PIETRO d'Ancarano

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 83 (2015)

PIETRO d'Ancarano

Orazio Condorelli

PIETRO d’Ancarano. – Nacque da un ramo della famiglia Farnese stabilito nel castrum di Ancarano, in Tuscia, come egli stesso dichiara: «Ego Petrus de Ancharano de nobilibus de Farnesio provincie patrimonii beati Petri in Tuscia» (Comm. in Sextum, Lugduni 1531, c. 2ra). Dal testamento si apprende che il padre si chiamava Giovanni Cola e la madre apparteneva alla famiglia dei Vitellesi di Corneto (Fantuzzi, 1781, p. 237).

Pochi dati gettano luce sui primi decenni della sua esistenza. La data di nascita, tradizionalmente collocata nel 1330, deve essere spostata avanti alla metà del secolo e forse oltre. Nella repetitio sul capitolo Possessor (Liber Sextus, de reg. iuris, Venetiis 1500, c. 31va) menziona Taddeo da Orvieto quale persona a lui devota «a tenera etate», ed è noto che il domenicano fu magister novitiorum a Firenze dal 1366, per spostarsi a Siena nel 1373 (Murano, 2012, p. 112). Nell’agosto 1381 Pietro d’Ancarano era già doctor utriusque iuris, come si legge in una di quattro lettere inviate a Michele Migliorati da Prato, allora vicario di Galeotto Malatesta a Rimini (Piana, 1966, pp. 418-420). Pietro riferiva di aver lasciato Firenze e di avere accettato a Perugia la lectura del Sextus e delle Clementine per un anno, ma al contempo chiedeva all’amico di procurargli un impiego presso la corte di Galeotto.

Condizioni disagiate e un senso di insoddisfazione per le incerte prospettive lo indussero a un’esistenza raminga. Per non ridursi all’inerzia e alla miseria – affermava in altra lettera databile tra il 1382 e il 1384 – «sumpto gradu utriusque iuris, veni Bononiam pro vicario domini potestatis». Pietro esercitò l’ufficio di vicario e giudice del podestà a Bologna sicuramente nel 1384 (Fantuzzi, 1781, p. 231; Piana, 1976, p. 283 n. 172), quando non è escluso che lì insegnasse già il Sextus e le Clementinae (cfr. rep. nel capitolo Si propter, VI.1.3.10, Lugduni 1531, che però altrove è datata 1394: Murano, 2012, p. 114). Dall’accennata lettera sembra potersi ricavare che Pietro non conseguì i gradi dottorali a Bologna, nonostante egli menzioni tra i suoi maestri – accanto a Baldo, che avrebbe potuto ascoltare giovanissimo a Firenze o più tardi a Perugia – due importanti docenti bolognesi, Gaspare Calderini e Bartolomeo da Saliceto (Comm. in Sextum, proemio, c. 2rb; cons. 188, ed. Venetiis 1585). Nel tractatus de scismate, peraltro, egli riferisce di avere studiato a Padova accanto a Cosma Migliorati da Sulmona (poi divenuto papa Innocenzo VII), che ancora da studente vi insegnava le Clementinae prima di trasferirsi a Bologna, dove si sarebbe laureato con Giovanni da Legnano (Kneer, 1891, p. 350).

Da Bologna si spostò a Venezia, dove ricoprì l’ufficio di consultore della Repubblica tra il 1385 (Gloria, 1888, I, p. 197) e il 1397, allorché fu chiamato a insegnare le Decretales nello Studio di Siena con condotta triennale (Comm. in Clem. 3.7.2). Lasciò Siena nell’autunno del 1390, forse per Bologna, dove ultimò una versione della Lectura Clementinarum (che in alcuni manoscritti è datata tra il 1390 e il 1392). Riprese comunque i rapporti con Venezia (alcune fonti lo attestano in veste di consultore nel 1390: Fantuzzi, 1781, p. 231), che ebbero come esito la chiamata nello Studio di Padova, dove insegnò le Decretales nel 1392-93 in concorrenza con Francesco Zabarella, che Pietro chiama «compater meus» (cons. 240, Venetiis 1585). Le datazioni di alcune repetitiones e lecturae indicano che tra il dicembre 1393 e il 1395 Pietro d’Ancarano era tornato a Bologna per insegnarvi il Sextus e le Clementinae (Murano, 2012, pp. 113-115). I dati concordano sia con le risultanze dei Rotuli per il 1395, sia con quanto emerge da un documento bolognese del marzo 1396. Esso attesta che Pietro fu condotto a insegnare per un quadriennio il Sextus e le Clementinae, poiché si confidava che la sua presenza – come l’esperienza aveva mostrato – sarebbe stata causa di ampia confluenza di studenti a Bologna. Sebbene fosse in programma una riduzione delle spese del Comune, si deliberò di retribuirlo con il salario di 500 bolognini d’oro sia per l’insegnamento sia per le funzioni di advocatus del Comune (Fantuzzi, 1781, p. 232). Nonostante un tentativo di richiamarlo a Padova (Gloria, 1888, I, p. 197, II, p. 335), e con l’eccezione di una parentesi ferrarese, dal 1393 in poi la sua carriera si svolse a Bologna, dove ebbe come allievi i celebri giuristi Giovanni da Imola, Nicolò Tedeschi, Giovanni d’Anagni e Domenico da San Gimignano.

