BORSIERI, Pietro

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 13 (1971)

BORSIERI, Pietro

Mario Scotti

Nato a Milano il 16 apr. 1788 da Vincenzo e Isabella Fontana (la famiglia era originaria del Trentino; il nonno paterno fu il celebre medico Giambattista), compì gli studi di legge a Pavia, addottorandosi nel 1808 con una tesi su Alessandro Turamini, autore di un incompiuto trattato sul cambio. Il B. si proponeva di mostrare agli stranieri quanto fosse stato e fosse continuo in Italia lo studio del diritto considerato in relazione alla politica e alla filosofia. Questo lavoro fu pubblicato (Discorso su la vita e gli scritti di A. Turamini..., Milano 1808) e fece concepire al Foscolo buone speranze su di lui.

Molto fascino aveva esercitato su di lui, durante gli studi universitari, Gian Domenico Romagnosi, in difesa del quale, ancora studente, aveva polemizzato contro il prete francese Amato Guillon, redattore letterario del Giornale italiano, che aveva attaccato il discorso del Romagnosi intorno al quesito "Quale sia il governo più adatto a perfezionare la legislazione civile". Alla risposta del Guillon il B. fece seguire un nuovo libello, in cui prendeva le difese del Foscolo, i cui Sepolcri erano stati censurati dal maldestro critico. In questi scritti rivelava brillanti doti di polemista sottile e sferzante, la cui arma principale era l'ironia.

Venuto a stabilirsi a Milano, ottenne un posto, nei primi tempi non retribuito, alla segreteria del ministero della Guerra, ma, caduto nel 1814 il Regno d'Italia, perse questa sistemazione. Più tardi riuscì a collocarsi come protocollista presso il tribunale: l'impiego lo teneva occupato l'intera giornata, vietandogli il lavoro letterario. Pure in questi anni, a Milano, conobbe il periodo più fervido della sua vita: entrò in amicizia col Foscolo, col Monti, con Luigi e Silvio Pellico, con Ludovico di Breme e con tutti gli scrittori che frequentavano casa Porro e che collaboreranno poi al Conciliatore.

Nel 1810 negli Annali di scienze e lettere (I, pp. 415-426) apparve l'articolo Sui versi di C. Arici in morte di G. Trenti, che, di ispirazione foscoliana, fu sicuramente scritto dal B. (il quale in una lettera a C. Ugoni del 6 marzo 1838 confessava: "Un altro articolo mio, quello sui versi per Trenti del nostro Arici, so che è stato stampato fra le cose del Foscolo... L'articolo su Trenti... io scrissi appena scappato dall'Università, ed ignorando in buona parte l'esistenza d'altre cose migliori d'Arici"). In questo articolo, in cui si rimprovera all'Arici di essersi vestito di panni altrui "dalla testa fino ai piedi", si incontra una notevole considerazione di gusto romantico sull'arte: è necessario che lo scrittore scelga "uno stato d'animo corrispondente alla tempera del proprio cuore e alle forze del proprio ingegno"; da questa scelta dipende "assai volte" la riuscita triste o felice di una opera. Da questo scritto prese spunto il Monti, lodatore dei versi dell'Arici, per rompere con il Foscolo. Anche al B. alcuni attribuiscono l'articolo Sopra il "Corallo" di Cesare Arici, che invece è di Luigi Pellico.

Per il ritorno degli Austriaci il B. compose tre sonetti encomiastici, forse partecipando alla illusione di alcuni patrioti che da questo governo dovesse nascere un qualche bene. Nel 1815, rappresentata trionfalmente la Francesca da Rimini di Silvio Pellico, il B. preparò un articolo destinato al Corriere milanese;ma il Pezzi, direttore del giornale, non amava che si inserissero critiche non sue: lo stesso Pellico pregò l'amico di non insistere (lettera di Silvio Pellico al fratello Luigi del 30 ag. 1815).

