COGLIOLO, Pietro

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 26 (1982)

COGLIOLO, Pietro

Fabrizio Fabbrini

Nacque a Genova il 29 marzo del 1859 da Ignazio e da Emilia Paroli. Laureato in giurisprudenza nell'università di Roma, il C. vinse nel 1880 la cattedra di pandette all'università di Camerino ove insegnò fino al 1883 per poi passare a Modena e infine a Genova (dal 1889).

L'attività del C. può dividersi in due fasi: nella prima egli vive prevalentemente nell'ambiente romanistico avendo a interlocutori V. Scialoja, C. Fadda, C. Ferrini, B. Brugi; nella seconda, pur continuando a insegnare diritto romano, con la mente rivolta quasi esclusivamente al diritto vigente, in tutti i suoi aspetti, ma particolarmente al diritto commerciale. Quest'ultima fase coincide con il periodo genovese e lo spartiacque cronologico è da assegnarsi al 1889. Quanto alla fase "romanistica" occorre distinguere un momento creativo impegnato nella ricerca (e corrispondente al periodo camerte) da uno più orientato alla divulgazione e alle sintesi, corrispondente al periodo modenese.

Il primo lavoro romanistico nel campo del regime patrimoniale tra coniugi è costituito dalle Quaestiones vexatae de dotibus, pubblicate a puntate sull'Archivio giuridico del 1882.

Le Quaestiones sono: 1) se il marito possa agire contro il costituente di dotis datio (il C. segue Windscheid nell'opinare una evoluzione estensiva); 2) chi abbia la proprietà della dote durante il matrimonio (il C. pensa che la proprietà non spetti a nessuno: soluzione illogica, secondo l'obiezione dello Scialoia); 3) se esista una lex Maenia de dotibus: il C. segue il Voigt per l'affermativa.

L'opera più importante del C. romanista è il Trattato teorico-pratico della eccezione di cosa giudicata secondo il diritto romano e il codice civile italiano,con accenni al diritto intermedio, primo volume dei due programmati, Torino, 1883 (il manoscritto era stato premiato dal ministero della Pubblica Istruzione con decr. 26 luglio 1881). È diviso in tre libri (storia della istituzione, sua funzione, condizioni ed effetti). Basandosi su Giulio Vittore, il C. ritiene che la regola "bis de eadem re ne sit actio" fosse sancita da legge anteriore alle Dodici tavole e si fosse estinta con la lex Iulia iudiciaria: mentre la communis opinio nega l'origine legale del divieto, e ne ammette il vigore anche dopo la lex Iulia.

Questi saggi vennero criticati da due insigni romanisti, Scialoja e Fadda: soprattutto dal primo, che gli rimproverò mancanza di logicità, carenza di informazione ed errori cronologici, rilevando in lui "una gran brama di dir cose nuove prive di fondamento" (Riv. critica delle scienze giuridiche e soc., II [1884], pp. 57 ss.). Al che il C. rispose accusando di "mala fede scientifica" l'illustre romanista (Arch. giur., XXXIII [1884], pp. 399-415).

Ritornò sull'argomento in un breve saggio su Il Filangieri: La cosa giudicata di fronte ai terzi (estratto, Napoli 1885). Ma un esperimento esegetico di quello stesso anno gli procurò una stroncatura da parte del Ferrini (Arch. giur., XXXV [1885], pp. 50 ss., 325 ss.): le emendazioni del C. a Festo trascuravano le più elementari nozioni di paleografia.

Nei lavori seguenti del C. diventa prevalente l'attenzione ai problemi didattici e alle sintesi.

Il Manuale delle fonti del diritto romano, Torino 1885, incontra ampie riserve del Brugi (assenza di apparato filologico, di chiose esplicative, di una sia pur minima introduzione, e così via: Arch. giur., XXXV [1885], pp. 531 ss.), talune delle quali verranno tenute presenti nella seconda edizione (Torino 1911, p. 855).

L'anno seguente, nella ristampa (Firenze 1886) della celebre Storia del diritto romano di G. Pedalletti, il C. aggiunge una completa bibliografia ed aggiorna, con rendiconto ragionato, sulle varie opinioni dottrinali. Nello stesso anno, nella prefazione all'ediz. italiana (Firenze 1886) della Introduzione allo studio del Digesto di Giustiniano di John Roby, il C. traccia la storia degli studi romanistici inglesi ricercando le ragioni del rinnovato interesse sia in Inghilterra, sia, in modo diverso, in Scozia.