Nell’autunno 1402, nell’intento di ridare vigore allo Studio cittadino, Niccolò d’Este III riuscì a condurre Pietro a Ferrara per destinarlo a una cattedra civilistica, accanto ad Antonio da Budrio e Giovanni da Imola per il diritto canonico: quanto di meglio lo Studio bolognese poteva offrire in quegli anni. La presenza di Pietro a Ferrara, quale promotore di laureandi, è attestata fino all’ottobre 1404.

Nello Studio bolognese Pietro svolse continuativamente le funzioni di vicegerente dell’arcidiacono. Nell’ottobre 1412 ciò fu all’origine di un’aspra contesa con i canonici di S. Pietro, i quali sostenevano che spettasse loro esercitare le funzioni arcidiaconali in caso di vacanza dell’ufficio o di lontananza dell’arcidiacono. Il conflitto generò «scandalum maximum» nello Studio (Il ‘Liber secretus’, 1938, pp. 197-199).

A partire dal 1405 la città di Bologna, il suo Studio e i suoi maggiori giuristi presero posizione nelle intricate vicende del grande scisma d’Occidente nel tentativo di promuovere il ristabilimento dell’unità. Pietro fu tra i protagonisti del dibattito. All’aprile del 1405 risale un tractatus composto su impulso del cardinale Baldassarre Cossa, legato pontificio a Bologna e in Romagna (Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut. 20.39: Tractatus domini Petri de Ancharano factus tempore Inno. VII de diversis modis et viis ad faciendam unionem tempore schismatis, cc. 79r-111r, inedito, ma con larga circolazione manoscritta). Vi sono analizzate sei vie per eliminare lo scisma. In questo scritto egli si mantiene entro posizioni tradizionali: esclude sia che il sommo pontefice potesse essere sottoposto a giudizio sia la possibilità di intervento del collegio cardinalizio nel caso che i contendenti non consentissero alla convocazione del concilio generale.

Alla morte di Innocenzo VII (6 novembre 1406) i cardinali dell’obbedienza romana giurarono che, chiunque fosse stato il nuovo eletto, avrebbero fatto di tutto per ristabilire l’unità della Chiesa, compresa l’ipotesi della rinuncia, a condizione che anche l’altro contendente rinunciasse. Il nuovo eletto, Angelo Correr (Gregorio XII), rinnovò il giuramento. Analoghi impegni avevano assunto i cardinali dell’obbedienza avignonese all’atto della elezione di Pedro de Luna (Benedetto XIII). In questo quadro si collocano gli accordi dell’aprile 1407, che prevedevano una riunione dei contendenti a Savona. Il rifiuto di Gregorio XII di recarsi all’incontro turbò le coscienze di alcuni tra i cardinali dell’obbedienza romana, i quali chiesero consiglio ad alcuni giuristi bolognesi: Paolo da Castro, Antonio da Budrio, Matteo Mattesillani, Pietro d’Ancarano.

Il consilium di Pietro (66, Venetiis 1580) è datato 12 ottobre 1407 (Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut. 20.39, cc. 119v-122v). Pietro concordava con gli altri tre giuristi sull’obbligo dei cardinali di andare a Savona per adempiere i giuramenti da loro prestati, nonostante l’eventuale proibizione del papa. In Pietro, però, mancano gli spunti conciliaristi presenti negli altri tre consilia, non traspaiono accenni polemici contro Gregorio XII, in generale la posizione del pontefice è lasciata al margine della discussione. Ma si avvicinava il momento di prendere partito. Nel maggio 1408 erano in corso le trattative per la convocazione di un concilio a Pisa, e a quella data Pietro era ormai schierato tra i sostenitori dell’assemblea che avrebbe dovuto porre fine allo scisma.

