LOCATELLI, Pietro Antonio

Enciclopedia Italiana (1934)

LOCATELLI, Pietro Antonio

Fausto Torrefranca

Violinista e compositore, nato a Bergamo nel 1693, morto ad Amsterdam il 1 aprile 1764. Fu, di tutti gli allievi di A. Corelli, il più geniale. Visse dapprima a Roma, poi (1725) a Mantova presso il governatore principe Filippo di Assia-Darmstadt succedendo, a distanza di una dozzina d'anni, ad A. Vivaldi. Viaggiò attraverso l'Europa dando concerti. Da ultimo si stabilì ad Amsterdam dove fondò, o diresse, un'accademia di concerti. Di carattere socievole, fu, anche quale musicista, assai sensibile, e la sua Sinfonia (in fa minore) composta per l'esequie della sua Donna che si celebrano in Roma e i suoi concerti ne fanno uno dei primissimi campioni dell'epoca della "sensibilità", insieme a B. Galuppi, a G. Platti, a F. M. Veracini e, in parte, a G. Tartini. È anche, insieme al Vivaldi, il più autorevole rappresentante, nel Settecento, della musica a programma d'indole drammatica la quale riflette e trasporta in una sfera irreale gli accenti dell'opera. Lo provano, oltre la Sinfonia funebre, il sesto concerto dell'op. VII intitolato il Pianto di Arianna, alcune sonate, di evidente ispirazione drammatica, dell'op. VI e le Sei Introduzioni teatrali (op. IV, 1ª parte, 1735).

Il 24 luglio 1731 ad Amsterdam gli è concesso un privilegio per la stampa delle sue opere, e il 12 maggio 1746 ne ottiene il prolungamento. Le pubblicazioni si succedono, dal 1731, a così breve distanza (a cominciare, sembra, dall'op. VIII) che è necessario presumere la composizione di almeno otto di esse come anteriore al 1731. Le opere I, II, III sono pubblicate a Parigi dal Leclerc soltanto alla fine del 1738, ma nel dicembre del 1739 già si annuncia l'op. IX, che è la penultima. Sono state dunque diffuse, dagli editori, le opere della giovinezza, ma non quelle della maturità, probabilmente lasciate manoscritte e forse perdute, come fa intendere F. Alessandri, per incuria dei parenti bergamaschi. L'influenza esercitata dal L. oltrepassò i confini dell'Olanda: non solo, come si è visto, verso la Francia, ma anche verso l'Inghilterra e la Germania, dove i suoi concerti furono studiati (dal 1727 al'96) da J. S. Bach.

Dal punto di vista del virtuosismo, è fondamentale la sua op. III: L'arte del violino. XII Concerti, cioè Violino solo con XXIV Capricci ad libitum che si potrà finire al segno S... Violino primo, Violino secondo, Alto, Violoncello-Solo e Basso opera terza, Amsterdam. Egli vi appare ardito innovatore: il più ardito che abbia avuto l'arte del violino sino a N. Paganini; il quale, del resto, conobbe l'opera deI L. e se ne avvalse. Ogni concerto di quest'opera offre due tempi a ciascuno dei quali succede, a guisa, se si vuole, di grandiosa cadenza, un capriccio per violino solo che finisce, a sua volta, con un'altra cadenza; quest'ultima, più breve, è fasciata alla libera improvvisazione del concertista. W. J. Wasielewski lo maltratta oltre i limiti del tollerabile dandogli del ciarlatano (postulando, a torto, l'ineseguibilità di certi passi acutissimi che sono, difatti, di una difficoltà mostruosa), ma avrebbe. dovuto almeno tener conto di ciò che dice J.-J. Rousseau nel suo Dizionario, già redatto nel 1759, all'art. Caprice: "aujourd'hui les caprices de Locatelli donnent de l'exercice à nos violonsı: segno che essi rispondevano a un bisogno, soddisfacendolo, magari, oltre il giusto limite pratico. In questa stessa opera egli crea un nuovo momento propulsivo, nella struttura del Concerto, facendo ripetere dal solista il tema iniziale, non appena esposto dal Tutti; e la ripetizione avviene all'ottava alta e con abbellimenti, trilli e altri melismi. Alla stessa disposizione si atterrà Beethoven, nel suo Concerto per violino. Nell'opera VI, di 12 Sonate da camera a violino solo e basso, che nel catalogo Scheurleer portano la data 1728-1737 (e sono già di architettura moderna), il suo virtuosismo si muove con ricchezza e con brio nella sfera di una media difficoltà.

In queste sonate il L. rivela il fondo del suo talento geniale: fondo impulsivo e un po' selvatico, ma fecondo e lampeggiante. Egli è un impressionista: non un impressionista del ritmo - come altri Italiani del suo tempo - ma un impressionista della cantabilità: una cantabilità tutta fugacità melodiche e repentini trapassi modulanti disciolti in una profusione di coloriti ottenuti con semplici, ma vibranti impasti sia nel violino, ricco di passi in terze e seste, sia nel basso, di robusta e calda armonizzazione. Furono ripubblicate nel 1801 per il conservatorio di Parigi (una di queste è stata rielaborata da O. Respighi). Il suo modo di suonare era, secondo J. J. Quantz, molto simile a quello di G. Tartini: bel suono, purezza anche nei più difficili virtuosismi e predilezione per le alte posizioni, mentre il suo modo di porgere non riusciva commovente e il gusto non era puro, ma anzi contrario al bel canto. Giudizio che si comprende pensando quanto il L. si stacchi dalla maniera non solo del Corelli, oramai troppo lontano di stile, ma dello stesso Vivaldi, in forza del suo più estroso impressionismo.

Bibl.: A. Alessandri e G. S. Mayr, Scrittori e artisti bergamaschi, Bergamo 1875; A. Schering, Gesch. d. Instrumentalkonzerts, 3ª ed., Lipsia 1927; A. Moser, Gesch. d. Violinspiels, Berlino 1923.