DOLFIN, Pietro

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 40 (1991)

DOLFIN, Pietro

Raffaella Zaccaria

Nacque a Venezia il 24 o 25 nov. 1444 da Vittore di Francesco e da Lucia Soranzo, entrambi appartenenti a nobili famiglie veneziane.

In particolare, la famiglia patema del D. annoverava tra i propri membri illustri esponenti della cultura e della politica, come Giorgio, fratello di Vittore, autore di una Cronaca veneziana, mentre un antenato era stato eletto doge nel 1356. Il D. ebbe due fratelli, Nicolò, di cui non si hanno molte notizie, e Alvise, che morì nel 1471 in Siria, dove si trovava per ragioni commerciali. La madre del D., Lucia, morì nel 1479, mentre il padre Vittore morì nel 1480 a Ravenna.

Il D. trascorse la sua giovinezza a Venezia e si dedicò ben presto agli studi letterari sotto la guida dell'umanista Pietro Pierleoni da Rimini, ed ebbe come compagni di scuola, fra gli altri, Leonardo Loredan, futuro doge di Venezia dal 1501 al 1521, e Pietro Barozzi, noto umanista, vescovo di Belluno e poi di Padova, ai quali rimase legato con grande amicizia. Il 5 febbr. 1462, a diciotto anni, il D. entrò nel convento camaldolese di S. Michele di Murano, ricevendo l'abito dall'abate Maffeo Gherardi (eletto patriarca di Venezia nel 1468), e qui trascorse il noviziato avendo come maestri Pietro Donà (futuro priore dopo il Gherardi) e Benedetto Emiliani. Pronunciati i voti l'8 sett. 1469, il D. si distinse ben presto per il suo impegno nell'osservanza e nell'applicazione della disciplina monastica; nel 1473 era già camerlengo del convento; in occasione del capitolo generale dei camaldolesi, tenuto nel 1474 presso il monastero di Fontebona a Camaldoli, il D. tenne il 24 aprile una orazione in cui esortava i padri dell'Ordine ad una sostanziale riforma e ad una totale adesione alla regola.

Il fervente spirito religioso che animava l'opera del D., unito ad una solida cultura umanistica - fu, fra l'altro, esigente ed appassionato trascrittore e raccoglitore di codici -, gli permise, grazie anche alla elevata posizione sociale della sua famiglia, di ricoprire ben presto le maggiori dignità dell'Ordine: divenne infatti abate di S. Michele di Murano agli inizi del 1479, succedendo al Donà, che più volte, negli anni precedenti aveva sostituito durante le numerose assenze, occupandosi particolarmente della costruzione della chiesa del convento. Il 10 dic. 1480, a soli trentasei anni, il D. venne eletto generale dell'Ordine camaldolese e il 15 gennaio successivo il papa ne confermò la nomina. Trasferitosi a Camaldoli, sede generalizia della congregazione, il D. si impegnò nella riforma dell'Ordine, promuovendo la fondazione di nuove abbazie, cercando di rafforzare la disciplina e il rigore monastico, minacciati dalle frequenti ribellioni dei monaci, accentuando il suo impegno contro gli abusi delle commende ecclesiastiche, che già in passato aveva aspramente criticato. In virtù della sua carica il D. compi anche numerosi viaggi per visitare i centri monastici sparsi soprattutto nell'Italia settentrionale e centrale, in Istria, in Dalmazia e nelle isole veneziane. Frutto di questi viaggi e visite nei vari monasteri è l'Itinerarium et visitationes monasteriorum (conservato manoscritto con antica segnatura S. Michele di Murano 613), che costituisce, al pari del più importante epistolario, una notevole testimonianza della situazione dell'Ordine camaldolese che il D. andava via via esaminando, allo stesso modo in cui l'altro e più famoso generale camaldolese, Ambrogio Traversari, aveva fatto nel suo Hodoeporicon e nel suo epistolario in anni precedenti.

