suggestive apparizioni spettrali che questa tecnica consentiva di evocare, impiegando una piccola lanterna magica collocata su un piedistallo, che nascondeva al suo interno uno specchio inclinato mobile e un fornelletto (Physices elementa mathematica, 1720-21, pp. 233-34).

I vetrini del filone fantastico perpetuavano gli incubi dell'immaginario popolare e religioso trovando nella lanterna magica un perfezionamento tecnico rispetto ai tentativi di suscitare spettri e apparizioni con l'uso di specchi parabolici, nonché rispetto alla macabra iconografia, per lo più riconducibile all'ambiente religioso, dei primi scienziati-lanternisti della seconda metà del Seicento. Questo repertorio non era tipico dello spettacolo ambulante: coloro che lo proponevano, uomini di spettacolo collocabili nel territorio di confine tra scienza e magia, erano figure complesse e ambigue e, agli occhi del pubblico dell'epoca, misteriose per lo meno quanto i loro stessi artifici. Étienne-Gaspard Robertson (1763-1837), fisico aeronauta, è tra queste la più complessa. Nei Mémoires récréatifs, scientifiques et anecdotiques (1831-1833) emerge la sua ricca cultura che mescolava le suggestioni più diverse: Giovan Battista Della Porta e Athanasius Kircher, Cagliostro, la magia nera e lo spiritismo, la tradizione spettacolare della lanterna magica, il teatro d'ombre di Dominique François Séraphin (1747-1800), ma anche i testi e le pratiche della nuova fisica sperimentale. Come fisico proponeva esperienze che spaziavano dalla chimica all'elettricità e alla pneumatica, dalla pirotecnica all'areostatica. Attratto da una parte dal mondo della magia e dell'occulto, Robertson era altrettanto entusiasta delle conquiste della scienza, di cui era appassionato sostenitore e di cui esaltava proprio, in apparente contraddizione con il suo amore per l'irrazionale, il merito di aver ricondotto realtà che apparivano prodigiose e soprannaturali a cause razionalmente comprensibili, diradando le nebbie della credulità e della superstizione. Un ricco apparato di artifici scenografici e spettacolari effetti acustici e di luce, che si combinavano alle proiezioni simultanee ottenute con fantascopi e lanterne magiche, potenziava le sue rappresentazioni in una sorta di spettacolo totale, orchestrato e diretto da lui stesso. Il fantascopio fu da Robertson brevettato il 27 marzo 1799: si trattava di una lanterna magica tecnicamente perfezionata, per la costruzione della quale si era avvalso di grandi tecnici come l'ottico londinese Peter Dollond per la parte ottica e il parigino Pierre François Antoine Molteni per il corpo della lanterna, adottando inoltre, per potenziare l'illuminazione, la lampada inventata nel 1780 da Aimé Argand (1750-1803). Montato su un carrello mobile, provvisto di ruote rivestite di gomma per attutirne il rumore, veniva collocato dietro uno schermo trasparente per proiettare senza essere visibile agli spettatori, e spostato avanti e indietro per rimpicciolire e ingigantire le immagini dipinte su vetro, fisse o animate, facendole avvicinare, allontanare o scomparire improvvisamente.

Philip Carpenter (1776-1833), il più importante costruttore inglese di lanterne e strumenti ottici dell'inizio secolo, attivo prima a Birmingham e più tardi a Londra in Regent Street, brevettò nel 1820 una sua versione semplificata e portatile del fantascopio, la lanterna Phantasmagoria, studiata per essere impiegata sia come semplice lanterna magica sia per spettacoli di fantasmagoria.Henry Langdon Childe (1781-1874), che iniziò la sua carriera proprio come pittore di vetri per le fantasmagorie di Philipsthal, fu l'altro grande protagonista della fantasmagoria e più in generale di tutta la sperimentazione tecnica legata all'immagine proiettata nel corso del 19° secolo. Un articolo del "The optical magic lantern journal" (April 1894, 59, pp. 69-70) proponeva il minuzioso resoconto di una nota serie di vetri di sua produzione, raffiguranti la storia di Gabriel Grubb, con cimiteri infestati da fantasmi danzanti sulle tombe scoperchiate, finestre che si illuminavano all'improvviso e sinistri orologi a pendolo, mentre il protagonista mutava più volte espressione del viso per il terrore o la sorpresa.

