SIMONI, Pietro Simone

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 92 (2018)

SIMONI, Pietro Simone.

Alessandra Celati

– Nacque a Vagli o a Lucca nel 1532, ultimo dei tre figli di Giovanni, mercante di seta, e di Polissena, di famiglia illustre di Vimercate.

Mentre i fratelli Cesare e Lodovico furono avviati alla carriera militare, Simone si dedicò alle umane lettere a Lucca tra il 1546 e il 1555. Studiò poi filosofia e medicina tra Bologna, Pavia, Ferrara, Napoli e Padova, dove nel 1562 conseguì il titolo di dottore in arti e medicina.

Già esposto all’ampia circolazione di idee protestanti esistente a Lucca, fu soprattutto l’ambiente padovano, dove si procedeva a una lettura di Aristotele iuxta propria principia, a condizionare il suo atteggiamento religioso. Tornato in patria si rese sospetto di eresia e nel 1564 fu convocato dalle autorità cittadine.

Fuggì allora a Ginevra, dove giunse nella primavera del 1565. Qui, il 21 aprile sposò Angela, figlia di Francesco Cattani; la loro prima figlia nacque nel 1566. Ottenuta la protezione di Theodore de Bèze, avviò un corso pubblico e gratuito di filosofia, conquistandosi la stima delle autorità, che gli offrirono una posizione come professore ordinario presso l’Ateneo. Nel 1567, per intermediazione di Bèze, ottenne di ricoprire la prima cattedra di medicina mai istituita presso l’Ateneo ginevrino, con uno stipendio di 600 fiorini annui. Nello stesso anno, a Lucca, fu inserito nella lista dei ribelli per causa di religione. Tra il 1567 e il 1569, pubblicò due opere di commento ad Aristotele e una prefazione a un’opera di Thomas Erastus che polemizzava contro Yacob Schegk sul dogma dell’ubiquità del corpo di Cristo. Simoni negava l’onnipresenza di Cristo sulla base di ragioni empiriche e razionaliste e da ciò nacque una controversia teologico-filosofica che si concluse nel 1571.

Prima di poter essere insignito della nuova posizione accademica, dovette discolparsi per essersi astenuto dalle pratiche di culto e aver frequentato irregolarmente le prediche. Presto, i sospetti di eterodossia culminarono in una vera e propria denuncia da parte del ministro della Chiesa italiana Niccolò Balbani. A essa Simoni replicò scagliando volgari ingiurie alla volta del pastore: fu così licenziato, imprigionato, processato dal Concistoro e costretto a lasciare Ginevra.

Si trasferì quindi a Parigi nel 1567, dove insegnò, con enorme successo, presso la scuola regia. In meno di un anno, tuttavia, la fortuna gli voltò le spalle. Il 25 settembre 1568 Carlo IX pubblicò un editto che bandiva i protestanti da tutti gli uffici pubblici, cattedre universitarie incluse. Simoni dovette quindi abbandonare Parigi. Nello stesso periodo morirono la moglie e il fratello Ludovico, e per circa due anni Simoni si spostò tra Zurigo, Basilea e Ginevra (dove continuava a risiedere la sua famiglia).

Lasciò la Svizzera nel 1568. Grazie a una raccomandazione di Heinrich Bullinger, si stabilì a Heidelberg al seguito del principe Cristoforo, lavorando come medico di corte e come professore di medicina presso l’Università. Alla fine del 1568, tenne una lezione sull’aforisma aristotelico ex nihilo nihil fuit che sollevò sospetti di antitrinitarismo, probabilmente anche dovuti alle sue amicizie con esponenti degli ambienti radicali come Celio Secondo Curione e Pietro Perna, con i quali era entrato in contatto a Basilea.

La diffidenza che gli ortodossi di Heidelberg nutrivano nei suoi confronti lo spinse a migrare ancora una volta: si trasferì a Lipsia nel 1569. Quì si risposò con Maddalena von Hülsen, figlia di uno degli uomini più illustri della città. In questo stesso periodo fu per la prima volta formalmente accusato di antitrinitarismo: prima, attraverso la pubblicazione delle lettere scritte a Bèze che, come il ministro ginevrino non mancò di mettere in luce, svelavano le sue propensioni radicali (la pubblicazione provocò l’ira di Simoni e la rottura della decennale amicizia con Bèze); e poco dopo, attraverso una lettera inviata da Heidelberg dal principe in persona, il quale riferiva all’elettore di Sassonia che Simoni negava pubblicamente la divinità di Cristo. Simoni, nondimeno, poté difendersi facilmente approfittando dell’ostilità dei luterani di Lipsia nei confronti dei calvinisti, e uscì indenne dalla vicenda.

