MENGOLI, Pietro

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 73 (2009)

MENGOLI, Pietro

Marta Cavazza

MENGOLI, Pietro. – Nacque a Bologna da Simone e da Lucia Uccelli secondo diversi studiosi nel 1625, ma più probabilmente nel 1626.

Quest’ultima data è dedotta da una testimonianza autobiografica secondo la quale dai 18 anni si dedicò per 14 anni a studi musicali, fino a comporre nel 1658 un trattato di musica a fini didattici, che non è pervenuto (Speculazioni di musica, Proemio; Fantuzzi, p. 9) e da una lettera scritta a meno di un mese dalla morte (giugno 1686) in cui si dichiara sessuagenario (La corrispondenza al P.M., p. 123).

Il 18 genn. 1650 conseguì la laurea in filosofia e il 6 giugno 1653 quella in diritto civile e canonico. Iniziò gli studi matematici sotto la guida di B. Cavalieri, dopo la morte del quale (1647) approfondì la conoscenza della geometria attraverso un carteggio (non rintracciato) con il reggiano G.A. Rocca, anch’egli allievo di Cavalieri e forse l’unico matematico italiano del tempo ad avere diretta conoscenza della Géométrie di R. Descartes e dell’algebra di F. Viète. Già prima di laurearsi, nel 1648-49, ottenne dal Senato bolognese di svolgere in casa, con un salario molto basso, lezioni di aritmetica. Dal 1650-51 il Senato gli assegnò una lettura ad mechanicas di nuova istituzione, che tenne fino al 1677-78. Dai programmi delle lezioni relative al 1654-55 (Series lectionum, Bononiae 1654) e al 1656-57 (Lectiones mechanicas, ibid. 1656) è possibile conoscere gli argomenti e gli autori di riferimento (Archimede, Pappo, Guldino, Galileo, Cavalieri, Baliani). Dal 1678 alla morte fu titolare della cattedra di matematica e astronomia che era stata di Cavalieri. Il periodo più fecondo della sua produzione matematica fu il decennio 1650-60, al quale risalgono le opere, tutte pubblicate a Bologna, Novae quadraturae arithmeticae (1650), Via regia ad mathematicas (1655), Geometriae speciosae elementa (1659), che suscitarono l’interesse dei matematici europei (da J. Collins a J. Wallis, J. Barrow, J. Gregory, G.W. Leibniz, J. Ozanam), ma gli valsero anche la fama di scrittore difficile, oscuro e confuso.

Dimenticate per lungo tempo, queste opere sono state riscoperte all’inizio del XX secolo da matematici e storici della matematica che hanno messo in luce il carattere innovativo di concetti e soluzioni, considerati non solo al passo con la più avanzata ricerca del tempo ma spesso anticipatori di idee e tecniche affermatesi solo nei secoli successivi. G. Eneström e G. Vacca hanno mostrato che il M. fu il primo a calcolare, nelle Novae quadraturae, serie infinite che non fossero proporzioni geometriche; a enunciare i concetti di convergenza e divergenza delle serie; a dimostrare che la serie armonica è divergente, risultato ridimostrato nel 1689 da J. Bernoulli, al quale è stata attribuita la priorità. Il posto spettante al M. nella storia del concetto di limite e di integrale definito è stato rivendicato da A. Agostini e da U. Cassina in base allo studio dei Geometriae speciosae elementa. Il contributo del M. alla storia della matematica è ampiamente riconosciuto da C.B. Boyer (pp. 426 s.), che sottolinea tra l’altro le scoperte relative alle proprietà delle serie infinite e la dimostrazione della convergenza dei numeri triangolari, generalmente attribuita a Chr. Huygens. Negli anni Ottanta del Novecento i rischi di decontestualizzazione di questo approccio sono stati rilevati da storici della filosofia e della scienza, che hanno sottolineato l’importanza della ricostruzione della rete di relazioni culturali del M. e dei suoi interessi matematici, logico-metafisici, religiosi e musicali (Baroncini, 1980 e 1986; Cavazza, 1980; Baroncini - Cavazza; Gozza, 1987 e 1990). In anni più recenti le opere del M. sono state studiate da storici della matematica (L. Pepe, E. Giusti, P. Nastasi, A. Scimone, M.R. Massa) particolarmente attenti alla ricostruzione dei collegamenti con gli autori precedenti o contemporanei. Giusti inquadra storicamente la prima opera del M., le Novae quadraturae, in cui prende chiaramente le distanze dalla teoria degli indivisibili di Cavalieri. La ricerca di un metodo più sicuro porta il M. a spingere all’estremo la precisione dei concetti, dando al suo percorso dimostrativo «il carattere di una costruzione strutturata assiomaticamente» (Giusti, p. 205). Secondo Giusti questa è una caratteristica costante dell’opera geometrica del M. che «se da una parte varrà a garantirgli un posto nella storia della matematica come anticipatore di esigenze di rigore che si manifesteranno solo due secoli più tardi, non mancherà dall’altra di sovraccaricare il suo stile di un formalismo tanto personale quanto ingombrante» (ibid., p. 215).