Opera di sintesi, ma di alto livello, è la Storia del diritto privato romano, Firenze 1889, in due volumetti, nella collana dei "Manuali Barbera". Nella prima parte è il quadro storico dell'evoluzione del diritto; la seconda è dedicata alle fonti giuridiche, la terza alla procedura, la quarta agli istituti di diritto privato, in questa sequenza: proprietà e diritti reali, diritto di famiglia, obbligazioni, successioni. Tra le appendici, assai utile un "Vocabolario storico-giuridico".

Il saggio fondamentale di questo periodo riguarda la questione delle interpolazioni: si tratta di una recensione (Arch. giur., XLI [1888], pp. 188-200) alle Interpolationen di Gradenwitz dell'87; ma notevoli sono le conclusioni: il C. rileva lucidamente le esagerazioni di questo autore - e di tanti altri - nella "caccia alle interpolazioni", con una intuizione che sarà assai feconda negli studi romanistici: "Io sono propenso a credere che della maggior parte delle interpolazioni negli scritti dei giuristi non sieno autori i compilatori giustinianei ma il logorio delle scuole e le glosse forensi".

Gli anni 1888-89 sono decisivi per la vita scientifica ed accademica del Cogliolo. Due fatti si presentano come determinanti: la chiamata alla cattedra pandettistica genovese, il ritorno quindi ad un ambiente ruotante intorno allo studio forense; inoltre la nascita, nell'88, dell'Istituto di diritto romano e della relativa rivista, con cui la scuola romana dello Scialoja - un ambiente poco favorevole al C. - assumeva decisamente l'egemonia in questi studi, orientando ancor più il C. verso i prediletti studi di diritto vigente. E ladecisione di fondare (nell'89) l'Annuario critico di giurisprudenza pratica (nelle tre sezioni di giurisprudenza penale, civile e "dei trasporti", inusitata quest'ultima e rivelatrice degli interessi del C.), sussidio indispensabile per avvocati e magistrati, appare come una risposta immediata alla iniziativa di Scialoja e la definizione di una sfera di dominio diversa (diritto vigente, in contrapposto alla ricerca storica).

Già nell'88 aveva partecipato alla redazione del colossale Completo trattato teorico e pratico di diritto penale, Milano 1888, in dodici volumi (importante è il suo saggio Il diritto di punire, in I, 2). Ma non è questo il campo che il C. intende coltivare: egli tenta la conferma quale civilista, e la ottiene solennemente. Definita la sua linea scientifica nei Principi teorici della gestione degli affari altrui nel diritto privato, Modena 1889, pubblica il fondamentale Trattato teorico e pratico dell'amministrazione degli affari altrui, Firenze 1890 (in due volumi).

In esso egli fa della negotiorum gestio (istituto appartenente tanto al diritto civile quanto al commerciale, secondo l'insegnamento del commercialisti Delamarre e Lepoitvi) l'elemento centrale dei rapporti obbligatori l'asse attorno a cui ruota tutta la materia delle obbligazioni, perché istituto sussidiario a tutti gli altri di quel ramo.

Altra data fondamentale nella biografia del C. è il 1910: in quell'anno egli stesso intende fare il punto sul suo magistero civilistico ripubblicando a Milano, in due volumi di Scritti giuridici di diritto privato, i suoi più significativi interventi dottrinali del ventennio trascorso.

Su taluni punti centrali di quest'opera sono sorte lunghe polemiche: ad esempio, laddove il C. afferma che il "negotiorum gestor" agisce "per conto" del "dominus negotii", mentre per la maggioranza della dottrina egli opera solo "nell'interesse" di questo. E ancora, circa la concezione dell'"animus negotii", che viene considerata dai suoi critici come troppo "oggettivistica" (G. Pacchioni, Trattato della gestione di affari altrui secondo il diritto romano e civile, Milano 1915, pp. 46-49, e Padova 1935, p. 580). Il C. infatti valuta la "volontarietà nella gestione di affari altrui" come "l'assenza di un vincolo giuridico in forza del quale il gestore sia tenuto a gerire" (Trattato, paragrafo 20), mentre molti altri l'hanno intesa come esplicita "intenzione di gerire affari altrui", ponendo quindi in rilievo l'aspetto soggettivo (A. De Bernardis, Gestione d'affari altrui, in Commentario del Cod. civ., a cura di M. D'Amelio-E. Finzi, "Libro delle obbligazioni", III, Firenze 1949, pp. 147-175; L. Aru, Della gestione di affari, ibid., a cura di V. Scialoia - G. Branca, "Libro delle obbligazioni", artt. 1992-2005, Bologna 1957, pp. 209-262).