Negli ultimi decenni del 19° sec. il filone macabro fu quasi interamente soppiantato dai repertori didattici e moraleggianti e si spostò quindi nel territorio del ludico, nella vastissima produzione dei vetri giocosi, dove le immagini comparivano spogliate di ogni connotazione orrifica: è il caso dello scheletro, la cui danza, ottenuta grazie a vetrini a tiretto o a manovella, finiva quasi sempre per scomporsi in mille pezzi come un innocuo giocattolo. Un piccolo scheletro giocoso era anche il protagonista di uno dei meccanismi per lanterna magica più famosi e significativi sul piano tecnico dell'età vittoriana, il coreutoscopio a banda, inventato dall'inglese Lionel Smith Beale (1828-1906) nel 1866 e perfezionato da William Charles Hughes nel 1884: si trattava di una lunga banda di vetro con una danza macabra scomposta in una sequenza di sei immagini dipinte su fondo nero, inserita in un telaio metallico con meccanismo a cremagliera e croce di Malta, che consentiva l'avanzamento della figura secondo il principio che venne di lì a poco impiegato per lo scorrimento della pellicola cinematografica.

Anche la dissolvenza, in seguito largamente impiegata nel cinema, era una tecnica che consentiva di realizzare effetti di animazione dell'immagine particolarmente suggestivi. Childe la sperimentò e la mise a punto probabilmente fra il settembre 1836 e il febbraio 1837. L'invenzione, che rappresentò la più suggestiva e avanzata tecnica di proiezione dell'immagine, ebbe un importante contributo nel lavoro di Ph. Carpenter che, nel 1821, realizzò il primo metodo di riproduzione meccanica dell'immagine su vetro: i copper-plate sliders, che rendevano possibile la produzione seriale di uno stesso soggetto, garantendo nel contempo una buona qualità e accuratezza nel disegno. Nasceva in questi anni una vera e propria industria in grado di immettere sul mercato immagini dei più svariati repertori a costi relativamente contenuti. Sostanzialmente la tecnica di Carpenter consisteva nell'impressione a caldo di un soggetto sul vetro da un'incisione in rame: i contorni venivano così fissati per poi passare alla delicata fase della coloritura. Il repertorio scientifico e didattico beneficiò in larga misura delle nuove tecniche produttive. La prima serie di copper-plate sliders prodotta da Carpenter, un set di diciotto lastre, venne dedicata alla storia naturale. Il loro successo fece sì che nel 1823 Carpenter pubblicasse i suoi Elements of zoology come manuale di accompagnamento alle nuove serie, che comprendevano cinquantasei vetrini, distribuiti secondo il sistema di Linneo nelle diverse classi di mammiferi, uccelli, anfibi, pesci, insetti e vermi.

Dal 1820 gli sviluppi della tecnica in campo fotografico, elemento determinante nella nascita del cinema, registrarono una serie di ricerche e acquisizioni, talvolta anche casuali, a opera di scienziati e artisti di diversa formazione e provenienza. Joseph-Nicéphore Niepce (1765-1833) realizzò la prima eliografia, un'immagine positiva su supporto di metallo, non riproducibile, nel 1822; nel 1833, Louis-Jacques-Mandé Daguerre (1787 ca.-1851) mise a punto un sistema per fissare l'immagine fotografica su lastre d'argento trattate con vapori di iodio ed esposte alla luce in una camera oscura. Nel 1835 William Henry Fox Talbot (1800-1877) realizzò il moderno procedimento di riproduzione fotografica negativo-positivo. La ricerca per perfezionare le macchine e abbreviare i tempi di esposizione proseguì nei decenni successivi, mentre la fotografia si diffondeva come passione collettiva diventando industria, si moltiplicavano i laboratori e gli studi di ripresa e la produzione si estendeva e si specializzava fino a inglobare ogni campo della realtà visibile.La nascita di nuove forme di spettacolo fu connessa all'utilizzo nel loro ambito della fotografia e, con l'incremento delle possibilità di riproduzione dell'immagine che ne derivarono, aumentò a dismisura il repertorio degli spettacoli tradizionali con una produzione di vedute stereoscopiche su carta e su vetro, di positivi da proiezione, di fotografie animate destinate all'osservazione tramite strumenti ottici. Lo scienziato scozzese David Brewster (1781-1868) costruì lo stereoscopio nel 1844, una delle macchine ottiche più diffuse in epoca vittoriana, basato sugli effetti tridimensionali prodotti dalla visione binoculare. L'apparecchio era dotato di lenti mediante le quali potevano venire osservate due immagini fotografiche uguali, una con l'occhio destro e l'altra con il sinistro; viste in contemporanea convergevano in un'unica immagine virtuale, che in forza della visione binoculare veniva percepita in rilievo. I modelli degli stereoscopi ottocenteschi variavano molto: da un più semplice tipo a mano, portatile, provvisto di lenti e di un telaietto porta-immagini, fino a elaborati visori a colonna, finemente decorati e dipinti, al cui interno si potevano osservare, ruotando le manopole laterali esterne, decine e decine di fotografie: strumento simile ai mondi novi settecenteschi sia per il tipo di fruizione, basato sulla modalità del "guardare dentro", sia per il repertorio, costituito dalle vedute di luoghi celebri, meta del turismo internazionale, e da avvenimenti, usi e costumi di popoli lontani.