Nel 1481 il Senato veneziano aveva proposto il D. per la nomina a vescovo di Padova e così anche nel 1485; tuttavia il D. in queste e successive occasioni preferi l'impegno diretto all'interno dell'Ordine, in altre circostanze, questioni più squisitamente politiche - come il sospetto da parte dei Veneziani che, risiedendo egli in territorio fiorentino, fosse troppo vicino alla politica medicea - gli impedirono di conseguire incarichi vescovili: così, ad esempio, nel 1488, nel 1506 e nel 1508, fu proposto per il patriarcato di Venezia; nel 1491, nel 1497 e nel 1524 per quello di Aquileia; nel 1489 e nel 1492 per il cardinalato.

I lunghi soggiorni a Camaldoli e a Firenze, unitamente ai problemi di governo dell'Ordine, misero il D. in frequente contatto con i Medici e, in particolare, con lo stesso Lorenzo. Poco dopo l'elezione cardinalizia di Giovanni de' Medici, in seguito alla morte di Innocenzo VIII il D. fu pregato di accompagnare a Roma il gIovane cardinale, che avrebbe dovuto partecipare al conclave: per ragioni di opportunità il D. accettò l'incarico, ma la sua funzione fu di scarso rilievo. Durante la permanenza a Roma giunse la notizia della morte di Lorenzo, avvenuta l'8 apr. 1492.

In più di una lettera, ad esempio in quella indirizzata a Guido di Lorenzo, priore del convento degli Angeli, e in quella a Piero de' Medici, il D. elogiò con toni commossi la figura e l'opera del Magnifico, le sue qualità di uomo politico, le sue doti di equilibrio nel governo dello Stato, ricordandone anche la familiarità dei rapporti personali.

I rapporti di amicizia e di collaborazione con i Medici non mutarono e, in particolare, Piero, figlio di Lorenzo, si impegnò più volte a proteggere gli interessi dell'Ordine. Dopo l'elezione del nuovo papa, Alessandro VI, nell'agosto del 1492, il D. si affrettò a ritornare a Firenze; durante il viaggio morì il patriarca di Venezia Maffeo Gherardi. Il D. rimase profondamente addolorato per la perdita dell'amico, e più tardi avrebbe scritto un caldo elogio del Gherardi, rammentando i momenti più importanti della sua opera.

A Firenze il D. ebbe anche modo di entrare in contatto con l'ambiente religioso cittadino, ricco di fermenti spirituali determinati soprattutto dalla predicazione di Girolamo Savonarola, al quale egli si avvicinava sia per la sua innata propensione pet il rigore della vita monastica, sia, più in generale, per le aspettative di una riforma ecclesiastica che coinvolgesse non solo la sua congregazione, quanto tutta la Chiesa cattolica. Indice di questa attenzione e comunanza ideale col Savonarola sono principalmente alcune lettere indirizzate dal D. allo stesso Savonarola, fra cui una del 19 dic. 1492, in cui lo invitava a partecipare alla festa di ingresso del nuovo abate dei monastero di S. Felice, e un'altra spedita invece al Barozzi il 6 nov. 1494, nella quale il D. si diffondeva a parlare dell'opera del Savonarola e della fama di santità che questi godeva a Firenze. Negli anni seguenti però le posizioni estremiste assunte dal Savonarola fecero cadere le illusioni di una riforma generale della Chiesa, che il D. stesso aveva ritenuto possibile con la discesa in Italia di Carlo VIII, re di Francia, e portarono al radicalizzarsi della lotta politica contro il partito savonaroliano da parte dei maggiori esponenti della vita religiosa non solo fiorentina. Lo stesso D. scrisse nel 1498, ancor prima che il Savonarola fosse dichiarato ribelle e imprigionato, il Dialogus in Hieronymum ferrariensem, in tre libri (edito insieme con varie lettere da S. Schnitzer, Peter Deffin, München 1926, che è tuttora lo studio più completo sul D.), col quale prendeva una decisa posizione contro il frate, confutandone le teorie anche attraverso continui riferimenti a testi biblici e religiosi. La conclusione della vicenda del Savonarola fu attentamente seguita dal D., come dimostrano due sue lettere inviate al Barozzi: nella prima racconta i tumulti e l'assedio contro il convento di S. Marco e quindi la successiva cattura del frate, nella seconda descrive con ricchezza di particolari la morte del Savonarola e degli altri due frati ribelli.