Verso la fine del 1815, quando si preparava la Biblioteca italiana, alla cui direzione erano Monti, Breislak, Acerbi, il B. fu invitato a scrivere un prospetto della letteratura italiana.

Di questo articolo avevamo notizie finora soltanto da una lettera del Pellico (al fratello Luigi: 11 dic. 1815), perché esso, per gli spiriti liberali da cui era animato e per alcune punte polemiche contro il Poligrafo e contro Giovanni Paradisi, mise a disagio i compilatori della rivista e non fu pubblicato, restando in bozze di stampa fra le carte Acerbi (ha visto la luce recentemente, nel 1967, nell'edizione degli scritti del B. curata da G. Alessandrini). È certamente uno scritto di molta importanza nella storia della nostra polemica romantica. La tesi centrale è quella della mancanza di una cultura moderna in Italia, una cultura che non fosse sterile vanto delle glorie passate, ma riconoscimento dei difetti e dell'angustia del municipalismo, dell'accademismo, della sterile lotta fra diverse scuole. I sommi ingegni sono un fatto di natura; da soli non fanno la cultura di un popolo, la quale ha bisogno di quella "quasi invisibile cattedra d'intelligenza e di idee" che congiunge "la moltitudine che impara col genio che crea". Gli inizi dell'Ottocento, che vedono tutta l'Europa percorsa da un fervido scambio di idee, trovano l'Italia esclusa da questo commercio. Da noi mancano giornali adeguati, che proseguano l'opera svolta nel passato da quelli dello Zeno, del Lami, del Baretti e dal Caffè; non vi sono buoni commenti dei classici, né una storia della filosofia che non sia vuota declamazione, né storiografia politica e letteraria, letteratura narrativa, ricerche morali che siano al livello della produzione degli altri popoli europei. La lingua stessa è per i nostri scrittori un problema: essi sono divisi fra l'ossequio ad una sola autorità e la licenza. La posizione che la nuova rivista avrebbe dovuto assumere tra i lodatori del passato e gli esaltatori del nuovo è di equilibrio: "Chi si attendesse di vederci sacrificare sugli altari dell'antichità vivrebbe ingannato, e andrebbe errato ancor più chi per amore di cose nuove ne tenesse dimentichi dell'eredità dei nostri maggiori".

Nell'Introduzione alla Biblioteca italiana sono già delineate le tesi fondamentali, per cui si batteranno gli scrittori del Conciliatore; ad essa spetta la priorità di certe idee che saranno comuni ai romantici lombardi e che il B. riprenderà più tardi.

Il 19 sett. 1816 apparvero le Avventure letterarie di un giorno, lo scritto più importante del B. e uno dei maggiori manifesti romantici italiani, in cui si incontrano molte idee che ispireranno anche la Lettera semiseria di Grisostomo e che saranno più volte ripetute nella polemica romantica. A torto qualche critico ha trascurato le Avventure (il Borgese nella Storia della critica romantica in Italia non cita nemmeno il B.!): esse sono invece una felice operetta ricca e fervida di pensiero, amabile ritratto della vita letteraria milanese in un periodo appassionato e vivo, condotte con una arguta levità settecentesca.