Nel giugno Pietro 1408 rispose con due consilia a ulteriori quesiti posti dai cardinali che lamentavano l’inerzia dei contendenti: «an subtrahentes se ab obedientia dicantur papa spoliare» (Vincke, 1942, pp. 112-118, n. 18) e «an cardinales possint mandare subiectis pape, quod ab eius obedientia se subtrahant» (pp. 119-121, n. 19). Negli stessi frangenti Pietro dovette difendersi, insieme a Nicolò dei Roberti e Antonio da Budrio, dalla scomunica inflitta ipso facto da Gregorio XII per il caso che i tre giuristi non si erano prontamente recati al concilio di Cividale da lui convocato. Essi si difesero affermando di essere andati a Pisa «pro sanctissimo negocio unionis», sostenendo la nullità della condanna e appellandosi al futuro concilio, ma chiedendo al contempo a Gregorio la revoca della scomunica (Vincke, 1940, pp. 46-50, n. 22).

Se non è escluso che Pietro sia tornato sul tema dello scisma in scritti non pervenuti (Deutsche Reichstagakten, 1888, pp. 521, 546 s.), agli inizi del 1409 è probabilmente databile un consilium (281, Venetiis 1585) nel quale afferma senza remore che i due contendenti avevano colpevolmente omesso di adempiere gli obblighi sanciti dalle capitolazioni elettorali, e che quindi l’azione risolutiva ora competeva ai cardinali, e quindi al concilio generale.

Il Concilio di Pisa – che avrebbe portato alla condanna dei contendenti e all’elezione di Alessandro V – si aprì nel marzo 1409. A Pietro il Concilio affidò il compito di rispondere alle obiezioni sollevate contro la legittimità dell’assemblea dai rappresentanti di Ruperto, eletto re dei Romani e sostenitore di Gregorio XII. Pietro svolse il compito con un lungo discorso tenuto il 4 maggio 1409: qui si mostrano gli esiti dell’evoluzione del suo pensiero in senso conciliarista (Deutsche Reichstagakten, 1888, pp. 521-557), certamente condizionati dalla pressante esigenza di ricomporre uno scisma che si protraeva da un trentennio.

Tornato a insegnare a Bologna, Pietro godette dei favori di Baldassare Cossa, che nella città felisinea fu eletto papa alla morte di Alessandro V, nel 1410 (Fantuzzi, 1781, p. 235). In ragione di una fiducia di antica data, Giovanni XXIII destinò Pietro quale suo rappresentante al Concilio di Costanza. Il 15 febbraio 1415 Pietro e il giurista padovano Raffaele Fulgosio manifestarono all’assemblea le intenzioni di Giovanni XXIII di agevolare la conclusione dello scisma e la sua disponibilità ad accettare la via cessionis. Prima di partire per Costanza Pietro aveva fatto testamento (12 ottobre 1412), nominando eredi i figli Niccolò, Antonio, Filippo e Iacopo e, attraverso una serie di sostituzioni, i rispettivi figli ai quali, in loro mancanza, sarebbero subentrate la moglie Lasia e le figlie. Nel caso di estinzione di tali linee, devolse l’amministrazione dei beni alle universitates bolognesi, istituendo un collegio per studenti poveri con sede nella sua abitazione. La condizione si verificò, e il Collegio, noto con il nome di Ancarano, appare in funzione nel 1442 (Piana, 1966, pp. 421-423).

Morì a Bologna il 5 agosto 1415, come attesta la cronaca di Pietro Mattiolo. Fu sepolto in S. Domenico, in un sarcofago conservato nel Museo civico medievale di Bologna.

La fama e l’autorevolezza di cui Pietro godette sia in vita sia presso i posteri riposano su una imponente mole di scritti, che ebbero amplissima diffusione manoscritta (oggi largamente rintracciabile) e furono poi dati in massima parte alla stampa. Spiccano i Commentaria sulle Decretales di Gregorio IX, il Liber Sextus e le Clementinae, opere nelle quali Pietro rifuse, accanto alle lecturae scolastiche, numerose repetitiones tenute durante una pluridecennale carriera. In generale, la sua opera è rappresentativa della ormai acquisita fusione di diritto canonico e diritto civile nel sistema culturale dell’utrumque ius. A quanto pare, i Commentaria sulle Decretales furono stampati solo nel XVI secolo: Lione 1519, 1535; Bologna 1580-1581. Altrettanto deve dirsi dei Commentaria sul Sextus: l’ed. Venezia 1501 è attribuita alla cura di Felino Sandei (ma cfr. Murano, 2012, p. 115), riferimento che permane nelle successive edizioni Lione 1502, 1517, 1531, 1543; Bologna 1583.

