CANAL, Pietro

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 17 (1974)

CANAL, Pietro

Sebastiano Timpanaro

Nacque a Venezia il 13 apr. 1807 da Agostino e da Teresa Maria Boldù, appartenenti entrambi a famiglie nobili veneziane, sesto di dieci figli. Trascorse la prima fanciullezza più che a Venezia, nella villa paterna di Crespano Veneto (oggi Crespano del Grappa). Compiuti gli studi ginnasiali nel collegio comunale di Castelfranco Veneto, entrò nel 1818, come allievo di filosofia e teologia, nel seminario patriarcale di Venezia. Nel 1826, prima ancora di essere ordinato sacerdote, fu nominato maestro di grammatica, e poco dopo di umanità, nel Seminario stesso. Le poco floride condizioni economiche della sua famiglia (un tempo fra le più potenti e insigni di Venezia, ma poi decaduta) contribuiscono a spiegare come egli si sia dedicato all'insegnamento e poco dopo al lavoro redazionale presso l'editore Antonelli. Nel 1834 vinse il concorso per la cattedra di umanità e retorica nel ginnasio di S. Caterina a Venezia; nel 1843, dopo aver conseguito la laurea in filosofia presso l'università di Padova, divenne professore di storia universale e di filologia greca e latina nel liceo annesso a quel ginnasio, di cui fu anche bibliotecario.

Già in questo primo periodo della sua vita il G. ebbe interessi culturali estremamente vari, dalla versificazione in italiano e in latino alla filologia classica, dalla storia antica alla musicologia; si dilettò anche di matematica (Bernardi, p. 220). Parecchi componimenti poetici furono da lui recitati nell'Accademia dei Filoglotti in Castelfranco Veneto e nell'Ateneo veneto (ibid., p. 215) e pubblicati in diverse occasioni. Un'ode su Le rogazioni campestri (Album storico poetico morale, a cura di V. D[e] C[astro], Padova 1837, 13 pp. 183 ss.; ivi, II, pp. 121 ss., un'altra poesia del C.) è un'imitazione scolasticamente dignitosa degli Inni sacri manzoniani. Tra gli epigrammi del C. pubblicati nella raccolta di vari autori Api evespe (Milano-Venezia s.d., ma 1846: un'edizione accresciuta fu pubblicata nel 1882) i migliori sono traduzioni dall'AntologiaPalatina e da Ausonio; quelli originali non escono dai limiti dello scherzo garbato ma superficiale. Anche più tardi, del resto, il meglio delle sue capacità di verseggiatore il C. lo dette nelle traduzioni di Ausonio e di altri autori latini, pubblicate nella collezione Antonelli (vedi anche la versione di Carmi due di s. Paolino vescovo di Nola, Venezia 1849). Su altre poesie, pubblicate in strenne o in raccolte di vario genere, non occorre soffermarsi (Bernardi, p. 36).

Ma, contemporaneamente a questa attività letteraria che rappresenta l'aspetto meno originale della sua personalità - quello per cui il C. rimane legato a un arretrato ambiente "umanistico", tipico di molta cultura veneta dell'Ottocento -, egli portava avanti più solidi studi. La memoria sulle Cagioni per le quali la musica, piucché le altre belle arti, vada soggetta a frequenti mutazioni di gusto (Venezia 1837), poco importante in sé, costituisce però una prima testimonianza dei suoi interessi musicologici. Già più rappresentativo del suo interesse per l'erudizione musicale è il saggio Della musica in Venezia, nell'opera di vari autori Venezia e le sue lagune (Venezia 1847, I, pp. 469-500; riedito poi in Boll.bibliogr. musicale, VII [1932], 5, pp. 5-37). Era frattanto incominciata, dal 1839, quella sua collaborazione alla "Biblioteca degli scrittori latini" dell'Antonelli che costituirà il principale titolo di merito del C. nella filologia latina.