In questi anni, tormentati anche dalla rovinosa occupazione francese in Italia e, a Firenze, dalle tensioni politiche e dall'instabilità di governo successive alla cacciata dei Medici, il D. svolse alcune delicate missioni diplomatiche non ufficiali. Nel giugno del 1495, per incarico della Repubblica di Venezia, trattò con il rappresentante del governo fiorentino, Paolo Antonio Soderini, l'entrata di Firenze nella lega antifrancese; nell'agosto del 1498 a nome della Repubblica fiorentina effettuò una missione a Venezia per convincere la Serenissima ad abbandonare la difesa di Pisa ribellatasi al dominio fiorentino. Nei contrasti tra Firenze e Venezia anche la comunità camaldolese rimase coinvolta: infatti il priore del convento degli Angeli, Guido, accusato di simpatie manifeste per la politica veneziana, dovette rinunciare alla carica, sia pure con notevole rincrescimento del D., e si ritirò a Roma. Al suo posto fu eletto Bernardino Gadoli, già allievo a Venezia del D. e priore del convento di S. Michele di Murano e quindi visitatore generale.

I successivi sviluppi della situazione videro nel D. un attento osservatore: la caduta del Ducato di Milano ad opera dei Francesi venne da lui interpretata come un segno della giustizia divina contro il peggior nemico di Venezia. Negli anni successivi nuove minacce vennero alla sicurezza della comunità camaldolese dalle conquiste di Cesare Borgia nell'Italia centrale, e il D. non mancò di stabilire delle relazioni diplomatiche con il Valentino; riguardo, ad esempio, alla questione del possesso dell'abbazia camaldolese di Urano, che era stata conferita ad un vescovo seguace del Borgia, il D. riusci a riacquistarla all'Ordine in cambio del pagamento annuo di una somma di denaro. L'atteggiamento e le preoccupazioni del D. nei confronti del Valentino si giustificavano per il fatto che, sotto la giurisdizione di quest'ultimo, cadevano parecchi conventi camaldolesi e tutt'altro che irreale era il rischio di una loro alienazione.

La fine politica del Valentino, preceduta di poco dalla morte di Alessandro VI, e la successiva elezione al pontificato del cardinale Francesco Todeschini Piccolomini, protettore dell'Ordine camaldolese, con il nome di Pio III, sembravano aprire ad un nuovo e più positivo periodo anche per quanto atteneva alla riforma della Chiesa, sollecitata dallo stesso D. nella commossa e affettuosa orazione che tenne di fronte al papa neoeletto, del quale ricordava il lungo e tenace impegno per l'Ordine camaldolese e la proficua collaborazione instaurata con lui in un lungo spazio di tempo. La morte improvvisa di Pio III a pochi giorni dalla sua elezione sembrò affievolire le speranze che il D. aveva concepito, ma il nuovo papa, il cardinale Giuliano Della Rovere, che prese il nome di Giulio II, si pose in continuazione con i motivi del suo predecessore. Anche a Giulio II appena eletto il D. indirizzò un'orazione beneaugurale per il suo pontificato, nella quale ribadiva l'obbedienza dei camaldolesi al papa. Quest'ultimo provvide subito a nominare, con soddisfazione del D., il nuovo protettore dell'Ordine nella persona del cardinale Francesco Soderini, vescovo di Volterra.