Nello stesso periodo, i suoi interessi culturali si fecero da prettamente filosofico-aristotelici a più marcatamente naturalistici e medici. Il punto di svolta è considerato il suo De nobilitate pubblicato a Lipsia nel 1572, nel quale Simoni espresse la propria concezione della nobilitas come qualità di origine naturale-genetica. Di argomento puramente medico è invece l’Artificiosa curandae pestis methodus, scritto durante l’epidemia pestilenziale che colpì Lipsia nel 1575 e pubblicato l’anno successivo in questa stessa città.

Nel 1576, presentò un piano di riforma per la facoltà di medicina di Lipsia interessante per capire quale fosse il suo ideale educativo. Esso si basava sulla conoscenza del pensiero originale di Aristotele, su una curvatura più apertamente sperimentale dell’insegnamento terapeutico, in cui venivano rilanciate l’anatomia e la chirurgia, e sull’idea che l’evidenza empirica dovesse sempre essere preferita a qualsivoglia auctoritas. Tuttavia, Simoni non riuscì a trovare alcun sostenitore per il suo progetto.

Nell’estate del 1581 decise di abbandonare anche Lipsia, probabilmente in risposta all’obbligo, per tutti i docenti dell’Università, di sottoscrivere la ‘formula di concordia’ stabilita dal Sinodo delle Chiese riformate di Torgau. In città, lasciò la sua preziosa biblioteca e la sua famiglia: l’anno seguente, sua moglie morì e i loro figli rimasero con il nonno, Adrian von Hülsen.

Nei mesi successivi viaggiò tra Vienna, Breslavia e Praga, dove fu medico personale di Rodolfo II. Nel 1582, a Praga, prese la decisione che più scandalizzò i contemporanei nella sua bizzarra condotta religiosa: attraverso una cerimonia fastosa, si convertì nuovamente al cattolicesimo. È da ritenere che la conversione fosse del tutto strumentale al trasferimento da un Paese protestante a uno cattolico. In terra imperiale esercitò la medicina con un compenso di 500 fiorini annui, circondato dalla diffidenza tanto dei cattolici quanto dei protestanti.

Fu forse tale ostilità a convincerlo, verso la fine del 1582, ad accettare l’offerta di lavoro del re di Polonia Stefano Bàthory e a trasferirsi a Cracovia. Qui, grazie ai suoi rapporti con il principe Mikolaj Radziwiłł entrò in contatto con la nobiltà e sposò la figlia del borgomastro, Magdalena Kryźanovska. A corte, condivise l’incarico di archiatra con un altro italiano esule per motivi religiosi, Niccolò Buccella. La competizione tra i due culminò nell’accesa disputa che li oppose in seguito all’improvvisa morte del re, della quale entrambi accusavano il rivale. La polemica si risolse in maniera sfavorevole per Simoni, che nel 1587 dovette spostarsi in Moravia, dove fu medico del vescovo di Olomouc Jan Pavlovski. Tra il 1887 e il 1889 pubblicò altre quattro opere contro Buccella. Nell’ambito della querelle che avrebbe coinvolto come alleato di Buccella anche un altro medico toscano dalle vedute radicali, Marcello Squarcialupi, i contendenti accusarono l’avversario di eresia o addirittura irreligione, al fine di screditarne il profilo professionale. Nello stesso contesto si colloca il pungente pamphlet con cui Squarcialupi accusò Simoni di materialismo e ateismo, il Simonis Simoni Lucensis primum Romani, tum Calviniani, deinde Lutherani, denuo Romani, semper autem Athei, summa Religio, pubblicato a Cracovia nel 1588.

Per i suoi ultimi anni le informazioni sono frammentarie. Nel 1589 era a Brno e nel 1591 probabilmente tornò a Cracovia. L’ultima notizia che lo riguarda si trova presso la congregazione del S. Uffizio a Roma ed è relativa a un salvacondotto che gli fu concesso nel 1600 per comparire davanti all’Inquisizione romana. Ciò, tuttavia, non avvenne mai: la richiesta che Simoni aveva più volte espresso, di ottenere un salvacondotto per poter rimpatriare, si inseriva probabilmente nella più attenta strategia dissimulatoria che egli conduceva fin dai primi anni Ottanta, volta a rendersi credibile agli occhi delle autorità cattoliche per poter preservare qualche spazio di coerenza intellettuale. Indicativa della stessa tattica fu la frequentazione a Cracovia del nunzio Alberto Bolognetti e del gesuita Antonio Possevino, a cui prometteva, senza in realtà tenere fede a tali dichiarazioni, di fornire informazioni sulle personalità degli eretici italiani, in cambio della possibilità di tornare in Italia. Del resto, adducendo la necessità di non esporre a pericolo la famiglia rimasta in terra protestante, partecipava scarsamente alle cerimonie cattoliche e non si risparmiava dichiarazioni provocatorie e dissacranti in materia religiosa.

