LORENZETTI, Pietro

Enciclopedia dell' Arte Medievale (1996)

LORENZETTI, Pietro

C. De Benedictis

Pittore senese, fratello dell'altrettanto celebre e prolifico Ambrogio, documentato dal 1306 - quando un Petruccio di Lorenzo viene pagato "per una dipintura nella tavola dei Signori Nove" (Milanesi, 1854, p. 194) - al 1345, data che compare sugli affreschi firmati di S. Michele Arcangelo a Castiglion del Bosco, presso Buonconvento. Ove si accetti l'identificazione con Petruccio di Lorenzo, che per essere pagato in proprio non poteva avere meno di venticinque anni, la data di nascita di L. può fissarsi indiziariamente al 1280, e la morte presumibilmente, come per il fratello, al 1348, in conseguenza della grande peste.Numerose sono le opere firmate da L.: il polittico per la pieve di S. Maria ad Arezzo, iniziato nel 1320, la Madonna con il Bambino (Cortona, Mus. Diocesano), la pala del Carmine, del 1329 (Siena, Pinacoteca Naz.), le tre tavole di polittico, dalla pieve di S. Cecilia a Crevole, del 1332 (Siena, Pinacoteca Naz.), la Madonna con il Bambino per la chiesa di S. Francesco a Pistoia, del 1340 (Firenze, Uffizi), il trittico del 1340 (Washington, Nat. Gall. of Art), il dittico di Altenburg (Lindenau-Mus.), la pala della Beata Umiltà, del 1341 (Firenze, Uffizi), la Natività della Vergine per il duomo di Siena, del 1342 (Siena, Mus. dell'Opera della Metropolitana), e gli affreschi di Castiglion del Bosco, del 1345.Opere documentate a Siena e poi andate perdute sono una tavola per la chiesa degli Umiliati (1329), la dipintura per la porta nuova del duomo (1333), gli affreschi con Storie della Vergine sulla facciata dello Spedale di S. Maria della Scala (1335) e una tavola per la chiesa di S. Martino (1337).

La formazione stilistica dell'artista, quale si palesa nelle sue prime opere, si svolse essenzialmente nell'orbita di Duccio di Buoninsegna, la cui lezione appare vivificata da una personale meditazione sul Giotto assisiate e sui ritmi scultorei di Giovanni Pisano. Infatti i suoi esordi vanno ricercati ad Assisi, nel braccio sinistro del transetto della basilica inferiore di S. Francesco, dove L. eseguì un ciclo di affreschi con Storie della Passione di Cristo, a lui restituito da Cavalcaselle (Crowe, Cavalcaselle, 1864), che corresse le devianti indicazioni di Vasari (Le Vite, II, 1967, pp. 143-147), il quale riferiva gli affreschi assisiati sia a Cavallini (Crocifissione; Vasari, Le Vite, II, 1967, p. 187), sia a Giotto (Stimmate di s. Francesco; ivi, p. 101), sia a Puccio Capanna (Storie della Passione; ivi, p. 118); Vasari, del resto, chiamò L. Pietro Laurati, ignorandone la parentela con Ambrogio e ritenendolo scolaro di Giotto (Le Vite, II, 1967, pp. 143-147).