Nel 1504 il D. fu incaricato dal papa di sensibilizzare l'Ordine camaldolese per una nuova crociata contro i Turchi: per dibattere questo argomento e insieme fare un esame delle condizioni dell'Ordine, il D. convocò un capitolo generale a Firenze. Dopo questo capitolo si recò a Venezia, anche per risolvere l'annosa questione dell'ubbidienza della congregazione veneta, e poi a Roma, dove tenne, dinanzi a Giulio II, una relazione sullo stato dell'Ordine.

Era andata infatti accentuandosi sempre più una spinta separatistica fra i monaci che facevano capo all'eremo generalizio di Camaldoli e quelli che consideravano il convento di S. Michele di Murano - che già nel 1474 il papa Sisto IV aveva posto in posizione di rilievo e che lo stesso D. aveva potenziato e favorito nella sua espansione, e che aveva come vicario Paolo Orlandini, figura di rilievo anche nell'ambito letterario-filosofico - il più importante rispetto a tutti gli altri monasteri camaldolesi. La crisi era andata sviluppandosi fino dal 1500 ed aveva travalicato l'ambito strettamente religioso, in quanto, fra l'altro, la Repubblica veneziana aveva trasportato tale questione su un piano di supremazia politica.

Negli anni del pontificato di Giulio II il D. vide anche un progressivo deterioramento della sua posizione di generale e l'acuirsi dei contrasti, nonostante il suo sincero impegno per la causa dell'Ordine. Ad esempio, nel corso del 1504 il D. dovette accettare la deposizione del suo vicario, Basilio, abate di S. Felice, al quale era particolarmente legato; per garantire l'autonomia dell'Ordine dovette rinviare il capitolo generale convocato a Firenze, in quanto il cardinale Soderini, protettore dell'Ordine, anziché parteciparvi direttamente, vi aveva mandato in sua rappresentanza due sacerdoti: ciò fu ritenuto un tentativo di usurpazione dei privilegi dell'Ordine e un atto contrario alla consuetudine; entrò in contrasto con il cardinale Domenico Grimani per il possesso del monastero di S. Maria delle Carceri (che poco dopo sarebbe stato abbandonato dai camaldolesi, mentre solo alcuni codici della ricchissima biblioteca sarebbero pervenuti al convento di S. Michele di Murano). Nel 1505 il D. convocò un nuovo capitolo generale a Ravenna, dove furono prese importanti decisioni circa l'aggregazione di alcuni conventi camaldolesi, mentre altre unioni di monasteri furono attuate direttamente dal papa con proprie bolle nel 1506 e nel 1507.

In questo ultimo anno la morte privò il D. del suo amico più caro, il vescovo di Padova Pietro Barozzi, per cui il D. scrisse un caldo elogio in lettere indirizzate a destinatari diversi; poco dopo moriva a Firenze un altro amico del D., Girolamo Novati, priore di S. Salvatore di Verona, mentre nel 1508 morì il patriarca di Venezia, Antonio Suriani, e pure, poco dopo. il suo successore, Lodovico Contarini, legato al D. da una antica amicizia.

La situazione parve acuirsi intorno al 1510, quando all'intemo dell'Ordine andò accentuandosi la convinzione che meglio sarebbe stato se il D. avesse lasciato l'incarico di generale, magari in cambio del patriarcato di Venezia, con la successiva nomina a cardinale. Gli avvenimenti peggiorarono, nel Natale del 1510, con l'ingresso all'interno dell'Ordine di due veneziani, Vincenzo Querini, che prese il nome di Pietro, e Tommaso Giustiniani, che prese il nome di Paolo, i quali sollecitarono il mutamento del sistema di governo dell'Ordine e soprattutto la riduzione dell'ufficio di generale entro limiti temporali definiti. I due, che contavano sull'appoggio incondizionato del cardinale Giovanni de' Medici, intrapresero un'azione contro il D., che amareggiò i suoi ultimi anni, al punto che ottennero da papa Giulio II la convocazione dei capitolo generale per il 1513. La loro azione trovò spinte risolutive quando, morto Giulio II, fu eletto papa, col nome di Leone X, proprio Giovanni de' Medici. Fu così che il Querini e il Giustiniani non solo parteciparono al capitolo generale, che si tenne a Firenze, ma ne diressero le sorti, mentre il D., resosi conto della situazione, non volle validamente contrastarli, ma anzi nobilmente li comprese e li perdonò; allo stesso tempo rifiutò pure l'elezione ad arcivescovo di Firenze, propostagli dal papa, ritenendola un semplice modo di estrometterlo dall'Ordine.