Questa varia operosità culturale gli aveva già fruttato, prima del 1848, notorietà e simpatie nell'opinione pubblica veneziana più illuminata. Nel 1845 fu eletto segretario dell'Ateneo veneto per le classi di scienze morali, lettere ed arti; ed è nota la funzione di centro di attività progressista e patriottica che l'Ateneo veneto esercitò in quegli anni. Era amico di Luigi Carrer (G. Bianchini, in Giorn. stor. della lett. ital., XXXVIII [1901], p. 195) e di Niccolò Tommaseo, il quale, stabilitosi a Venezia fin dall'autunno del 1839, recensì con lode le prime edizioni di classici latini da lui curate e con tutta probabilità contribuì a rafforzare, se non a far sorgere, nel C. un orientamento "vichiano-cattolico" la cui più chiara enunciazione si trova nel discorso Degli studii nelle scienze morali, nelle lettere e nelle arti (Discorsi letti nell'Ateneo Veneto..., Venezia 1847, pp. 41-57). Più tardi, quando già l'amicizia era venuta meno per motivi politici, il Tommaseo darà del C. un ritratto apparentemente obiettivo, in cui gli elogi saranno abilmente mescolati alle malignità (Venezia negli anni 1848 e 1849, II, p. 346); ma sostanzialmente vera dev'essere, in quel ritratto, la presentazione del C. come "prete alquanto profano, ma senza scandali, e con elegante gravità di gentiluomo povero".

Risorta nel marzo del '48 la Repubblica di S. Marco, il C. vi aderì. Ebbe dal governo provvisorio l'incarico di "mettere in atto, quanto alle lettere, quei miglioramenti dell'insegnamento che fossero stati di più indubitata necessità" (Rigobon, p. 61) e fece parte della giunta che sopraintendeva alla pubblica beneficenza. All'Assemblea provinciale fu eletto rappresentante della parrocchia dei SS. Apostoli, dove abitava (luglio 1848); fu rieletto rappresentante all'Assemblea permanente (febbr. 1849). Divenuta più difficile la situazione di Venezia assediata, il C., pur non passando mai, a differenza del Carrer, tra le file dei nemici dichiarati della Repubblica, incominciò a dubitare dell'utilità di una resistenza a oltranza, sicché il Comitato di pubblica vigilanza lo considerò fra le persone sospette (Rigobon, p. 61).

Nella riunione segreta dell'Assemblea tenutasi il 30 giugno 1849, mentre una fortissima maggioranza respinse le proposte austriache equivalenti in pratica alla capitolazione della città, il C. si associò a Niccolò Priuli, che mirava ad un atteggiamento meno rigido e chiedeva intanto un accertamento delle effettive possibilità di difesa militare. Una sua frase incauta (la resistenza a oltranza avrebbe sacrificato il bene della comunità a quello di pochi individui) suscitò un tumulto in Assemblea; e sebbene egli cercasse di sminuirne subito il significato, la notizia trapelò nella cittadinanza e una dimostrazione ostile fu fatta sotto le finestre di casa sua. Di questo episodio ci sono giunte, da parte di patrioti difensori di Venezia (Valussi, Tommasco), narrazioni improntate a una comprensibile ostilità verso il C. (per quanto il Tommaseo soggiunga che la dimostrazione sotto la sua casa non fu dovuta al popolo, ma a borghesi, e ne attribuisca, non si sa con quanta veracità, l'istìgazione al Manin). Oggi possiamo giudicare l'atteggiamento del C. con maggiore serenità, senza nemmeno ricorrere, quindi, alle imbarazzate apologie di alcuni suoi biografi. Il suo temperamento di tranquillo letterato ed erudito era certo impari a una situazione politica così tesa ed eccezionale, e il suo patriottismo moderato, accompagnato da idee politico-sociali piuttosto conservatrici (come si può vedere, fra l'altro, da un epigramma di Api e vespe, p. 26, e da alcune delle note storiche a Valerio Massimo), doveva naturalmente rifuggire da ogni radicalizzazione della lotta; ma a quella sua presa di posizione, quale risulta dal verbale dell'Assemblea (Assemblee del Risorg., II pp. 488 s.), non fu estraneo un sincero desiderio di evitare alla cittadinanza gravissimi sacrifici senza speranza di successo; né bisogna dimenticare che il fronte stesso dei sostenitori della difesa a oltranza era già intimamente incrinato, anche per la grande diversità delle motivazioni e dei programmi politico-sociali.

