MONOD, Pierre

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 75 (2011)

MONOD, Pierre

Andrea Merlotti

MONOD, Pierre. Nacque a Bonneville, nel Faucigny, nel 1586, da Georges, avvocato e membro della piccola nobiltà, e da Nicoline de Pobel, esponente di una famiglia della più recente nobiltà di toga.

In diversi documenti, anche coevi, Georges Monod è detto senatore, compresa una lettera del cardinale Maurizio di Savoia databile intorno al 1630. In realtà, egli divenne avvocato nel Senato di Savoia il 3 nov. 1584 e alla sua morte, nel 1596, non risulta che avesse abbracciato la carriera di magistrato né, tanto meno, che fosse stato ascritto all’ordine senatorio. In quanto alla madre Nicoline, è lo stesso M., nell’inedito Discorso sull’origine e sulla discendenza della Real Casa di Savoia (Arch. di Stato di Torino, Corte, Storia della Real Casa, cat. 1, m. 1, f. 3), a dirla figlia di Catherin Pobel, che fra 1559 e 1571 fu primo presidente dell’allora istituito Senato di Savoia. Si può dire, quindi, che il M., pur non essendo figlio di un senatore, provenisse almeno per parte di madre da una famiglia senatoriale. Oltre al M., la coppia ebbe altri due figli: Louis, che dal 1620 fu per quasi quindici anni alla corte del cardinale Maurizio di Savoia, e Personne, moglie (nel 1617) di Prosper de Belly des Eschelles, gentiluomo della duchessa Cristina di Francia.

Nel 1603 il diciasettenne M. entrò nel collegio dei gesuiti di Chambéry, iniziando il suo noviziato nella Compagnia. Di lì a pochi anni si trasferì come docente nel collegio di La Roche-en-Genevois. Qui il tenore brillante delle sue lezioni lo rese rapidamente celebre, così che lo stesso Carlo Emanuele I duca di Savoia gli inviò una lettera di felicitazioni nell’ottobre 1612. Il 28 maggio 1620 il M. prese i voti definitivi. In quello stesso volgere di mesi, in occasione del matrimonio fra l’erede al trono Vittorio Amedeo, principe di Piemonte, e Cristina di Francia, figlia del re Enrico IV, lavorò a una storia delle relazioni matrimoniali fra i sovrani di Francia e i Savoia: Recherches historiques sur les alliances royales de France et de Savoye: où sont monstrées plusieurs admirables rapports de ces deux Maisons et déduictes dix-neuf alliances, qui jusques à maintenant ont esté entre icelles. L’opera, già conclusa nell’estate 1620, fu accolta favorevolmente dal duca, che ne finanziò la pubblicazione (Lione 1621), favorendo il trasferimento a Torino del Monod. Nella capitale egli seppe subito inserirsi bene a corte, tanto che il duca lo scelse quale confessore di Cristina: in tale scelta il duca ebbe l’appoggio di Francesco di Sales, allora vescovo di Ginevra-Annecy, che era stato in rapporto col padre del M. e aveva avuto modo di conoscere e apprezzare il giovane studioso. Lo stesso M., anni dopo, riportò alle pressioni di Francesco di Sales il suo ingresso a corte (cfr. lettera a Madama Reale, riprodotta in Ricotti, V, pp. 193 s.). Carlo Emanuele I incaricò il M. di scrivere una vita di Amedeo VIII duca di Savoia, antipapa col nome di Felice V: un personaggio centrale nella storia sabauda, ma sul quale era necessaria un’opera storiograficamente e politicamente aggiornata. Nacque così l’Amedeus Pacificus seu de Eugenii IV et Amedei Sabaudiae ducis in sua obedientia Felicis papae V nuncupati controversis commentarius (Torino 1624). L’opera ebbe un buon successo: ripubblicata a Parigi due anni dopo, fu poi inserita dal domenicano Abraham Bzowski nella continuazione degli Annales ecclesiastici di C. Baronio (senza però indicarne l’autore). Il M. iniziò a stenderne anche una traduzione italiana, rimasta incompiuta. Quale ricompensa per il lavoro svolto, il duca creò il M. storiografo di corte.

Rettore del collegio di Torino dal 1627 al 1628, il M. divise la sua opera fra il servizio della Compagnia e quello del duca, anche se quest’ultimo prese inevitabilmente il sopravvento.

