PALMAROLI, Pietro

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 80 (2014)

PALMAROLI, Pietro

Antonella Gioli

PALMAROLI, Pietro. – Nacque a Roma il 2 giugno 1767 da Girolamo Pasquale, originario di Fermo, e dalla sua seconda moglie, Maria Caterina Panzironi, primo di otto fratelli tra cui Gregorio (1776), incisore di gemme. La famiglia abitò nell'Isola del Soldato, nei pressi di piazza Navona, fino alla morte del padre il 9 febbraio 1788.

Il 10 ottobre 1798 sposò Elisabetta Muñoz con la quale ebbe undici figli. Cambiò più volte abitazione rimanendo sempre nell’area tra Trinità dei Monti, piazza Barberini e il Corso, uno dei centri del mercato artistico romano.

Dal 1800 al 1810 abitò in strada Gregoriana; nel 1813-14 in via del Tritone; nel 1816 in strada Felice; dal 1817 alla morte in via del Lavatore. Nel 1799 aveva il proprio studio in strada Gregoriana; il 21 febbraio 1809 affittò «alle Stalle Barberini» le ampie «tre stanze terrene a mano manca nell’ingresso del Palazzetto in via delle Quattro Fontane» (Silvestro, 2006, pp. 168 s.), nel cui complesso erano anche altri studi; dopo la morte, i locali passarono al figlio maggiore Felice, pittore.

Ignota la formazione, le prime notizie danno Palmaroli attivo sul mercato artistico: tra il 1804 e il 1810 ottenne sedici licenze d’esportazione per più di centoventicinque quadri, molti «antichi», con tasse per complessivi 2920 scudi. È presumibile che prima di inviarli sottoponesse i quadri a una revisione ‘cosmetica’: nel 1809, infatti, il Catalogo degli artisti stabiliti, o attualmente dimoranti in Roma, pubblicato nelle Memorie enciclopediche romane sulle belle arti, antichità ec, lo cita tra i «Ristauratori di pitture» (IV, p. 148).

Punto di svolta perla sua carriera fu lo ‘stacco’, procedimento da lui messo a punto, e il restauro del celebre affresco Deposizione di Cristo dalla Croce dipinto da Daniele da Volterra nella cappella Orsini della chiesa della Trinità dei Monti, effettuato dal 1809 al 1812.

Il problema del degrado dell’affresco – alterazione dei colori, affioramento di sali, friabilità della pittura, decoesione degli strati di supporto per umidità e danneggiamenti – e del suo distacco, anche in previsione del suo trasferimento a Parigi, venne posto già nel 1798 dalle autorità francesi. Dopo un malriuscito tentativo di distacco, il crollo della copertura della cappella, le occupazioni militari e i saccheggi, nel 1806 l’Accademia di Francia, visto il buon esito di un saggio di stacco dell'affrescocon lo Sposalizio della Vergine sulla volta dell'antistante cappella Della Rovere, opera di Pellegrino Tibaldi e Marco Pino, affidò la Deposizione a Palmaroli e al suo procedimento di stacco in pezzo unico con intonaco e arriccio:nel clima di esperimenti e dibattiti nel mondo degli ‘estrattisti’, una tecnica intermedia tra il tradizionale trasporto a massello e la recente moda dello strappo. Nel marzo-luglio 1809 staccò l’affresco dal muro con tela, seghe e ferri, ne assottigliò l’intonaco sul verso, lo incollò su tela con pece e cera, lo montò su un telaio; quindi la superficie pittorica venne pulita, ampiamente integrata e coperta con un ‘encausto’ utile anche per ravvivare i colori. In linea con il gusto dell’epoca e con altri interventi di Palmaroli, il complesso restauro indebolì i valori materici dell’affresco avvicinandolo a un quadro a olio. Palmaroli lavorò alla Deposizione in un locale nel palazzo dell’Accademia di Francia al Corso dove gli fecero visita nel 1810 Giuseppe Antonio Guattani e, nel 1811, Stendhal; il primo lodòl'intervento e pubblicò una lettera di Palmaroli che lo descriveva nelle Memorie enciclopediche romane sulle belle arti, antichità ec (V, 1811, pp. 126-128);il secondo, in Proménades dans Rome (1829, ed. 2004, pp. 214 s.) ricordò come Palmaroli avesse prolungato il restaurodell’affresco per impedirne il trasferimento a Parigi. Il 30 gennaio 1812 ricevette il saldo dei complessivi 4.500 scudi per l'intervento. I risultati non furono però del tutto soddisfacenti: nel giugno 1817 l’affresco tornò per qualche mese nel suo studio; nel 1822 Vincenzo Camuccini lo pulì soprattutto dall’ingiallito strato oleo-resinoso steso dal restauratore e disapprovato da, tra gli altri, Leopoldo Cicognara.