I primi affreschi eseguiti da L. nella basilica inferiore di Assisi appaiono il trittico murale della cappella Orsini raffigurante la Madonna con il Bambino fra i ss. Giovanni Battista e Francesco, attribuitogli da Cavalcaselle (Crowe, Cavalcaselle, 1885), e le sei Storie ante mortem della Passione di Cristo: Ingresso a Gerusalemme, Ultima Cena, Lavanda dei piedi, Arresto di Cristo, Flagellazione e Andata al Calvario (sottoposte nel 1963 a un radicale restauro). Nelle Storie della Passione si palesano un'eccezionale vivezza coloristica, eredità del grande Duecento senese, e uno sperimentale dominio dello spazio, esemplato e studiato su Giotto. Secondo le ipotesi di Volpe (1951b; 1965; 1989), il quale ne ha riconosciuto la piena e totale autografia, contro le precedenti e invalse opinioni della critica che li giudicavano opera mediocre di allievi oppure tardo prodotto della maturità, questi affreschi sono databili in una fase precoce del percorso dell'artista, compresa tra il 1310 e il 1319; L. in un esito ancora arcaizzante e composito avrebbe quindi eseguito il trittico Orsini negli anni 1310-1315 e gli affreschi della Passione dal 1315 al 1319. Lo stacco qualitativo ed espressivo che si rileva tra le Storie della Passione ante mortem e quelle delle pareti sottostanti, la Crocifissione e le Storie post mortem, fa ritenere che sia avvenuta un'interruzione dei lavori, presumibilmente causata dai rivolgimenti politici seguiti alla cacciata dei guelfi e all'avvento del governo ghibellino, avvenuto nel 1319, e dalla commissione del polittico di Arezzo.

Il 17 aprile 1320 infatti il potente vescovo ghibellino Guido Tarlati commissionava a L. un grande polittico per l'altare della pieve di S. Maria ad Arezzo, nella cui tribuna, secondo Vasari (Le Vite, II, 1967, p. 145), si trovavano anche degli affreschi di sua mano. La lavorazione si protrasse dall'aprile del 1320 al gennaio del 1324, come attestano i documenti, dai quali si evince che al vescovo Tarlati era demandato il controllo dell'iconografia, delle misure, dell'eccellenza dei materiali usati, nonché della qualità dell'esecuzione (Firenze, Arch. di Stato, Notarile antecosimiano, A 966; Milanesi, 1854; Mariotti, 1968; Guerrini, 1988). È questa la prima opera sicuramente databile dell'artista, che vi si firma "Petrus Laure(n)tii me pinxit dextra senensis"; il grandioso complesso a due ordini nella pieve aretina, che doveva essere completato da una cornice e da una predella ora mancanti, palesa, oltre ai riflessi di Duccio di Buoninsegna e di Giotto, nell'appassionata tensione psicologica delle figure, un'eco meditata delle sculture eseguite da Giovanni Pisano per la facciata del duomo di Siena.Forse anteriori al polittico aretino si ritengono alcuni dipinti eseguiti per chiese del contado di Arezzo e di Siena: la Madonna con il Bambino e quattro angeli che reca la firma "Petrus Laurentii hanc pinx[it] dextra senensis", già nel duomo di Cortona (Mus. Diocesano), il Crocifisso sagomato proveniente dalla chiesa di S. Marco di Cortona (Mus. Diocesano), la Madonna con il Bambino della pieve dei Ss. Leonardo e Cristoforo a Monticchiello, presso Pienza, centro di un polittico smembrato di cui facevano parte la S. Agata (Le Mans, Mus. de Tessé) e i Ss. Benedetto, Caterina e Margherita (Firenze, Mus. Horne), e infine la Madonna con il Bambino della pieve dei Ss. Stefano e Degna a Castiglione d'Orcia. Queste opere esemplificano la giovinezza dell'artista, coinvolto nella cultura duccesca, di cui peraltro rinnovò lo stile con un'accentuata certezza plastica che si apparenta ai primi affreschi assisiati. Connessa allo stile del polittico aretino e alla seconda fase degli affreschi di Assisi appare la maestosa figura di S. Lucia (Firenze, chiesa di S. Lucia dei Magnoli), restaurata e parzialmente ridipinta nel 1473 da Jacopo del Sellaio, che aggiunse l'angelo annunciante e l'Annunciata. L'opera, di straordinaria importanza sia qualitativa sia storica, testimonia la prima precoce presenza a Firenze di Pietro, forse in concomitanza con il soggiorno del fratello Ambrogio, documentato in città dal 1321.Ad Assisi l'artista dovette presumibilmente fare ritorno per una seconda campagna di affreschi nella basilica inferiore, per i quali non si possiede alcun dato se non quello dello stile. Essi comprendono la Discesa al limbo, la Risurrezione, la Deposizione dalla croce, il Seppellimento (sulla parete di accesso alla cappella Orsini), la grande Crocifissione, che presenta una vasta lacuna della superficie pittorica, con la sottostante Sacra Conversazione (sulla parete sinistra del transetto), il rovinato Giuda impiccato e le Stimmate di s. Francesco. Diversamente da quelle della volta, queste storie non hanno subìto rilevanti riserve attributive; la critica è infatti unanime nel ritenerle non soltanto l'impresa di maggiore respiro di L., ma altresì una delle più alte testimonianze del Trecento italiano. Controversa è invece la loro cronologia: per Maginnis (1976; 1984) tutta la decorazione del transetto per ragioni tecniche sarebbe avvenuta in un'unica campagna di lavori terminata nel 1319; per Carli (1981) essa si sarebbe conclusa negli anni 1327-1328; Volpe (1965; 1989) propone invece più persuasivamente due campagne di lavori, la seconda svolta in tempi brevi entro il 1322, prima della conclusione cruenta del conflitto che oppose Assisi alle forze papali e alla guelfa Perugia. Nelle Storie post mortem si avvertono infatti un più maturo e arduo impegno compositivo, specie nella grandiosa Crocifissione, e una potente plasticità delle figure dai crudi spezzati profili, che rievocano le sculture di Giovanni Pisano. La meditata resa spaziale e uno strenuo sperimentalismo visivo indicano inoltre un rinnovato contatto di L. con Giotto e la conoscenza del suo stile maturo, che si palesa nella cappella Peruzzi in Santa Croce a Firenze, nonché un legame con l'esperienza fiorentina del fratello.In questo momento, oppure, come ritengono alcuni (Maginnis, 1984), in un'epoca precedente al polittico di Arezzo (1320-1324), si situano altre opere su tavola compiute forse durante un secondo soggiorno dell'artista a Siena: la Crocifissione e santi (Cambridge, MA, Harvard Univ. Art Mus., Fogg Art Mus.), il S. Leonardo (Riggisberg, Abeggstiftung), scomparto destro di un polittico presumibilmente proveniente dall'eremo agostiniano di S. Leonardo al Lago presso Siena, la Madonna con il Bambino in trono e un monaco, sormontata da due pennacchi con due angeli adoranti (Filadelfia, Mus. of Art, Johnson Coll.), e un consunto trittico (Seattle, Washington Art Mus., Kress Coll.).

A questo momento, posteriore al 1320 e al polittico aretino, potrebbero connettersi anche due dipinti di piccole dimensioni: il centro di un tabernacolo a forma di trittico (coll. privata; Boskovits, 1986) - che costituisce l'unico esempio di altarolo per la devozione privata situabile nella fase giovanile dell'artista, forse proveniente dall'area aretina vista la presenza delle ss. Fiora e Lucilla - e la Crocifissione e due dolenti (Siena, Pinacoteca Naz.), probabile fastigio di un perduto polittico dalla solenne, arcaica struttura, che si lega agli episodi post mortem degli affreschi di Assisi (Volpe, 1951b).Dopo il 1306 L. risulta documentato a Siena una seconda volta nel 1326, quando venne pagato per la "dipignitura delle Storie nella Chasa de l'opara Sancte Marie", cioé per il duomo (Siena, Arch. dell'Opera della Metropolitana, Entrata