Mentre, infatti, l’unico lavoro accertato per la Compagnia è l’Hermes christianus (Lione 1629), traduzione in latino del trattato Adresse pour vivre selon Dieu dans le monde (Parigi 1625) del gesuita Barthélemy Jacquinot, per il duca egli lavorò a tre opere, assai impegnative, che nascevano direttamente dalle vicende politiche del Ducato e ne costituivano, in un certo senso, la testimonianza e la legittimazione storica. Si tratta d’una incompiuta Histoire de Gèneve (Arch. di Stato di Torino, Corte, Paesi, Ginevra, cat. 1, m. 3, f. 2); di Le succes des armées du roy de France et de s.a. le duc de Savoye en l’Estat de Gènes, opera anch’essa incompiuta, sulla guerra contro Genova del 1625 (Ibid., Corte, Storia della Real Casa, cat. 3, m. 13, f. 11); e dell’importante Essai historique sur la question si la Savoye estoit jadis et doit estre tenue aujourdhui fief d’Empire risalente al 1629-30 (Ibid., Ducato di Savoia, m. 1, f. 3; pubblicato, a cura di A. Dufour, in Mémoires et documents de la Société savoisienne d'histoire et d'archéologie, IV [1860], pp. 81-112). In queste opere, destinate a restare chiuse negli archivi di corte, il M. dimostrava di sapersi muovere non solo fra le antiche vicende della dinastia, ma anche nell’impervio terreno della politica a lui contemporanea. Fu questo, probabilmente, a spingere Carlo Emanuele I ad affidargli la stesura di opere «contemporanee», che entravano direttamente sul terreno politico. Fra 1629 e 1630 erano apparse anonime in Francia la Première et la Seconde Savoysienne, où Se voit comment les ducs de Savoye ont usurpé plusieurs Etats appartenants aux roy de France et les raisons de cette dernière guerre (Grenoble 1630), violenti pamphlets antisabaudi, chiaramente scritti su incarico del cardinale Richelieu. Il duca affidò al M. il compito di rispondervi, con opere precise e documentate, e nel giro di poco più d’un anno egli scrisse l’Apologie françoise pour la serenissime Maison de Savoye che consegnò alle stampe all’inizio di luglio (Chambéry 1631), seguita dall’Apologia seconda per la serenissima Casa di Savoia in risposta alle scandalose invettive intitolate prima e seconda savoina. Nella quale si prova ch’i duchi di Savoia niente affatto possedono ingiustamente usurpato alla Corona di Francia, anzi che sono stati gli amici più costanti de’suoi re, come più antichi di parentado (Torino 1632).

Secondo la maggior parte degli storici, il M. sarebbe anche l’autore del poema satirico in latino intitolato Praesul galeatus, che nel maggio 1630 Carlo Emanuele I ordinò a Filippo San Martino conte d’Agliè di far stampare a Napoli: bersaglio dell’opera era il cardinal Richelieu, sceso in armi nella penisola (il prelato in elmetto, appunto) per guidare la guerra in Piemonte. Sebbene il poema fosse pubblicato anonimo, era opinione comune che l’autore fosse il Monod. Anni dopo questi cercò di distogliere da sé i sospetti, sostenendo che l’autore fosse Emanuele Tesauro (si veda la lettera del 29 ott. 1635 pubblicata in De Mun, pp. 49 s. n. 1), ma i rapporti fra i due erano all’epoca così tesi da render l’accusa poco credibile.

La morte di Carlo Emanuele I e l’ascesa al trono di Vittorio Amedeo I, nel luglio 1630, cambiarono le sorti del Monod. Grazie al suo ruolo di confessore di Cristina, ora duchessa di Savoia, i giovani sovrani riponevano in lui profonda fiducia. Per questa ragione, il nuovo duca decise di servirsi del M. non solo come storico di corte, ma anche come diplomatico: una scelta che non aveva precedenti e che non si sarebbe ripetuta in seguito, quando gli storici di corte – da G. Brusoni a P. Gioffredo – non risultano aver mai più avuto un ruolo politico attivo. Nel luglio 1631 il M. andò a Parigi per preparare il terreno a Maurizio di Savoia (allora cardinal protettore di Francia a Roma) e a Tommaso Francesco di Savoia, principe di Carignano (sposato dal 1624 con Maria di Borbone-Soissons e, quindi, imparentato a Luigi XIII), che avrebbero dovuto discutere le condizioni del trattato di pace, firmato a Cherasco il 6 aprile. Il M., da parte sua, doveva convincere Richelieu a riconoscere al duca di Savoia il titolo e il trattamento regio, appoggiato al trono di Cipro (su cui i Savoia avevano regnato per breve tempo nel XV secolo). Cristina di Francia, infatti, mal sopportava di esser sposata a un duca, mentre le sorelle Isabella ed Enrichetta s’erano unite rispettivamente ai re di Spagna e d’Inghilterra. Tuttavia, né Luigi XIII né, soprattutto, Richelieu erano disposti a concedere al duca di Savoia quanto questi chiedeva: tenere sotto controllo lo Stato sabaudo era fondamentale, infatti, per la politica estera francese. La missione fu nel complesso un fallimento (tanto più che Vittorio Amedeo I non esitò a prendere in parte le distanze) e, anche se forse il M. non se ne rese conto, Richelieu sviluppò nei suoi confronti un odio che negli anni successivi gli sarebbe stato fatale (il cardinale lo definì un «serpent vemineux»: Dethan).