Le idee letterarie non sono esposte in un trattato criticamente distaccato, ma si compongono in una narrazione personale piena d'estro e di brio, che giustamente ha fatto pensare oltre che al Gozzi e al Baretti, allo Sterne, filtrato attraverso il gusto e la sensibilità foscoliana. E al Foscolo sono riconducibili alcuni dei molteplici motivi delle Avventure. Gli Italiani sono pieni di vanità nazionale e sono pertanto misoneisti verso la cultura europea: eppure mancano di romanzi, giornali, teatro comico, cioè "di tre parti integranti di ogni letteratura, e di quelle precisamente che sono destinate ad educare e ingentilire la moltitudine". In realtà in Italia si possiede "l'apparenza della cultura e non la sostanza". E intanto i giornalisti della Biblioteca italiana intessono continue e smaccate lodi all'eccellenza degli ingegni italiani, al punto da far venire il sospetto che essi stessi ne dubitino. Questi falsi letterati esaltano solo gli studi eruditi, quelli che "formano il lusso della cultura", per cui si richiedono esclusivamente pazienza e volontà. Emblema di questa pianificazione, che annulla la differenza tra il mero lavoro di schiena e le creazioni che richiedono una "volontà fortemente commossa dall'amor del vero", "una mente capace di profonde concezioni", un "animo squisitamente sensibile a ciò che è bello, grande, virtuoso", sono le lodi esagerate tributate ad Angelo Mai. La vera letteratura non è fatta di quisquilie erudite: essa è "l'elegante espressione del maggior grado di civilizzazione di un popolo". Importanti considerazioni si incontrano a proposito dei dialetti "immagine fedelissima delle abitudini, dei costumi, delle idee e delle passioni predominanti dei popoli che li parlano". Data la diversità profonda che esiste in Italia tra una gente e l'altra, "dallo studio dei dialetti si potrebbe ricavare la storia delle indoli e dei costumi italiani". L'apparizione dell'articolo della Staël suscita accanite discussioni: per bocca del Monti, uno dei tanti personaggi delle Avventure, il B. afferma che "tradurre non è copiare", che le forze del genio non possono bastare a tutto, per cui bisogna riconoscere i vantaggi che vengono dallo studio delle altre letterature. Contro chi si adira del giudizio negativo degli stranieri sugli scrittori italiani egli ricorda che il celebrato critico Corniani "ha scambiato lo scopo della Scienza Nuova con una sola fra le mille idee ingegnose del Vico". Infatti era allora apparsa una nuova edizione del capolavoro vichiano e non aveva suscitato l'entusiasmo che avrebbe dovuto: eppure, dovendo la letteratura mirare all'educazione dei popoli - sostiene il B. -, possono essere attuali ed educatrici anche opere del passato.

Le Avventure sono nate da una meditazione personale del B., ma rappresentano anche la maturazione che raggiungeva un sodalizio, che stringeva Breme, il B. e Pellico in un ideale comune d'impegno e di lavoro. Non avendo la Biblioteca italiana realizzato quel rinnovamento culturale che auspicava la parte più sensibile dell'intelligenza milanese, si pensò a un nuovo periodico. Il B. partecipò al lavoro di preparazione del giornale, che intendeva raccogliere le energie innovatrici della cultura lombarda, diffondere le idee moderne e il progresso, liberando gli spiriti dalle pedanterie e dai pregiudizi. Un primo disegno fu di un giornale che realizzasse un programma di rinnovamento totale: avrebbe dovuto intitolarsi Il Bersagliere. Ma i tempi non erano ancora maturi e, inoltre, troppe cose distoglievano da una impegnativa dedizione il terzetto Pellico, Breme, Borsieri. Poi si pensò a un Messaggero delle Alpi, con redazioni a Milano e a Coppet, residenza di madame de Staël. Infine nel 1818 fu varato il Conciliatore. Il B. fu tra i più attivi collaboratori: a lui si debbono la stesura del Programma e una serie di articoli che testimoniano la versatilità e l'acume del suo ingegno. Sono recensioni di carattere tra critico e informativo di opere italiane e straniere e più di opere straniere tradotte in italiano: assaggio concreto dell'ideale propugnato di una più ampia circolazione di pensiero e di poesia fra le nazioni europee. Una novella di carattere moraleggiante - la Storia di Lauretta - apparsa in alcune puntate sul Conciliatore rivela la sua scarsa tempra di narratore.

