PERSEPOLI

Enciclopedia dell' Arte Antica (1965)

Vedi PERSEPOLI dell'anno: 1965 - 1996

PERSEPOLI (ant pers. Pārsa; Πέρσοι, Περσέπολις; Persepolis)

C. A. Pinelli

È il più celebre complesso monumentale dell'Iran antico. Le sue rovine giacciono lungo la strada che da Isfahan conduce a Shiraz, circa 110 km prima di quest'ultima città, sul lato sinistro del fiume Puhar.

Nel Medioevo il sito fu visitato da Odorico di Pordenone (1320) e da Giosaphat Barbaro (1474). La prima descrizione dettagliata spetta però a P. Della Valle il quale raggiunse P. nel 1622.

Gli scavi compiuti fino ad oggi possono venire raggruppati in quattro distinte fasi: nel 1887 il governatore del Fars, Mu'tammd al-Daula, effettuò alcuni sondaggi nella Sala delle cento Colonne, eretta da Serse I. Dal 1931 al 1934 E. Herzfeld condusse sul luogo la prima campagna di scavo, per conto dell'Oriental Institute di Chicago. A lui si deve, fra l'altro, la scoperta dei propilei di Serse I, della grande scala ad E che conduce all'apadāna, del tripylon, ecc. Dal 1935 al 1939 lo scavo (sempre organizzato dall'Oriental Institute di Chicago) proseguì sotto la direzione di E. F. Schmidt. Lo Schmidt tra l'altro portò a termine la sistemazione dell'apadāna, scoprendo un documento di fondazione risalente a Serse I, redatto in quattro esemplari (uno in babilonese, due in antico persiano, uno in elamita). Dal 1939 in poi il Servizio Archeologico Iranico ha continuato i lavori, servendosi prima dell'opera dell'iranista francese A. Godard ed in seguito di quella di M. T. Mustafawi.

Il complesso monumentale di P. sorge al centro di una località nella quale già si trovano tracce di insediamenti umani di epoca preistorica.

Esso fu ideato ed iniziato da Dario I nel 518 a. C. A lui si deve la costruzione della terrazza, l'elevazione dell'apadāna, delle scalinate che conducono al Tachara e la fondazione del cosiddetto harem. Serse I, figlio e successore di Dario, terminò l'harem e l'apadāna, eresse i propilei e il "hadish " ed iniziò la costruzione della Sala delle cento colonne poi portata a termine da Artaserse I. Infine Artaserse III Ocho, iniziò la elevazione di un palazzo rimasto incompiuto, rivaleggiando con gli avi Dario e Serse nella ricchezza delle decorazioni scultoree. Il complesso di P. non fu mai ultimato. Nel 330 a. C. un violento incendio, causato, non si sa se per dolo o per accidente, dall'esercito di Alessandro, ne troncava bruscamente e definitivamente la breve esistenza.

Gli edifici che formano il complesso monumentale di P. sorgono su di un'ampia terrazza, costruita da Dario I contro uno sperone roccioso del monte Kuh-i Rahmat. Tale terrazza ha la forma di un rettangolo di 450 per 300 m e si eleva al di sopra della pianura circostante con un'altezza variabile da 18 a 8 m. Intorno corre un muro di cinta fortificato, costituito da grossi blocchi di calcare squadrati con cura, tenuti insieme da incastri a coda di rondine. Una scalinata monumentale, composta da due rampe divergenti, parallele al muro di sostegno, conduce alla spianata superiore dove si trovano:

1) I propilei. - Costruiti da Serse I. Si tratta di un portico quadrato, con il soffitto retto da quattro colonne. Tre porte monumentali si aprono sui suoi lati E, O e S, mentre alla parete N si appoggia un piccolo altare del fuoco. Fiancheggiano la porta O due tori giganteschi alti oltre 5 m; altri due tori alati, con teste umane, difendono la porta E. Tutti e quattro gli animali sono eseguiti parte in alto rilievo e parte a tutto-tondo e risentono fortemente, nell'iconografia, nello stile, nelle proporzioni, dell'inilusso di analoghi modelli assiri. Sopra di loro corrono quattro iscrizioni trilingui, redatte in elamita, antico persiano e babilonese.

Dai propilei un largo viale, partendo dalla porta E, conduceva alla Sala delle cento colonne. L'apadāna invece poteva esser raggiunta dalla porta O, traversando un vasto cortile.