Rientrato a Torino alla fine del 1631, il M. riprese la sua vita fra la corte e il Collegio dei gesuiti, dove a causa del suo attivissimo ruolo presso i duchi ricoprì solo la carica di vicerettore. La questione del riconoscimento del titolo regio restava una piaga aperta, resa più viva dalle insistenze della duchessa Cristina. Il duca decise allora di proclamare unilateralmente la pretesa al titolo regio e assegnò al M. l’incarico di scrivere un’opera che fornisse le basi storiche e politiche alla sua decisione. Il 23 dic. 1632 Vittorio Amedeo I emanò un editto con cui annunciava la decisione d’assumere da quel momento il titolo regio, d’inquartare nel proprio stemma le armi del Regno di Cipro e di voler da allora «godere di tutti gl’honori e prerogative dovute alla dignità regia». Poco dopo, il M. pubblicò, anonimo, il Trattato del titolo regio dovuto alla serenissima Casa di Savoia insieme con un ristretto delle rivoluzioni del Reame di Cipro appartenente alla corona dell’altezza reale di Vittorio Amedeo duca di Savoia, principe di Piemonte, re di Cipro (Torino 1633).

Le conseguenze politiche della decisione del duca di Savoia furono serie, perché, se riconosciuto, il nuovo rango sabaudo avrebbe incrinato l’intero sistema di precedenze – già assai contrastato – esistente fra gli Stati italiani, aumentando la tensione sempre viva col Granducato di Toscana. La Repubblica di Venezia, che sin dal 1630 aveva ritirato il proprio ambasciatore a Torino, ruppe ufficialmente le relazioni diplomatiche, privando così lo Stato sabaudo di quello che avrebbe potuto esser un importante alleato di fronte alla Francia; l’ambasciatore mediceo a Roma si recò dal papa a protestare per l’opera, uscita pur sempre dalla penna di un gesuita (sebbene la corte sabauda intendesse tenere celato il nome dell’autore, questo fu scoperto in breve tempo). Tanto a Venezia quanto a Firenze i governi ordinarono la stesura di opere volte a confutare le tesi del Monod. Risultò quasi un’operazione congiunta, infatti, la pubblicazione di quella che fu la principale opera apparsa contro di lui: il Parere di Gasparo Giannotti scritto al signor Giulio Cesare Catelmi sopra il ristretto delle revoluzioni del Reame di Cipri e ragioni della Serenissima Casa di Savoia sopra di esso; insieme con un breve trattato del titolo regale dovuto a sua altezza serenissima, uscito in quello stesso 1633, con il falso luogo di stampa di Torino (ma se ne conoscono anche diversi manoscritti). L’autore si proclamava di origini toscane, ma suddito di Venezia; in realtà è probabile che Giannotti «non sia mai esistito, e che dietro di lui sia celato il volto di qualche autorevole personaggio dell’entourage mediceo» (Angiolini, p. 461). Vero o falso che fosse, Giannotti costrinse il M. a pubblicare una seconda versione del trattato, sempre anonima, con la risposta alle opposizioni fatte alla prima impressione. La risposta di Venezia si fece attendere di più: lo stesso anno idella morte del M. il giureconsulto olandese Theodore Graswinckel, cugino e allievo di Huig van Groot e già autore nel 1634 del trattato Libertas Veneta, pubblicava la Dissertatio de iure praecedentiae inter Serenissimam Venetam Rempublicam et serenissimi Sabaudiae ducem, apposita dissertatione iussu serenissimi Sabaudiae ducis evulgatae (Leyda 1644). Il duca, comunque, nonostante gli attacchi, non fece mancare la sua protezione al M.; scrisse, anzi, a papa Urbano VIII perché gli concedesse di lasciare la Compagnia di Gesù, nominandolo insieme vescovo di Nicosia, in partibus infidelium. Ma il permesso non arrivò mai. Per un trentennio, il Trattato del titolo regio fu una sorta di testo ufficiale. Ancora nella sua grande Histoire généalogique de la Royale Maison de Savoie (Lione 1660), Samuel Guichenon inserì due capitoli che riprendevano, difendendole, le tesi del M., ma il clima politico era ormai cambiato e Carlo Emanuele II gli ordinò di espungerli dall’opera. Sorte non diversa ebbe il Discours sans passion sur le différend de Venise et de Savoie touchant le titre royal, les droits sur le Royaume de Chypre et la préséance contenant le jugement des ouvrages de l’autheur du titre royal de Gaspare Gianotti et de Theodore Graswinkel (Arch. di Stato di Torino, Corte, Cerimoniale, Venezia, m. 2, f. 1; altra copia: Ibid., Regno di Cipro, m. 3, f. 4), che Guichenon provò a pubblicare nel 1661. In esso, egli riprendeva puntualmente il testo del M., confutando le obiezioni dei suoi avversari. Anche in questo caso, però, Carlo Emanuele II ordinò che restasse manoscritto: i diplomatici dei due Stati erano all’opera, infatti, per trovare un accordo. Esso fu raggiunto nel 1662 e stabilì che la ripresa delle relazioni diplomatiche fosse subordinata a una serie di clausole fra cui quella che il duca emanasse un editto che proibiva la diffusione del Trattato del Monod.

