OTTOBONI, Pietro

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 79 (2013)

OTTOBONI, Pietro

Flavia Matitti

OTTOBONI, Pietro. – Nacque a Venezia il 2 luglio 1667, unico figlio di Antonio e di Maria Moretti, cittadina veneziana.

La famiglia Ottoboni si era distinta nelle vicende veneziane dalla fine del XV secolo, sia combattendo contro i turchi sia ricoprendo importanti incarichi nell’amministrazione della Repubblica. Nel 1588, per i servizi resi nel corso di ambascerie compiute per conto della Serenissima, ottenne dall’imperatore Rodolfo II il privilegio di poter inserire l’aquila imperiale nel proprio stemma. Nell’agosto 1646 fu iscritta nel Libro della nobiltà veneziana, ma questo successo sociale ebbe ripercussioni disastrose sulle sue finanze. Attori della costosa aggregazione al patriziato furono Marco e i suoi quattro figli: Marcantonio, Giovan Battista, Agostino e Pietro. Quest’ultimo, creato cardinale nel 1652 da Innocenzo X Pamphilj, vegliò costantemente sulle sorti dei familiari, in particolare sanando, a più riprese, gli ingenti debiti contratti dai figli di suo fratello Agostino: Antonio, padre di Pietro, e Marco.

Antonio in pochi anni sperperò il patrimonio al gioco. Nell’Instromento d’accollatione de’ debiti fatto dall’Eminentissimo Pietro Ottoboni poi Alessandro VIII, col quale nel 1680 il cardinale intervenne in aiuto della casata, il giovane pronipote Pietro è detto addirittura costretto «alla mendicità» (Menniti Ippolito, 1996, p. 151).

Nel maggio 1681, non ancora quattordicenne, Ottoboni lasciò la città natale per trasferirsi a Roma, dove il prozio cardinale lo prese ad abitare con sé in palazzo S. Marco (Palazzo di Venezia), di proprietà della Serenissima, e provvide alla sua educazione. A Roma studiò legge con il giurista Giuseppe Carpani e si dedicò con passione alla musica e alla poesia, fondando intorno al 1688 un’accademia letteraria nel palazzo, detta Accademia dei Disuniti. È evidente che il cardinale non aveva intenzione di indirizzare il pronipote alla carriera ecclesiastica, come dimostra la trattativa avviata intorno al 1685 con il nobile veneziano Antonio Basadonna per farlo sposare con una delle sue figlie. Il progetto sfumò perché le condizioni economiche dei Basadonna si rivelarono altrettanto drammatiche di quelle degli Ottoboni.

Risale a quell’epoca la Lettera d’un nobile catolico repubblichista scritta da Antonio al figlio, per metterlo in guardia dalle insidie legate alla vita politica e sociale veneziana, in un momento in cui questi sembrava appunto in procinto di tornare definitivamente a Venezia. Ma il vero destinatario della Lettera, molto celebrata in ambito veneziano, tanto da essere pubblicata a stampa nel 1712, era in realtà lo zio cardinale, al quale Antonio voleva così dimostrare di essersi finalmente ravveduto.

Al momento dell’elezione al soglio pontificio di Pietro (Alessandro VIII), avvenuta il 6 ottobre 1689, si stava combinando il matrimonio tra Ottoboni e una nipote del cardinale Flavio Chigi, ma l’evento offrì improvvisamente nuove opportunità alla famiglia e a Ottoboni stesso, tra cui quella di assumere la funzione di cardinal nipote. Fu così che, d’accordo con il prozio, rinunciò al matrimonio per abbracciare la carriera ecclesiastica. Il 7 novembre 1689, all’età di 22 anni, Alessandro VIII lo nominò cardinale diacono e pochi giorni dopo gli diede l’incarico di vicecancelliere della Chiesa, carica a vita che dava diritto a risiedere nel palazzo della Cancelleria, di proprietà della Camera Apostolica.

Qui Ottoboni fece trasportare la ricca collezione d’arte, che incrementò negli anni, e la famosa biblioteca del prozio, cui presto si aggiunsero parte dei libri e manoscritti appartenuti alla regina Cristina di Svezia e alla famiglia Altemps. Assunse allora come bibliotecario l’erudito veronese Francesco Bianchini, scienziato, matematico e archeologo; come segretario ebbe l’abate senese Lodovico Sergardi, cultore della poesia latina; e per maestro di camera il marchese Ottavio Riario, proprietario del palazzo alla Lungara, dove aveva abitato la regina Cristina di Svezia e dove, nel giardino, dal 1690 si sarebbe riunita l’Accademia degli Arcadi.

