Corneille, Pierre

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Poeta tragico francese (Rouen 1606 - Parigi 1684). Fu allievo dei Gesuiti (1615-22), poi studiò diritto ed esercitò per varî anni la professione d'avvocato; visse semplicemente. La sua prima composizione per le scene è Mélite (1630), commedia che intesse, in una favola pastorale, reminiscenze personali di un giovanile idillio. Seguì la tragicommedia Clitandre ou L'innocente delivrée (1632), d'argomento e sviluppo romanzesco, secondo il gusto dell'epoca. Tra il 1633 e il 1635 si colloca un gruppo di commedie: La veuve ou Le traître trahi; La galerie du palais; La suivante; La Place royale ou L'amoureux extravagant, nelle quali l'intenzione di presentare i luoghi e i ritrovi familiari al pubblico parigino si mescola alla ricerca dell'intreccio curioso e brioso. Ottenuta la protezione del Richelieu, il C. fu compreso tra i cinque poeti (con Boisrobert, Rotrou, Colletet e L'Estoile) cui il cardinale affidava lo sviluppo delle sue fantasie teatrali. Nella prima tragedia, Médée (1635), sulla trama di Seneca, domina ancora un furore secentesco misto a una galanteria di cattivo gusto. Dopo una nuova tragicommedia, L'illusion comique (1636) sulla vita dei comici, egli diede il suo capolavoro con Le Cid (1636), derivato per il soggetto dal dramma di Guillén de Castro, opera originale e ricca di spirito eroico e giovanile. Qui l'attenzione al conflitto morale non insidia la vitalità dei personaggi, come avverrà in alcune opere successive, nelle quali essa diventa troppo sottile e astratta casistica. Dalle discussioni che nacquero dalle prime rappresentazioni del Cid, uscì in forma definitiva la poetica della tragedia classica francese. Sulla via da lui stesso aperta il C. diede tre altri capolavori: Horace (1640), Cinna ou La clémence d'Auguste (1640); Polyeucte martyr (1641). Della stessa epoca è La mort de Pompée. Seguirono: le due commedie Le menteur e La suite du menteur (entrambe 1644); le tragedie Rodogune (1644), sua opera prediletta, ma frutto più della sua poetica che d'ispirazione; Théodore vierge et martyre (1645); Héraclius empereur d'Orient (1647); Andromède e Don Sanche d'Aragon (1650); Nicomède (1651); Pertharite roi des Lombards (1652), tutte, salvo il Nicomède, opere mancate. Tornò al teatro dopo una pausa con: CEdipe (1659); La Toison d'or (1660); Sertorius (1662); Sophonisbe (1663); Othon (1664); Agésilas (1666); Attila roi des Huns (1667); Tite et Bérénice (1670, in gara con Bérénice del Racine); Psyché, tragédie-ballet (1671, in collaboraz. con Molière); Pulchérie (1672); Suréna général des Parthes (1674). Espose le sue idee critiche sul teatro in tre discorsi: De l'utilité et des parties du poème dramatique; De la tragédie et des moyens de la traiter selon la vraisemblance ou le nécessaire; Des trois unités, d'action, de jour et de lieu. Collaborò con liriche alle raccolte frequenti in quel tempo. Sebbene siano rimaste famose le sue Stances à la Marquise, C. vive solo come poeta tragico; fu, con Racine, una delle espressioni massime del teatro classico francese e del "gran secolo". La sua arte è ricca di sensibilità morale e di austera umanità.

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