Mentre svolgeva questa fervida operosità critica, veniva meditando e stendendo una vasta trilogia drammatica, il Tasso, alla quale si preparava con scrupolosità di storico. La prima notizia di questo lavoro teatrale risale al 1815; il B. sperava di farlo rappresentare per la quaresima del 1820, ma a tale data era ancora incompiuto. Poi venne l'arresto e lo Spielberg. Non sappiamo dove possa esserne finito il manoscritto, nel caso che non sia stato distrutto.

Tenuto d'occhio dalle autorità austriache per la partecipazione al Conciliatore e per i contatti che lo legavano al gruppo più attivo dei liberali milanesi, coinvolto nell'istruttoria contro Federico Confalonieri, fu arrestato il 4 apr. 1822. Gli interrogatori del prigioniero furono condotti dall'abilissimo Antonio Salvotti. Credendo che il Confalonieri avesse confessato, il B. non si rifiutò di confermare quanto credeva già rivelato. Accortosi dell'errore in un confronto col Confalonieri, negò invano le precedenti deposizioni. La sentenza fu severa: il B. fu condannato a morte, ma la pena per grazia sovrana venne mutata in venti anni di carcere duro e sul finire del febbraio del 1824 fu prelevato dalle prigioni di S. Margherita in Milano e avviato allo Spielberg. Dopo i primi tempi, ai prigionieri vennero tolti anche i libri, tranne pochi di ascetica.

Avrebbe voluto nella solitudine del carcere portare a compimento il dramma, anche per un'analogia di situazione col protagonista: "la conformità - scriverà all'Ugoni - del mio stato con quello dell'infelice Torquato, poteva pormi sulla tavolozza colori più risentiti e più caldi". Ma, avendo fatto richiedere il manoscritto, il padre, per non consegnarlo alla commissione, disse di non averlo trovato. Né gli fu possibile inoltre - dato che ai prigionieri era vietato di scrivere - comporre a mente per la vastità della stessa trama, per i molti personaggi e forse anche per la mancanza di volontà e di ambizione, che fu il lato negativo del suo carattere. Di una cantica Il prigioniero ci restano due mediocri terzine. Ideò poi un carme ispirato alle idee vichiane, Le origini dell'umanità, ma l'abbandonò alla diciannovesima stanza, per la mancanza dei libri che riteneva necessari a documentarsi sulle grandi civiltà umane. Sappiamo anche che in versi sciolti cominciò un romanzo, Palla d'Altavilla, storia di un discendente dei Normanni che partecipa alla rivoluzione napoletana del 1799 e ai moti del 1821. Ma anche questo romanzo verseggiato restò interrotto.

Morto Francesco I e successogli Ferdinando, ai prigionieri fu offerto di scegliere tra la continuazione del carcere e l'esilio. Nel 1836 si aprirono le porte del carcere per il B. che, insieme col Castillia, col Foresti e altri, fu fatto imbarcare sul brigantino "Ussero" per essere condotto in America. Sul finire dell'ottobre 1836 giunse a New York. Aiutato da una sovvenzione del Confalonieri, cominciò la vita americana, che fu una serie di delusioni per un uomo sfinito dai patimenti fisici e morali del carcere e non più in età di accettare con entusiasmo un nuovo ritmo di esistenza: a ciò si aggiungeva la nostalgia pungente della patria e delle sorelle. Ai primi del 1837 passò a Princeton, ove visse insegnando italiano, poi a Filadelfia. Nel settembre del '38, in occasione della incoronazione di Ferdinando a re del Lombardo-Veneto sperò che gli fosse concessa l'amnistia e il ritorno in patria. Perse le speranze, imitò il Confalonieri, che incurante del rischio era ritornato in Europa, e sbarcò in Francia. Dopo un periodo di permanenza a Parigi e a Bruxelles, poté nel 1840 ritornare finalmente a Milano. La città gli apparve un deserto: i vecchi amici non c'erano più. A poco a poco cadde in una misantropia inattiva.