Nonostante qualche critica isolata, Palmaroli si impose così sulla scena romana.

Nel 1813 fu autore delle Note al Saggio analitico-chimico sopra i colori minerali e mezzi di procurarsi gli artefatti gli smalti e le vernici... (Roma 1813) di Lorenzo Marcucci, frutto di attenta conoscenza della tecnica pittorica di scuole ed artisti. Dal settembre 1814 all’agosto 1824 fu impegnato, insieme a Giuseppe Candida, nell’ampia campagna di restauri progettata e diretta da Camuccini, neo ispettore alla Conservazione delle pubbliche pitture, con la quale papa Pio VII Chiaramonti inaugurava una nuova politica di tutela. Palmaroli intervenne su circa venticinque tra affreschi, dipinti murali e quadri in importanti chiese di Roma, talvolta rivendicando la propria autonomia nell'ambito dei generali contrasti tra enti ecclesiastici, Accademia di S. Luca e Ispettorato.

Tra le principali opere restaurate si ricordano: in S. Agostino l’affresco di Raffaello Profeta Isaia; nella cappella di S. Caterina in S. Clemente gli affreschi di Masolino; negli oratori di S. Silvia e S. Andrea presso S. Gregorio al Celio gli affreschi di Guido Reni Dio Padre e angeli musicanti e S. Andrea condotto almartirioe del Domenichino Flagellazione di s. Andrea; in S. Maria degli Angeli il Martirio di s. Sebastiano del Domenichino già trasportato da S. Pietro; in S. Maria della Pace gli affreschicon Profeti allora dati a Timoteo Viti e Sibille di Raffaello – interventi assai lodati da Carlo Fea che pubblicò la relazione di Palmaroli sul restauro nel suo Prodromo di nuove osservazioni e scoperte fatte nelle antichità di Roma... (Roma 1816, pp. 43-45) – e la Presentazione della Vergine al tempio di Baldassare Peruzzi; in S. Maria del Popolo la Natività della Vergine di Sebastiano del Piombo; in S. Maria della Vittoria la Madonna porge il Bambino a s. Francesco del Domenichino; in S. Pietro in Montorio l’olio su muro Flagellazione di Cristo e altri dipinti di Sebastiano del Piombo.

Per il Camerlengato intervenne nel 1820-21 nei palazzi Vaticani nelle Stanze di Raffaello e nella cappella Niccolina di Beato Angelico, uno dei pochi restauri di opere del Quattrocento. Lavorò inoltre intensamente per committenze private.

Ad esempio, per il diplomatico austriaco Ludwig von Lebzeltern restaurò il Cristo e la Samaritana di Francesco Albani e l’Incoronazione di spine di Caravaggio già in collezione Giustiniani; per Luciano Bonaparte e i Barberini diversi quadri tra cui, rispettivamente, la Madonna dei candelabri e la Fornarina di Raffaello; per l'agente d'arte James IrwineBacco e Arianna di Tiziano. Inoltre, per i Borboni staccò e restaurò, sotto la direzione di Camuccini, tre affreschi di soggetto mitologico eseguiti dal Domenichino nel casino della Morte annesso al palazzo Farnese di Roma; su incarico dell’imperatore Francesco I intervenne in S. Maria dell’Anima, chiesa nazionale della comunità tedesca, sulla tavola di Giulio Romano Madonna col Bambino e santi, la cui relazione Restaurazione di un Quadro di Giulio Romano fu pubblicata e lodata sul Giornale arcadico di scienze, lettere, ed arti (III, 1819, pp. 413-415).

Con l'incarico – perorato da Johann Gottlob von Quandt nell’ambito di un intenso dibattito – di restaurare i dipinti della Galleria di Dresda, Palmaroli raggiunse fama europea. In poco più di un anno, dal 20 giugno 1826 alla fine di agosto 1827, aiutato dal primogenito, restaurò cinquantaquattro quadri della Galleria e quattro della chiesa di corte.