L'importanza del capitolo generale del 1513 fu enorme: fu deciso infatti che una sola fosse la congregazione canialdolese sotto il nome di Sacro Eremo e di S. Michele di Murano; fu anche fissata una ridistribuzione generale dei monasteri (a quelli principali, stabiliti nel numero di diciassette, venivano riuniti i minori); furono emanate nuove regole di vita per i monaci, con l'obbligo di una rigorosa osservanza; fu abolita la durata vitalizia della carica di generale e tutte le prelature furono rese temporanee; il generale doveva essere eletto alternativamente fra i monaci e gli eremiti.

Il 13 giugno 1514 il D. rinunciò alla carica di generale, mantenendone però il titolo che gli spettava a vita, mentre gli fu assegnata una pensione annua di 200 scudi d'oro, più 50 per l'affitto di una casa a Firenze; gli fu concesso di riscuotere le collette annuali di ciascun monastero, di benedire e consacrare le monache, di abitare a Firenze nel monastero di S. Benedetto fuori della porta Pinti, ma non a Camaldoli e alla Musolea. Dopo la sua rinuncia furono eletti dei vicari annuali, che vennero poi abrogati dieci anni dopo quando, morto il D., fu eletto un nuovo generale che da allora in poi doveva rimanere in carica tre anni. Il 4 luglio successivo Leone X sanzionava il nuovo assetto dell'Ordine.

Non vi è dubbio che gli anni in cui il D. svolse la sua funzione di generale furono particolarmente complessi e difficili, sia per la Chiesa, attraversata da una lunga crisi e da contrastanti tensioni riformistiche, sia per la stessa congregazione camaldolese che, per certi aspetti, visse uno dei suoi più travagliati periodi storici, tormentata da una progressiva indisciplina che ne metteva in dubbio la stessa identità. Di fronte ad uno stato di cose assai deteriorato e con il rischio di un maggiore peggioramento, il D. intervenne con vigore e spesso con forti prese di posizione, polemiche anche nei confronti del Papato, ma non sempre riusci nei suoi intenti, forse anche per una sua arrendevolezza di carattere. Animato e sostenuto da uno straordinario rigore morale, da una profonda fede religiosa, da un'entusiastica adesione alla sua missione di monaco e da un fervente spirito di apostolato, il D. ebbe un ruolo di grande importanza nella vita del suo Ordine che seppe sostanzialmente rinvigorire e mantenere fedele ai suoi principi e alle sue caratteristiche istituzionali, e che spesso riusci a salvaguardare non solo da pericolose interferenze del potere laico, ma pure da intromissioni ecclesiastiche. Tuttavia molti erano i suoi oppositori e molte le trarne ordite contro lo stesso D., che addirittura fu accusato di lasciare troppa libertà ai monaci, di ammettere nella congregazione soggetti non adatti, di resistere agli ordini e ai decreti pontifici. Certamente al D. non mancò l'abilità diplomatica, che seppe mettere a frutto sia all'interno dello stesso Ordine, sia all'esterno per sopire le tensioni ricorrenti fra la S. Sede e alcuni Stati italiani, come Venezia e Firenze, ai quali egli era d'altra parte maggiormente legato.