e Uscita, 1326). A questa data potrebbero connettersi due affreschi nella sala capitolare del convento di S. Francesco raffiguranti la Crocifissione e la Risurrezione, cui si legano due frammenti di affreschi staccati con busti di sante (Londra, Nat. Gall.). La Crocifissione, staccata dal capitolo francescano nel 1857 e fortemente decurtata nella parte inferiore, fu trasferita in chiesa nella prima cappella a sinistra del coro; l'opera è stata riferita a L. da Cavalcaselle (Crowe, Cavalcaselle, 1885) e quasi concordemente dalla critica successiva, che si è invece variamente espressa sulla cronologia; cronache locali datavano quest'opera al 1331, data accettata da Toesca (1951), posposta da altri al 1335-1336 (Seidel, 1979; Carli, 1981). Per Volpe (1989) la Crocifissione costituisce l'inizio dell'intervento di Pietro, cui fa seguito quello di Ambrogio, al quale si devono le Storie francescane, quasi del tutto perdute, nel chiostro e due scene nella sala capitolare. Poco più tarda appare la Risurrezione, dipinta sulle stesse pareti del capitolo, staccata nel 1970 e decurtata in basso (Siena, Mus. dell'Opera della Metropolitana). I due affreschi si legano stilisticamente alle Storie post mortem di Assisi, palesando un marcato avvicinamento a Giotto, da porre in relazione con la cappella della Maddalena dipinta nel braccio destro della basilica inferiore.Datata e firmata dall'artista è la pala del Carmine, che reca l'iscrizione "Petrus Laurentii de Senis me pinxit A(nno) D(omini) MCCCXXVIII[I]". Oltre alla data e alla firma segnate sulla tavola esistono due documenti (Milanesi, 1854) riguardanti la richiesta dei frati del Carmine alla Repubblica di Siena per un aiuto finanziario nel pagamento della pala e la deliberazione del Gran consiglio della Campana di pagare una parte della somma richiesta dal pittore. La pala fu smembrata nel Cinquecento e il pannello centrale con la Madonna con il Bambino in trono tra s. Nicola di Bari, il profeta Elia e quattro angeli fu relegato nella chiesa di S. Ansano a Dòfana (Siena), dove rimase fino al 1936, quando passò alla Pinacoteca Naz. di Siena; il grande complesso è stato ricomposto nella sua quasi totalità (Dewald, 1920; Bacci, 1939; Zeri, 1974; Maginnis, 1975). Oltre alla parte centrale, nell'attuale musealizzazione si trovano due laterali con le Ss. Caterina e Agnese, cinque scomparti di predella con Storie dell'Ordine carmelitano e due cuspidi con quattro santi a mezza figura; altri due laterali con il profeta Eliseo e S. Giovanni Battista si conservano a Princeton (NJ, Art Mus., in deposito da Los Angeles, Norton Simon Found.) e la terza cuspide a New Haven (Yale Univ., Art Gall.). La ricomposizione del complesso è stata resa possibile grazie a una preventiva lettura iconografica (Zeri, 1974); nei soggetti della predella sono infatti mescolati temi dell'Antico e del Nuovo Testamento, la cui continuità mistico-simbolica è avvalorata dalla presenza di Giovanni Battista 'nuovo Elia'. Personaggi e simboli dell'Antico e del Nuovo Testamento celebrano, infatti, in un impeccabile e coerente programma, un ricco arco di richiami devozionali evocati dalla leggenda dell'Ordine carmelitano, che designava il profeta Elia, raffigurato alla destra della Vergine, come il biblico fondatore del Carmelo. La pala costituisce un momento capitale nel percorso di L. e la sua data conclusiva, 1329, indica a quale composta soluzione monumentale si fossero risolte le tensioni espressive della sua attività giovanile. I legami tra episodi e spazi trovano credibilità poetica in una dimensione inusitata; lo spazio 'costruito' di Giotto e dei pittori fiorentini viene recepito e rielaborato dall'artista, che crea uno spazio 'intuito' e internamente