Persona

Enciclopedia del Cinema (2004)

Persona

Ettore Rocca

(Svezia 1965, 1966, bianco e nero, 85m); regia: Ingmar Bergman; produzione: Lars-Owe Carlberg per Svensk Filmindustri; sceneggiatura: Ingmar Bergman; fotografia: Sven Nykvist; montaggio: Ulla Ryghe; scenografia: Bibi Lindström; costumi: Mago; musica: Lars Johan Werle.

Persona presenta una duplice cornice narrativa. La prima: l'arco voltaico di un proiettore si accende e una pellicola inizia a girare; si alternano spezzoni di film muto, due mani, un ragno, un agnello sgozzato, una mano ‒ quasi un ragno rovesciato ‒ inchiodata a un'asse. La seconda: immagini di cadaveri di anziani in un obitorio; un bambino che si sveglia, prova a leggere, si alza, allunga la mano come a tastare l'obiettivo della macchina da presa, poi tenta di accarezzare lo schermo su cui appare un grande volto di donna, nel quale si alternano e si confondono i volti delle due protagoniste. La storia comincia. Una dottoressa spiega alla giovane infermiera Alma il quadro clinico della paziente di cui si dovrà occupare. Durante la rappresentazione dell'Elettra, l'attrice Elisabet Vogler è stata colta da momentanea afasia; dal giorno successivo si è chiusa in un totale mutismo che dura da tre mesi. Superata una certa perplessità, Alma accetta l'incarico; legge tra l'altro a Elisabet una lettera del marito di lei che contiene una fotografia del loro bambino. Elisabet la strappa. La dottoressa, dopo aver usato crude parole verso il tentativo di Elisabet di nascondersi dietro il silenzio, le consiglia di andare con Alma per un periodo di tempo nella propria casa al mare, dove potrà rigenerarsi. Nella casa sorge una particolare intimità tra le due donne. Alma le racconta i propri segreti, le proprie aspettative di vita, i sentimenti per il fidanzato, il sesso con un ragazzo sconosciuto su una spiaggia deserta, il conseguente aborto. Si crede compresa, ma va su tutte le furie quando legge di nascosto che Elisabet, in una lettera alla dottoressa, scrive di divertirsi nello studiare la personalità di Alma. Il successivo violento confronto non fa che aumentare l'intreccio tra le due personalità. In una visita a sorpresa del marito di Elisabet, Alma si lascia abbracciare e gli parla come se fosse Elisabet. Mentre Elisabet ricompone la foto del figlio, Alma le rinfaccia di averne desiderato la morte e di averne sempre disprezzato l'amore. Le due donne lasciano la casa e si separano. Le due cornici narrative si chiudono: vediamo di nuovo il bambino, poi la pellicola che scarrucola dal solco e l'arco voltaico che si interrompe; si rifà buio.

Titolo del film è la parola latina persona, cioè 'maschera che si porta sul viso', 'ruolo in un dramma teatrale'. Nella diagnosi della dottoressa, il dramma di Elisabet è "il sogno disperato di essere. Non sembrare, ma essere". Se "ogni parola è menzogna, ogni gesto falsità", il silenzio è il luogo in cui "mettersi al riparo dalla vita" per non mentire più. Ma è possibile nell'atto iconoclasta del silenzio essere una realtà che non sia finzione? La dottoressa smaschera in partenza il tentativo: la vita si infiltra in quel nascondiglio e il silenzio stesso è solo un'ulteriore maschera che prima o poi sarà gettata via. Anche Alma, che inizialmente sembra vivere una vita concreta, immune da sdoppiamenti, racconta poi dell'esperienza di essere due persone allo stesso momento, e sempre più scambierà con Elisabet la propria maschera, fino a che le due donne ne condivideranno, traumaticamente, una sola. L'intera vita sembra allora finzione, immagine proiettata, pellicola che scorre in un binario; l'unica fuoriuscita possibile non è il silenzio, ma la pellicola che salta, il film che si interrompe, il buio che sopravviene, come rappresentato nella cornice metanarrativa dell'arco voltaico del proiettore.

E tuttavia c'è la seconda cornice narrativa: il bambino che non riesce a raggiungere il volto di donna. Persona è anche, e forse soprattutto, film sul rapporto madre-bambino. Il bambino è l'unica figura concreta e non fittizia, l'unica non-immagine, l'unica non-persona. Singolarmente, egli non può toccare l'intreccio dei volti di Elisabet e Alma; ma è per il bambino che i loro volti si uniscono. Elisabet rifiuta il figlio (ne strappa la foto) e l'afasia interviene, per contrappasso, in occasione della recitazione dell'Elettra, la tragedia del matricidio. È lì che la catena delle maschere si spezza. D'altro canto Alma, benché assuma la parte dell'accusatrice, ha lei stessa rifiutato il figlio possibile (nel doppiaggio italiano l'aborto diventa spontaneo). La scena in cui Alma racconta del rifiuto di Elisabet per il figlio è ripetuta due volte ‒ vediamo prima Elisabet che ascolta e poi Alma che parla ‒ e apre all'inquadratura dei due volti fusi. È l'insieme delle due donne, dunque la donna in genere, a divenire immagine impalpabile e incomprensibile nel suo rifiuto. Nel gioco di specchi esse si smaterializzano, sono il fantasma gigantesco che il bambino ama invano e che il bambino adulto, il marito, non sa identificare. Loquace o muta, la donna è un enigma che si prende gioco dello stesso regista ‒ ed Elisabet si volge ripetutamente a fotografare la macchina da presa. Che poi Persona sia un film sul cinema, che l'enigma investa lo stesso mezzo cinematografico e il suo linguaggio, è solo un passo ulteriore. Il bambino non riesce a toccare neanche la macchina da presa, la sorgente dell'immagine, e con essa chi vi sta dietro.

Persona è indimenticabile per i chiaroscuri ora violenti, ora sfumati, ora sfuocati con cui sono ritratte Bibi Andersson e Liv Ullmann, al suo esordio bergmaniano. Il film è quasi esclusivamente costruito su primi piani e totali, che mimano il gioco di avvicinamento e allontanamento di questa 'sonata per due'. Splendide sono alcune immagini in cui le teste delle due donne si accostano o si incrociano, mentre profondamente perturbante è l'inquadratura in cui due metà dei loro volti ne formano uno solo. Ingmar Bergman, che concepì Persona in un periodo di malattia, ha affermato che aver trovato la forza di fare un simile film gli ha "salvato la vita". La critica ha sempre sottolineato la pluriplanarità di quest'opera tra le più enigmatiche del cineasta svedese.

Interpreti e personaggi: Bibi Andersson (Alma), Liv Ullmann (Elisabet Vogler), Margaretha Krook (dottoressa), Gunnar Björnstrand (Vogler, marito di Elisabet), Jörgen Lindström (Pojken, figlio di Elisabet).

Bibliografia

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Sceneggiatura: in I. Bergman, Sei film, Torino 1979.

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