GILARDI, Pietro

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 54 (2000)

GILARDI, Pietro

Andrea Spiriti

Figlio dell'orafo di Bruxelles Anatalo Girard, nacque a Milano il 17 ott. 1677, nella parrocchia di S. Michele al Gallo.

La localizzazione milanese è sintomatica, trattandosi del quartiere degli orefici: e in effetti a questa professione, sulle orme paterne, risulta indirizzato il fratello del G., Ambrogio, che nel 1734 diverrà sindaco di quella università; non è invece nota la professione dell'altro fratello Enrico. Un legame familiare importante fu quello stabilito col pittore Michelangelo Bellotti (membro della famosa famiglia di artisti bustocchi), che sposò in prime nozze Angela Maria Cazzaniga (sorella del pittore Paolo) e in seconde nozze, nel 1710, Paola, sorella del Gilardi. Nel 1709 il G. è testimone degli adempimenti dotali fra Cazzaniga e Bellotti: questi legami sembrano rafforzare la tradizione del suo alunnato presso il primo, anche se in quell'anno il pittore godeva già di una certa autonomia, frequentando l'Accademia di S. Luca, della quale divenne membro nel 1710 (Caprara, 1991). Il discepolato del G. presso Federico Bianchi (Orlandi) va sfumato in un più generico influsso, inevitabile per un pittore già orientato dal quieto giordanismo di Cazzaniga, verso forme di compassato classicismo, che trovarono conferma nell'adesione all'Accademia e nel viaggio a Bologna presso Marcantonio Franceschini e Giovan Gioseffo Dal Sole, ossia presso i riferimenti naturali di due generazioni di artisti lombardi: quella di Stefano Maria Legnani, detto il Legnanino, e quella di Pietro Antonio Magatti e Giovanni Angelo Borroni. In assenza di dati documentari certi, il viaggio bolognese può essere collocato prima o dopo il 1709-10, ma la fama raggiunta dal G. a Milano con le opere del 1712 farebbe propendere per la seconda data: il pittore avrebbe cioè ottenuto una committenza importante come la decorazione del refettorio del monastero di S. Vittore al Corpo per il prestigio e l'aura di novità derivatigli dal recente soggiorno felsineo.

Il monastero olivetano era stato ampiamente rinnovato dal 1709 al 1711 in previsione della visita a Milano di Elisabetta Cristina di Brunswick, moglie dell'imperatore (dal 1711) Carlo VI, che sarebbe avvenuta nel 1712; entro tale data doveva essere ultimata la decorazione, comprendente un'articolata quadratura di Giuseppe Antonio Castelli, detto il Castellino, una serie di tondi monocromi con storie dell'AnticoTestamento (molto ripresi) e alla parete di fondo le Nozze di Cana del G., il cui bozzetto si trova a villa Belgiojoso Brivio di Merate. L'impostazione scenografica con balaustra centrale molto deve, oltre ai probabili suggerimenti del Castellino e alla matrice neoveronesiana forse in parte mediata da Giovanni Pietro Ligari, al dipinto del Legnanino, con lo stesso soggetto, per la chiesa di S. Rocco a Miasino (post 1692, probabilmente intorno al 1700); la posizione e l'abbigliamento del Cristo ricordano da vicino il protagonista del Banchetto di Vitaliano I Borromeo in onore di Filippo Maria Visconti, opera di Filippo Abbiati nella rocca di Angera (1673-75). Queste citazioni dimostrano come il G. fosse allora ben lontano dall'esclusività classicista: la grazia protorococò del Legnanino e il tenebrismo di Abbiati potevano coesistere in lui con l'aggiornamento bolognese. Il tocco di attualità è dato dalla festeggiata, raffigurata come Maria. Al G. spettavano anche parte delle perdute storie dell'Antico Testamento sulle prospettive del giardino, insieme con Carlo Donelli detto il Vimercati, Francesco Fabbrica e Martino Cignaroli.