L'aletoscopio fu brevettato nel 1861 dal fotografo Carlo Ponti (1822/24-1893) e impiegato per osservare fotografie appositamente predisposte (colorate, traforate e poste su un telaietto ricurvo), in modo da creare effetti diurni e notturni, a seconda che la visione fosse in trasparenza o a luce riflessa, mediante due specchi laterali.Ciò che contribuì in modo determinante all'enorme sviluppo del mercato dell'immagine animata a partire dal 1860 fu l'introduzione delle lastre fotografiche per lanterna magica, che finirono per soppiantare quelle dipinte a mano. Lo statunitense Lorenzo J. Marcy nel 1872 avviò la commercializzazione di un nuovo modello di lanterna magica, lo Sciopticon, dotato di un sistema ottico più elaborato rispetto ai precedenti, con doppio condensatore e con illuminazione a paraffina; le lastre fotografiche si affermarono infatti sul mercato in modo massiccio, con un vastissimo repertorio didattico e ricreativo. A partire dal 1880 ca. si impose una produzione a carattere moraleggiante: i vetri meccanici e le dissolvenze lasciarono gradualmente il posto al nuovo fortunatissimo repertorio dei lifemodels o living pictures, racconti fotografici in bianco e nero, successivamente colorati a mano, composti da serie di immagini in sequenza, con modelli viventi ripresi sullo sfondo di scenari dipinti o ricostruiti in studio. Questa produzione e i primi esiti del cinema risultarono collegati sul piano tecnico delle modalità di rappresentazione, e su quello dei contenuti tematici e delle finalità. Molti anonimi attori iniziarono le loro carriere negli studi fotografici delle principali ditte londinesi specializzate, per poi finire sul set delle prime pellicole cinematografiche.Il periodo fra il 1877, anno in cui per la prima volta Eadweard Muybridge (pseudonimo di Edward James Muggeridge, 1830-1904) attuò i suoi studi sull'analisi del movimento, e la presentazione al pubblico del Cinématographe Lumière a Parigi il 28 dicembre 1895, costituì una fondamentale fase di ricerca caratterizzata da invenzioni che prepararono la strada al nuovo sistema della visione e di cui gli studi e gli strumenti di Muybridge ed Étienne-Jules Marey (1830-1904) costituirono le tappe fondamentali. Nel 1879 Muybridge realizzò la prima proiezione di immagini in movimento con lo zooprassiscopio, presentando il suo apparecchio per la prima volta in Europa nel 1881, presso lo studio parigino di Marey. Il fotografo pubblicizzò le sue ricerche con un tour di conferenze-dimostrazioni in America e in Europa. Il fisiologo Marey, entusiasta delle nuove tecniche di analisi fotografica del movimento, percepì l'insufficienza scientifica del metodo e nel 1882 mise a punto il fucile fotografico, che consentiva la ripresa di dodici fotografie consecutive su una lastra circolare che girava automaticamente a scatti. Insoddisfatto di questo strumento, in quanto le immagini apparivano come sagome nere in controluce, inadatte a un'analisi del movimento animale, Marey successivamente poté fare un deciso passo avanti con il cronofotografo, che perfezionò nel 1888, sostituendo alla lastra di vetro la pellicola di George Eastman (1854-1932) e ottenendo le prime cronofotografie su un'unica striscia. Eastman e Henry M. Reichenbach brevettarono la pellicola cinematografica con supporto in celluloide a perforazione laterale nel 1889. Nel 1891 Thomas Alva Edison (1847-1931), che aveva constatato i vantaggi della pellicola in celluloide, brevettò il cinetoscopio, presentandolo al pubblico nel maggio del 1893 (la prima sala a pagamento per spettacoli di cinetoscopio fu aperta a New York nel 1894). Tra gli studi e gli strumenti messi a punto da altri scienziati e fotografi variamente impegnati nella individuazione di nuovi principi e nella realizzazione di nuove conquiste tecniche, vanno citati l'elettrotachiscopio di Ottomar Anschütz (1846-1907), perfezionato nel 1890, il fonoscopio di Georges Demeny (1850-1917), assistente di Marey, del 1891, il mutoscopio di Herman Casler, costruito nel 1894 sul principio del cineografo di Linnet.Dal 1880 l'editoria inglese produsse a profusione una serie di manuali tecnici dettagliati ed esaustivi sull'uso della lanterna ottica, provvisti di ricchi apparati illustrativi. È stato osservato che "questo catalogo, destinato ad essere rapidamente soppiantato dal cinema, è una dimostrazione macroscopica della messa a punto progressiva del progetto di dominio visivo di tutte le possibili realtà. La fotografia consente una definizione dei luoghi quale nessun vedutista era mai stato capace di offrire e soprattutto non esiste più una gerarchia di importanza all'interno del visibile. Tutto rientra di diritto nel campo del visibile e viene promosso a oggetto di osservazione privilegiata" (G.P. Brunetta, Il viaggio dell'icononauta, 1997, p. 15).