2) L'apadāna. - Fu iniziata da Dario I e terminata da Serse I; era la sala riservata alle udienze ufficiali del re. Essa comprendeva un ambiente centrale a pianta quadrata con i lati lunghi 75 m; 36 colonne, alte circa 19 m, e disposte su sei file, ne sorreggevano il soffitto. Di queste solo tre rimangono tuttora in piedi. La sala si apre verso N, O ed E su tre portici formati ognuno da due file di sei colonne. Verso S si trovano invece alcune stanze di disimpegno ed una rampa di scale che conduceva alla terrazza superiore. All'apadāna si giunge salendo due scalinate monumentali poste sui lati E e N; i rilievi che le adornano sono praticamente identici, anche se quelli posti sul lato E si mostrano molto meglio conservati, essendo rimasti per secoli protetti da un cumulo di provvidenziali macerie.

Ogni scalinata è composta da quattro rampe convergenti. Nel riquadro centrale, delimitato dalle due rampe interne, sono state scolpite alcune guardie persiane affrontate, poste da una parte e dall'altra di una superficie coperta da una iscrizione cuneiforme; negli spazi triangolari con cui terminano i due lati del riquadro, due leoni combattono contro due tori.

Lungo i muri di sostegno che delimitano verso la terrazza le rampe esterne delle due scale si trovano scolpiti due imponenti rilievi rituali, divisi orizzontalmente in tre registri per mezzo di rosette a dodici petali. Sul lato sinistro una lunga teoria di dignitari persiani, medi e susiani, accompagnati da fanteria, cavalleria ed arcieri, marcia incontro ad una processione di tributarî che si svolge lungo il lato destro del muro. I tributarî, provenienti da tutte le 23 satrapie vassalle dell'impero, vengono a presentare al re, in occasione della festa per il Nuovo Anno, quanto di meglio producono i loro paesi. Ognuno dei gruppi che formano la processione è preceduto da un dignitario medo o persiano. La caratterizzazione etnica e di costume dei varî componenti è talmente precisa che ancor oggi è possibile identificare, nella maggior parte dei casi, il luogo di provenienza di ciascun gruppo.

3) Il tripylon. - Rappresenta, secondo lo Schmidt, l'aula del concilio. Si tratta di una sala quadrata, con il tetto retto da quattro colonne. Tre porte si aprono sui suoi lati N, S ed E. La porta N, pare costituisse l'ingresso principale; ad essa si giunge attraverso una scalinata di grandi dimensioni che è oggi la parte meglio conservata del monumento. Sul muro esterno della scalinata si trovano rilievi rappresentanti una sfinge ed un leone che assale un toro. Lungo le pareti delle balaustrate si snodano due cortei; sul lato interno sono scolpiti dignitari e cortigiani che avanzano, da scalino a scalino, recando in mano un fiore di loto; sul lato esterno si trovano invece guardie persiane e medie.

La porta E del tripylon dà accesso all'harem, costruito ad un livello inferiore. Essa è adornata da un bassorilievo che mostra Dario e Serse (allora principe ereditario) portati in trionfo su di un trono da 28 tributarî dell'impero.

Anche le altre due porte sono decorate in maniera quasi identica. Sopra a tutte si libra il simbolo alato di Ahura Mazdāh. Uscendo dalla porta S, si attraversa una piccola corte e si prende a destra una scala che dà accesso allo hadish di Serse I. Anche questa scala è decorata con bassorilievi rappresentanti leoni in lotta con tori, portatori di tributi, ecc.

4) Lo hadish (ovvero il palazzo residenziale di Serse I). - Occupa la parte più alta della terrazza. Esso è formato da una sala centrale con 36 colonne, preceduta da un vestibolo con due ordini di sei colonne. Tali colonne avevano il fusto in legno (forse rivestito in stucco) e perciò solo le basi sono giunte fino a noi. Una porta aperta nella parete S conduce ad una balconata che dà sulla pianura di Marv Dasht.

5) Cosiddetto "Palazzo G". - Non si sa bene se rappresenti un edificio iniziato da Artaserse III o un tempio del fuoco a tre terrazze sovrapposte.

6) Il tachara di Dario I. - Si tratta di un edificio iniziato da Dario I e terminato da Serse I (come attestano varie iscrizioni trilingui). La sua pianta non differisce molto da quella dello hadish. Al contrario degli altri palazzi persepolitani il tachara è orientato verso S. Esso è formato da una sala centrale quadrata con il soffitto retto da tre ordini di quattro colonne, preceduto da un portico e fiancheggiato da piccole camere. Lungo le pareti dell'ambiente centrale si aprono sei porte (due a N, due ad O, una a S e una ad E) e quattro finestre tutte rivolte a S.