Probabilmente intorno al 1714 si deve collocare l'affresco, caratterizzato da una luminosità cromatica che lo avvicina alle Nozze di Cana, con l'Assunzione della Vergine, eseguito dal G. nella quattordicesima cappella del Sacro Monte varesino, a completamento dell'opera del Legnanino. Nel 1715 il G. eseguì l'affresco (Cacciata degli angeli dal paradiso terrestre) nella volta dell'oratorio milanese dell'Angelo custode presso il Santo Sepolcro, con le quadrature dei fratelli Gian Battista e Gerolamo Grandi, eretto l'anno precedente dai somaschi.

Andato distrutto sotto i bombardamenti dell'ultima guerra, ne rimangono alcune fotografie che permettono di coglierne la brillante teatralità (in dialettica con le vertiginose prospettive dei Grandi e con la pacatezza degli angeli e delle figure allegoriche laterali) e i forti legami col vasto tema angelologico sviluppatosi in Lombardia fra tardo Sei e primo Settecento: basti pensare alla pala con l'Angelo custode di Sebastiano Ricci per il Carmine pavese (1691-94) o all'oratorio di S. Michele dei disciplini a Milano, realizzato dai Grandi e da Giacomo Pallavicini in data probabilmente vicina al 1715.

Nel 1716 moriva Cesare Visconti di Somma, primo protettore dell'artista: la data costituisce un termine ante quem per il suo ritratto eseguito dal G., noto attraverso un'incisione, e il cui originale fu poi posseduto da Cesare Francesco, figlio del G., che aveva derivato il suo nome da quelli del protettore e del suo congiunto Francesco Ercole Visconti di Castelbarco (padrino della primogenita e a sua volta patrono dell'artista). L'incisione ci restituisce l'immagine fiera di un guerriero, sulla scia della lezione ritrattistica di Cesare Fiori e Salomon Adler.

Il 10 febbr. 1717 il G. sposò Francesca Gallerani, della celebre stirpe senese milanesizzata: ne ebbe nove figli dal 1718 al 1733. La fama del pittore fu consacrata nel 1719 dalla nomina a principe dell'Accademia di S. Luca, indice chiaro della riconosciuta qualità del suo moderato classicismo ma anche della sua sottile riflessione sul passato seicentesco: tutte doti che rifulgeranno dal 1719 al 1721 con la decorazione ad affresco della cupola del duomo di Monza, ancora in collaborazione col Castellino.

Commissionata il 20 dic. 1718 dall'arciprete Giovanni Battista Lezzeni, e suggerita dal gesuita Tommaso Ceva, la decorazione fu incentrata sul tema della Croce, legato alla ripresa della devozione del sacro chiodo permessa nel 1717 dalla vaticana congregazione dei Riti. Il ciclo comprende sulla calotta il Trionfo della Croce e l'Adorazione di Costantino; sul tamburo, S. Giovanni Battista preconizza la Croce, le Virtù cardinali e tre episodi della battaglia di ponte Milvio. Restano inoltre, nella Biblioteca capitolare di Monza, due acquarelli del Castellino e del G. con varianti per il tamburo. La vivacità rococò di questi ultimi è assai lenita nella composizione finale, dove già prevalgono le scelte cromatiche scure che pur coesistono con le finezze classiciste di alcuni particolari (emblematici gli angeli ai piedi del Battista); sul piano compositivo, la calotta molto deve alle grandi cupole del tardo Seicento milanese, a cominciare da quella maggiore di S. Alessandro in Zebedia realizzata da F. Abbiati e Federico Bianchi (1693-97).

Nel 1721, a riprova del prestigio ormai acquisito, il G. stima con Francesco Pietrasanta e G. Pallavicini le sculture di Giovanni Battista Dominione per la cappella di S. Giovanni Bono nel duomo di Milano, impresa nodale per lo sviluppo della scultura barocca lombarda.