La Via regia ad mathematicas è un’operetta latina in distici elegiaci e dal taglio didascalico dedicata a Cristina di Svezia, alla quale fu personalmente presentata dall’autore in occasione del suo passaggio a Bologna nel 1655.

La sua importanza risiede nel fatto che in essa il M., sulle orme di Viète e distinguendosi sia da Cavalieri sia da E. Torricelli, considera l’algebra speciosa come una parte delle matematiche, alla stregua di aritmetica e geometria. Anche se il calcolo algebrico è presentato più come un’arte utile a dimostrare risultati conosciuti che a trovarne di nuovi, è notevole il fatto che il M. consideri l’algebra come un linguaggio simbolico. Solo nell’opera successiva il M. sviluppò il linguaggio algebrico di Viète come strumento per ottenere risultati nuovi (Massa, 2006, pp. 15-17). L’algebra rappresentò infatti una parte essenziale della sua opera matematica più corposa, Geometriae speciosae elementa, dove viene fatto un uso massiccio del calcolo letterale. In quest’opera il M. sviluppa un metodo originale per il calcolo delle quadrature, utilizzando l’innovativa teoria numerica delle «quasi-proporzioni». Pur essendo fortemente influenzato da Viète, fa un uso innovativo delle lettere, che gli permette di lavorare direttamente con l’espressione algebrica delle figure geometriche. Secondo Massa, il rapido oblio che negli ultimi decenni di vita e dopo la morte oscurò le opere e le idee del M. potrebbe essere dovuto, oltre che al suo linguaggio impervio, anche al fatto che la sua algebrizzazione della geometria era in contrasto con le pratiche matematiche ancora prevalenti alla fine del XVII secolo (Id., 1997, p. 278).

Dopo quest’opera, il M. abbandonò il genere di ricerche teoriche che l’aveva assorbito negli anni giovanili. Per un decennio non scrisse niente e quando, nel 1670, riprese a pubblicare, aveva notevolmente cambiato interessi e obiettivi. A determinare una svolta così decisa nella sua vita fu l’assunzione, nel 1660, della carica di parroco della chiesa di S. Maria Maddalena, in strada S. Donato e del connesso titolo di priore. Da un lato fu assorbito dai doveri pastorali e dai compiti di gestione della parrocchia, dall’altro le nuove responsabilità spirituali lo portarono a riflettere sui doveri del filosofo cattolico e a rivedere il ruolo delle matematiche nella propria enciclopedia del sapere. Diventarono centrali questioni filosofiche e religiose relative al rapporto tra ragione e fede, rivelazione e scienza, che soprattutto dopo la condanna di Galilei (1633) angosciavano i cultori cattolici di filosofia naturale e di astronomia. La matematica rimase un ingrediente portante dei suoi lavori, ma l’accento fu posto sulle applicazioni nel campo della musica, dell’astronomia e della cronologia, oppure, come nelle ultime due opere, Arithmeticae rationalis (Bononiae 1674) e Arithmetica realis (ibid. 1675) sull’ambizione di costruire su basi matematiche un intero sistema logico, fisico e metafisico, coronato da una teologia matematica, che fornisse una giustificazione razionale della fede cattolica tale da inglobare aspetti fondamentali del pensiero moderno, dall’atomismo ai principî meccanicisti della fisica cartesiana.

Le due opere che, pubblicate entrambe a Bologna, nel 1670 rompono il suo decennale silenzio, Refrattioni e parallasse solare e Speculationi di musica, esemplificano bene le nuove tendenze: non più ricerche di matematica pura, ma di matematiche miste, il tutto nel quadro di un preciso progetto apologetico della teologia cattolica e della verità della Sacra Scrittura. Se il metodo e le conclusioni della prima (in cui il M. metteva in dubbio la precisione della famosa meridiana di S. Petronio) suscitarono le severe critiche di G.D. Cassini (Cavazza, 1983, p. 58, e 1986, p. 38), la seconda incontrò l’interesse del segretario della Royal Society H. Oldenburg che, pur lamentandone l’oscurità di linguaggio, la recensì sulle Philosophical Transactions (1674), dove compariva anche una versione inglese della prefazione, intitolata Storia naturale della musica.