I rilievi scolpiti sulle porte N e S rappresentano il re che entra o esce dal palazzo, seguito da due servitori. Le porte O sono decorate invece da rilievi che mostrano il re in lotta contro un leone, un toro, un mostro alato.

La sala centrale è stata battezzata "sala degli specchi" a motivo della raffinata politura cui furono sottoposte le lastre di pietra che rivestono le pareti.

L'influenza egiziana si fa sentire nello stile con cui sono realizzate le porte, sulle quali corrono molte iscrizioni di varie epoche (l'ultima risale a Shapur II).

Il vestibolo presenta due ordini di quattro colonne ed il muro che sostiene il portico è decorato da rilievi rappresentanti guardie persiane armate di lancia.

7) Palazzo H. - Si tratta dei ruderi, molto danneggiati, del palazzo non terminato di Artaserse III.

8) Tra lo hadish e l'harem si eleva un ammasso di rovine detto Collinetta D. Nei suoi fianchi sono state scavate due serie parallele e sovrapposte di lunghe e alte gallerie. Probabilmente si trattava di magazzini sormontati da sale di rappresentanza.

9) Cosiddetto harem. - Occupa il lato S-E della terrazza. Fu costruito interamente da Serse I su fondamenta gettate da Dario I. Esso è formato da una serie di appartamenti di varie dimensioni. In uno di questi sono stati trovati due graffiti d'epoca sassanide. Ad E dell'harem si trova:

10) La tesoreria. - Costruzione rettangolare composta da varie sale ipostile con il tetto sostenuto da colonne di legno.

11) Sala delle cento colonne. - Occupa tutta la parte N-E della terrazza. La strada che vi giunge, partendo dalla porta E dei propilei, si arresta di fronte ad un ingresso monumentale rimasto incompiuto.

L'edificio fu costruito da Serse I e portato a termine da Artaserse I. Esso comprende una sala centrale, a pianta quadrata (75 m × 75) nella quale si ergevano, come una vera selva, ben cento colonne disposte su file di dieci. L'incendio provocato da Alessandro ce ne ha lasciato solo le basi. Lungo il lato N della sala si aprono due porte e sette finestre; gli altri lati invece hanno due porte e nove nicchie. Tutte le porte sono ornate da bassorilievi che mostrano scene di lotta tra il re e varî animali selvaggi, processioni, udienze reali, ecc. Si tratta forse dei migliori rilievi creati dall'arte achemènide. Un vestibolo con due ordini di otto colonne precede la sala; immediatamente ad E si trova una camera ipostila con 32 colonne ed un portico con 16 colonne. Verso S si stendono i magazzini e le due scuderie.

Pochi sono i monumenti rinvenuti nella zona al di fuori del perimetro della terrazza. Della città vera e propria si possono citare soltanto i resti di un tempio del fuoco di epoca seleucide ed una porta egizianeggiante con rilievi. Verso S nel 1951 sono state trovate le tracce di un secondo tachara costruito da Serse I. L'edificio è composto da una sala centrale con il soffitto retto da tre file di quattro colonne.

Una importanza maggiore rivestono le tombe di Artaserse II e di Artaserse III tagliate più in alto, sulle pareti di roccia del monte Kuh-i Rahmat. Esse seguono in generale lo schema classico delle tombe rupestri achemènidi con facciate cruciformi. Ma, a differenza delle tombe di Naqsh-i Rustam, manca qui il braccio inferiore della croce, di modo che la porta di ingresso appoggia direttamente sul terreno. I rilievi commemorativi che adornano la parte alta dei due monumenti non si discostano dalla usuale iconografia e rappresentano il re sul trono portato in trionfo da un gruppo di tributarî di fronte ad un altare del fuoco.

A S della terrazza si trova anche la tomba di Dario III Codomanno (336-331 a. C.), rimasta incompiuta a causa della conquista di Alessandro.

I grandi palazzi di P., costruiti in pietra e mattoni crudi, rappresentano quel che di meglio seppe creare l'architettura imperiale persiana.

Da un punto di vista stilistico le loro strutture generali, così come le loro decorazioni, non rivelano alcuna evoluzione interna: solo le iscrizioni permettono di attribuire questo o quell'edificio a Dario o a Serse I anziché ai loro pronipoti Artaserse I o III.