Ottoboni fondò o fece parte di numerose accademie tra cui, oltre all’Accademia dei Disuniti, che poi fu detta, in omaggio al suo fondatore, Ottoboniana e a cui partecipò col nome di Crateo Pradelini (anagramma di «cardinale Pietro»), quelle degli Infecondi, della Crusca e dell’Arcadia, cui aderì nel 1695 con il nome di Crateo Ericinio Pastore e che, divenutone protettore, dal 1712 ospitò alla Cancelleria per l’annuale incontro natalizio. Nel 1702 fu nominato accademico d’onore di S. Luca. Nel 1703 presentò al papa Clemente XI Albani il progetto, mai realizzato, di una nuova accademia, l’Accademia Albana, la quale «avrebbe dovuto formare una sorta di homo novus di inizio secolo, che fosse al contempo artista, letterato e mondanissimo cortigiano» (Manfredi, 2007, p. 117). La nuova accademia, che avrebbe dovuto inglobare quella di S. Luca, era pensata per «creare una figura di artista interdisciplinare il quale, adeguatamente applicato nelle lettere e nella musica, ma anche nelle discipline ‘mondane’ come l’equitazione, il ballo e la scherma, avrebbe dovuto interpretare artisticamente anche la vita di società. Con il duplice intento di distogliersi da ogni “altro inutile o vile trattenimento”, e soprattutto di contribuire a risolvere la contraddizione interna della componente secolare della corte papale “unicamente applicata alla disciplina degl’Ecclesiastici”» (ibid., p. 124).

In quanto vicecancelliere, Ottoboni ricevette, prima in titolo poi in commenda, la basilica di S. Lorenzo in Damaso, annessa alla Cancelleria. Ogni anno, il giovedì grasso, in occasione della festa delle Quarantore, si fece carico delle spese relative all’apparato effimero e a tutto l’occorrente per la processione. La realizzazione della macchina per l’esposizione dell’ostia fu affidata, negli anni, ad architetti e artisti diversi, tra cui Giovanni Francesco Pellegrini, Nicola Michetti, Angelo De Rossi, Ludovico Rusconi Sassi, Alessandro Mauri e Giovan Battista Oliviero con il pittore Ginnesio del Barba. Nella basilica Ottoboni fece poi restaurare dall’architetto ticinese Rusconi Sassi la cappella del Sacramento, eletta a propria sepoltura (decorata da Andrea Casali, venne consacrata nel 1736), e affidò all’architetto Domenico Gregorini i lavori di rifacimento della confessione sotterranea, conclusi nel 1737. Dotò la parrocchia di S. Lorenzo in Damaso di una farmacia che distribuiva gratuitamente medicinali ai poveri, assistiti anche da un medico e da un chirurgo.

Frattanto Alessandro VIII lo aveva nominato segretario dei Memoriali, soprintendente generale di tutto lo Stato Ecclesiastico e legato d’Avignone (1690). Ottenne anche ricche abbazie nello Stato di Milano, nel territorio della Repubblica di Venezia, nel Regno di Napoli e nello Stato della Chiesa. Tra queste ebbe sempre particolarmente a cuore l’abbazia di S. Paolo ad Albano (Roma), dove dal 1690 prese l’abitudine di trascorrere la villeggiatura organizzando festini, recite di burattini, conviti e serenate.

Tra il 1690 e il 1693 per decorare i propri appartamenti alla Cancelleria impiegò, oltre all’architetto e pittore-decoratore veneziano Domenico Paradisi e ai romani Michelangelo Cerruti e Michelangelo Ricciolini, una schiera internazionale di pittori. Alcune stanze vennero dipinte con finti arazzi raffiguranti episodi tratti dalla Gerusalemme Liberata del Tasso, che negli anni Trenta del Settecento furono sostituiti da arazzi veri, fatti tessere a Parigi, Bruxelles e Roma sul modello di quelli finti. In questi primi anni lavorarono per Ottoboni anche l’architetto decoratore Simone Felice Delino e il conte torinese Carlo Enrico Sanmartino, al quale in seguito affidò il progetto per la tomba del prozio in S. Pietro, in collaborazione con lo scultore genovese Angelo De Rossi. Il monumento funebre venne completato solo più tardi e inaugurato nel 1725.