strutturato. L'impostazione spaziale delle scene della predella risente degli esperimenti del fratello Ambrogio, quali si palesano negli affreschi della sala capitolare di S. Francesco a Siena, in cui simile è l'idea di articolare lo spazio misurato dentro l'architettura, con un'introduzione prospettica che si imposta all'esterno, sicché lo spazio sembra comunicare tra la scatola ideale dell'evento narrato e lo spazio reale che lo introduce.Nello stesso anno della pala del Carmine, secondo un erudito locale (Sigismondo Tizio, Historiarum Senensium), L. avrebbe eseguito una tavola per la chiesa degli Umiliati di Siena; a essa potrebbero in via ipotetica connettersi due scomparti di predella con la Pietà (La Spezia, Coll. Lia) e S. Antonio Abate (coll. privata). Al 1332 risalgono tre pannelli di polittico cuspidati raffiguranti i Ss. Bartolomeo, Cecilia e Giovanni Battista (Siena, Pinacoteca Naz.), parti di un complesso a cinque scomparti proveniente dalla pieve di S. Cecilia a Crevole presso Murlo. Nel basamento delle tre tavole è un'iscrizione, che integrata dovrebbe leggersi "Hoc opus fecit fieri dominus Laurentius plebanus [huius ecclesiae Sanctae Ceciliae] Anno Domini MCCCXXXII hoc opus [Petrus Laurentii pinxit]". La qualità molto alta delle tavole documenta l'orientamento di L. poco dopo la pala del Carmine, caratterizzato da un addolcito impasto delle tinte che denuncia un esplicito avvicinamento al fratello Ambrogio.Nel novembre del 1335 (Milanesi, 1854, p. 194) venne commissionato all'artista un polittico per l'altare di S. Savino nel duomo di Siena, nella cappella di fronte alla quale Ambrogio avrebbe approntato nel 1342 la Presentazione al Tempio (Firenze, Uffizi); nel dicembre dello stesso anno veniva pagato il maestro Ciecho della Grammatica perché traducesse dal latino la leggenda ufficiale di S. Savino, uno dei protettori di Siena, per trarre i soggetti per la predella (Milanesi, 1854, p. 194). La connessione tra il polittico di S. Savino e la Natività della Vergine (Siena, Mus. dell'Opera della Metropolitana) si deve a Bacci (1931), che pubblicò un inventario in cui l'altare è descritto con una tavola mediana con la Natività fiancheggiata dai Ss. Savino e Bartolomeo. L'opera, completata dai due santi citati (ora perduti) e da una predella di cui rimane soltanto uno scomparto raffigurante S. Savino con i diaconi Marcello ed Esuperanzio davanti al governatore Venustiano (Londra, Nat. Gall.), dovette quindi essere realizzata in un lungo arco di tempo, dal 1335 al 1342, data quest'ultima che insieme alla firma si trova nell'iscrizione sulla cornice "Petrus Laurentii de Senis me pinxit A(nno) MCCCXLII". L'evento dipinto si svolge in due spazi distinti: nel pannello centrale e in quello di destra si realizza un unico ambiente di moderata profondità, mentre quello di sinistra apre su una rapida successione obliqua di due sale e di un cortile. L. superò arditamente la forma a trittico, definendo nitidamente lo spazio commisurato alla salda realtà plastica delle figure, che appaiono fissate in atteggiamenti di grave monumentalità.Vasari (Le Vite, II, 1967, p. 181) riporta che nel 1335 Ambrogio fu chiamato dal vescovo degli Uberti a Cortona per affrescare le volte e la facciata di S. Margherita. Se di Ambrogio non rimane a Cortona nessuna traccia, a Pietro e collaboratori si riferiscono i frammenti di affreschi che portano la data mutila "MCCCXXX[---]" raffiguranti l'Andata al Calvario, provenienti da S. Margherita (Cortona, Mus. Diocesano; Mus. dell'Accademia Etrusca; Bellosi, 1970), e il Crocifisso sagomato (Cortona, Mus. Diocesano).Nello stesso 1335, anno di inizio della pala di S. Savino, che costituisce un apice espressivo di Pietro, i due Lorenzetti dipinsero