Contemporaneamente alla disputa sul titolo regio, il M. dovette affrontare un’altra delicata polemica, questa volta sul terreno stesso della corte sabauda. L’avversario era fra i più temibili: si trattava infatti del suo confratello Tesauro, con cui negli anni precedenti aveva avuto ottimi rapporti, tanto che era stato egli stesso a chiamarlo a Torino convincendo, nel 1627, il generale della Compagnia a consentire la sua ordinazione sacerdotale.

La disputa era nata in seguito alla nascita del principe di Piemonte Francesco Giacinto, erede al trono sabaudo, il 14 sett. 1632. Il duca aveva affidato a Tesauro il compito di scrivere un’iscrizione da porre nella camera del neonato e questi aveva fondato il proprio testo sull’interpretazione di un passo di Svetonio secondo cui l’imperatore romano Augusto era nato con l’ascendente della Vergine, lo stesso del giovane principe sabaudo. Secondo il M., invece, il vero ascendente dell’imperatore era il Capricorno. Egli, quindi, pubblicò un’opera anonima contro Tesauro intitolandola Il Capricorno ò sia l’oroscopo di Augusto Cesare (Torino 1633). Tesauro rispose di lì a poco con La Vergine vero ascendente della natività di Augusto Cesare non dall’incertezza della medaglia popolarmente cavato, ma dall’ora certissima della nascita e dal vero sito del sole astronomicamente dimostrata (Torino 1633), in cui giungeva ad accusare il M. di empietà, per aver fatto ricorso all’astrologia. Il M. scrisse allora uno Stato della quistione fra l’Accademico e il Dimostrante, ossia Replica fatta dal padre M. all’apologia del cavalier Tesauro in difesa d’una sua iscrizione fatta da questa sulla nascita del principe di Piemonte Francesco Giacinto (Arch. di Stato di Torino, Corte, Storia della Real Casa, cat. 3, m. 16, f. 9) che alludeva alle differenti posizioni politiche assunte dai due autori in un clima ormai fortemente teso. Due anni dopo, nel 1635, Tesauro seguì il principe Tommaso Francesco di Savoia in Fiandra, quando questi lasciò improvvisamente il governo della Savoia in segno di protesta contro la politica del fratello, giudicata troppo filofrancese. Giunto a Bruxelles, pubblicò una versione aggiornata de Il Capricorno intitolata La Vergine trionfante e il Capricorno scornato (Colonia 1635), ripubblicandola negli anni seguenti (Ivrea 1642 e 1646) e con aggiunte (all’interno delle Apologie in difesa de’ libri del conte e cavalier gran croce don Emanuele Tesauro, Torino 1673, I, pp. 1-249; Venezia 1680). Anche in queste ultime versioni la polemica contro il M. era altissima, quasi feroce, a testimonianza d’uno scontro che si può comprendere solo calandolo nel clima e nelle tensioni precedenti la guerra civile (1638-42), quando i due storici gesuiti si schierarono sui fronti contrapposti.

La polemica con Tesauro, comunque, non incrinò la fiducia che i duchi riponevano nel Monod. Nel 1634, anzi, il duca gli affidò la stesura della Vie de Marguerite de Savoie, marquise de Montferrat (restata però manoscritta) e nel 1636 lo scelse per una nuova missione diplomatica in Francia. Riportate alcune importanti vittorie militari contro gli Spagnoli, il duca riteneva infatti giunto il momento di rinegoziare l’alleanza impostagli nel 1630. Il M. lasciò Torino a inizio dicembre, insieme con l’ambasciatore francese Michel Particelli d’Heméry, e il 20 dicembre giunse a Parigi, dove fu ricevuto da Richelieu il 23 e dal re il 26. La missione sembrava iniziare sotto buoni auspici, ma in breve la situazione mutò radicalmente. Nonostante numerosi incontri, Richelieu procrastinò, infatti, ogni decisione a proposito sia degli aiuti militari sia del riconoscimento del titolo regio. A fine febbraio il M., rendendosi conto dell’inutilità delle trattative, chiese al duca di rientrare in Piemonte. Ciò, tuttavia, avvenne solo all’inizio di maggio, dopo una drammatica udienza di congedo, in cui Richelieu lo attaccò duramente. In apparenza, l’ira del cardinale era dovuta all’ostinazione del M.; tuttavia, è probabile che questi ritenesse il M. coinvolto in una congiura ordita contro di lui dal confessore di Luigi XIII, il gesuita francese Nicolas Caussin, col quale il M. aveva in effetti avuto rapporti durante il suo soggiorno parigino. Se tali accuse avessero o meno un fondo di verità è questione che resta ancora oggi senza risposta. L’unico dato sicuro è che da allora Richelieu manifestò in forme sempre più evidenti il suo odio verso il M. e che ciò, nel volgere di poco più d’un anno, ne provocò la rovina. Rientrato a Torino, in un primo tempo le autorità francesi sembrarono soddisfatte della missione, ma in realtà Particelli d’Heméry iniziò a lavorare sotterraneamente contro di lui.