Ritiratosi a vita privata dopo la caduta della Repubblica e il ritorno degli Austriaci, il C. ottenne nel novembre 1853 la cattedra di lingua e letteratura latina nell'università di Padova, che mantenne fino all'anno accademico 1876-77 incluso. Insegnò anche saltuariamente, in alcuni anni accademici, letteratura italiana nella stessa università. Ernst Gnad, che frequentò le sue lezioni di entrambe le materie nel 1856, lo rappresenta come "un'alta e imponente figura, con lunghi e arruffati capelli già grigi, occhi neri e lampeggianti, tratti del volto duramente segnati, ma nobili; e, al tempo stesso, di modi affabili, gentili, tipicamente veneziani". Ricorda la sua "straordinaria dottrina filologica e letteraria", il suo modo d'insegnare asistematico, poco curante della preparazione professionale dei futuri insegnantì ginnasiali, ma molto vivo e geniale, e i rapporti amichevoli che manteneva con gli allievi anche al di fuori della scuola. Un tipo di professore, dunque, non frequente nell'Italia di metà Ottocento. Un altro tratto non comune era la sua passione per l'insegnamento della metrica, generalmente assai decaduto in Italia da secoli. Qui egli si giovava anche (non sappiamo con quanta consapevolezza della diversità fra ritmica antica e moderna) delle sue vaste conoscenze di musica: lo testimonia Angelo De Gubernatis, che ricorda un suo corso dedicato per intero alla metrica e seguito, pare, con una certa difficoltà dagli studenti; e il Ferrai aggiunge che, in poesia latina, "un errore di quantità lo faceva agitare".

Contemporaneamente si svolgeva la sua attività di critico testuale. Il tipografo veneziano Giuseppe Antonelli aveva intrapreso fin dal 1836 la "Biblioteca degli scrittori latini"con traduzione e note. Il C., che già nel '39 aveva incominciato a redigere per questa collana un amplissimo commento a Valerio Massimo, ebbe nel 1840 l'incarico di sovraintendere a tutti i volumi. Ne risultò un lavoro molto vario per estensione e per impegno: a volte si trattava soltanto di scegliere un'edizione e una traduzione da ristampare tali e quali o con pochi ritocchi; altre volte c'erano da completare edizioni altrui, o anche, eccezionalmente, da curare ex novo interi volumi. La collaborazione del C., quindi, va spesso rintracciata in volumi nei quali il suo nome non compare sul frontespizio, ma solo in testa ad una sezione; e in alcuni casi, come ci attestano i biografi, i suoi contributi sono rimasti anonimi. Difficile è anche, spesso, una datazione precisa: prima di essere raccolte in volumi, le edizioni Antonelli uscivano a dispense, e il frontespizio di ciascun volume (o di ciascuno dei diversi autori latini compresi in uno stesso volume) reca di solito la data d'inizio della pubblicazione, protrattasi poi talvolta per anni e addirittura per decenni.