Tra i pittori prediletti vanno annoverati il celebre, ma ormai anziano, Giovan Battista Gaulli, che morì nel 1709, e Francesco Trevisani, che entrò ufficialmente a far parte della corte del cardinale nel 1705, pur avendo cominciato a lavorare per lui già dagli ultimi anni del Seicento. Trevisani realizzò, tra l’altro, diversi ritratti di Ottoboni, tra i quali spicca il dipinto, «in tela da Imperatore», eseguito forse verso il 1698, oggi conservato a Durham, Barnard Castle, The Bowes Museum (Olszewski, 2004B, p. 21; Petrucci, 2010, I, pp. 356-357, III, pp. 908-911). Nel 1724 entrò ufficialmente al servizio del cardinale anche Sebastiano Conca, già impiegato da Ottoboni in precedenza. Numerosissimi, poi, furono gli artisti che ricevettero commissioni, tra i quali Carlo Maratti, Giuseppe Passeri, Giuseppe Chiari, Benedetto Luti, Andrea Locatelli, Girolamo Pesci, Giuseppe e Pier Leone Ghezzi, Gaspar van Wittel, Giuseppe Maria Crespi, che nel 1712 dipinse per Ottoboni la serie dedicata a I Sette Sacramenti (Dresda, Gemäldegalerie), e Corrado Giaquinto. Nella sua collezione figurava, tra l’altro, un centinaio di paesaggi di Gaspard Dughet, considerati allora una delle attrazioni della Cancelleria.

Ma ancora più vasti furono gli interessi teatrali e musicali del cardinale. Nel corso degli anni si circondò di compositori e strumentisti del calibro di Matteo Fornari, Bernardo Pasquini, Giovanni Lorenzo Lulier, Alessandro Scarlatti, Giuseppe Ottavio Pitoni (dal 1694 al 1721 organista e maestro di cappella in S. Lorenzo in Damaso), Flavio Carlo Lanciani, Filippo Amadei e Giovanni Battista Costanzi, oltre a numerosi cantanti, tra cui il celebre soprano (evirato) Andrea Adami da Bolsena. Anche il giovane Händel durante il suo soggiorno romano (1707-09) frequentò la corte di Ottoboni, così come Antonio Vivaldi in occasione delle stagioni operistiche a Roma del 1723 e 1724. Tuttavia fu soprattutto Arcangelo Corelli, al servizio del cardinale come primo violino e direttore dei concerti per molti anni e fino alla morte, avvenuta nel 1713, a legare maggiormente il proprio nome a quello di Ottoboni. Con Corelli e Adami il cardinale condivise anche la passione per il collezionismo. Va notato come Adami, Corelli, Scarlatti e Trevisani, ossia alcuni tra i personaggi più vicini a Ottoboni, coltivassero anche interessi letterari, che andavano ben al di là del loro specifico campo d’azione. La comune passione per le lettere, e in particolare il rapporto con l’Arcadia, potrebbero offrire una chiave interpretativa, ancora tutta da approfondire, per giungere a comprendere a fondo le scelte artistiche del cardinale.

Tra i principali drammi per musica scritti dallo stesso Ottoboni si ricordano La Statira, composta da Alessandro Scarlatti, con la quale nel 1690 riprese l’attività il Teatro Tordinona; il Colombo overo L’India scoperta, dato lì l’anno dopo con musica di Bernardo Pasquini; il Costantino Pio, musicato da Carlo Francesco Pollarolo e recitato nel 1710 al Teatro della Cancelleria; Teodosio il giovane, con musiche di Filippo Amadei, dato l’anno seguente alla Cancelleria; il Ciro, rappresentato alla Cancelleria nel 1712 con musiche di Scarlatti, e il Carlo Magno, musicato da Giovanni Battista Costanzi e recitato nel 1729 alla Cancelleria per festeggiare la nascita del Delfino di Francia. Tra gli oratori si segnalano La Giuditta ‘di Napoli’ (1694), il San Filippo Neri (1705), Il martirio di santa Cecilia (1708-09) e La Passione di N.S. Gesù Cristo (1709) di Scarlatti. Dal 1689 al 1726 il cardinale tenne al suo servizio monsignor Arcangelo Spagna, il principale teorico del genere dell’oratorio.