La morte improvvisa di Vittorio Amedeo I, il 7 ott. 1637, segnò l’inizio della fine per il M.: in novembre Luigi XIII scrisse alla sorella Cristina, autoproclamatasi reggente dello Stato, chiedendone l’allontanamento dalla corte. La reggente aveva da poco chiamato il M. a far parte del Consiglio che doveva coadiuvarla nel governo e perciò, almeno inizialmente, cercò di resistere. A tale scopo inviò a Parigi il conte Francesco Canalis di Cumiana con un memoriale difensivo scritto dallo stesso M.; la missione, tuttavia, si rivelò inutile. Cristina, allora, allontanò il M. dalla corte. Particelli d’Heméry, tuttavia, considerò l’azione insufficiente e propose alla reggente d’inviarlo a Pinerolo, allora in possesso francese, o direttamente a Parigi, perché fosse arrestato. Cristina provò anche a riprendere le trattative per dare al M. un vescovado – quello della Maurienne – così da allontanarlo dalla corte, ma ponendolo al riparo dalle insidie del cardinale. Tuttavia, Roma non era disposta a tanto per difendere il gesuita. Il generale dell’Ordine propose d’inviarlo in Baviera, ma anche questo progetto fu rifiutato. Cristina decise allora, come male minore, d’inviarlo al confino a Cuneo. Il 27 febbr. 1638 il M. lasciò Torino per il confino, da dove rimase segretamente in contatto con Cristina. Quando Richelieu ne venne informato, chiese a Cristina di prendere provvedimenti. Informato di ciò e temendo di esser inviato in Francia, il 2 genn. 1639 il M. tentò la fuga e, lasciata Cuneo, si diresse verso Genova. Le truppe, comandate da San Martino d’Agliè, lo sorpresero però al santuario di Vicoforte e lo trasferirono in Savoia al castello di Montmélian. Questa decisione suscitò le proteste del nunzio apostolico a Torino, il quale inizialmente rifiutò il permesso. Fu solo grazie alle pressioni dell’ambasciatore francese a Roma che il papa concesse infine il nulla osta. La scelta del luogo, tuttavia, indispettì nuovamente Richelieu: nello stesso castello, infatti, doveva risiedere anche Carlo Emanuele II e il cardinale temeva che il M., d’intesa con Cristina, potesse affermare la sua autorità sul principe. Chiese allora che il M. fosse allontanato e trasferito in un luogo più sicuro: la fortezza di Miolans, la più dura delle prigioni di Stato sabaude, considerata opportuna per quello che era ormai apertamente definito «capitale nemico della Francia» (Scotti a Barberini, 14 giugno 1639, in Correspondance..., pp. 107 s.). Per diversi mesi Cristina tergiversò, ma alla fine, posta di fronte alla possibilità di una rottura col cardinale e di una sua alleanza coi principi cognati, ordinò il trasferimento. Anche questa volta, tuttavia, Roma si oppose alla decisione. All’inizio dell’aprile 1640 il papa ordinò al vescovo di Ginevra di seguire personalmente la vicenda e di ottenere che al M. fosse permesso di trasferirsi a Roma. Il vescovo, tuttavia, nulla poté quando Cristina, il 18 maggio 1640, dette infine l’ordine di trasferimento. Da Roma, allora, si chiese che il M. fosse rimesso al vescovo, che lo avrebbe fatto carcerare a suo nome, in attesa di processo. Anche questo progetto, tuttavia, restò lettera morta. Infine, ottenuti i necessari permessi papali, il 18 maggio 1640 il M. fu trasferito alla fortezza di Miolans, dove nel 1642 gli fu permesso di esser assistito da un confratello e di avere un domestico.