Tra i principali dipinti restaurati, l’Adorazione dei pastori (La Notte) di Correggio, il Cristo della moneta di Tiziano e altri quattordici capolavori provenienti dalla collezione estense di Modena acquistata dall'elettore Federico Augusto di Sassonia nel 1746, nonché la Madonna Sistina di Raffaello acquistata a Piacenza nel 1753 che fu foderata, pulita, integrata e ritoccata 'a puntinato' con colori a vernice. Gli interventi suscitarono forti critiche, che giunsero a investire l'intera attività di Palmaroli, da parte, tra gli altri, di Christian Köster, Carl Friedrich von Rumohr e Karl Friedrich Schinkel.

Nell'autunno 1827 rientrò a Roma, dove morì il 12 febbraio 1828.

Palmaroli fu nel primo trentennio dell’Ottocento il principale restauratore operante a Roma e tra i maggiori in Europa per conoscenza, esperienza, numero e importanza di opere restaurate. È inoltre figura cruciale nella storia del restauro per la compresenza di aspetti tradizionali e moderni: tra i primi, il riserbo sulla composizione di prodotti complessi, l’uso di 'linimenti'per gli affreschi, l’ampio ritocco dei dipinti, l’insofferenza per il controllo dell’autorità pubblica; tra i secondi, la piena distinzione del restauratore dal pittore, il rapporto con il mondo artistico e culturale, il procedimento di stacco di affreschi, l’integrazione a puntinato non mimetica del ductus, la pubblicazione di relazioni di interventi come affermazione di cultura, rivendicazione professionale e contributo al sempre più ampio dibattito sul restauro. Premiato in vita da un prevalente consenso, tranne in parte per la Deposizione e i quadri di Dresda, i suoi interventi furono in seguito, soprattutto per le pesanti alterazioni dei materiali messi in opera, fortemente criticati.

Fonti e Bibl.: A.M. Corbo, Il restauro delle pitture a Roma dal 1814 al 1823, in Commentari, XX (1969), pp. 237-243; S. Bergeon, Un restaurateur romain: P. P., in Preprints of the 6th Triennial Meeting Icom Committee for conservation, Ottawa 1981, Paris 1981, sez. 11-8, pp. 1-7; A. Walther - K.H. Weber, Condizioni e storia del restauro del quadro, in La Madonna per S. Sisto di Raffaello e la cultura piacentina della prima metà del Cinquecento. Atti del Convegno, Piacenza… 1983, a cura di P. Ceschi Lavagetto, Parma 1985, pp. 174-176; G. Albers - P. Morel, Pellegrino Tibaldi e Marco Pino alla Trinità dei Monti. Un affresco ritrovato, P. P. e le origini dello ‘stacco’, in Bollettino d’arte, s. 6,  LXXIII (1988), 48, pp. 69-92; A. Silvestro, Alcuni chiarimenti biografici a proposito di P. P., in Archeopiceno, I (1993), 1, pp. 26 s.; S. Silvestro - A. Silvestro, Conclusione di una ricerca. Dove e quando è nato P. P.,ibid., 3,  pp. 17 s.; C. Schölzel, Das Wirken P. P.s in Dresden, in Zeitschrift für Kunsttechnologie und Konservierung, VIII (1994), 1, pp. 1-24; S. Bergeon, P. P. e i fondamenti del restauro moderno, in Archeopiceno, III (1995), 10, pp. 5-10; A. Silvestro, Dove e quando è nato P. P. Conclusione di una ricerca (Parte II), ibid., pp. 11 s.; S. Rinaldi, Il punteggiato di P. P. Genesi tecnica e teoria cromatica, in Studi di storia dell’arte, XIV (2004), 15, pp. 255-274; A. Silvestro, Studi di artisti a palazzo Barberini nell’Ottocento, in Studi romani, LIV (2006), 1-2, pp. 168-171; F. Giacomini, “per reale vantaggio delle arti e della Storia”. Vincenzo Camuccini e il restauro dei dipinti a Roma nella prima metà dell’Ottocento, Roma 2007,passim; G. Perusini, Il Manuale di Christian Koester e il restauro in Italia e Germania dal 1780 al 1830, Firenze 2012, pp. 103-128.

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