La rinuncia alla carica di generale non impedi al D., trasferitosi a Venezia nel suo originario monastero di Murano, di seguire con attenzione e anche con diretta partecipazione la vita dell'Ordine, come dimostrano, ad esempio, le sue lettere di questi anni con le quali in particolare egli tenne contatti con numerosissimi monaci precedentemente conosciuti e da lui seguiti nelle vicende della loro vita. Nel 1519 fu nominato dal papa presidente del capitolo generale che si doveva celebrare nel monastero di S. Maria delle Carceri.

Il D. morì il 15 genn. 1525 nel monastero di S. Michele di Murano all'età di ottantun anni; in suo onore vennero celebrati solenni funerali e l'orazione funebre fu tenuta dal discepolo e amico Eusebio Priuli, abate di S. Maria delle Carceri (stampata poi da E. Martène-U. Durand, Veterum scriptorum ..., III, Parisiis 1724).

La formazione culturale del D., essenzialmente umanistica e valorizzata soprattutto durante gli anni fiorentini, non fu mai separata da una profonda preparazione teologica, da una straordinaria conoscenza dei testi biblici e da uno studio continuo dei Padri della Chiesa e soprattutto di s. Girolamo e s. Cipriano. L'impegno umanistico del D. in particolare attento studioso di Cicerone è testimoniato da alcune sue opere letterarie quali, ad esempio, il Dictionarium linguae latinae, gli Argumenta in quinquaginta et octo orationes et invectivas Marci Tuffli Ciceronis (Bibl. ap. Vat., Vat. lat. 13700, e altri manoscritti, fra cui il n. 114 della Bibl. Classense di Ravenna), le Notae marginales ad libros IV "Retoricum Ciceronis ad Herenium" (già a S. Michele di Murano ms. 800, ora irreperibile); trascrisse le lettere di s. Girolamo (Vat. lat. 13703), anche per meglio apprenderne lo stile epistolare, mentre nel Vat. lat. 13702 si trovano alcune sue Orationes et litterae; tradusse pure in latino le Didascalie de IlMappamondo del camaldolese fra' Mauro, inviandone una copia a Piero de' Medici, ma di essa si sono perse le tracce.

L'opera maggiore e più importante del D. è l'epistolario - ancora in buona parte inedito e disperso in biblioteche diverse - in cui è raccolta quasi tutta la sua corrispondenza relativa agli anni della vita religiosa, che il D. stesso aveva pensato di riunire e tramandare a testimonianza della sua attività e del suo impegno morale e dottrinario. Fin dal 1483 il Gadoli aveva raccolto un gruppo di lettere del D. con l'idea di pubblicarle come esempi stilistici; più tardi, nel 1520, al D. fu proposto di pubblicare una scelta del suo epistolario, ma rifiutò; due anni dopo però si convinse e si dedicò con passione a scegliere le lettere meritevoli di essere stampate, anche con la convinzione che questa diffusione (che avvenne nel 1524 e che presentò 1.200 lettere) servisse a edificazione spirituale e culturale.

Ad esclusione delle lettere sparse, l'epistolario del D. è pervenuto, oltre che in due diverse edizioni (P. Delphini Epistolarum volumen, Venetiis 1524; e Veterum scriptorum et monumentorum nova et amplissima collectio, a cura di E. Martène-U. Durand, III, Parisiis 1724), in due codici principali, non autografi, ma sicuramente rivisti dall'autore, che si integrano cronologicamente e che si trovano rispettivarnente nella Bibl. nazionale di Firenze, Conventi soppressi E. 3305 e nella Bibl. naz. Marciana di Venezia, Mss. Lat. XI, 92 (= 3828). Il codice fiorentino, contenente 3.000 lettere, proviene dall'eremo di Camaldoli ed è composto da quattro volumi, scritti da un copista che lavorò sotto la direzione del D.; comprende le lettere che vanno dalla data dell'elezione del D. a generale fino alla data della sua rinuncia, con in più un'appendice, unita al primo dei quattro volumi, che arriva fino al 9 ag. 1517. Il manoscritto veneziano, contenente più di 3.000 lettere, proviene dall'abbazia di S. Michele di Murano ed è copia dei primi dei Cinquecento, scritta da una copista di origine senese; nella prima parte è raccolta la corrispondenza del D. dall'11 marzo 1462 al 20 nov. 1480, mentre la seconda, suddivisa in tre sezioni, raccoglie le lettere scritte dal dicembre 1480 al giugno 1505; alla fine del codice si trovano le tre orazioni pronunciate dal D. in omaggio ai papi presso i quali si recò a prestare obbedienza (le orazioni per Pio III e Giulio II sono edite in P. Delphini Oratiunculae duae, Venezia 1848).