Riprese la penna, ma solo per tradurre un romanzo di G. P. R. James, Corso de Leon o il Masnadiere, da cui non riuscì a ottenere il lucro sperato. Nella malinconia dello scialbo tramonto ancora un qualche conforto dalla passione di un tempo: "Molte delle più belle illusioni della gioventù mi si sono spente; eppure sento che la mia anima palpita ancora pel bello e che questo amore contrariatomi in tutta la vita, ed ora più che mai, da' mie duri destini arde languido, ma pur arde, come il lumicino a capo del letto d'un morto".

Le idee politiche avevano perduto in lui il carattere radicale e frondista d'una volta. Ora egli ha compreso che esistono due piani, quello teorico e quello pratico, e che il limite degli illuministi e dei romantici, che ne hanno ereditato in Lombardia lo spirito, è stato il credere nella capacità della sola teoria di rinnovare un popolo. Si avvicina al pensiero del Gioberti, benché, simpatizzante del Reid, non ne accetti le tesi speculative fondamentali e, quanto alle conclusioni pratiche, scherzosamente scrive che accetterebbe il Primato, solo se Gioberti fosse papa ed egli suo segretario. Nel 1848, dopo le Cinque giornate, fu per poco presidente del Circolo patriottico di Milano favorevole alla fusione con il Regno di Sardegna. Seguì, poi, l'esercito piemontese, e dopo Custoza riparò a Torino, ospite di Giacinto Provana di Collegno e degli Arconati.

Ammalatosi, per rimettersi in salute intraprese un viaggio a Belgirate, dove, mentre si preparava a raggiungere La Spezia, si spense il 6 ag. 1852.

Tra i principali scritti del B. ricordiamo: Lettera di P. B.,studente nell'Università di Pavia a Monsieur Guill...,sul suo articolo circa il discorso del Prof. Romagnosi, Milano 1807; Lettera di P. B. in risposta all'uno contro i più,di Mr. Guill...;Milano1807; Discorso sulla vita e gli scritti di Alessandro Turamini, Milano 1808; Sopra i versi di Arici in morte di Giuseppe Trenti, in U. Foscolo, Opere (ediz. naz.), VII, pp. 405 ss.; Avventure letterarie di un giorno, Milano 1815, ora in Discussioni e polemiche sul Romanticismo, a cura di E. Bellorini, Bari 1943; e con un ampio commento in I manifesti romantici del 1816, a cura di C. Calcaterra, Torino 1950.

Sul Conciliatore apparvero i seguenti scritti del B.: Introduzione; Un vecchio giornalista al Conciliatore; GI'Italiani,Sugli usi e costumi d'Italia,opera del Baretti,tradotta dall'inglese; Sullo spirito profetico dei poeti; Sulla storia delle Repubbliche Italiane del medio evo di J. C. L. Sismondo Sismondi,tradotta; Sugli Idillj di Gessner,tradotti da Andrea Maffei; Petrarca difeso da una critica di Hume; Sulla noia; Il regalo; Intorno alla vita e alle opere di G. B. Corniani,memoria di Camillo Ugoni; Lettere di un giovane spagnuolo intorno ad un suo viaggio per Salamanca ed agli studi di quella università; La scuola della maldicenza,commedia di Riccardo Brinsley Sheridan,tradotta da Michele Leoni; Alcune idee sulla volubilità e sulla costanza; Storia di Lauretta; L'Asino d'oro d'Apuleio traslato dal Firenzuola; Notizie sullo storico Giovanni Müller; Riflessioni sulla felicità privata,di Nicola Columella Onorati; Analisi del pregiudizio secondo le idee del Sismondi; Sermoni d'Ippolito Pindemonte; Prospetto generale della storia politica d'Europa nel M. E. di G. Müller; I rivali,commedia di Riccardo Brinsley Sheridan,tradotta da M. Leoni; El sí de las Niñas commedia di D. L. Fernández de Moratín,Cenni sui varj storici; Equejade,Monumento antico di bronzo del Museo Nazionale Ungherese,considerato nei suoi rapporti coll'antichità figurata da Gaetano Cattaneo; Dissertazione dell'avv. Serafino Grassi,indirizzata alla Reale Accademia torinese di scienze e belle lettere,in lode di Vittorio Alfieri. Del Conciliatore si veda l'ediz. a cura di V. Branca, I-III, Firenze 1953-54.