Durante il soggiorno a Montmélian conobbe il gesuita nizzardo Teofilo Rainaudo, il quale lamentò il rigore con cui era tenuto il confratello. A causa di ciò, Richelieu ne ottenne l’arresto e il processo. Poiché questo si concluse con la sua assoluzione, Rainaudo si rifugiò ad Avignone, ma anche qui fu raggiunto dalla lunga mano del cardinale, che ne ottenne un nuovo arresto. Durante la prigionia, il M. poteva scrivere e ricevere libri, tanto che alla sua morte la reggente fece ritirare a Torino due bauli di manoscritti. Risale probabilmente agli anni di confino e prigionia fra Cuneo e Montmélian l’Histoire de Charles Emanuel I duc de Savoie, de Victor Amédée I son fils et de la régence de Chrétienne de France jusqu’à la majorité de Charles Emanuel II (Arch. di Stato di Torino, Corte, Storia della Real Casa, cat. 3, m. 13, f. 30). Il titolo sembrerebbe escludere la paternità del M., poiché Carlo Emanuele II raggiunse la maggiore età nel 1649, cinque anni dopo la morte del gesuita. Tuttavia, il titolo dell’opera risulta posto da un archivista dopo l’arrivo dell’opera a Torino. Il M., invece, nell’introduzione affermava di voler scrivere la storia dei ducati di Carlo Emanuele I e Vittorio Amedeo I e dell’inizio della reggenza di Cristina per conto del figlio: il che riporta esattamente agli anni della prigionia. Anzi, in un primo momento l’opera doveva riguardare il solo ducato di Vittorio Amedeo I e solo in seguito il M. pensò d’ampliarla verso il passato. L’opera è rimasta incompiuta e consta di due libri, che s’interrompono dopo la pace di Vervins (1598). Al 1640, secondo quanto annotato da un’altra mano sul manoscritto, risale il trattato Des chevaliers et de l’ètat de la chevalerie (Torino, Biblioteca reale, Misc., 50.5). È probabile, inoltre, che egli abbia continuato a lavorare agli Annales Sabaudici ecclesiastici et civiles (900-1112) e alla Seconde partie des Annales de Savoie (1414-1434) (Arch. di Stato di Torino, Corte, Storia della Real Casa, cat. 2, m. 8, ff. 1 e 2), che nelle sue intenzioni avrebbe dovuto costituire la grande storia sabauda cui legare il suo nome: un progetto poi ripreso da Guichenon, che nei confronti delle opere del M. mostrò sempre grande rispetto (nella prefazione all’Histoire généalogique de la Royale Maison de Savoie lo definisce «personage des mieux versés de son siecle en l’histoire et qui eut moins de fortune que de merite»). Risulta, inoltre, che durante la prigionia, aiutato dal governatore del forte André-Maurice de Puencet, il M. costruì tre orologi solari, uno di metallo e due in ardesia. Dopo la sua morte, questi orologi furono inviati a Madama Reale che li pose nel castello del Valentino, sua residenza privata.

La morte di Richelieu, il 4 dic. 1642, sembrò offrire al M. una speranza di libertà. Tuttavia, mentre altre vittime del cardinale uscirono dal carcere o rientrarono dall’esilio (fra queste padre Caussin e Filippo San Martino d’Agliè, fatto arrestare da Richelieu la notte di capodanno del 1640), così non fu per il Monod. Il generale della Compagnia scrisse a Mazzarino e al principe Tommaso Francesco chiedendone la liberazione, ma senza successo. Cristina, infatti, non osò, o non volle, provocare alcun screzio con la corte francese, in un momento in cui la pace, siglata il 14 giugno 1642, non aveva ancora portato tutti gli effetti sperati e il suo potere era di fatto sostenuto solo dalle armi francesi. Ammalatosi seriamente nel marzo 1644, il M. ottenne l’assistenza d’un confratello, il padre Ignace de Beausse, rettore del collegio di Chambéry, che gli restò accanto negli ultimi giorni.

Il M. morì il 31 marzo 1644 nella fortezza di Miolans.