L'epistolario del D., pur essendo un'opera essenzialmente autobiografica, costituisce una preziosa testimonianza delle vicende dell'Ordine camaldolese e della storia politica ed ecclesiastica del tempo. Fra i principali corrispondenti del D. figura, in primo luogo, l'amico Pietro Barozzil con il quale intrattenne un lungo rapporto epistolare fondato sulla comunanza di ideali e di aspettative per una riforma ecclesiastica generale oltre che sulla reciproca partecipazione ad aspetti e problemi che travagliavano la congregazione camaldolese. Anche il cardinale Todeschini Piccolomini, protettore dell'Ordine, figura fra i personaggi di maggior rilievo con cui il D. fu per lungo tempo in corrispondenza. Numerosissimi sono anche i destinatari fiorentini del R; oltre a Ugolino Verino - che fra l'altro gli mandò in visione un poemetto celebrativo di Carlo VIII, ricevendone in cambio la sollecitazione a inviarlo direttamente al re di Francia -si hanno: Lorenzo, Giovanni e Piero de' Medici, Pierfilippo Pandolfini, Paolo Antonio Soderini, Angelo e Carlo Niccolini, Piero Soderini, Francesco Guicciardini, Francesco Gaddi, Niccolò Valori, Zenobi Acciaiuoli, Domenico Bonsi, Bernardo Rucellai; fra i rappresentanti del mondo ecclesiastico: Gentile Becchi, vescovo di Arezzo, Cosimo Pazzi, vescovo di Arezzo e poi arcivescovo di Firenze, il cardinale Francesco Soderini, vescovo di Volterra e poi protettore dell'Ordine, il cardinale Bernardo Dovizi, Mariano da Gennazzano, generale degli agostiniani; fra i monaci camaldolesi: Guido di Lorenzo, Bernardino Gadoli, che si distinse per la sua cultura umanistica, e Paolo Orlandini, vicario della congregazione. Tra i corrispondenti veneziani con i quali il D. fu più legato da amicizia figurano il doge Leonardo Loredan, il patriarca di Venezia Maffeo Gherardi, il cardinale Marco Barbo, di cui il D. elogiò l'impegno di difensore dei diritti ecclesiastici delle comunità, il cardinale Domenico Grimani, col quale tuttavia ebbe un forte contrasto relativo al possesso dell'abbazia di S. Maria delle Carceri, e inoltre l'ambasciatore veneziano a Roma Paolo Pisani e l'amico Domenico Morosini.

Fonti e Bibl.: I documenti sull'attività del D., generale dell'Ordine, si trovano nell'Arch. del S. Eremo di Camaldoli, ms. 1124 (Miscellanea P. Deiphint); ms. VII (Miscell. camaldolese); nell'Arch. di S. Giorgio al Celio di Roma, mss. 624, 1080, 1112; nell'Arch. di Stato di Venezia, Manimorte, S. Michele di Murano, ad annos; nell'Arch. di Stato di Firenze, Conv. soppr. 86, 92; Conv. soppr. 39; Appendice, 37-39; Ibid., Not. Antecos. B 2321: parte di questa documentazione è stata utilizzata da J. B. Mittarelli-A. Costadoni, Annales camaldulenses, VII-VIII, Venetiis 1762-1764, passim; per le opere rimaste manoscritte cfr., in particolare, V. Meneghin, S. Michele in Isola di Venezia, Venezia 1962, I, ad Indicem.