In questo materiale assai vario si scorge da una parte una certa propensione alla forzatura, alla radicalizzazione del discorso perciò le sue idee sono sempre apparse le più estreme e sono rimaste isolate nella dottrina: proprio la vivacità del suo ingegno gli vietava di allinearsi con la communis opinio, imponendogli di tentare nuove strade. D'altra parte vi sono profonde intuizioni: tali la "teoria della colpa" e la "teoria dello scopo".

La sua teoria della colpa (su cui insisté in vari lavori: La colpa aquiliana,La responsabilità riflessa,Culpa in eligendo,Colpa civile e colpa penale,La teoria della colpa, ecc.; e con La teoria della colpa concluderà l'iter accademico nel '35) fu accolta dalla giurisprudenza: è la teoria per cui "tanto nei contratti quanto nelle azioni fuori del contratto e tanto nelle cose civili quanto nelle penali vi è un solo genere di colpa, il deviare cioè da quella diligenza normale che un uomo medio usa in quelle circostanze di tempo e di ambiente, nelle quali si è svolto il fatto sottoposto a giudizio" (così nella prefazione alla sesta edizione dei suoi Scritti, del '25). Soprattutto importante tale teoria della colpa è nell'ampio settore dei trasporti: ove - come ribadirà in un saggio del '23 su La teoria unica della responsabilità nei trasporti negli Studi Vivante - occorre abbandonare le "dubbie diciture" di "caso fortuito e forza maggiore", poiché esiste un'unica norma di responsabilità in tutti i tipi di trasporti e cioè che: "il vettore è presunto in colpa a meno che non provi di aver usato tutta la diligenza normalmente possibile per prevenire od evitare l'evento dannoso".

Ma questi Scritti sono importanti soprattutto per l'elaborazione della "teoria dello scopo": la giurisprudenza elabora istituti in ragione di un bisogno pratico, di uno scopo lecito che si prefiggono le parti: e (soprattutto nel diritto commerciale) gli istituti ricevono forza vincolante dal consenso dei contraenti prima ancora che l'ordinamento li regoli: ed anzi la loro regolamentazione è dovuta proprio in virtù dello scopo cui essi sono diretti.

La teoria dello scopo "viene in questo modo non solo a giustificare le norme codificate, ma anche a proporzionare le nuove regole alla funzione, allo scopo, alla finalità dell'istituto nuovo sorto ex necessitate". Il C. fa della "teoria dello scopo" un principio generale del diritto: al "dogma della volontà", da cui i privatisti partono, occorre sostituire il "dogma dello scopo". Così la figura del "contratto con se stesso" - già previsto dai Romani e inquadrato nell'art. 386 del codice di commercio - non ha spiegazione alla luce del dogma della volontà: nel caso del commissionario che, avendo incarico di comperare per altri alcune merci, ne dà lui di proprie ed ha diritto ugualmente alla provvigione (il commissionario compra cioè da se stesso quale proprietario) non si può certo parlare di due volontà, sì invece di due patrimoni e di due scopi.

E la teoria dello scopo rileva inoltre nell'istituto della "diligenza del buon padre di famiglia" e in altri molti. Quanto questa intuizione si riveli moderna e illuminante per oltrepassare la sistematica dei diritti soggettivi (esistono "diritti senza soggetto" e "patrimoni ad uno scopo"), mentre il dogma della volontà è legato a quella sistematica pandettistica, lo vedrà infatti la dottrina posteriore.

Il successo dei due volumi degli Scritti fu enorme: nello stesso 1910 usciva la seconda edizione, la terza nel '13, e nel '14 si era già alla quarta: ve ne saranno ben sette, nelle quali il C. rifonderà sempre nuove monografie.

Dopo il 1910 la presenza del C. nel dibattito sui temi principali del diritto civile e commerciale - soprattutto quale direttore della rivista Il Diritto commerciale - è costante: mirando a definire le figure giuridiche emergenti dalla realtà del commercio: soprattutto il contratto di borsa, il contratto dei giornalisti, i sindacati professionali, il contratto di trasporto, ecc.