Oldenburg colse acutamente gli aspetti originali del trattato del M.: la particolare teoria del suono, il rifiuto della teoria della consonanza come coincidenza delle vibrazioni sonore avanzata da Galilei nei Discorsi (1638) e un’interessante fisiologia dell’orecchio, fondata sull’idea dell’esistenza, nell’orecchio interno, di un secondo timpano. Dopo secoli di oblio, in anni recenti l’interesse per le teorie musicali del M. si è risvegliato grazie agli studi di P. Gozza, che le ha inserite nel contesto dei dibattiti sul suono e la musica che impegnarono i filosofi naturali secenteschi (Gozza, 1987, pp. 33-36) e interpretate come un tentativo di sviluppare (e insieme rovesciare) l’approccio di Galilei alla musica da un lato con l’allargamento dello studio della consonanza all’indagine anatomica e fisiologica dell’udito, dall’altro con «la spiegazione del diletto della musica attraverso l’azione della mente» (Gozza, 1990, p. 97). Il M. usa il riferimento all’«osservazione sensata» e alle «dimostrazioni aritmetiche e meccaniche» per la «dimostrazione a parte obiecti dell’immortalità dell’anima e del suo potere di eternare il temporale nel senso» (ibid., p. 96). Sulla stessa scia interpretativa, un’analisi approfondita e dettagliata delle Speculationi mengoliane è offerta da F. Sergolini.

Una rara spiegazione autobiografica dell’abbandono degli studi di matematica pura compare nelle pagine iniziali del Circolo (Bologna 1672), dove il M. ricorda di aver trovato la quadratura del cerchio già nel 1660 e di avere aspettato tanti anni prima di farla conoscere a causa della decisione «di non voler più dare al mondo se non tanta geometria quanta mi basterà per le cose fisiche, stimando inutile tutto il sopra più».

Nel momento in cui scriveva «le regole de’ Solstizi e degli Equinozi», giudicava conveniente comunicare al pubblico la sua «invenzione». E ciò per essere «entrato in qualche speranza di ridurre, mediante questo problema della quadratura del circolo, la teorica del sole a solo tanti principi quanti se ne leggono nel primo capitolo del Genesi, e forse ancora tutto il sistema» (Circolo, pp. 1 s.).

L’obiettivo di dimostrare che la lettera della Bibbia è perfettamente conciliabile con i principî della fisica moderna è ribadito con forza nella Protesta dell’autore premessa all’Anno (Bologna 1673), giudicata da un contemporaneo, G. Corraro, l’opera di un «Cartesio papista» (cit. in Cavazza, 1986, p. 8). Nella stessa opera il M. avvertiva che la sua «teorica del sole» era solo «una particella», ancora informe, «d’un generale sistema […] di tutte le cose create e increate» (Anno, p. 78). Le opere successive al 1660 finora ricordate sono infatti preparatorie a un progetto di più ampio respiro filosofico, l’elaborazione di un sistema di teologia matematica mirante a fornire basi razionali alle verità della fede cattolica. La prima pietra del nuovo edificio è l’Arithmetica rationalis (Bononiae 1674), che ne rappresenta il preambolo logico.

Già quest’opera, divisa in quattro libri, o «elementi», apparve oscura e incomprensibile ai contemporanei, in particolare all’ambiente dei neoterici bolognesi. Invece per un lettore moderno come L. Pepe, almeno il primo libro, nel quale vede prefigurata «quasi una teoria degli insiemi ante litteram», dovrebbe essere assolto da tale accusa (1979, p. 202). Matteuzzi sostiene che anche gli altri «elementi» possono essere decodificati se si tiene conto che l’opera, come l’autore afferma chiaramente nella Praefatio, è «pensata come appartenente al campo della logica e, più precisamente, a un programma di matematizzazione della logica», inseribile «in quel filone che esploderà definitivamente solo con l’algebra della logica di Boole» (1980, pp. 82 s.).

La delicatezza dell’impresa e la consapevolezza del rischio di suscitare sospetti di eterodossia nell’Inquisizione romana spinsero il M. a cercare, nel 1675, un patrono autorevole nella persona del cardinale Leopoldo de’ Medici, dopo essere già entrato l’anno prima in rapporti epistolari con il potente bibliotecario mediceo A. Magliabechi.

Le 56 lettere a quest’ultimo (le cui risposte non sono pervenute) rappresentano la quasi totalità della corrispondenza sopravvissuta del M. e sono state pubblicate, assieme con poche altre, nel volume che raccoglie la sua corrispondenza (La corrispondenza di P.M.), nel quale mancano sette lettere inviate ad A. Marchetti, pubblicate in seguito da Giusti (1980).