V. inoltre: Luca Hispano, La hist. Romoaldina, Venetia 1590, p. 29; F. Masetti, Teatro storico del Sacro Eremo di Camaldoli, Lucca 1723, pp. 96-124; F. G. degli Agostini, Notizie istorico critiche intorno alla vita e le opere degli scrittori viniziani, Venezia 1752-1754 (rist. anast. Bologna 1975), I, p. 172; II, p. 219; A. M. Querini, Tiara et purpurea Veneta, Brixiae 1761, p. 136; M. Foscarini, Della letteratura veneziana, Venezia 1854 (rist. anast. Bologna 1976), pp. 325, 344, 485 s.; A. Heiss, Les médailleurs de la Renaissance, Paris 1887, p. 187; B. G. Dolfin, I Doffin (Delfino) patrizi venez. nella storia di Venezia, Milano 1924 , pp. 261-264; L. von Pastor, Storia dei papi, IV, 2, Roma 1926, pp. 23, 64; G. B. Picotti, La giovinezza di Leone X, Milano 1928 (rist. anast. Roma 1981), ad Ind; I. Schnitzer, Savonarola, Milano 1931, ad Ind; G. Mercati, Opere minori, III, Città del Vaticano 1937, p. 78; M. Bolzonella, Pietro Barozzi vescovo di Padova, Padova 1941, pp. 25-28; P. Paschini, Domenico Grimani cardinale di S. Marco, Roma 1943, pp. 20 s.; F. Caffi, Camaldolesi. Le figure più rappresentative dell'Ordine, Pergola 1944, pp. 146-153; A. Pagnani, Storia dei benedettini camaldolesi, Sassoferrato 1949, pp. 127 ss.; J. Leclerq, Un humaniste ermite: le bienhereux Paul Giustiniani, Roma 1951, passim; B. Ignesti, I camaldolesi e il Savonarola, in Camaldoli, VI (1952), pp. 138-146; C. Somigli, Il Dialogusin Hieronymum ferrariensem di P. D., ibid., VII (1953), pp. 61-68; G. Soranzo, Tre elogi poco noti. di Lorenzo il Magnifico, in Rinascimento, IX (1958), pp. 207-212; Id., P. D., generale dei camaldolesi e il suo Epistolario, in Riv. di storia della Chiesa in Italia, XIII (1959), pp. 1-31, 157-195; G. Varanini, Un intervento di P. D. in favore del Machiavelli, in Lettere italiane, XIV (1962), pp. 190 ss.; C. H. Clough, Machiavelli researches, Napoli 1967, pp. 7 s.; T. De Marinis-A. Perosa, Nuovi documenti per la storia del Rinascimento, Firenze 1970, pp. 6, 41 s. e tav. 13; R. De Maio, Savonarola e la Curia romana, Roma 1969, pp. 17 s., 63, 79, 111 s., 117; M. Martelli, L'altro Niccolò di Bernardo Machiavelli, in Rinascimento, XIV (1974), pp. 67-71, 82-90; B. Calati, La spiritualità del Quattrocento e la tradizione camaldolese, in Ambrogio Traversari nel VI centenario della nascita, Firenze 1988, pp. 35, 40, 46, 48; C. Vasoli, La cultura fiorentina al tempo del Traversari, ibid., p. 90 (con ulteriore bibliografia); U. Fossa, La storiografia camaldolese sul Traversari dal Quattrocento al Settecento, ibid., pp. 124, 127; P. O. Kristeller, Iter Italicum, I-III; Repertorium fontium historiae Medii Aevi, IV, p. 230.

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