PRIULI, Pietro

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 85 (2016)

PRIULI, Pietro

Giuseppe Gullino

PRIULI, Pietro. – Secondo dei cinque figli maschi di Alvise di Giovanni e di Vittoria Ottoboni di Agostino, nacque a Venezia il 14 maggio 1669.

Un fratello del padre, Lorenzo, era stato vescovo di Lesina; la madre era nipote del cardinale Pietro, e quando costui, nel 1689, fu eletto papa con il nome di Alessandro VIII, Priuli venne posto di fronte a una scelta di vita decisiva e si fece abate. Troppo breve fu il pontificato di Ottoboni (16 ottobre 1689 - 1° febbraio 1691) e troppo giovane Priuli perché potesse essere destinatario di qualche beneficio, ma a questo provvide il nuovo pontefice, Innocenzo XII, che il 6 luglio 1694 lo nominò referendario utriusque signaturae.

Di conseguenza Priuli si trasferì a Roma, dedicandosi alle nuove incombenze e allo studio, verso il quale sentì sempre una forte inclinazione; l’apprezzamento per le qualità poste in luce si manifestò il 17 dicembre 1701, allorché l’ambasciatore Nicolò Erizzo così riferiva al Senato circa gli incarichi ultimamente conferiti a vari prelati: «Fra essi vi ha luogo mons. Priuli […], dichiarato Presidente della Camera e per il merito proprio e per la dipendenza di sangue, che tiene col santo pontefice Alessandro VIII, alla memoria e casa del quale vive gratissima Sua Beatitudine» (Archivio di Stato di Venezia, Senato, Dispacci, Roma, f. 217, c. 225).

Dunque Priuli non ebbe, come pure sarebbe stato logico attendersi, l’auditorato di Rota, ma divenne subito presidente della Camera apostolica; dopo di che, il 17 maggio 1706, Clemente XI lo creò cardinale diacono di S. Adriano. Priuli aveva allora trentasette anni, era quindi fra i cardinali più giovani, ma nella circostanza il papa conferì il cappello contemporaneamente a ben venti porporati, per cui la nomina venne accettata senza suscitare riserve; il 17 dicembre ottenne poi gli ordini sacri. Infine, nello stesso 1706, in seguito alla morte del cardinale Daniele Dolfin, Priuli divenne commendatario dell’abbazia di S. Maria della Vangadizza, in Polesine, che avrebbe conservato sino alla morte.

Nei mesi che seguirono il neoporporato venne ascritto a varie congregazioni, ma la gratificante carriera curiale che si apriva dinnanzi fu improvvisamente interrotta il 14 maggio 1708, e lo sarebbe stata definitivamente, dalla nomina a vescovo di Bergamo. Priuli non avrebbe affatto desiderato lasciare Roma, tanto più che la titolarità della diocesi gli venne conferita con la riserva di una pensione di 1000 scudi pro personis nominandis, ma la consacrazione ebbe luogo di lì a poco, per mano dello stesso pontefice, nella basilica di S. Maria Maggiore il 1° luglio 1708.

Superata l’iniziale reticenza, Priuli si sarebbe dimostrato un buon vescovo in quella terra lombarda alla periferia dei domini veneziani, dove ancora era avvertibile l’impronta lasciata dall’intenso magistero del cardinale Carlo Borromeo. Per vent’anni Priuli avrebbe retto la sua diocesi continuando quell’azione di disciplinamento che proveniva direttamente dalle disposizioni tridentine.

Temperamento mite e affabile, generoso verso i poveri, il nuovo vescovo non possedeva le alte doti del predecessore Alvise Ruzzini, tuttavia scelse come consigliere e direttore spirituale uno dei migliori sacerdoti della diocesi, Gianpietro Mazza, formatosi a Brera dai gesuiti e poi lettore in teologia; merito di Priuli fu non solo quello di confermarlo nel ruolo in cui l’aveva collocato Ruzzini, ma di seguirne i consigli approfondendo ulteriormente lo studio dei canoni e della teologia, vagliando di persona la preparazione del clero e rivelando un’inedita disponibilità alla predicazione in pubblico.

Si colloca nel solco di questo accresciuto zelo verso i propri compiti la visita pastorale alle chiese della diocesi, iniziata a partire dal 12 maggio 1710 e proseguita saltuariamente fino al 1718.