Nel 1709 Ottoboni fece erigere alla Cancelleria un teatro di rappresentanza dal giovane architetto messinese Filippo Juvarra, entrato ufficialmente al suo servizio quello stesso anno. Alla corte cardinalizia di Ottoboni, Juvarra svolse sia l’attività di architetto teatrale, sia quella di incisore per i numerosi progetti editoriali promossi dal porporato, fino al 1714, anno in cui passò al servizio di Vittorio Amedeo II di Savoia in qualità di primo architetto civile del regno sabaudo. «Poiché il vicecancelliere pro-tempore era solo usufruttuario del palazzo, questo, alla sua morte, doveva esser sgomberato e consegnato al successore: nello sgombro, fu venduto per 150 scudi il teatro di rappresentanza. E così scomparve dopo un solo trentennio (1710-1740) la più cospicua fucina romana dell’arte teatrale nella prima metà del XVIII secolo, testimonianza della vita spirituale e delle predilezioni del cardinale Ottoboni» (Schiavo, 1972, p. 350).

Anche nei quasi cinquant’anni di cardinalato che seguirono la morte di Alessandro VIII (1° febbraio 1691), Ottoboni riuscì a imporsi da protagonista nel panorama culturale del suo tempo. Spese un’immensa fortuna per comprare e commissionare opere d’arte, finanziare spettacoli teatrali, concerti, accademie, banchetti, apparati effimeri e restauri, ma il giudizio dei contemporanei sul suo operato appare controverso: per alcuni fu un grande mecenate, mentre per altri fu solo lo sperperatore del patrimonio di famiglia e delle favolose rendite ecclesiastiche conferitegli dal prozio, rendite che furono, oltretutto, incrementate dai papi successivi per salvarlo dal sempre incombente tracollo finanziario.

Francis Haskell definisce Ottoboni «the most adventurous patron of the time» e il suo palazzo alla Cancelleria «the centre of the most enlightened and extravagant patronage in Rome» e riconosce l’importanza della sua influenza sull’ultimo decennio del Seicento e i primi quarant’anni del Settecento, paragonandolo al ruolo svolto dai Barberini nella prima metà del Seicento (1963, pp. 163 s.).

Se appare indubbio il ruolo chiave esercitato da Ottoboni nella vita culturale romana, resta tuttora poco indagato l’effettivo peso che ebbe nella vita politica del suo tempo. Anche gli incarichi e i benefici di cui godette si moltiplicarono dopo la morte di Alessandro VIII. Nel 1692 divenne protettore della Compagnia dei Virtuosi al Pantheon. Nel 1700 Clemente XI Albani lo nominò protettore del Collegio dei cantori della Cappella pontificia e nel 1702 gli conferì l’arcipretura della basilica di S. Maria Maggiore. Nel 1705 entrò nella Congregazione dell’oratorio di s. Filippo Neri e ottenne dai padri della Chiesa Nuova due stanze nel loro convento dove poter ritirarsi a fare gli esercizi spirituali. Nel 1709 il re Luigi XIV gli concedette la carica di protettore degli affari della Corona di Francia.

L’incarico suscitò la violenta reazione della Repubblica di Venezia, che vietava ai suoi nobili di schierarsi apertamente a favore di un principe o di un sovrano. Gli Ottoboni vennero quindi radiati dall’albo della nobiltà, con conseguente confisca dei beni. Il dissidio con la Serenissima venne ricomposto solo nel 1720 e la famiglia fu reintegrata nei suoi privilegi e onori.

Nel luglio 1724 fu ordinato sacerdote da Benedetto XIII e per la prima volta celebrò messa nella basilica di S. Maria Maggiore. Dal 1725 al 1730 fu vescovo di Sabina. Nel 1726 fu nominato segretario del S. Uffizio. Fu anche gran priore gerosolimitano d’Irlanda. Nel 1730 lasciò l’arcipretura di S. Maria Maggiore per quella di S. Giovanni in Laterano, dove legò il proprio nome alla nuova facciata. Dal 1730 al 1734 fu vescovo di Frascati, poi dalla fine del 1734 al 1738 fu vescovo di Porto e S. Rufina, quindi passò al vescovado di Ostia e Velletri, che conservò fino alla morte.

Morì a Roma il 28 febbraio 1740.

Il cronista Francesco Valesio commentò: «Non gli furono ritrovati denari, essendo morto carico di debiti» (1981, p. 316). Per soddisfare i molti creditori, i suoi beni furono venduti dagli eredi.

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