I principali contributi del C. sono: Valerio Massimo, Opere, 1839 (la traduzione è di G. Dati; le note del C. giungono fino alla fine di II, 8, coll. 1981-1982: il resto del commento, fu portato a termine, in forma più sommaria, da Federico Brunetti, certamente dopo il 1854); Ampelio, Memoriale, 1841 (traduzione e note; fu pubblicato di seguito all'edizione di Cesare, 1836, e di altri storici latini); Plauto, Frammenti (nel volume delle Commedie del 1847); Lucano, Frammenti e Vita Lucani (Delle altre opere di M. Anneo Lucano oltre alla Farsaglia, di seguito al Lucano del Cassi, 1850); Svetonio, Le opere minori ed i frammenti (cioè De grammaticis, De rhetoribus, De poëtis, con alcune vite antiche di poeti attribuite a Svetonio, di seguito alle Vitae Caesarum tradotte da F. P. Del Rosso; il volume complessivo, Opere di Svetonio, reca nel frontespizio la data del 1844; i biografi del C. datano al 1851 la parte da lui redatta); Una satira di Sulpicia con un frammento di Turno; Due idilii [sic] attribuiti al grammatico Valerio Catone; Elegia satirica della poetessa Eucheria (di seguito all'Orazio del Gargallo e ad altri satirici latini curati da diversi studiosi; i frontespizi dei testi che precedono quelli curati dal C. recano le date 1838-1840; i biografi datano al 1851 la parte redatta dal C.; il "frammento di Turno", già edito dal Wernsdorf, Poet. Lat. min., III, 77, è in realtà una falsificazione di Jean-Louis de Balzac, come più tardi è stato dimostrato con sicurezza; gli idilli attribuiti a Valerio Catone sono le Dirae e la Lydia dell'Appendix Vergiliana;per l'elegia di Eucheria, vedi Anth. Lat., n. 390 Riese); Osidio Geta, Medea, 1851 (è un centone virgiliano: vedi Anth. Lat., n. 17 Riese; riunito in un volume col Terenzio del Cesari, 1844, e con le tragedie di Seneca del Nini, 1845); Ausonio, Opere, 1853; Varrone, Libri intorno alla lingua latina, 1874 (insieme coi frammenti di Varrone a cura di F. Brunetti; la compilazione e la stampa di questo volume si protrassero per dieci anni almeno, vedi ciò che il C. stesso dice a pp. VII, XL, 368, 586; non è però mai esistita una prima edizione di questo lavoro uscita nel 1846, come si potrebbe indurre da ciò che, poco chiaramente, dice G. Antonibon, Supplemento di lezioni varianti ai libri De ling. Lat. di Varrone, Bassano 1899, pp. 7, 183, e come difatti intesero G. Goetz e F. Schoell, Varr. De ling. Lat., Lipsiae 1910, p. XXXVII; l'unica edizione è quella del 1874: nel 1846 era uscito, nella stessa collezione Antonelli, un volume di Opere di Varrone, contenente, però, soltanto il De re rustica, a cura di G. Pagani insieme col De agricultura di Catone, a cura di G. Berengo); infine, non più nella collezione Antonelli, il C. pubblicò il testo e la traduzione delle Sentenze di Publilio Siro, Padova 1871. Quanto debba al C. l'edizione di Apicio curata da G. B. Baseggio nella collezione Antonelli, è incerto: vedi le testimonianze contrastanti di D. Favaretti (nella traduzione italiana di G. S. Teuffel, St. della letter. rom., II, Padova 1873, p. 49), di G. Zanella (Commem., pp. 1319 s.) e di E. Ferrai (Commem., pp. 24 s.) da un lato, di I. Bernardi (Commem., p. 227)dall'altro.

Fra le note a Valerio Massimo - rimaste incompiute - e tutte le altre si nota un netto divario. Le prime hanno un carattere prevalentemente storico-antiquario: dimostrano una non comune erudizione, ma anche i difetti di ciò che l'antiquaria si era ridotta ad essere nell'Ottocento: farraginosità, scarsa funzionalità rispetto al testo da commentare, il quale diviene mero pretesto per interminabili digressioni. La visione della storia romana che vi predomina è sostanzialmente conservatrice, ispirata a quel vichianesimo cattolico a cui abbiamo già accennato. Lo stesso genere storiografico fu tentato dal C. di nuovo più tardi, nella dissertazione Concordia de' miti con la storia quanto ai principii di Roma, in Atti dell'Istituto veneto di scienze, lettere e arti, s. 3, I(1855-1856), pp. 839-66, che era ispirata ad un rigido ossequio alla tradizione mitica, in funzione polemica contro il Niebuhr: qui alcune idee assennate andavano perdute in un generale atteggiamento acritico.