Basta ciò per indicare in quale clima culturale operassero gli anonimi artisti che edificarono P. e come fosse radicata in loro la convinzione di avere raggiunto un ideale di perfezione estetica insuperabile e perciò stesso immutabile.

Le vicine civiltà della Mesopotamia, dell'Urartu, dell'Egitto, della Grecia, fecero sentire il peso delle loro più evolute esperienze sull'architettura e sulla scultura achemènidi di Persepoli. La terrazza, nella sua concezione fondamentale, si rivela un prestito dell'architettura urartea che i Persiani avevano avuto modo di conoscere durante il loro lungo soggiorno nelle lande ad O del lago Urmia. L'impero achemènide trasse dalle arti sumera, babilonese, assira, neo-babilonese, gran parte del proprio repertorio iconografico (animali affrontati; processioni di uomini e donne che reggono un fiore in mano; sifiate militari; tori guardiani, ecc.) insieme con alcune particolari antichissime stilizzazioni, come, ad esempio, quella del cipresso, che ritroviamo identica tanto sulla scalinata dell'apadāna, quanto sulla stele di Ur-Nammu di Ur. Dal mondo della pianura derivano anche le rampe d'ingresso. Artisti ed artigiani ionici collaborarono sicuramente all'edificazione del complesso. Essi portarono nei rilievi persepolitani un maggior senso plastico ed una visione più tondeggiante dei volumi, insieme con alcuni motivi iconografici e qualche particolare convenzione figurativa meno facilmente definibili. A loro spetta anche il merito di aver introdotto nell'Iran la colonna scanalata.

Più superficiali ed esteriori sono gli influssi egiziani, visibili nelle sale ipostile, nelle cornici a cavetto, nelle basi delle colonne, nelle decorazioni floreali che ornano alcuni capitelli, nelle porte e finestre monolitiche. Infine dal mondo hittita proviene l'iconografia del leone ruggente.

E tuttavia l'arte persepolitana non può esser considerata come la somma pura e semplice degli influssi che a lei giunsero dalle grandi arti medio-orientali e mediterranee.

Fu grande merito degli Achemènidi quello di aver saputo fondere le esperienze di maestranze raccolte da ogni parte del loro impero vasto ed eterogeneo, per dar vita ad un'arte nuova, la quale, pur restando saldamente ancorata al mondo iranico, usciva finalmente dai limiti provinciali dell'altopiano e si poneva come punto d'incontro e d'arrivo di tutte le grandi arti arcaiche dell'Oriente Medio e Vicino.

Ciò accadde soprattutto perché a P. l'arte achemènide seppe sentire con coerenza una nuova, fondamentale esigenza: vale a dire il bisogno di inquadrare ed armonizzare ogni dettaglio del complesso monumentale entro gli schemi di un ideale canonico unitario.

Tale ideale fu, nello stesso tempo, estetico, civile e religioso. L'atavica sensibilità iranica per il ritmo e la linea continua fu intesa come il mezzo più idoneo per esprimere quel clima di fiduciosa e serena magnificenza regale che i sovrani achemènidi avevano voluto assumere quale simbolo del proprio impero. Ne derivò un'architettura chiara ed elegante, anche se esclusivamente scenografica ed una scultura luminosa, eminentemente decorativa, vivificata da una nettissima ed armonica linea di contorno. Le processioni che si snodano lungo le pareti e le scalinate mostrano sempre un carattere religioso, sereno, cerimoniale, ben lontano dall'intenzione esclusivamente militare propria delle sfilate assire. Dignitarî, vassalli, soldati persiani sono forse privi della vivacità drammatica e dell'impeto proprî dei loro modelli mesopotamici; essi però rivelano in compenso una semplicità, una precisione di segno, un senso ritmico, del tutto sconosciuti in epoche precedenti.

La tecnica impiegata nei rilievi riflette i medesimi ideali. Essa si mostra dipendente in qualche modo da modelli in metallo, sia per gli acuti contorni, la scarsa profondità, la compattezza delle superfici, sia per alcuni particolari, come le sopracciglia e le chiome, che paiono trattate con il bulino.

La preferenza dell'arte persiana per i motivi animali emerge con indiscutibile chiarezza nei vivaci capitelli ad animali addorsati, siano essi tori, liocorni, grifoni o tori androcefali. Questo motivo iconografico che troviamo anche a Susa, sembra essere di antichissima origine iranica e verosimilmente discese ai Persiani attraverso gli Elamiti, i Cassiti, i montanari del Luristan.