Poco dopo l'impresa monzese va forse posta la pala dell'Immacolata Concezionecon s. Giuseppe nella parrocchiale di Cuggiono, opera interessante per l'iconografia del Bambino con la freccia, ben attestata in Lombardia fra tardo Sei e primo Settecento (emblematico il quadro dell'Abbiati in S. Cecilia di Como) e distinta da quella con la croce-lancia; sul piano formale il notato coesistere di spunti lombardi, veneti ed emiliani va letto alla luce di una ancor forte reminiscenza di Federico Bianchi. Potrebbe essere appena successiva - e anzi costituire il punto di collegamento fra la pala di Cuggiono e quella del S. Fedele - l'Immacolata coi ss. Gerolamo, Agostino e Teresa d'Avila nella parrocchiale di Cocquio Trevisago (Varese), forse la più neobambocciante della serie, ma con un accenno negli angeli a quell'interesse per il Legnanino che caratterizzerà l'ultima fase del Gilardi. Nel 1722 si colloca l'attività decorativa (perduta) per il gabinetto di lavoro del governatore a palazzo ducale di Milano, non ancora pagata nel 1723. I costanti rapporti coi Visconti tornarono in gioco nel medesimo 1723, quando il maresciallo imperiale Annibale ebbe un ruolo importante nell'assegnazione al G. e al Castellino della decorazione ad affresco dell'oratorio pubblico milanese di S. Giovanni Decollato alle Case Rotte.

Sede di una potente confraternita addetta all'assistenza dei condannati a morte e caratterizzata da una forte componente istituzionale e nobiliare, la chiesa seicentesca era stata qualificata nel 1712-13 dal nuovo altare maggiore di Giuseppe Rusnati. Dopo un primo sondaggio in direzione di S. Ricci, l'incarico venne affidato nel luglio 1723 al G., risultato vincitore su Giovanni Battista Sassi e Filippo Parodi: la scelta indica il maggior interesse della committenza per l'equilibrio formale del G. fra classicismo e rococò, rispetto ai modi più radicali delle alternative. Nel marzo 1724 il lavoro era molto avanzato, e sostanzialmente finito al termine dell'anno: il 14 dic. 1724 morì il Castellino, il 2 genn. 1725 venne incaricato Visconti di liquidare il G., mentre i pagamenti ai collaboratori (Giacomo Secco decoratore, Francesco Bellotti stuccatore, Antonio Castino doratore) si succedettero fino al 1729. Dopo la morte del G., dal 1733 circa al 1738 il Sassi, coadiuvato dal Castellino e da Lechi, ultimò la navata. La chiesa venne sconsacrata nel 1874 e distrutta nel 1906, ma le fotografie e i lacerti scampati (affresco della volta del presbiterio, oggi sullo scalone del palazzo dei Giureconsulti; due angeli già a sinistra dei medaglioni sud-est e nord-ovest oggi nei depositi delle Civiche raccolte d'arte) consentono di ricostruire con una certa esattezza l'intero programma figurativo. La volta della navata centrale comprendeva l'ovale con la Gloria di s. Giovanni Battista, circondato da quadrature sulle quali spiccavano figure angeliche; alle pareti, le quadrature architettoniche si alternavano ai monocromi delle sovraporte (sicuramente identificabili Giovanni in carcere che predica ad Erode e Salomè che reca ad Erode ed Erodiade la testa del Battista), ognuno dei quali era affiancato da due angeli. La volta del presbiterio recava l'immagine della gloria angelica, con la palma e la corona del martirio, il lunettone centrale le effigi di due profeti, mentre i catini laterali alternavano le quadrature a due medaglioni in monocromo (uno con la Visitazione), con ai lati coppie di angeli. È probabile che alla fase Sassi spettassero gli angeli aggiunti alla volta della navata, le sovraporte e i medaglioni del presbiterio (il tutto con i necessari adattamenti della quadratura), a quella del G. tutto il resto. L'ovale della navata era una grandiosa "macchina", degna erede della tradizione lombarda e insieme aperta a suggestioni venete; la ricchezza iconografica del soggetto (Giovanni Battista in gloria che, illuminato dalla colomba dello Spirito santo, è venerato dai personaggi dell'Antico Testamento e indica in tripudio angelico il carro della Chiesa) rimanda al primo Seicento, ma è trattato con sapienza prospettica che introduce al futuro tiepolesco. Il quadrilobo, con la sua libertà compositiva, apre la strada alle invenzioni di Pietro Maggi (volta di S. Maria della Sanità a Milano); i profeti segnano il collegamento più forte col ciclo monzese, ma la drammaticità dei chiaroscuri dei volti segnala anche l'influsso di Sebastiano Ricci.