Molto diverse le note che il C. dedicò agli altri autori latini sopra ricordati. Assai più brevi, spesso elementari (non bisogna dimenticare che la collezione Antonelli si proponeva scopi di dignitosa divulgazione, non di filologia specialistica), esse contengono però contributi critico-testuali e interpretativi di grande acutezza. Il C. non compì, di regola, collazioni di codici: non lo consentiva il carattere della collana, e d'altra parte l'esigenza di basare le edizioni critiche su diretta revisione e indagine genealogica del materiale manoscritto, che nella Germania stessa si era fatta strada non senza sforzo tra la fine del Settecento e i primi dell'Ottocento, era ancora largamente disconosciuta in Italia. Solo saltuariamente egli collazionò qualche codice marciano (per esempio nell'edizione di Ausonio), o si procurò collazioni da biblioteche di altre città (vedi per esempio l'edizione del De lingua Latina di Varrone, coll. XXVII s.): ma anche in questi casi non si pose problemi di genealogia della tradizione manoscritta. La base delle sue edizioni ècostituita da edizioni precedenti; ma su di esse il C. esercitò il suo ingegno filologico, ora escogitando nuove emendazioni congetturali, ora difendendo la lezione tramandata contro congetture altrui, ora scegliendo tra le varianti fornite dagli apparati critici.

I latinisti dell'Italia di allora studiavano, per lo più, soltanto un certo numero di autori "canonici" che corrispondevano a un ideale di perfezione classica e di purismo linguistico: Cicerone e non molti altri per la prosa, Terenzio, gli augustei e qualche postaugusteo per la poesia. Il C. seppe acquisire una sicura (anche se più istintiva che sistematica) conoscenza di poeti e prosatori tardi e di un autore contemporaneo, sì, di Cicerone, ma stilisticamente eterodosso, come Varrone. Capì che per autori tardi e influenzati dal latino volgare, come Ampelio, bisognava diffidare delle congetture introdotte "per rendere il discorso più elegante e più latino". Ma là dove il ricorso all'emendazione congetturale era necessario, seppe congetturare con grande senso di stile e con giusta considerazione della probabilità paleografica. Congetture felici si trovano nelle edizioni di Ampelio (accanto ad altre troppo arrischiate), di Osidio Geta (per esempio, erupit al v. 227, ignorato dai successivi editori Baehrens e Riese), e soprattutto del De lingua Latina di Varrone. A lungo ignorata in Germania (tanto che parecchie congetture del C. farono rifatte, indipendentemente e in piena buona fede, da Andreas Spengel nell'edizione di Berlino 1885), l'edizione varroniana del C. ottenne pieno riconoscimento da parte di G. Goetz e F. Schoell nell'edizione di Lipsia 1910, dopo che il pronipote del C., Giulio Antonibon, ne aveva rivendicato i pregi (Supplemento di lezioni:l'inesistenza, già da noi notata, di un'edizione del 1846 non infirma la priorità del C. rispetto ad A. Spengel; più incerta è, caso mai, la questione di priorità nei confronti di alcune congetture che Leonhard Spengel, padre di Andreas, venne facendo dopo l'edizione da lui pubblicata a Berlino nel 1826, e che furono citate nell'edizione curata dal figlio: vedi quanto già osservavano Goetz e Schoell, p. XXXVII n. 2; ma ciò che davvero importa non è la mera rivendicazione di una casuale priorità cronologica, bensì il fatto che, in un ambiente filologico tanto più isolato e arretrato, il C. raggiunse risultati che spesso coincidevano con quelli dei filologi tedeschi, spesso anche li superavano).