Per concludere gioverà accennare brevemente all'intimo significato simbolico di Persepoli.

P. non fu ideata certamente come la capitale, o come una delle capitali dell'impero persiano, in senso residenziale-amministrativo. I documenti rinvenuti tra le rovine non hanno, nella maggior parte dei casi, un carattere politico, né vi sono trattati, cronache o annali, lettere ed editti. Anche la posizione del complesso, isolata ed eccentrica, pare poco favorevole ad una simile destinazione. Sappiamo inoltre che i sovrani achemènidi dividevano di abitudine il loro tempo tra Susa, Ecbatana e Babilonia. Essi soggiornarono dunque solo saltuariamente a Persepoli; troppo raramente per giustificare, da questo punto di vista, la spesa per la costruzione ed i successivi, continui ingrandimenti.

Il complesso monumentale edificato sulla terrazza doveva piuttosto rappresentare per tutto il popolo iranico l'ombelico dell'impero; il simbolo, non solo della potenza e della gloria dinastica degli imperatori, ma anche ed insieme di una idea più profonda e vitale per l'esistenza dello Stato. Non bisogna dimenticare che l'Oriente antico non accettò mai l'idea di una frattura tra il potere civile e quello religioso, o tra il mondo fenomenico in cui operano i re ed il mondo soprasensibile su cui regnano gli dèi.

Gli abitanti dell'Asia Anteriore e dell'Iran, come gran parte delle popolazioni agrarie primitive, nutrivano la convinzione che ogni avvenimento naturale, anche ciclico (benefiche inondazioni periodiche, giro delle stagioni, alternarsi del giorno e della notte, ecc.) non si ripetesse per merito di una legge meccanica ed immutabile, ma fosse ogni volta continuamente rimesso in gioco; dipendesse insomma da un atto gratuito della divinità.

Da qui nacque la necessità vitale ed urgente di garantirsi l'appoggio del mondo soprannaturale attraverso preghiere ed atti magici il più possibile potenti ed efficaci.

Accadde così che il re, agli occhi dei suoi sudditi iranici, fu anche e soprattutto il pontefice, il mediatore, colui che era in grado di piegare la volontà di Ahura Mazdāh costringendolo, come si legge in un'iscrizione "a proteggere questa terra dalla carestia".

Per tale motivo P. fu ideata, insieme, come il sacrario dinastico degli Achemènidi e come la città rituale per eccellenza: il punto focale in cui cielo e terra si toccavano; e che, attraverso la magnificenza dei suoi edifici ed il carattere simbolico-magico delle sue strutture e dei suoi rilievi, contribuiva a rendere irresistibili e perenni le richieste fatte dal re (inteso come mediatore e pontefice) agli dèi, in occasione della festa del Nuovo Anno.

Tutto ciò basta a fare comprendere come la religione che si riflette a P. non fosse in realtà lo zoroastrismo favorito dagli ambienti di corte, ma l'antico politeismo naturalistico degli iranici, basato sull'adorazione della montagna, sul toro, sui riti della fertilità.

Solo attraverso la conoscenza di questi culti popolari e della loro simbologia si può afferrare il significato più vero di molti elementi scultorei ed architettonici persepolitani.

Facciamo alcuni esempi. I merli a scalini, diffusi lungo un vasto arco di secoli in tutto l'Oriente, non hanno nessun reale scopo difensivo; essi simboleggiano la Montagna Sacra, sorgente della fertilità, stilizzata nella forma di una ziqqurat in miniatura.

Le colonne del tripylon furono intese come palme sacre, mentre quelle fittissime della Sala delle cento colonne altro non rappresentano se non un bosco sacro.

Nel tema ricorrente della grande processione per il Nuovo Anno i doni che i popoli soggetti portano al sovrano rappresentano non soltanto il dovuto tributo, ma anche il simbolo di quanto si desiderava ottenere di nuovo dalla benevolenza degli dèi.

Le scene di lotta tra il toro ed il leone o tra il re ed il leone od altri animali fantastici, nascondono probabilmente un significato zodiacale, legato al mutare delle stagioni. Infine le rosette che ornano a centinaia i rilievi e gli edifici, non hanno un valore esclusivamente decorativo; il loro significato magico è dimostrato dal fatto che se ne sono trovate non poche scolpite sotto ai cardini di pietra delle porte, rivolte verso terra e perciò nascoste alla vista.

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