Nel 1887 iniziarono le pubblicazioni mensili dell'"Optical magic lantern journal and photographic enlarger", allo scopo di aggiornare il folto pubblico degli addetti ai lavori sui continui brevetti e ritrovati tecnici, sui loro autori e laboratori di produzione. La lanterna magica, divenuta ottica, si configurò sempre più come strumento d'informazione in grado di raggiungere uditori sempre più vasti creando un sapere e un patrimonio iconografico comune, che riusciva ad avvicinare i pubblici più diversi.

Molti congegni ottici del 19° sec. rappresentarono una semplificazione delle macchine utilizzate nella pratica spettacolare del secolo precedente, ma la maggior parte dei più diffusi meccanismi e giochi si basò invece sul principio della persistenza dell'immagine retinica: fu infatti dal terzo decennio del 19° sec. che le ricerche su tale fenomeno, che avevano antecedenti illustri in I. Newton e addirittura in Claudio Tolomeo (100 ca.-170 ca.), dettero origine a una serie di divertimenti ottici che sarebbero diventati ben presto popolarissimi, riscuotendo uno straordinario successo commerciale.

Nell'arco cronologico di circa settant'anni di studi sui principi fisiologici della visione e in particolare sulla percezione del movimento, condotti da scienziati di diversi Paesi, spesso attivi in piena solitudine, senza contatti e collegamenti, vi fu un rapido succedersi di nuovi apparecchi, ognuno dei quali rappresentò un perfezionamento e avanzamento rispetto al precedente sulla strada dell'animazione dell'immagine che avrebbe condotto all'invenzione del cinematografo. Il medico e matematico inglese Peter Mark Roget (1779-1869) presentò nel dicembre 1824 alla Royal Society di Londra i suoi esperimenti sulla "curiosa illusione ottica" prodotta dal movimento di avanzamento e rotazione di una ruota sul proprio asse, osservata attraverso apposite fessure. Partendo dall'esperimento di Roget e sostituendo alle fessure una luce intermittente, il fisico Charles Wheatstone (1802-1875) studiò e descrisse nel 1827 l'effetto stroboscopico: l'illuminazione a intermittenza consentiva di bloccare il movimento di un corpo scomponendolo in una serie di istanti fissi ("Quarterly journal of science", 1827, 1, p. 351). Anche l'inglese Michael Faraday (1791-1867) tentò, verso il 1830, di fermare il movimento compiendo il ben noto esperimento: osservando riflessa in uno specchio una ruota dentata di cartone che girava, l'immagine veniva percepita come perfettamente statica. Gli studi si concentrarono allora sia sulla resa dell'animazione di immagini fisse sia sulla scomposizione del movimento.Ben più ricco di conseguenze sul piano dell'invenzione di nuovi congegni ottici di impiego ludico o spettacolare fu lo studio della persistenza retinica. William Henry Fitton (1780-1861) e J.A. Paris si disputarono nel 1825 il primato dell'invenzione del taumatropio, un disco di cartone che recava su entrambe le facce due figure complementari, che si sovrapponevano formando un'unica immagine ottenuta dalla veloce rotazione sul proprio asse. L'esperimento fu accolto con enorme interesse dal mondo scientifico e, utilizzando un repertorio di immagini giocose, fra le quali quella allora molto nota dell'uccellino in gabbia, divenne gioco assai popolare.J.