CARAFA, Pier Luigi

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 19 (1976)

CARAFA, Pier Luigi

Francesco Raco

Nacque a Napoli il 4 luglio 1677 da Francesco, principe di Belvedere, e da Giovanna Grimaldi. Venne avviato dapprima agli studi legali e il 19 ott. 1694 conseguì la laurea in utroque iure; poi, destinato alla carriera ecclesiastica (in quanto il patrimonio e il titolo feudale spettavano al fratello maggiore Tiberio), nel febbraio 1699 fu inviato a Roma. Qui, grazie ai vincoli di parentela che lo legavano al pontefice Innocenzo XII, divenne cameriere segreto del papa e, il 1º apr. 1699, referendario delle due Segnature. Il 19 luglio 1701 Clemente XI lo destinò alla vicelegazione di Urbino, dove ebbe di fatto il governo per quasi tre anni durante l'assenza del cardinale legato Marcello d'Aste. Il 7 sett. 1703 gli fu assegnato il governatorato di Camerino, donde l'8 genn. 1705 fu trasferito con la medesima carica ad Ancona. Finalmente, nel gennaio 1708, il C. venne richiamato a Roma per ricoprire l'ufficio di chierico della Camera apostolica. Nell'ottobre 1711 con il titolo di maggiordomo accompagnò il cardinale Giuseppe Renato Imperiali, quando questi come legato a latere si recò a Milano per incontrare l'imperatore Carlo VI che tornava dalla Spagna. Frattanto nella Camera apostolica il C. aveva avuto l'incarico di presidente delle Strade. Ormai destinato ad alti incarichi, egli ricevette il 19 febbr. 1713 l'ordinazione sacerdotale; il 27 marzo venne preconizzato arcivescovo di Larissa e il 6 aprile insignito del titolo di assistente al soglio pontificio. Pochi mesi dopo, il 20 luglio 1713, fu destinato a reggere la nunziatura di Firenze, in sostituzione di mons. Archinto.

Giunto nella capitale del granducato il 23 settembre e ricevuto in prima udienza da Cosimo III de' Medici il 27 settembre, il C., data la scarsa importanza politica ormai rivestita dallo Stato mediceo e gli ottimi rapporti intercorrenti tra esso e la S. Sede, non dovette affrontare problemi di rilievo, limitandosi a svolgere funzioni di pura rappresentanza. Così fece in occasione della morte di Ferdinando, primogenito di Cosimo III (1713). Impegnato per lungo tempo a risolvere una controversia con l'ambasciatore francese, per il consueto problema delle precedenze, nei primi mesi del 1715 fu incaricato dalla segreteria di Stato dell'unico negoziato di una certa consistenza: richiedere, cioè, al granduca di unire la sua flotta a quella pontificia per appoggiare la Repubblica di Venezia nella guerra contro i Turchi. Cosimo III dapprima fece delle difficoltà in quanto poteva disporre soltanto di due galere; poi, di fronte alle insistenze del C., il 16 apr. 1715 acconsentì, cosicchè le unità navali toscane salparono due mesi dopo per Corfù.

Nominato segretario della Congregazione di Propaganda Fide il 12 apr. 1717, il C. lasciò Firenze il 27 maggio. A Roma, durante i sette anni in cui ricoprì questa carica, si trovò a fronteggiare due gravi problemi dei paesi di missione: la secessione dei giansenisti della Chiesa di Utrecht e la disobbedienza dei missionari gesuiti alle decisioni papali intorno ai cosiddetti riti cinesi.