Toccò dapprima alla Val Seriana, dopo di che si recò di persona in tutte le chiese arcipretali e solo ad agosto fece rientro nella sede curiale. La visita fu ripresa nel maggio 1711, dapprima nelle parrocchie della pianura, quindi, a partire da luglio, fu la volta della Val di Scalve, Clusone, Lovere, Gandino; così avvenne nei tre anni successivi, sempre nel periodo estivo. Il prolungarsi dell’impegno pastorale e il moltiplicarsi delle accoglienze nei paesi visitati, con conseguenti spese a carico di comunità dalle esigue risorse, suggerirono a Priuli, nell’imminenza della visita compiuta nel 1714, di raccomandare agli amministratori locali di limitare onori, festeggiamenti e spese. Fu una misura tempestiva, perché proprio alla fine di quell’anno la Repubblica dovette affrontare l’ultima sua guerra contro gli Ottomani, destinata a concludersi nel 1718 con la perdita della Morea, il Peloponneso.

Non dimentico di appartenere pur sempre al patriziato veneziano, Priuli offrì il suo contributo alla patria e alla religione spogliando la sede vescovile di vasi e suppellettili d’argento, così da poter realizzare un dono di molte migliaia di ducati. Interruppe di fatto la visita pastorale, che avrebbe poi ripreso di tanto in tanto senza però completarla, forse anche perché impegnato nella preparazione di un sinodo diocesano.

Anche il sinodo avrebbe avuto luogo solo alcuni anni più tardi, nel 1724, per il sopraggiungere di nuovi impegni, a cominciare dal mutamento del titolo cardinalizio: il 6 maggio 1720, in seguito alla morte di Alvise Priuli (stesso casato, ma nessuna parentela prossima), titolare della chiesa di S. Marco in Roma, Priuli gli subentrò nella dignità passando dalla diaconia all’ordine sacerdotale. L’essere cardinale di S. Marco comportava anche il diritto di risiedere nel grandioso edificio, l’attuale palazzo Venezia, allora sede dei porporati e degli ambasciatori della Serenissima. E qui, da aprile a maggio 1721, egli soggiornò nel corso del lungo conclave che portò all’elezione di Innocenzo XIII e poi ancora, nella primavera del 1724, di Benedetto XIII.

Qualche mese dopo il ritorno nella sua diocesi bergamasca, il 4 settembre 1724 Priuli inaugurò il sinodo, che si sarebbe concluso l’anno successivo con l’emanazione di precetti volti a rafforzare ulteriormente la disciplina del clero. Per caldeggiarne l’attuazione, Priuli decise di promuovere un’altra visita pastorale, ma un prematuro declinare delle forze lo costrinse a delegarla ad altri; lasciò Bergamo e si ritirò a Venezia presso la sua famiglia, peraltro non senza aver provveduto ad assicurarsi la commenda del monastero trevigiano di S. Andrea di Busco, di cui risultava titolare nel 1726.

Morì a Venezia, non ancora sessantenne, il 22 gennaio 1728 e volle che il suo corpo fosse trasferito a Bergamo, dove fu sepolto nella cattedrale di S. Alessandro.

Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Misc. codd., I, St. veneta, 20: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de’ patritii…, VI, p. 240; Senato, Dispacci, Roma, f. 217, c. 225 (dispaccio di N. Erizzo del 17 dicembre 1701); F. Ughelli, Italia sacra, sive de episcopis Italiae…, IV, Venetiis 1719, pp. 518 s.; C. Viaro, In funere […] Petri card. Prioli…, Venetiis 1728.

M. Guarnacci, Vitae et res gestae pontificum […] et cardinalium…, II, Romae 1751, coll. 129132; L. Cardella, Memorie storiche de’ cardinali…, VIII, Roma 1794, pp. 105 s.; G. Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica…, LV, Venezia 1852, pp. 253 s.; XCI, Venezia 1858, p. 390; XCII, Venezia 1858, p. 564; L. von Pastor, Storia dei papi…, XV, Roma 1933, pp. 266, 416, 488, 492; L. Dentella, I vescovi di Bergamo (notizie storiche), Bergamo 1939, pp. 410-415; R. Ritzler - P. Sefrin, Hierarchia catholica…, V, Patavii 1952, pp. 25, 118; B. Belotti, Storia di Bergamo e dei bergamaschi, IV, Bergamo 1959, pp. 293, 316, 322; Storia religiosa della Lombardia. Diocesi di Bergamo, a cura di A. Caprioli - A. Rimondi - L. Vaccaro, Brescia 1988, pp. 189, 208, 334; A. Pizzati, Commende e politica ecclesiastica nella Repubblica di Venezia tra ’500 e ’600, Venezia 1997, pp. 317, 319.

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