le Storie della Vergine sulla facciata dello Spedale di S. Maria della Scala a Siena, come riportava l'iscrizione "Hoc opus fecit Petrus Laurentii et Ambrosius eius frater MCCCXXXV" (Della Valle, 1785). Gli affreschi, scomparsi nel Settecento, indicano un momento importante in cui i due fratelli lavorarono insieme e forse tennero bottega unica; ciò potrebbe costituire una spiegazione di tanti piccoli altaroli portatili in cui i modi stilistici dei due artisti riflettono reciproche relazioni mentali.Alcuni critici (Dewald, 1929; Weigelt, 1930; Peter, 1933; Coletti, 1946; Meiss 1955), non riuscendo a comprendere il complesso percorso mentale e stilistico di L., negarono l'autografia di un gruppo di opere di piccolo formato, contraddistinte da un ornato e squisito garbo narrativo, da un'estrema naturalezza e raffinatezza che si esprime nelle ridotte dimensioni dell'anconetta e della predella, che sembrano contraddire la misura solenne ed eroica degli ultimi affreschi di Assisi e del polittico di Arezzo. Si è venuto così a creare un gruppo di opere il cui autore, distinto da L., venne denominato Maestro del Trittico di Digione (Dewald, 1929) per spiegare le varianti di tono e di misura espressiva tra tavolette preziose di uso domestico e dipinti di grandi dimensioni destinati ad altari e cappelle di importanti chiese.Del gruppo già ritenuto del fittizio Maestro del Trittico di Digione fanno parte il trittico eponimo (Digione, Mus. des Beaux-Arts), il trittico con la Crocifissione e i Ss. Pietro e Paolo (Siena, Coll. Monte dei Paschi), la Crocifissione tra i due dolenti (Williamstown, Williams College Mus. of Art), il dittico con l'Adorazione dei Magi e la Presentazione al Tempio (Parigi, Louvre; Zagabria, Mimara Muz.), i funerali di un vescovo (Assisi, Sacro Convento), la Madonna con il Bambino e quattro santi (Baltimora, Walters Art Gall.), il dittico-reliquiario con la Madonna con il Bambino, un monaco adorante e Cristo benedicente (Firenze, Coll. Berenson; New York, coll. privata), Cristo davanti a Pilato (Roma, Mus. Vaticani, Pinacoteca), la Madonna con il Bambino in trono e quattro santi (Berlino, Staatl. Mus., Pr. Kulturbesitz, Gemäldegal.), la Madonna con il Bambino, tre sante, sei angeli e il Redentore (Milano, Mus. Poldi Pezzoli), la Crocifissione di San Pietroburgo (Ermitage), la Madonna in trono e angeli (Firenze, coll. privata). Smentita dalla critica recente l'identità autonoma del presunto Maestro del Trittico di Digione, il gruppo rientra perciò di diritto nel percorso di L. e costituisce quindi il prodotto dell'ultima attività del pittore che denuncia il suo colto tragitto mentale in coincidenza con la pala di S. Savino, negli anni 1335-1342, e in contiguità con le esperienze fiorentine di Ambrogio.Per la chiesa di S. Francesco di Pistoia venne compiuta la Madonna con il Bambino in trono e otto angeli (Firenze, Uffizi), che è ricordata da Vasari come "una Nostra Donna con alcuni angeli intorno [...] e nella predella [...] in alcune storie [...] certe figure piccole" (Le Vite, II, 1967, p. 144) e che porta un'iscrizione non originale "Petrus Laurentii de Senis me pinxit Anno Domini MCCCXL". Pervenuta agli Uffizi priva della predella nel 1799, venne sottoposta a un radicale restauro; in quella occasione vennero ridipinte e restaurate l'iscrizione e la data del 1340, contraddetta dal catalogo della galleria (Galerie impériale et royale de Florence, 1816), che riporta come originale la data del 1343, datazione accettata da Volpe (1989) poiché sembra meglio corrispondere alla vicenda della tarda attività del maestro e delle sue ricerche di spazio e di ordinato volume di carattere neogiottesco. La data del 1340 riportata nella ridipinta iscrizione viene