-A.F. Plateau nel 1829 discusse un'importante tesi all'università di Liegi sulla persistenza delle impressioni luminose sulla retina; nel 1832, divenuto professore di fisica all'università di Gand, mise a punto il fenachistoscopio, un disco rotante che, riflesso in uno specchio e osservato attraverso una piccola fessura, creava il movimento di una sequenza d'immagini disposte circolarmente su una faccia del disco stesso (Sur un nouveau genre d'illusion d'optique, in "Correspondance mathématique et physique de l'observatoire de Bruxelles", 1832, 7, pp. 365-68).Congegni meno noti e fortunati furono il cinestiscopio (1853) dell'austriaco Franz Freiher von Uchatius (1811-1881), che consentiva la proiezione su schermo, tramite una lanterna magica, di due dischi, uno con immagini dipinte su vetro, l'altro dotato di fessure come il fenachistoscopio, azionati sincronicamente; oppure il fasmatropio (1870) di Henry Renno Heyl, un fenachistoscopio da proiezione perfezionato rispetto al dispositivo di von Uchatius, che permetteva di animare una serie di diciotto fotografie su vetro attraverso un movimento di rotazione intermittente e un otturatore. L'inglese John Linnet brevettò nel 1868 il cineografo, che divenne uno dei giochi per l'infanzia più amati: un piccolo blocco di carta costituito da una serie di foglietti ognuno dei quali recava soltanto una fase di un determinato movimento, la cui sequenza poteva essere ricostruita tramite lo scorrimento veloce, in modo da ottenere un movimento compiuto con l'animazione di un considerevole numero di immagini.Il prassinoscopio, una delle macchine ottiche più complesse e suggestive sul piano spettacolare, fu messo a punto nel 1877 da É. Reynaud: era una variante dello zootropio di William George Horner (1786-1837), di cui mantenne la struttura, sostituendo alle fessure un prisma poligonale collocato al centro del cilindro. Il nuovo procedimento produceva un movimento più fluido e una maggiore luminosità dell'immagine. Le macchine ottiche successivamente create da Reynaud furono basate sullo stesso principio: nel prassinoscopio-teatro (1879) l'immagine animata veniva integrata da un fondale teatrale fisso; il prassinoscopio da proiezione (1880), applicato alla lanterna magica e perfezionato nel 1888 con il teatro ottico, era una vera e propria macchina da spettacolo dal funzionamento piuttosto complesso, che consentiva di offrire al pubblico proiezioni di alcuni minuti con immagini animate su fondali diversi.Tra il 1892 e il 1895 Reynaud allestì quotidianamente le sue pantomime luminose al Musée Grévin di Parigi con grande successo di pubblico, fino alla prima dei Lumière del 22 marzo 1895 che segnò il punto d'arrivo e di raccordo, ma sarebbe più giusto parlare di una tappa fondamentale, di tutte le sperimentazioni fino ad allora condotte nella ricerca, quasi maniacale, di congegni d'animazione sempre più elaborati. Un percorso evolutivo il cui quadro completo deve necessariamente inglobare anche le ricerche e le scoperte nell'ambito della fotografia, della scienza dei materiali e dell'illuminotecnica di quegli anni.

Bibliografia

Testi citati:

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S. Urlsperger, G.E. Remmelin, Phaenomena laternae magicae ad stateram expensae dissertatione academica per principium isodynamicum explicata […] praeside Johanne Cunrado Creilingio [...] publicae ventilationi exposita a Samuele Urlspergero et Georgio Erico Remmelino, Tubingae 1705.

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G. Tissandier, Les récréations scientifiques, ou l'enseignement par les jeux, Paris 1881 (trad. it., Milano 1882).

Tra le storie:

G.-M. Coissac, Histoire du cinématographe de ses origines à nos jours, Paris 1925.

G. Sadoul, Histoire générale du cinéma, 1er vol., L'invention du cinéma, 1832-1897, Paris 1948, édition revue et augmentée (1ère éd. 1946; trad. it. Torino 1965).

