PETIZIONE

Enciclopedia Italiana (1935)

PETIZIONE

Guido Zanobini

. In ogni ordinamento politico è stata sempre riconosciuta ai sudditi la facoltà di presentare denunzie, lagnanze, espressioni di desiderio, alle supreme autorità dello stato. Questa facoltà si trova espressamente garantita come un diritto pubblico nelle più celebri carte costituzionali: nella Magna Charta (v.), nel Bill of rights del 1689, nella legge americana del 1791, in tutte le carte francesi a cominciare da quella del 1789, nella costituzione belga del 1831. In Italia lo statuto albertino del 1848 riconosce e disciplina il diritto di petizione negli articoli 57 e 58. Secondo le antiche costituzioni, le petizioni venivano presentate esclusivamente al sovrano; secondo le carte più moderne, invece, alle autorità costituite o alle autorità pubbliche in genere: lo statuto, come altre costituzioni del sec. XIX, parla di petizioni da presentarsi alle camere parlamentari. Quest'ultimo sistema si collega alle tendenze democratiche, che videro nelle camere, specialmente in quella elettiva, la massima garanzia dei diritti dei cittadini. La creazione di altre forme di tutela giuridica, soprattutto di quelle della giustizia amministrativa, tolsero al diritto di petizione la sua antica importanza; successivamente, poi, la decadenza politica dei parlamenti diminuì sempre più la sua pratica utilità. Circa la natura giuridica, il diritto di petizione è qualificato da alcuni autori come un diritto di libertà, da altri più esattamente come un diritto civico, analogo al diritto all'azione giudiziaria e al ricorso amministrativo.

Secondo lo statuto italiano le petizioni possono essere presentate da "ognuno purché maggiore di età": perciò anche dagli stranieri e dalle donne. Debbono essere presentate in iscritto: non sono ammesse petizioni esposte personalmente e oralmente davanti alle assemblee. Possono essere presentate petizioni collettive, sottoscritte cioè da una pluralità di persone; sono escluse invece quelle in nome collettivo, ossia presentate da una collettività, sia pure con la firma di alcuni dei suoi componenti: è fatta eccezione solo per le autorità o corpi costituiti. Per l'esame delle petizioni, ciascuna delle due camere ha un'apposita giunta o commissione, sulla cui relazione l'assemblea delibera se l'istanza debba essere presa in considerazione: in caso affermativo, questa è rimessa o al ministero competente o agli uffici della camera stessa per gli opportuni provvedimenti. Non viene fatta relazione sulle petizioni anonime, manifestamente contrarie allo statuto, o ingiuriose per la religione, per il re, per il parlamento o altrimenti sconvenienti per la forma (regol. interno del senato, art. 116 segg.; della camera dei deputati, art. 91 segg.).

Bibl.: C. Bornhak, Das Petitionsrecht, in Arch. f. öff. Recht, XVI (1901), p. 403; Calker, Entstehung rechtliche Natur und Umfang des Petitionsrechts, in Festgabe f. Laband, Tubinga 1908, II, p. 363; F. Racioppi e L. Brunelli, Commento allo Statuto del Regno, Torino 1909, III, p. 131; G. Arangio-Ruiz, Istituz. di dir. cost., Torino 1913, p. 230; G. Meyer, Staatsrecht, 17ª ed., Lipsia 1919, p. 971; A. Esmein, Élém. de droit const., 7ª ed., Parigi 1921, I, p. 550; O. Ranelletti, Istituz. di dir. pubbl., 4ª ed., Padova 1934, p. 286.

Petizione dei diritti. - È la famosa petizione che rappresentò nella Rivoluzione inglese quasi le condizioni che il parlamento metteva alla corona per una collaborazione. L'indirizzo presentato nel maggio 1624 a Carlo I, che si era limitato a promettere di osservare la Magna Charta, assumeva così il carattere di una richiesta di vere e proprie garanzie costituzionali per tutto il popolo inglese: in essa era sancito il principio dell'inviolabilità personale e della proprietà, il divieto dell'arresto arbitrario, l'impossibilità da parte del sovrano di imporre tasse senza il consenso del parlamento.