Non tutte le edizioni del C. raggiungono il livello di quelle ora menzionate. Su alcuni autori (Ausonio, Publilio Siro) egli preferì esercitare la sua facile vena di traduttore in versi - con tendenza ad amplificare e a diluire eccessivamente il testo originale - piuttosto che la sua perizia di congetturatore e di esegeta. Lavori di grande impegno avrebbero dovuto essere un commento a Catullo, di cui "lasciò manoscritte lunghissime note a 57 poesie" e "un volume di 136 pagine... di emendazioni e di note sul Glossario di Placido" (Zanella, pp. 1318 s.); ma, queste opere, non pubblicate, non risultano reperibili.

Molto meno significativa, per mole e per valore, è l'attività svolta dal C. come studioso di lirica italiana antica (Della vera lezione d'un luogo diDante nella canzone "Donneche avete intelletto d'amore", in Strenna del Brenta, II, Padova 1854, e a parte, edizione riveduta, Venezia 1878; Sopra una canzone di Gino da Pistoia altre volte attribuita a Guido Guinicelli, in Atti dell'Istituto veneto, s. 5, III [1876-77], pp. 1129-1146; note alla canzone "Amore, in cui io vivo" di Pier delle Vigne, pubblicata da A. Zardo per Nozze Olian Fanio - Padoa, Bassano 1899): si ha l'impressione che la conoscenza filologica e linguistica dell'italiano antico fosse nel C. assai inferiore a quella del latino. Difficilmente determinabile è il contributo di revisione e di consiglio che il C. dette a Francesco Corradini per l'edizione dell'Africa del Petrarca (nel volume Padova a F. Petrarca, Padova 1874: vedi il ringraziamento del Corradini a p. 95).

Il periodo più intenso dell'operosità filologica del C. fu, come appare da quanto abbiamo esposto, quello compreso fra la caduta della Repubblica veneta del '49 e la fine della dominazione austriaca nel Veneto (1866). Quest'ultima si svolse senza scosse rivoluzionarie e non dette quindi luogo nemmeno nella vita del C. a momenti di crisi analoghi a quello da lui attraversato nel '49. Non solo mantenne la cattedra universitaria, ma, nominato vicepresidente dell'Istituto veneto dalla luogotenenza austriaca nel 1865 (Atti dell'Istit. veneto, s. 3, X [1864-65], p. 843), fu eletto presidente dopo l'annessione al Regno d'Italia, il 28 apr. 1867: pronunziò in quell'occasione un discorso ispirato a un moderato patriottismo (ibid., XII [1866-67], pp. 712-714); lasciò la presidenza l'11 luglio 1869 (ibid., XIV [1868-69], pp. 1781-83) per dedicarsi agli studi. E gli studi che più lo assorbirono in quest'ultimo periodo della sua vita furono quelli di musicologia, intrapresi in età giovanile. Oltre lo scritto cit. Della musica in Venezia, pubblicò una serie di Osservazioni ed aggiunte alla Biographie universelle des musiciens di F. J.Fétis, riguardanti soprattutto musicisti della scuola veneziana (Atti dell'Istit. veneto, s. 3, X[1864-65], pp. 388-397, 1277-1286; XII [1866-67], pp. 197-217; XIII [1867-68], pp. 203-233; s. 4, II [1872-73], pp. 931-946); un ampio studio Della musica in Mantova, notizie tratte principalmente dall'Archivio Gonzaga, in Mem. dell'Istit. veneto, XII (1879), pp. 655-774. Questi lavori furono ampiamente utilizzati poi da E. Vogel, Bibliothek der gedruckten weltlichen Vokalmusik Italiens (Berlin 1892 e successive edizioni) e da R. Eitner, Biogr.-bibliogr. Quellen-Lex. der Musiker (Leipzig 1900-04). Lasciò incompiuti e inediti un Dizionario musicale e un trattatello di armonia. Raccolse inoltre nella propria biblioteca, a Crespano Veneto, un gran numero di preziosi spartiti, manoscritti e stampati.