Il carteggio con Magliabechi permette di seguire da vicino la gestazione e la pubblicazione dell’Arithmetica realis (solo la prima decas, il resto rimase manoscritto). L’opera uscì nel 1675, poco dopo la morte del cardinale, al quale è dedicata e che l’aveva promossa con convinzione. Fu un insuccesso, dovuto certamente anche alla fama di scrittore oscuro ed enigmatico del M., fama confermata dallo stile e dai temi del libro. Il M. stesso nel 1676 scrive a Magliabechi che le sue opere «sono in concetto di non potersi leggere» (La corrispondenza di P.M., p. 93). Come ha mostrato Baroncini (1986), analizzando la struttura, i contenuti, il linguaggio e le ascendenze filosofiche della Praefatio (divisa in logica e physica) e dei dieci Numeri (capitoli), l’opera paradossalmente non corrisponde all’idea che il M. stesso ne aveva dato nelle lettere al cardinale Leopoldo e a Magliabechi, non rientra cioè nel genere delle dimostrazioni more geometrico delle verità di fede. Il M. «non si limita affatto a manipolare secondo la logica geometrica i concetti delle cose divine, bensì costruisce i concetti delle cose divine secondo una complessa prospettiva platonica» (Baroncini, 1986, p. 157). Nel testo, «risultato di una vasta ricerca e mediazione culturale e di una inconsueta tensione speculativa» (ibid., p. 158), confluiscono diverse tradizioni, pagane e cristiane, di pensiero logico e metafisico, da Alano di Lilla al lullismo, al razionalismo teologico di Duns Scoto e di s. Anselmo, alla tradizione neoplatonica, cioè Proclo e in particolare s. Dionigi l’Aeropagita (per lui non ancora diventato lo Pseudo-Dionigi), il suo traduttore Giovanni Scoto Eriugena, l’ermetismo e infine la demonologia, tema centrale tanto nella tradizione neoplatonica che in quella ermetica. Non mancano nemmeno, specie nella prefazione, richiami all’atomismo, alla filosofia chimica, al cartesianesimo, al concordismo aristotelico-democriteo. Il suo «grandioso progetto metafisico» mirante a ricomporre la crisi della cultura cattolica «mediante una traduzione e riscrittura more Pythagorico et geometrico del sapere scientifico e teologico» era destinato a essere ignorato, quando non irriso, in quanto si muoveva in una direzione opposta alle tendenze prevalenti nella cultura dell’Italia postgalileiana, orientate verso la prudente separazione del campo della scienza non solo dalla teologia, ma anche dalla filosofia e dalla metafisica (ibid., p. 187). Il carteggio con Magliabechi documenta efficacemente sia le letture del M. sia il suo crescente isolamento non solo rispetto alla comunità universitaria bolognese, ma anche rispetto alla nascente comunità dei matematici europei. Diverse lettere riguardano infatti le sue risposte a sfide matematiche provenienti dal Nord Europa, in particolare la richiesta avanzata da J. Ozanam di risolvere due problemi diofantei e il tentativo di Magliabechi di coinvolgerlo nelle polemiche sui cosiddetti «problemi dell’Olandese» sui quali si erano cimentati invano e con grandi scontri intestini i matematici italiani, da Marchetti a Viviani. Sugli ultimi il M. si defilò, mentre pubblicò prima (Theorema arithmeticum, Bononiae 1674) una soluzione negativa del problema dei sei quadrati, cioè una dimostrazione dell’impossibilità di risolverlo, poi, dopo aver visto la soluzione di Ozanam (posta, priva del procedimento, in calce alla riedizione del Theorema arithmeticum, con il titolo Cui respondit sub finem Iacobus Ozanam…, a Parigi nel 1674), una seconda soluzione corretta, ma empirica, inserita nell’Arithmetica rationalis. Di un secondo problema inviatogli da Ozanam il M. descrive diversi fallimentari tentativi di soluzione nella Arithmetica realis. Nastasi e Scimone (1994) analizzano accuratamente il caso, confrontando l’approccio del M. e quello di Leibniz agli stessi problemi. Ricordando che lo stesso M. in una lettera confessa di non essere più da tempo «in essercizio di algebra» (La corrispondenza di P.M., p. 123), concludono che in realtà questi cimenti mettevano a nudo l’arretratezza sua e degli altri matematici italiani del tempo, la loro scarsa familiarità con i metodi algebrici, il loro isolamento provinciale. Probabilmente Ozanam aveva interpellato il M. sull’onda della reputazione di «excellent mathematician» (Collins a Newton, 1670, cit. in Nastasi - Simone, p. 22) da lui guadagnata in Europa con le opere giovanili. Tuttavia le risposte ai suoi quesiti rivelano che le promesse di futuri sviluppi in esse contenute e riconosciute da tanti studiosi non erano state mantenute.