peraltro confermata dai ricordi seicenteschi del pistoiese Felice Dondori, che per primo decifrò correttamente il patronimico di Pietro come Laurenti (Neri Lusanna, 1993).A questo momento, in prossimità della pala di Pistoia, si legano alcune opere: l'Ultima comunione della Maddalena, di ignota ubicazione, forse parte di un dossale dedicato alla santa (De Benedictis, 1979), i Ss. Pietro e Giovanni Battista, pannelli di polittico smembrato e con largo intervento della bottega (Roma, Mus. Vaticani, Pinacoteca), infine la Madonna con il Bambino, fortemente restaurata (Assisi, Sacro Convento), centro di polittico di cui un probabile laterale può riconoscersi in un pannello con S. Chiara (Athens, Georgia Mus. of Art). Dopo la pala di Pistoia si pone il complesso della Beata Umiltà eseguito per la chiesa del monastero femminile vallombrosano di Firenze. L'opera, dopo la distruzione del convento nel Cinquecento, passò alla chiesa di S. Salvi e poi nell'Ottocento agli Uffizi, dove giunse privata di due cuspidi, una perduta e una con Cristo benedicente (coll. privata), e di due tavolette con le Storie della santa (Berlino, Staatl. Mus., Pr. Kulturbesitz, Gemäldegal.). Nel 1841 il complesso venne sottoposto a restauro e a una scomposizione in seguito alla quale vennero rimosse le cuspidi e la predella. Ai piedi della santa e al posto di una storietta venne inserita una targa che riproduceva l'iscrizione originale con la data "A(NNO) MCCCXVI" che poteva leggersi 1316 oppure 1341 interpretando la V come una L. La vicenda critica dell'opera appare subito assai tormentata e controversa sia per la datazione sia per l'attribuzione. Giunta agli Uffizi con l'attribuzione a Buonamico Buffalmacco, fu riconosciuta a L. da Cavalcaselle (Crowe, Cavalcaselle, 1864) e da molti altri studiosi; alcuni invece (Dewald, 1929; Edgell, 1932; Brandi, 1933; Sinibaldi, 1933; Meiss, 1955) si orientarono verso un pittore fiorentino vicino allo stile del Maestro della S. Cecilia oppure a quello di Bernardo Daddi. Gli studiosi che hanno accettato l'attribuzione a L. si sono divisi in due schiere dibattendo la credibilità della data come si legge nell'iscrizione apocrifa; un'alternativa che comporta una diversa impostazione di fondo di tutto il percorso dell'artista. Alla lettura 1316 aderirono Berenson (1932), Toesca (1951), Carli (1956) e Cohn (1959); per quella 1341 Perkins (1912), Cecchi (1930), Longhi (1951), Volpe (1951b) e Oertel (1953). Cohn riconosceva come appartenenti al complesso tre cuspidi e la predella (Firenze, Uffizi), riesumando un disegno settecentesco che mostrava l'opera ancora integra; Marcucci (1961; 1965) verificava la disposizione originale delle storie visibili nel disegno che corrispondeva alla traccia fissata nella leggenda ufficiale della santa stabilita nel 1332, ritenendo che tale data divenisse perciò un valido post quem per l'esecuzione del complesso, che doveva perciò essere stato dipinto per ragioni di stile dopo il 1332 e prima del 1340. Un collegamento dell'immagine centrale della santa con la Madonna della pala di Pistoia risulta la prova più evidente della responsabilità dell'artista per tutta l'opera. In essa si notano peraltro contrasti di forma, sottili rimandi neogiotteschi, volumi profilati e pungenti, memori dei ritmi gotici di Ambrogio, che approdano a un sincretismo di accenti non più verificabile nel corpus di L., imputabile in parte all'intervento della bottega, cui vanno ascritti i santi della predella. Nella bottega dell'artista in questi anni dovevano essere presenti Ambrogio e alcuni pittori senesi come Lippo Vanni, che nella sua attività giovanile, e specie nelle miniature di un graduale, datate 1345 (Siena, Mus. dell'Opera della Metropolitana, 