Nella relazione al congresso giuridico tenutosi a Roma nell'ottobre 1913 gettò per primo le basi della costruzione giuridica del "contratto di impiego".

Esso può aspirare a porsi come contratto "nominato", con un nomen iuris distinto sia dalla locazione di opere sia dal contratto di lavoro sia dal mandato e avente queste note fondamentali: dazione della propria attività professionale (non manuale) con intento continuativo, non solo per avere una mercede ma anche una dignitas; in modo esclusivo e per farsene una carriera; con stabilità e con l'obbligo del rispetto di un vincolo gerarchico e di disciplina. Queste idee furono concretate dal decreto legge del febbraio 1919 e informarono i successivi progetti di riforma del codice.

Nel convegno giuridico commerciale di Genova del 1923 auspicò che il nuovo codice regolasse il contratto di spedizione, data l'enorme importanza assunta nel mondo moderno dalla figura dello spedizioniere, cosa che in effetti avvenne secondo i principi direttivi formulati dal C.: inquadrare nei principi generali della rappresentazione questa figura così come si presenta nella società e con gli scopi cui è destinata.

Nell'ambito del diritto commerciale il C. individuò talune nuove branche, legate soprattutto ai trasporti: il diritto ferroviario, dei tramways e dei telefoni, e il diritto aeronautico.

Quanto al diritto ferroviario basti citare La responsabilità giuridica delle società ferroviarie, Firenze 1891; vi sostiene tra l'altro che il valore della vita perduta deve dar luogo all'assegnazione di un capitale, e non di una rendita vitalizia, e che il risarcimento del danno deve estendersi anche ai "danni morali". Quanto al diritto aeronautico, la sua meditazione culmina con un corso tenuto a Genova nel '24, il cui schema fu pubblicato con il titolo Principî generali del diritto aeronautico, Modena 1927: vi sostiene che, se pur le norme della navigazione aerea rientrano in quelle del diritto comune, tuttavia non tutti i fatti che si svolgono nell'aria libera con l'aeroplano possono sottoporsi al diritto comune: donde l'esigenza di una legge speciale e di trattati internazionali.

Nel '31pubblicava a Milano il Codice di diritto aeronautico; e nel '37, a Firenze, in collaborazione con S. Cacopardo, il Manuale di diritto aeronautico.

Accanto alle opere dottrinarie vi sono gli interventi sulla politica del diritto e sulle relazioni tra diritto e società.

Nel 1892 aveva curato con A. Majorana la pubblicazione (a Firenze) di un Codice scolastico del Regno d'Italia, contenente la normazione, dalla legge Casati ai regolamenti posteriori, rilevando, quali difetti del nostro diritto scolastico, l'atomismo, l'oscillazione tra principî generali ed eccezioni speciali, l'incertezza sull'efficienza delle diverse disposizioni nel tempo e nello spazio. Notevole è poi la serie di interventi in favore della tendenza democratica nel diritto, in difesa della parità giuridica tra uomo e donna; le riflessioni sulla guerra e le sue conseguenze nei contratti commerciali (vedi su quest'ultimo punto: La legislazione di guerra nel diritto civile e commerciale, 2 ed., Torino 1917).

Fu nominato senatore del Regno nel 1933: della sua attività in Senato è da ricordare l'interrogazione sulla "difesa dei poveri" nel 1938, cioè sul gratuito patrocinio.

Il C. morì a Genova il 14 dic. 1940.

Fonti e Bibl.: Oltre alle recensioni dello Scialoia e del Ferrini nonché agli articoli del Fadda e del Brugi, indicati nel testo, ed oltre alle numerose opere di diritto civile e commerciale in cui sono riferite, spesso polemicamente le posizioni assunte dal C., su di lui si vedano: G. Bo e altri, In memoria di P. C., Genova 1941, fascicolo di 40 pagine riproducente la celebrazione solenne tenuta nell'aula magna dell'università di Genova nel trigesimo della morte; P. Grossi, "Unaltro modo di possedere". L'emersione di forme alternative di proprietà privata alla coscienza giuridica postunitaria, Milano 1978, pp. 251-259, C. Castello, Gli ultimi 70anni del Diritto romano in Liguria, in Atti dell'Accad. ligure di scienze e lettere, XXXIV (1977), p. 3 dell'estratto.

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