Il M. morì a Bologna il 7 giugno 1686.

Fonti e Bibl.: Philosophical Transactions, VII, 1672, pp. 5001 s.; VIII, 1673-74, pp. 6194-7000; G. Fantuzzi, Notizie degli scrittori bolognesi, VI, Bologna 1788, pp. 9-11; P. Riccardi, Biblioteca matematica italiana, I, Modena 1873 (rist. an. Milano 1952), pp. 150-152; G. Eneström, Zur Geschichte der Reihen in die Mitte des siebzehnten Jahrhundert, in Biblioteca mathematica, III (1912), pp. 135-148; G. Vacca, Sulle scoperte di P. M., in Atti dell’Accademia nazionale dei Lincei. Rendiconti, s. 5, XXIV (1915), pp. 508-515 e 617-20; A. Agostini, La teoria dei limiti in P. M., in Periodico di matematiche, s. 4, V (1925), pp. 18-30, 137 s.; U. Cassina, Il concetto di limite in Luca Valerio e P. M., in Collectanea mathematica. Pubblicazioni dell’Istituto di matematica dell’Università di Milano, CCIV (1960), pp. 8-18; C.B. Boyer, Storia della matematica, Milano 1976, pp. 426 s.; L. Pepe, L’elemento primo dell’«Aritmetica razionale» di P. M., in Bollettino U.M.I., s. 5, sez. A, XVI (1979), pp. 201-209; G. Baroncini, Un itinerario galileiano: P. M. dalla meccanica alla teologia matematica, in Atti della Accademia delle scienze dell’Istituto di Bologna, classe di scienze morali, Memorie, LXXVII (1980), pp. 23-56; M. Cavazza, L’«oscurità» di P. M. e i suoi difficili rapporti con i contemporanei, ibid., pp. 57-78; M. Matteuzzi, P. M. e l’algebra della logica, ibid., pp. 79-98; L. Pepe, Note sulla diffusione della Géométrie di Descartes nel 600 in Italia, in Bollettino di storia delle scienze matematiche, II (1982), 2, pp. 249-288; La corrispondenza di P. M., a cura di G. Baroncini - M. Cavazza, Firenze 1986, pp. 189-191 (con elenco dei manoscritti e delle opere a stampa); G. Baroncini, L’Arithmetica realis di P. M., ibid., pp. 155-188; M. Cavazza, Introduzione, ibid., pp. 1-22; P. Gozza, La musica nella filosofia naturale del Seicento in Italia, in Nuncius. Annali di storia della scienza, I (1986), 2, pp. 13-38; Id., Atomi, «spiritus», suoni: le «Speculationi di musica» (1670) del «galileiano» P. M., ibid., V (1990), 2, pp. 75-98; E. Giusti, Sette lettere di P.M. ad A. Marchetti, in L’edicazione matermatica, XI (1990), suppl., pp. 1-12; Id., Le prime ricerche di P. M.: la somma delle serie, in Geometry and complex variables…, a cura di S. Coen, New York 1991, pp. 195-213; P. Nastasi - A. Scimone, P. M. and the six-square problems, in Historia mathematica, XXI (1994), 1, pp. 10-27; M.R. Massa, M. on «Quasi Proportions», in Historia mathematica, XXIV (1997), pp. 257-280; Id., L’algebrització de les matemàtiques. P. M. (1625-1686), in Colloquis d’història de la ciencia i de la tècnica, V, Barcelona, 2006, pp. 7-33; Id., Estudis matemàtics de P. M. (1625-1686): taules triangulars i quasi proporcions com a desenvolupament de l’àlgebra de Viète, Barcelona, 1998; Id., La théorie euclidienne des proportions dans les «Geometriae speciosae elementa» (1659) de P. M., in Revue d’histoire des sciences, LVI, (2003), 2, pp. 457-474; Id., Algebra and geometry in P. M. (1625-1686), in Historia mathematica, XXXIII (2006), pp. 457-474; F. Sergolini, La costruzione musicale del sapere: le Speculationi di musica (1670) del matematico P. M., diss., Università di Bari, 2007; Enciclopedia Italiana, XXII, p. 585; Dictionary of scientific biography, IX, pp. 303 s.

M. Cavazza

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