98-4), rimase fortemente influenzato dallo stile del maestro, come anche Niccolò di Ser Sozzo, prolifico miniatore e pittore.Problematica e non provata dallo stile la proposta (Il Gotico a Siena, 1982) che L., pur marcando con il suo stile la miniatura senese, si fosse cimentato nell'illustrazione libraria (De Benedictis, 1979; 1994). Una datazione avanzata verso gli anni 1340-1345 spetta al polittico smembrato - composto dalla Madonna con il Bambino (Firenze, Palazzo Vecchio, donazione Loeser), S. Caterina (New York, Metropolitan Mus. of Art), un santo vescovo (Fontainebleau, Coll. De Noailles), S. Giacomo Maggiore (La Spezia, Coll. Lia), S. Margherita (Assisi, Sacro Convento) e cuspidi con quattro santi (Praga, Národní Gal.; Laclotte, 1976) - e al dittico di Altenburg, fortemente ritoccato, con la Madonna con il Bambino e Cristo in pietà, che alla base del sepolcro reca la scritta "Petrus Laure(n)ti(i) de Senis me pi(n)xi[t]".L'ultima fase creativa di Pietro è caratterizzata da una ripresa del dialogo con l'arte giottesca e da un'apertura sia verso i ritmi profilati e pungenti del Gotico d'Oltralpe sia verso lo stile di Ambrogio. Una forte semplificazione formale, una dimensione grandiosa e nel contempo domestica, un gusto volutamente arcaizzante informano le opere estreme di L.: l'affresco frammentario con la Madonna in trono con il Bambino benedicente un guerriero presentato da s. Giovanni Battista (Siena, S. Domenico; Carli, 1960), che denuncia complesse ricerche spaziali mediate in parte da Ambrogio; il trittico di Washington (Nat. Gall. of Art), con la Madonna con il Bambino e le ss. Maddalena e Caterina, che reca una consunta iscrizione: "Petrus Laurentii de Senis me pi(n)xit An(no) D(omi)ni MCCCXL +"; il polittico a doppio ordine, di alta qualità, proveniente dalla chiesa di S. Giusto (Siena, Pinacoteca Naz.); la Madonna con il Bambino, centro di polittico, in origine a S. Bartolomeo a Castelnuovo Tancredi presso Buonconvento (Siena, Pinacoteca Naz.), eseguito con la collaborazione di aiuti (Volpe, 1951b); le due cuspidi con quattro santi (Oxford, Exeter College) e l'affresco con l'Annunciazione e sei santi di Castiglion del Bosco. L'affresco, consunto e ritoccato, che reca una scritta frammentaria, chiude coerentemente la carriera artistica di L.; nonostante l'ubicazione decentrata, una modesta chiesa del contado senese presso Bibbiano, dove nel 1342 il pittore comprava due pezzi di terra (Borghesi, Banchi, 1898), l'opera appare di forte respiro, eseguita con potente sicurezza spaziale e strutturale che si evidenzia nel padiglione neogiottesco dell'Annunciazione.Il merito di Pietro, come del fratello Ambrogio, risiede essenzialmente nell'avere contribuito in modo determinante alla elaborazione del linguaggio 'moderno' tipicamente italiano, né bizantino, né gotico, che aveva avuto inizio con Giotto. Spettò infatti a L. comporre in armonia le diverse sollecitazioni dell'arte senese, da Duccio a Simone Martini, nonché prendere piena consapevolezza del rivoluzionario stile di Giotto creando una visione pittorica di assoluta originalità nella quale si rispecchiarono non solo le sue peculiari inclinazioni, ma anche il clima spirituale della città nativa.

Bibliografia:

Fonti inedite. - Sigismondo Tizio, Historiarum Senensium ab initio urbis Senarum usque ad annum MDXXVIII (ms. del sec. 16°), Siena, Bibl. Com. degli Intronati B III 6.

Fonti. - G. Milanesi, Documenti per la storia dell'arte senese, I, Siena 1854; G. Vasari, Le Vite de' più eccellenti pittori scultori ed architettori, a cura di G. Milanesi, I, Firenze 1878, pp. 471-479; G. Della Valle, Lettere sanesi, II, Roma 1785 (rist. anast. Bologna 1975).

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