Fonti e Bibl.: Le relazioni degli Stati europei lette al Senato dagli ambasciatori veneziani nel secolo decimosettimo, a cura di N. Barozzi - G. Berchet, s. 3, Italia, I, Torino, Venezia 1862, pp. 318, 325, 365, 374; Correspondance du nonce en France Ranuccio Scotti, 1639-1641, a cura di P. Blet, Roma-Parigi 1965, pp. 107 s., 157, 258, 396, 428; A. Aubery, Mémoires pour l'histoire du cardinal duc de Richelieu, Colonia 1667, V, pp. 326, 330, 407, 413, 416-418, 423 s., 426, 444; S. Guichenon, Histoire généalogique de la Royale Maison de Savoie, Lione 1669, passim; Traité curieux sur l’enlevement du prince de Furstenberg, Villafranca 1676, pp. 46 s.; V. Siri, Memorie recondite dall'anno 1601 sino al 1640, Lione 1679, VIII (1634-1640), pp. 496, 576-580, 585-587, 590, 618-623, 693-695, 699 s., 703, 723-725, 747; A.N. Amelot de la Houssaye, Histoire du gouvernement de Venise, Parigi 1685, pp. 117, 633; J. Le Clerc, Vie d’Armand Jean cardinal duc de Richelieu, II, Colonia 1694, pp. 318 s., 326-329, 367-369, 380, 428, 435, 437; M. Le Vassor, Histoire du regne de Louis XIII… contenant la naissance de Louis XIV , Paris 1708, pp. 154-157, 165; J. Oldmixon, Arcana Gallica, or The secret history of France for the last century, Londra 1714, pp. 446 s., 453; F.d.P. de Clermont de Montglat, Mémoires, I, Amsterdam 1727, pp. 205, 298 s.; J. Rousset de Missy, Mémoires sur le rang et la préséance entre les souverains de l’Europe et entre leurs ministres, Amsterdam 1746 , pp. 121 s., 124, 127 s., 132; C. Denina, Delle rivoluzioni d’Italia, III, Torino 1770, pp. 317 s.; Id., Bibliopea o sia L’arte di compor libri, Torino 1776, p. 272; L.P. Anquetil, L’intrigue du cabinet sous Henri IV et Louis XIII terminée par la Fronde, III, Maestricht 1782, III, pp. 21, 24, 29 s.; G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, VIII, Dall’anno 1600 sino all’anno 1700, Modena 1793, p. 153; P.G. Galli della Loggia, Cariche del Piemonte e Paesi Uniti colla serie cronologica delle persone che le hanno occupate, Torino 1798, pp. 111-113, 212 s.; III, p. 117; C. Denina, Istoria dell’Italia occidentale, III, Torino 1809, pp. 279 s., 356; F. Sclopis, Notizie di P. M., in Id., Documenti ragguardanti alla storia della vita di Tommaso Francesco di Savoia principe di Carignano, Torino 1832, pp. 107-116; L. Cibrario, Storia di Torino, II, Torino 1846, pp. 156, 584 s.; L. Costa de Beauregard, Recherches sur le livres anonyme, ouvrage inédit de Guichenon, in Mémoires de l’Académie impérial de Savoie, s. 2, V (1862), pp. 72-77, 91-96, 102 s.; A. Bazzoni, La reggenza di Maria Cristina, duchessa di Savoia, Torino 1865, pp. 95-111, 361, 364 s.; A. Peyron, Notizie per servire alla storia della reggenza di Cristina di Francia duchessa di Savoia, Torino 1866; G. Claretta, Storia della reggenza di Cristina di Francia duchessa di Savoia, I, Torino 1868, pp. 174 s., 231, 246-268, 277, 279, 292 s., 374-387, 536, 545 s., 604-606, 643, 826; II, pp. 87-90 docc. nn. 40, 63, 119, 139, 141;  E. Ricotti, Storia della monarchia piemontese, V, Firenze 1869, pp. 5, 86, 100-102, 121, 142-150, 188-195; VI, pp. 149 s., 348; F. Predari, Storia politica, civile, militare della dinastia di Savoia dalle prime origini a Vittorio Emanuele II, II, Torino 1869, pp. 86, 117 s.; G. Claretta, Sui principali storici piemontesi e particolarmente sugli storiografi della Real Casa di Savoia, Torino 1878, pp. 62-98; A. Dufour - F. Rabut, Le père M. et le cardinal de Richelieu. Episode de l’histoire de France et de Savoie du XVIIe siècle, in Mémoires de l’Academie des sciences, belles-lettres et arts de Savoie, s. 3, VIII (1878), pp. 17-178; Id., Miolans, prison d’état, in Mémoires et documents publiés par la Société Savoisienne d’histoire et d’archeologie, s. 1, XVIII (1879), pp. 38 s., 55, 81, 83 s., 87-92, 480; D. Carutti, Di un punto di storia arcana [su] card. di Richelieu, il padre P. Monod..., in Archivio storico italiano, s. 4, 1879, t. 3, pp. 400-412; A.D. Perrero, Appunti in risposta ad una memoria del barone commendatore Domenico Carutti intitolata «Di un punto di storia arcana», ibid., s. 4, 1880, t. 5, pp. 61-74; C. Sommervogel, Biblioteca Mariana de la Compagnie de Jesus, V, Parigi 1885, pp. 1221 s.; Le père M. (deux lettres du premier president Janus d’Oncieu), in Mémoires et documents publiés par la Société Savoisienne d’histoire et d’archeologie, s. 2, XII (1898), 37, pp. CXXII-CXXIII; A propos d’un fragment de lettre du père Monod, ibid., s. 2, XV (1901), 40, pp. XXVII-XXXIV; C. Contessa, Per