È sicuro che tornò in Polonia prima di morire: una lapide nella chiesa di S. Francesco a Cracovia ne commemora la morte, avvenuta in Polonia nell’aprile del 1602.

Fin dall’epoca della controversia con Schegk, Simoni concepiva la divinità in termini «coerentemente aristotelici» (Caccamo, 1970, p. 133). Se pure ufficialmente dichiarava di attenersi alle verità di fede, allo stesso tempo rivendicava la liceità di applicare alla comprensione dei misteri divini gli stessi strumenti messi in campo nell’indagine naturale. Nella sua classificazione delle scienze, del resto, la teologia si collocava in una posizione subordinata alla filosofia e quest’ultima a sua volta doveva cedere il passo alla medicina. La sua gnoseologia si fondava sul primato dell’esperienza e in tale chiave la medicina diveniva particolarmente rilevante. Proprio nell’interpretare medicina, metafisica e teologia come discipline accomunate dal medesimo fondamento, la ragione umana, Simoni sviluppò un approccio al sapere, sacro e profano, il cui approdo fu il superamento di ogni fede religiosa e la riduzione del discorso spirituale a un fatto privato, dai risvolti etici o meramente sociali. In vita e anche dopo la morte fu spesso accusato di doppiezza e opportunismo. Non è tuttavia un caso che a gettare nuova luce sulla sua personalità fu già nel XVII secolo Pierre Bayle.

Fonti e Bibl.: Per una ricostruzione analitica di tutte le fonti manoscritte ed edite del XVI secolo e della bibliografia simoniana si veda C. Madonia, ‘Simone Simoni’, in Bibliotheca Dissidentium, a cura di A. Séguenny, IX, Baden-Baden-Bouxwiller 1988, pp. 25-110. Inoltre, si veda in particolare: Breslavia, Biblioteka Uniwersytecka, Akc. 1949/ 611, cc. 35r, 37v; Varsavia, Archiwum Głowne Act Dawnych, Metryka Koronna, 131, c. 121rv, 28 marzo 1585; Archiwum Radziwiłłow, V, t. 357, n. 14394 (lettere di S. a Mikołaj Radziwiłł, 31 maggio, 2 giugno, 31 ottobre 1585); Olomouc, Státní Archiv, kop. 29 (1590-1591), cc. 32v-33r, 35v, 36rv, 38r, 51v-52r, 136r-137r, 149v-150r, 175v-176r; Alberti Bolognetti nuntii apostolici in Polonia Epistolae et acta, in Monumenta Poloniae vaticana, VI e VII, Cracovia 1938-1948, passim.

Sulle numerose opere scritte da S. si veda M. Verdigi, S. S., filosofo e medico nel ’500, Lucca 1997, pp. 17-21; sulla sua esperienza ginevrina: A. Pascal, Da Lucca a Ginevra, in Rivista storica italiana, s. 4, XLIX (1935), 2, pp. 482-498; sul periodo germanico: D. Cantimori, Un italiano contemporaneo di Bruno a Lipsia, in Studi germanici, III (1938), pp. 446-466; per una ricostruzione della biografia di S. e soprattutto del suo pensiero filosofico: D. Caccamo, Eretici italiani in Moravia, Polonia e Transilvania, Firenze 1970, pp. 131-145; sulla sua conversione al cattolicesimo: M. Firpo, Alcuni documenti sulla conversione al cattolicesimo dell’eretico lucchese S. S., in Annali della Scuola normale superiore di Pisa, s. 3, 1974, n. 4, pp. 1479-1502; sul suo contributo al dibattito medico del tempo: V. Nutton, It’s the patient’s fault: S. S. and the plague of Leipzig, 1575, in Intellectual History Review, 2008, vol. 18, pp. 5-13. Si vedano inoltre: C. Madonia, S. S. da Lucca, in Rinascimento, 1980, vol. 20, pp. 161-197; S. Ragagli, S., S., in Dizionario storico dell’Inquisizione, III, Pisa 2010, pp. 1373 s.

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