Circolazione anche autonoma (Roma 1475; Venezia 1493, 1500; Toulouse, 1484-1490) ebbe il Comm. sul titolo de regulis iuris del Sextus, il quale suscitò il particolare interesse di Pietro perché intorno a tale titolo «revolvitur totum corpus utriusque iuris» (Lione 1531, c. 166r). Consta di un proemio e di commenti e repetitiones solo su 11 delle 88 regulae. È da notare che la repetitio sulla reg. Peccatum fu tenuta pubblicamente a Pisa durante il Concilio, e poi redatta per iscritto nel 1412 a Bologna. Nella repetitio sulla reg. Accessorium, poi, Pietro ritornò sulla materia dello scisma dopo la conclusione del Concilio di Pisa.

I Commentaria sulle Clementinae ebbero diffusione a stampa già nel XV secolo: Venezia 1483; Milano 1494; Lione 1520, 1534, 1549; Bologna 1580 (vi è presente anche il Comm. della bolla Exivi de paradiso sull’osservanza della regola francescana, sulla quale i precedenti commentatori avevano mantenuto il silenzio).

Repetitiones su diversi capitoli delle Decretales gregoriane, del Sextus e delle Clementinae possono leggersi entro le edizioni dei rispettivi Commentaria, ma ebbero anche circolazione autonoma; nelle edizioni compaiono singolarmente o sono variamente accorpate: Bologna 1474 (X.2.2.14), 1475 (X.1.2.1), 1493 (X.1.2.1, ed. curata da Ludovico Bolognini); Roma 1475 (X.1.2.1 e altre); Venezia 1493 (X.1.2.1 e altre), 1500 (X.1.2.1 e altre); Tolosa 1484/86 (X.1.2.1); Parigi 1514 (con testi di altri autori). La più celebre è la repetitio sul capitolo Canonum statuta, de constitutionibus (X.1.2.1), che tratta in modo ampio e comprensivo della obbligatorietà delle norme giudiche, delle relazioni tra ius commune e diritti particolari e tra leges e canones, della validità e dell’interpretazione degli statuti. Fu tenuta a Bologna il 17 gennaio 1405 (ma poi rielaborata, data la notevole ampiezza), e rifluì nel t. II della raccolta di Repetitiones iuris canonici edita a Colonia nel 1618 (pp. 84a-144a).

Un’amplissima attività consulente è testimoniata dai numerosissimi consilia che si diffusero sia sparsi sia in una raccolta – verosimilmente derivante dal minutario d’autore (Colli, 1999) – che appare circolare già negli anni Quaranta del XV secolo (Piana 1966, pp. 193 s. nota 2; Minnucci - Košuta, 1989, pp. 33, 105) e che fu più volte data alle stampe: Roma 1474; Pavia-Torino 1496; Venezia 1490, 1568, 1574, 1585; Lione 1539, 1549. Nell’edizione veneziana del 1585 si contano 443 consilia, frammisti a quelli di altri autori. Essi danno la misura della fama e autorevolezza internazionali di cui Pietro godette.

Ebbe notorietà una quaestio disputata a Bologna nel 1398, riguardante il tema dell’usura, con specifico riferimento al prestito forzoso che la Repubblica di Venezia imponeva ai propri cittadini, compensandoli con una rendita annua. Fu data alle stampe a Venezia nel 1499-1500, con il titolo Disputatio super imprestitis Montis Novi. Nell’aprile 1412 Pietro disputò a Bologna una quaestio in tema di immunità clericali (Cenci, 1971, p. 187; Murano, 2012, 118) nella quale Nicolò Tedeschi, ancora studente, comparve nella veste di respondens sub doctore.

Al periodo ferrarese risalgono le lecturae civilistiche che Diplovatazio possedeva in forma di recollectae prese per mano dell’uditore Giovanni de Rustighellis (Diplovatatius, 1968, p. 331). Un frammento è stato identificato (Murano, 2012, p. 116 s.). Lo stesso Pietro ci informa di avere scritto una repetitio su D.45.1.43 e di aver commentato C.3.41 (cons. 269, 350, Venetiis 1585).

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