J. Mitry, Histoire du cinéma, 1er vol., 1895-1914, art et industrie, Paris 1967.

Sul Codice D (foglio 8 recto A), 1485-1490:

F. Bevilacqua, M.G. Ianniello, L'ottica dalle origini all'inizio del '700, Torino 1982.

Tra i principali trattati scientifici seicenteschi:

J.-F. Niceron, La perspective curieuse ou Magie artificielle des effets merveilleux de l'optique, par la vision directe, la catoptrique, par la réflexion des miroirs plats, cylindriques et coniques, la dioptrique, par la réfraction des crystaux, Paris 1638.

M. Bettini, Apiaria universae philosophiae mathematicae, in quibus paradoxa, et nova pleraque machinamenta ad usus eximios traducta, & facillimis demonstrationibus confirmata […] Accessit ad finem secundi tomi Euclides applicatus et conditus ex apiariis, 2 voll., Bononiae 1642.

J. Du Breuil, La perspective practique, 3 voll., Paris 1642-1649.

C. Schott, Magia universalis naturae et artis, sive, Recondita naturalium & artificialium rerum scientia […] Opus quadripartitum, 4 voll., Herbipoli 1657-1659.

A. Tacquet, Opera mathematica […], Antverpiae 1669.

Tra i numerosi studi dedicati alle anamorfosi:

J. Baltrušaitis, Anamorphoses ou magie artificielle des effects merveilleux, nouv. éd., Paris 1969 (1ère éd. 1955; trad. it. Milano 1978).

F. Leeman, Anamorfosen. Eenspel met waarneming, schijn en werkelijkheid, Amsterdam 1975.

E. Battisti et al., Anamorfosi. Evasione e ritorno, introduzione di J. Baltrušaitis, Roma 1981.

Sugli specchi:

J. Baltrušaitis, Le miroir. Essai sur une légende scientifique; révélations, science-fiction et fallacies, Paris 1978 (trad. it. Milano 1981).

Fallit Imago. Meccanismi, fascinazioni e inganni dello specchio, a cura di B. Bandini, D. Baroncelli, Ravenna 1984.

Sulla spettacolarizzazione della scienza:

G. L'Estrange Turner, Scientific instruments and experimental philosophy 1550-1850, Aldershot-Brookfield 1990.

R.E. Rider, El experimento como espectáculo, in La ciencia y su público. Perspectivas históricas, a cura di J. Ordoñez, A. Elena, Madrid 1990, pp. 113-46.

D. Raichvarg, Science et spectacle, figures d'une rencontre, Nice 1993.

Sull'attribuzione del polemoscopio a Hevelius:

M.-J. Brisson, Traité élémentaire ou principes de physique, fondés sur les connaissances les plus certaines, tant anciennes que modernes, & confirmés par l'expérience, 2° vol., Paris 1797², p. 326 (1ère éd. 1789).

J.-É. Montucla, Histoire des mathématiques […], nouv. éd., Paris 1799-1802, libro III, p. 566 (1ère éd. 1758).

Su Kircher:

Enciclopedismo in Roma barocca. Athanasius Kircher e il Museo del Collegio Romano tra Wunderkammer e museo scientifico, a cura di M. Casciato, M.G. Ianniello, M. Vitale, Venezia 1986.

Athanasius Kircher. Il Museo del Mondo, a cura di E. Lo Sardo, Roma 2001 (catalogo della mostra).

Sulla figura e l'opera di Robertson:

F. Levie, Étienne-Gaspard Robertson. La vie d'un fantasmorge, Bruxelles 1990.

Sulla figura e l'opera di Carpenter:

H. Bollaert, Phantasmagoria, in "The new magic lantern journal", 1983, 3, pp. 9-11.

J. Barnes, Philip Carpenter, in "The new magic lantern journal",1986, 2, pp. 8-11.

D. Henry, Carpenter & Westley, in "The new magic lantern journal", 1986, 1, pp. 8-10.

Sugli studi che portarono all'animazione dell'immagine:

F.P. Liesegang, Zahlen und Quellen zur Geschichte der Projektionskunst und Kinematographie, Berlin 1926.

H. Bollaert, Optical toys and the development of the projected image, in "The new magic lantern journal", April 1986, 1-3, pp. 36-43.

V. Pinel, Chronologie commentée de l'invention du cinéma, Paris 1992.

Per un'analisi approfondita delle ricerche di Plateau:

D. Robinson, Capolavori dell'animazione, in "Griffithiana", dicembre 1991, 43.

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