Può essere coeva al ciclo pittorico - e in effetti l'evoluzione rispetto alla pala di Cuggiono può far pensare al 1724 circa - la tela dell'Immacolata Concezionecon angeli e s. Francesco, oggi nella casa gesuitica di S. Fedele. L'iconografia è ancora quella della freccia, il recupero del Seicento sottile (l'angelo da Giulio Cesare Procaccini, il s. Francesco da F. Abbiati), il classicismo più solenne che a Cuggiono. Sono caratteristiche analoghe a quelle che si riscontrano nella pala (Immacolata con il Bambino tra i ss. Pietro e Antonio da Padova) della parrocchiale di Bonzanigo di Mezzegra (Como), databile al 1726 e qualificata da un più vivace tono rococò.

Conclusa la grande impresa di S. Giovanni Decollato (ma i rapporti con Visconti continuarono, come attestano la presenza del G. nel 1725 presso la sua villa di Vaprio d'Adda e una procura redatta nella sua abitazione nel 1728), il G. eseguì nel 1728 gli affreschi della sala da ballo in palazzo Cacciapiatti di Novara, con la grandiosa quadratura racchiudente il Giudizio di Paride e il Ratto di Elena: un episodio decisamente innovativo per la città e una conferma di vocazione lombarda negli anni immediatamente precedenti l'annessione sabauda (1734). Se l'impostazione è tradizionale per il pittore (lo sfondo del Ratto riprende quello delle Nozze di Cana milanesi), l'adesione all'arioso mitologismo internazionale, con spunti specifici da Ricci, è piuttosto convinta, e persino coesistente con qualche spunto bucolico nel Giudizio; l'artista è attestato ancora in città nel 1731, ma non è chiaro per quale impresa pittorica.

Nel 1729 il G. decorò il refettorio perduto del convento milanese di S. Francesco Grande con tre ovati sulla volta. È possibile che risalgano a una fase intorno al 1730 alcune opere: il delicato, legnaniniano S. Antonio da Padovain adorazione del Bambino nella chiesa dell'Assunta a Chiuduno (Bergamo), firmato; la perduta Apparizione della Madonnadi Caravaggio, già nella chiesa milanese di S. Francesco Grande, nota attraverso un'incisione che ne mette in luce pure l'influenza del Legnanino e forse anche, nel gruppo angelico, uno spunto da P.A. Magatti; il cinereo Miracolo di s. Francescoda Paola e il tumultuoso, per certi versi arcaizzante Martirio di s. Marco oggi nella chiesa pavese di S. Francesco, ma provenienti da quella di S. Marco come il Battesimo del Magatti (datato 1732), e una perduta Apparizione angelica a s. Marco.

Il G. morì a Milano il 2 febbr. 1733, dopo aver dettato, il giorno prima, il suo testamento.

Tra le opere perdute del G. si possono ricordare: una tela per S. Febronia a Milano eseguita nel 1726; una ancona per Visconti di Castelbarco del 1727; una serie di dipinti (Andromeda, S. Agnese, S. Antonio Abate, S. Antonio da Padova, Flora, Madonna col Bambino, Uccisione di Abele, due teste, probabilmente una "mezza figura") rimasti per almeno una generazione in famiglia. Un'impresa familiare era costituita dalla decorazione della cappella di S. Anna nella parrocchiale di Carugate: di patronato Gallerani poi passato ai Gilardi; comprendeva del G. le tele dell'Adorazione dei magi, della Vergine e dell'Orazione nel Getsemani attestate nel Settecento, ma poi scomparse come pure gli affreschi in S. Antonino a Varese (Caprara, 1990).

È stato ormai ricostruito un piccolo ma interessante corpus di disegni del G.: venti alla Civica Raccolta stampe Achille Bertarelli di Milano, con studi naturalistici e quadraturistici; una bella, cairesca (o almeno nuvoloniana) Sacra Famiglia alla Biblioteca Ambrosiana; un'animatissima Resurrezione di Lazzaro al Gabinetto dei disegni degli Uffizi. Il G. ebbe una vasta bottega di cui fecero parte il congiunto P. Cazzaniga, Alessandro Mollo da Bellinzona, un "tedesco" e molti ticinesi, a riprova della sua fama ma anche dei legami col mondo nordico dovuti alla provenienza paterna.

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