L'importanza degli scritti musicologici del C. sta soprattutto nella grande quantità ed esattezza di notizie biografiche sulla vita di musicisti veneziani e mantovani e sulla storia di alcuni strumenti musicali. Il centro di questo suo interesse erudito è sempre costituito dalla scuola veneziana: a studiare l'ambiente mantovano egli si indusse per i legami che lo uniscono all'ambiente veneziano (basti pensare ai due periodi, mantovano e veneziano, dell'attività di Monteverdi). E anche il gusto del C. è strettamente legato alla scuola veneziana nel periodo del suo massimo splendore, dal secolo XVI al XVIII. I suoi autori preferiti sono il grande Monteverdi nel Seicento, Benedetto Marcello nel Settecento: del Marcello il C. condivide l'antivirtuosismo e l'aspirazione ad una dignitosa classicità. Della grandezza di Vivaldi il C. non sembra accorgersi, come non se n'erano accorti i veneziani contemporanei del "prete rosso" né quelli delle generazioni successive. Verso la musica dell'Ottocento, che ormai non aveva più in Venezia uno dei suoi principali centri creativi, egli è, se non ostile, almeno assai freddo. Questo gusto sostanzialmente passatista ha, però, qualche aspetto positivo (anche a prescindere dai lavori eruditi a cui dette impulso): "per esempio il C. deplora giustamente la decadenza della musica da camera in Italia nell'Ottocento, e contesta l'affermazione, comune al tempo suo, che il ritmo quinario sia "contro natura" (Atti dell'Istit. veneto, s. 3, X [1864-65], p. 389).

Lasciato a sua richiesta l'insegnamento universitario nel 1877, il C. si ritirò a Crespano, dove morì il 15 ott. 1883.

La biblioteca del C. rimase, dopo la sua morte, per parecchi decenni a Crespano, in proprietà degli eredi; nella sezione musicale confluì la raccolta del fratello del C., monsignor Lorenzo, anche lui musicista e appassionato collezionista di spartiti. Della parte riguardante la filologia classica fu pubblicato un catalogo: Bibliotheca Scriptorum classicorum Graec. et Lat. Professoris P. Canal nunc exstans Crispani, Bassano 1884. Dopo la prima guerra mondiale l'intera biblioteca venne messa in vendita: mentre la parte filologica andò dispersa, la sezione musicale fu acquistata dallo Stato e collocata nella Biblioteca Marciana di Venezia (L. Ferrari, La collez. musicale Canal alla Marciana di Venezia, in Acc. e Bibl. d'Italia, I[1928], pp. 140-43; anonimo, Lecollezioni dei manoscritti musicali Canal, ibid., III [1929-30] pp. 279-280). Il manoscritto del Dizionario di musica, di cui era venuto in possesso Graziano Paolo Clerici (L. Frati-A. Sorbelli, Diz. biobibliogr. dei bibliotecari e bibliofili ital., Firenze 1934, p. 129), risulta disperso dopo la vendita delle carte del Clerici (comunicazione di A. R. Ciavarella).