Si ricordino ancora le traduzioni dei romanzi di W. Scott, Le prigioni di Edimburgo e L'Antiquario (Milano 1823-24), e di quello di G. P. R. James, Il Corso de Leon o il Masnadiere (Milano 1843). Recentemente è apparsa una raccolta - ampia, ma non completa - di opere del B.: Avventure letterarie di un giorno e altri scritti editi ed inediti, a cura di G. Alessandrini, Roma 1967 (cfr.: Giorn. storico d. lett. ital., CLXV[1968], pp. 137-142).

Fonti eBibl.: V. Monti, Epistolario, a cura di A. Bertoldi, III, Firenze 1929, ad Indicem;U. Foscolo, Epistolario, III, a cura di P. Carli, Firenze 1929, ad Indicem;S. Pellico, Lettere milanesi, a cura di M. Scotti, Torino 1962, ad Indicem;M. Scotti, Lettere inedite di P. B. a Luigi e Silvio Pellico, in Giorn. stor. d. lett. ital., CXLI (1964), pp. 243-64; L. Di Breme-M. Menghini, Le Cinque Giornate e P. B., in Riv. stor. del Risorg. ital., I (1895), pp. 976 ss.; L. Gatta, P. B., in Milano e i nomi delle sue vie, Milano 1897, pp. 499 s.; M. L. Gentile, P. B. un martire dello Spielberg, in Rassegna nazionale, XXXII, (1910), pp. 430-442; G. Muoni, L. di Breme e le prime polemiche intorno a Madama Di Staël, Milano 1902, passim;E. Clerici, IlConciliatore, Pisa 1903, passim;E. Bellorini, Il Conciliatore e la censura austriaca, in Scritti varii... in onore di R. Renier, Torino 1912, pp. 293, 295; F. Novati, Stendhal e l'anima italiana, Milano 1915, pp. 36-40, 141 s.; C. Calcaterra, introduzione alle Polemiche di L. Di Breme, Torino 1923, passim;B. Sanvisenti Una lettera di P. B. ed altra di F. Confalonieri, in Arch. stor. lomb., s. 6, VIII (1931), pp. 359 ss.; T. Girardelli, P. B. patriota e letter., Como 1934; R. U. Montini, Vita americana di P. B., in Rass. stor. del Risorg., XLI (1954), pp. 467-76; E. Sioli Legnani, L'avv. Carlo Guasco... P. B. e Silvio Pellico, in Arch. stor. lomb., s. 8, VI (1956), pp. 331-35; V. Del Litto, La vie intellectuelle de Stendhal, Paris 1962, pp. 505, 541 s., 551, 573, 585; M. Fubini, Motivi e figure della polemica romantica, in Romanticismo italiano, Bari 1965, pp. 9-65; M. L. Orsini Lalli, P. B. tra martiri e letterati, Pescara 1961; G. Aliprandi, P. B. giornalista, in Atti e memorie d. Accad. patavina di scienze,lett. e arti, LXXIII (1960-61), pp. 109-120; LXXIV (1961-62), pp. 277-308; W. Binni, La battaglia romantica in Italia, in Critici e poeti dal '500 al '900, Firenze 1963, pp. 77-91; Enc. Ital., VII, p.531. Per la sentenza di condanna si vedano I costituti di F. Confalonieri, IV, a cura di A. Giussani, Roma 1956, pp. 331-33; per il processo si vedano tutti e quattro i volumi di quest'opera (I-III, a cura di F. Salata, Bologna 1940-41), ad Indicem, vol. IV.

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