Nel primo caso il C. subì un grave scacco, quando agevolò la nomina di Domenico Maria Varlet a vescovo di Ascalona e coadiutore di Babilonia (17 sett. 1718), per inviarlo nelle missioni persiane ad appoggiare l'opera di mons. Pidou de Saint-Olon. Il Varlet, dopo la consacrazione episcopale (19 genn.1719), ignorò le direttive impartitegli dal C. di presentarsi dal nunzio a Parigi, C. Bentivoglio, per sottoscrivere la bolla Unigenitus contro Quesnel, e prima di partire per la Persia conferì ad Amsterdam, la cresima ricevendone i poteri non dall'intenunzio di Bruxelles ma dal capitolo di Utrecht (la cui valida esistenza non era riconosciuta dalla S. Sede). Venuto a conoscenza dell'episodio quando già il Varlet si trovava in Persia, il C. ordinò al vescovo di Ispahan di impedirgli l'esercizio della giurisdizione episcopale (17 dic. 1719), e quando il Varlet ritornò in Europa e tentò di giustificarsi con Roma, il segretario di Propaganda Fide gli impose l'accettazione della Unigenitus e la sottoscrizione del formulario antigiansenista. La mossa, forse troppo frettolosa e intransigente, del C. sfociò in un grave insuccesso. Non solo il Varlet non si sottomise e interpose appello al futuro concilio ecumenico contro la bolla e le censure che l'avevano colpito, ma, stabilitosi in Olanda, nella sua qualità di vescovo consacrò ad arcivescovo di Utrecht Cornelius Steenoven (27 apr. 1723). Si approfondì quindi la frattura tra la S. Sede, che non riconobbe mai tale nomina, e la Chiesa giansenista di Utrecht.

Se duro era stato il comportamento del C. nei riguardi dei giansenisti, ugualmente rigido esso fu verso i loro tradizionali avversari, i gesuiti. Tra il 1718 e il 1719 fu proprio il C. ad organizzare la visita apostolica di mons. C. A. Mezzabarba in Cina, allo scopo di ridurre i missionari gesuiti all'osservanza della costituzione Ex illa die del 19 marzo 1715 e di acquisire ulteriori elementi di giudizio intorno alla pratica dei riti cinesi. Al ritorno del Mezzabarba trasmise al papa una relazione sui risultati acquisiti dal visitatore apostolico e da Innocenzo XIII venne incaricato l'8 sett. 1723 di indirizzare al padre generale della Compagnia di Gesù, Michele Tamburini, un decreto che può essere considerato "il prodromo del Breve di soppressione del 1773" (Pastor, XV, p. 475).

Dopo aver ricordato le mancanze imputate ai gesuiti, i quali erano giunti persino - per non applicare la Ex illa die - a sospendere l'esercizio della missione e somministrazione dei sacramenti, e dopo aver accusato il generale della Compagnia di non aver svolto un'azione efficace per ridurre all'obbedienza i subordinati, il C. annunziava al Tamburini che Innocenzo XIII, non ritenendo più "tollerabile" tale comportamento, aveva deciso di porre un "efficace riparo alle scandalose procedure" dei gesuiti obbligandoli ad osservare una serie di nuove norme. Queste, stese dal C. in nove punti, prevedevano tra l'altro: l'osservanza piena della Ex illa die e il rimpatrio dei missionari disobbedienti; l'obbligo per il generale della Compagnia di presentare entro il 1º ott. 1726 al papa e al segretario di Propaganda una relazione documentata per provare che gli ordini della S. Sede erano stati rispettati: in caso contrario sarebbe divenuto operante il divieto di accogliere novizi nella Compagnia (tale provvedimento doveva ritenersi valido sin dalla data del decreto, ma era sospeso per un triennio); la proibizione di inviare nell'Asia orientale altri missionari gesuiti; la liberazione dei missionari detenuti dai gesuiti per ordine delle autorità cinesi (il riferimento valeva soprattutto per Teodorico Pedrini, Ludovico Appiani e Antonio Guignes, imprigionati per la loro opposizione ai riti cinesi); l'ordine per il generale di inviare ai superiori di tutte le case gesuitiche una circolare che vietasse di criticare le risoluzioni pontificie in tema di riti cinesi. In caso di trasgressione erano previste la sospensione a divinis, la privazione della voce attiva e passiva e altre pene più gravi ad arbitrio della Santa Sede (Anecdotes sur l'état de la religion dans la Chine, V, 2, Paris 1735, pp. 254-260).