Fonti e Bibl.: Notizie sulla vita e le opere: K. [A.S. de Kiriaki], Ricordi e memorie: C. P., in Ateneo veneto, s. 7, II (1883), pp. 314-315; I. Bernardi, P. C., commemoraz., ibid., s. 3, I (384), pp. 209-240; Cenni sulla vita del prof. ab. P. C., in Annuario dell'Univ. di Padova, 1883-84, pp. 205-209; G. Zanella, Commemorar. di P. C., in Atti dell'Istit. veneto, s.6, II (1883-84), pp. 1307-1323; M. Dal Nevo, Elogio del prof. D. P. nob. C., Venezia 1886; E. Ferrai, Commemoraz. di P. C., Padova 1889. Le più pregevoli e ricche di notizie sono le commemorazioni di Bernardi, Zanella e Ferrai; ma lo Zanella esalta troppo gli aspetti "umanistici" della personalità del C., contrapponendolo polemicamente ai filologi tedeschi suoi contemporanei e agli italiani più giovani. Sui genitori e i fratelli: F. Schröder, Rep. genealogico delle fam. confermate nobili... esistenti nelle prov. venete, I, Venezia 1830, pp. 192 s. Testimonianze e giudizi di contemporanei: N. Tommaseo, Studi critici, Venezia 1843, I, p. 117 n. 1; II, pp. 385-3 86, 397 (parzialmente riportato da E. Quadrelli in appendice a N. Tommaseo, G. B. Vico, con introduz. di A. Bruers, Torino 1930, p. 232); Id., Dizionario estetico, Milano 1852-53, I, pp. 352-353; II, p. 49 (sono due recensioni già incluse nell'opera, precedente, con alcune aggiunte e modifiche); Id., Venezia negli anni 1848 e 1849, I, a cura di P. Prunas, Finanze 1931, p. 335; II, a cura di G. Gambarin, ibid. 1950, pp. 346 s.; A. De Gubernatis, Diz. biogr. degli scrittori contemporanei, Firenze 1879, p. 1129; E. Gnad, Im österreichischen Italien (1856-1867), Innsbruck 1904, pp. 22-23. Sulla sua partecipazione alla Repubblica di Venezia del 1848-49, oltre alla testimonianza del Tommaseo, e di P. Valussi, Dalla memoria d'un vecchio giornalista dell'epoca del Risorg. ital., Udine 1967, p. 108, vedi Le Assemblee del Risorg., II, Venezia, Roma 1911, pp. 196, 488-489 (verbale del Comitato segreto del 30 giugno 1849), 722; P. Rigobon, Glieletti alle Assemblee veneziane del 1848-49, Venezia 1950, pp. 61-62. Sulla sua collaborazione alle edizioni Antonelli, oltre ai cenni biografici già citati, vedi R. Fuhn, Del cav. G. Antonelli tipografo, Venezia 1862, pp. 451 67 n. 7. Sulla sua attività di critico testuale, con particolare riguardo all'ediz. del De lingua Latina di Varrone: G. Antonibon, Supplem. di lezioni varianti ai libri De lingua Latina di Varrone, Bassano 1899, pp. 7-9, 183 s.; J. Vahlen, prefaz. a Ennianae poesis reliquiae, Lipsiae 1903, pp. CXXXVIII-CXXXIX; G. Goetz-F. Schoell, prefaz. a Varrone, De lingua Latina, Lipsiae 1910, p. XXXVII; P. Fraccaro, Studi varroniani, Padova 1907, p. 7 n. 4 (vedi A. Momigliano, Terzo contrib. alla storia degli studi class. e del mondo antico, Roma 1966, II, pp. 782, 828); sulla traduz. di Ausonio, G. Zanella, Scritti varii, Firenze 18775 pp. 186-92; sull'edizione di Publilio Siro, F. Giancotti, Ricerche sulla tradizione manoscritta delle Sentenze di Publilio Siro, Messina-Firenze 1963, p. 46 n. 1. Sulla sua attività letteraria: G. Biadego, Da libri e manoscritti, Verona 1883, pp. 165-171 (sulle Api e vespe);G. Mazzoni, L'Ottocento, I, Milano 1913, pp. 654-655; G. Brognoligo, La cultura veneta, in La critica, XIX (1921), pp. 160, 163-165. Sul C. musicologo e collezionista di opere musicali: C. Schmidl, Dizionario universale dei musicisti, I, p. 285; e gli scritti di L. Ferrari e di altri citati sopra.

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