la storia della decadenza della diplomazia italiana nel secolo XVII. Aneddoti di relazioni veneto-sabaude, in Miscellanea di storia italiana, s. 3, XI (1906), 42, pp. 71-74, 90-92, 100; G. De Mun, Richelieu et la Maison de Savoie: l’ambassade de Particelli d’Hémery en Piémont, Paris-Plon-Nourrit, 1907; S. Foa, Mission du père M. à Paris en 1631 d’après ses lettres, in Mémoires et documents de l’Academie de Savoie, s. 4, XI (1909), pp. 563-649; Id., Un conseil du père M. au duc Victor Amé I, ibid., pp. 649-657; D. Valle, Il padre Pietro M., della Compagnia di Gesù, consigliere di Stato e istoriografo della Real Corte di Savoia, e le sue relazioni col cardinal Richelieu, con appendice di documenti inediti, Torino 1910; C. Gallina, Le vicende di un grande favorito (Filippo San Martino d’Agliè), in Bollettino storico-bibliografico subalpino, XXI-XXII (1921-22), pp. 202-213: H. Fouqueray, Histoire de la Compagnie de Jésus en France des origines a la suppression (1528-1762), V, Sous le ministère de Richelieu, p. II (1634-1645), Parigi 1925, pp. 106-123; G. Dethan, Mazarin et ses amis, Nancy 1968, p. 192; M.L. Doglio, Una apologia inedita di Emanuele Tesauro: «L’Italia vindicata», in Lettere italiane, XXIX (1977), pp. 59-69; M. Zanardi, Vita ed esperienza di Emanuele Tesauro nella Compagnia di Gesù, in Archivum historicum Societatis Jesu, XLVII (1978), pp. 1-96; C. Stango, in Diana trionfatrice. Arte di corte nel Piemonte del Seicento, a cura di M. Di Macco - G. Romano, Torino 1989, pp. 7, 9, 52 s., schede nn. 5, 7, 56; M.L. Doglio, Dalla metafora alla storia. «Apologie» e postille inedite di Emanuele Tesauro, in Studi piemontesi, XXXI (1990), pp. 3-28; C. Pereno, La vita e le opere di padre P. M., Università di Torino, Facoltà di lettere e filosofia,  a.a. 1991-92; R. Oresko, The House of Savoy in search of a royal crown in the seventeenth century, in Royal and repubblican soveregnity in early Modern Europe, a cura di R. Oresko - G.C. Gibbs - H.M. Scott, Cambridge 1997, pp. 307, 326-328; G. Mola di Nomaglio, I Savoia e il Regno di Cipro. Dispute e relazioni diplomatiche per conquistare il titolo regio, in Anna di Cipro e Ludovico di Savoia e i rapporti con l’Oriente latino in età medievale e tardomedievale, a cura di F. De Caria - D. Taverna, Torino 1997, pp. 35-51; A. Giaccaria, Libri e raccolte di incisioni provenienti dai gesuiti nei fondi della Biblioteca nazionale Universitaria di Torino, in La compagnia di Gesù nella provincia di Torino dagli anni di Emanuele Filiberto a quelli di Carlo Alberto, a cura di B. Signorelli - P. Uscello, Torino 1998, pp. 288-290, 293; G. Ricuperati, Carlo Emanuele I: il formarsi di un’immagine storiografica dai contemporanei al primo Settecento, in Politica e cultura nell’età di Carlo Emanuele I. Torino, Parigi, Madrid, a cura di M. Masoero - S. Mamino - C. Rosso, Firenze 1999, pp. 9-12; R. Dotta, La storiografia ecclesiastica sabauda, ibid., pp. 102-104; A. Merlotti, Le nobiltà piemontesi come problema storico-politico. Francesco Agostino Della Chiesa tra storiografia dinastica e patrizia, in Nobiltà e Stato in Piemonte. I, Ferrero d’Ormea, a cura di A. Merlotti, Torino  2003, pp. 22-26; J. Beldon Scott, Architecture for the shroud: relic and ritual in Turin, Chicago 2003, pp. 34 s.; P. Cozzo, La geografia celeste del duca di Savoia. Religione, devozione e sacralità in uno Stato di età moderna (secoli XVI-XVIII), Bologna 2006, pp. 153 s., 215, 245; C. Grell, Les historiographes en Europe de la fin du Moyen Âge à la Révolution, Paris 2006, pp. 45 s., 50-59; F. Angiolini, Medici e Savoia. Contese per la precedenza e rivalità di rango in età moderna, in L’affermarsi della corte sabauda. Dinastie, poteri, élites in Piemonte e Savoia tra tardo Medioevo e prima Età Moderna, a cura di P. Bianchi - L.C. Gentile, Torino 2006, pp. 458-464, 467, 469; T. Osborne, Dynasty and diplomacy in the Court of Savoy. Political culture and the Thirty years’ war, Cambridge 2007, pp. 184-187, 191 s., 247-249; F. Bondi, «La Vergine trionfante et il Capricorno scornato» (elementi per una lettura emblematico-politica), in Testo. Studi di teoria e storia della letteratura e della critica, XXX (2009), f. 2, n. 58, pp. 21-34; A. Merlotti, Politique dynastique et alliances matrimoniales de la Maison de Savoie au XVIIe siècle, in XVIIe siècle, LXI (2009), 2: Femmes d’influences? Les Bourbons, les Habsbourg et leurs alliances matrimoniales en Italie et dans l’Empire au XVIIe siécle, a cura di Y.-M. Bercé, pp. 239-255.