Destò sensazione il tono estremamente duro usato dal C. nella stesura del decreto, e questo provocò forse, alla morte di Innocenzo XIII (1724), il suo trasferimento alla segreteria della Congregazione dei Vescovi e regolari. Elevato alla porpora cardinalizia da Benedetto XIII il 20 sett. 1728 con il titolo presbiteriale di S. Lorenzo in Panisperna (15 nov. 1728), il C. fu assegnato alle Congregazioni dei Vescovi e regolari, di Propaganda Fide, dell'Indice e della Disciplina dei regolari. Non giocò alcun ruolo nel conclave del 1730. Dall'11 febbr. 1737 al 25 genn. 1738 fu camerlengo del Sacro Collegio; frattanto il 16 dic. 1737 aveva optato per il titolo di S. Prisca. Il 26 genn. 1739 fu nominato protettore dell'Ordine camaldolese. Nel conclave del 1740, guadagnato dal partito guidato dal cardinale Neri Corsini, sostenne la candidatura dell'Aldrovandi. Da Benedetto XIV fu creato vescovo di Albano (16 sett. 1740) e l'8 febbr. 1741 fu chiamato a far parte della ricostituita congregazione cardinalizia incaricata di vigilare su tutti gli istituti dipendenti da Propaganda Fide: al C. in particolare fu affidata la sorveglianza sui collegi di Dillingen, Fulda e S. Pietro in Montorio. Il 15 nov. 1751 egli optò per il vescovato di Porto e S. Rufina e il 9 apr. 1753 per quello di Ostia e Velletri.

Ormai decano del Sacro Collegio, morì a Roma il 15 dic. 1755 e fu sepolto nella cappella di S. Francesco di Sales in S. Andrea delle Fratte.

Fonti e Bibl.: Arch. Segreto Vatic., Proc.Dat., vol. 90, ff. 51-73; Ibid., Segret. di Stato,Firenze, voll. 101-105, 203; Notizie per l'anno 1720, Roma 1720, p. 154; Notizie per l'anno 1729, ibid. 1729, p. 215; Collect. S. Congr. de Propaganda Fide, I, Ann. 1622-1866, Romae 1907, p. 96; Lett. di Benedetto XIV al cardinale de Tencin, a cura di E. Morelli, I, Roma 1955, pp. 199, 463; II, ibid. 1965, pp. 40, 341, 343,430,453, 529; Acta S. C. de Propag. Fide Eccles. catholicam Ucrainae et Bielarusjae spectantia, a cura di A. Velykyj, III, Romae 1954, ad Ind.; Litterae S.C. de Propaganda Fide..., a cura di A. Velykyj, III, Romae 1956, ad Indicem; IV, ibid. 1957, ad Indicem; Congregationes particul. Ecclesiam catholicam Ucrainae et Bielarusjae specrantes, a cura di A. Velykyj, II, Romae 1957, ad Indicem; L. Cardella, Mem. stor. de' cardinali della SantaRomana Chiesa..., VIII, Roma 1794, pp. 236 a.; F. Petruccelli della Gattina, Histoire diplomat. des conclaves, IV, Bruxelles 1866, pp. 61, 129; L. von Pastor, Storia dei papi, XV, Roma 1933, pp. 459, 475, 554; XVI, 1, ibid. 1933, pp. 16, 294; R. De Maio, Società e vita religiosa a Napolinell'età moderna(1656-1799), Napoli 1971, p. 219; G. Moroni, Dizionario di erud. storico-ecclesiastica,ad Indicem; R. Ritzler-P. Sefrin, Hierarchiacatholica..., V, Patavii 1952, pp. 38, 237; VI, ibid. 1958, pp. 39, 40, 48, 50.

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